Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLV n. 81 (46.919) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano venerdì 10 aprile 2015 . Dopo otto mesi passati nelle mani dei miliziani Udienza al sinodo patriarcale della Chiesa armeno-cattolica L’Is rilascia duecento yazidi Una storia di fedeltà e di risurrezione Nel gruppo ci sarebbero almeno quaranta bambini DAMASCO, 9. Piccoli segnali di distensione e tregua sui fronti di guerra siriani e iracheni. Ieri i miliziani dello Stato islamico (Is) hanno rilasciato oltre duecento yazidi dopo otto mesi di prigionia. Tra di essi, ci sarebbero almeno quaranta bambini. Il sito di notizie curdo-iracheno Rudaw precisa che un primo gruppo di ottanta yazidi sono giunti ieri nella regione di Kirkuk e presto ne arriveranno altri 120. Questi si uniscono ai circa duecento yazidi liberati nelle settimane scorse dall’Is. La cattura degli yazidi, minoranza religiosa irachena (circa 500.000 persone), era avvenuta lo scorso luglio nei distretti di Sinjar e Shingal. Secondo Rudaw, gli ottanta yazidi liberati giunti a Kirkuk sono «in buone condizioni di salute» e medici curdi sono accorsi nel luogo per prestare cure e assistenza sanitaria elementare. La tragedia degli yazidi è iniziata la scorsa estate quando hanno subìto l’offensiva dei miliziani dell’Is. Nella prima ondata di attacchi, stando a dati forniti dal Governo iracheno, furono oltre cinquecento gli yazidi uccisi dai miliziani: alcune delle vittime furono anche sepolte vive in fosse comuni. Migliaia di yazidi cercarono rifugio nelle montagne o fuggirono in altri Paesi, ma molti altri furono rapiti dall’Is. Tuttavia, se dunque sembrano esserci spiragli di miglioramento nelle condizioni degli yazidi, resta invece drammatica la situazione nel campo palestinese di Yarmuk, in Siria, anch’esso attaccato dalla furia dell’Is. Circa ventimila palestinesi sono intrappolati nel campo in balia dei combattimenti. Nelle ultime ore le forze palestinesi — dopo i ripetuti appelli dell’Olp (organizzazione per la liberazione della Palestina) alla resistenza e alla lotta armata — sono riuscite a riconquistare la metà del campo profughi. Il portavoce del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina - Comando Generale (Fplp-Cg) di Damasco, Anuar Raja, ha detto di essere in contatto con il Governo siriano per coordinare una possibile offensiva congiunta. «Al momento una decisione non è stata presa, però ne stiamo discutendo» ha spiegato Raja, la cui fazione palestinese è considerata vicina al regime del presidente siriano, Bashar Al Assad, ma è considerata dagli Stati Uniti e dall’Europa un’organiz- zazione terroristica. E infatti, ieri una delegazione dell’Olp si è recata nella capitale siriana dove ha incontrato il viceministro degli Esteri siriano, Faisal Mekdad, per discutere la strategia da seguire contro i miliziani dell’Is. Secondo Ahmad Majdalani, capo della delegazione dell’Olp — citato dai media di Ramallah — l’incontro è stato «buono e Alcuni degli yazidi rilasciati (Reuters) La lunga storia di fedeltà e l’«ammirevole patrimonio di spiritualità e di cultura» del popolo armeno sono stati richiamati dal Papa nel discorso ai membri del Sinodo patriarcale della Chiesa armeno-cattolica, ricevuti in udienza giovedì mattina, 9 aprile. In vista della celebrazione di domenica nella basilica vaticana il Pontefice ha invitato alla preghiera e chiesto ai fedeli armeni di «coltivare sempre un sentimento di riconoscenza al Signore, per essere stati capaci di mantenere la fedeltà a lui anche nelle epoche più difficili». Per Francesco «è im- portante chiedere a Dio il dono della sapienza del cuore», che rende capaci di leggere anche gli avvenimenti più oscuri della storia alla luce della passione di Gesù, nella quale «è posto il germoglio della sua resurrezione». Da qui l’invito a guardare «la realtà con occhi nuovi» e a «fare memoria del passato» per «attingere da esso linfa nuova per alimentare il presente con l’annuncio gioioso del Vangelo e con la testimonianza della carità». PAGINA 8 Nello Yemen proseguono i combattimenti e i raid della coalizione a guida saudita Navi militari iraniane nel Golfo di Aden TEHERAN, 9. Al largo dello Yemen, devastato dal conflitto tra i ribelli sciiti huthi, che avanzano dal nord, e una coalizione militare sunnita a guida saudita, che sostiene il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, arrivano un cacciatorpediniere e una nave di appoggio della Marina militare iraniana. Hanno lo scopo, spie- ga il comandante della Marina iraniana Habibollah Sayyari, di garantire la sicurezza delle navi e degli interessi della Repubblica islamica nello strategico Golfo di Aden, solcato da mercantili e petroliere. Ma anche di proseguire con una nuova missione di tre mesi in quella operazione antipirateria — a difesa di navi Udienza al presidente della Repubblica Slovacca y(7HA3J1*QSSKKM( +,!"!&!=!z! i siriani hanno compreso i punti più importanti per affrontare la tragedia di Yarmuk». Per Majdalani si è concordato sul «proseguimento dell’aiuto umanitario inclusa l’apertura di passaggi di sicurezza e l’approntamento di rifugi per tutte le persone che ancora vivono nel campo». Il capo delegazione dell’Olp ha poi reso noto che «i combattimenti si stanno allargando e questo significa anche che l’Is non controlla più la totalità del campo». Al contrario, «nelle ultime 48 ore le fazioni palestinesi sono riuscite a fermare la progressione dei miliziani nel campo». Dal canto suo, il Governo siriano ha reso noto che sta prendendo sempre più corpo anche l’ipotesi di un intervento diretto delle proprie truppe a Yarmuk. «La priorità è ora sconfiggere ed espellere militanti e terroristi nel campo. Data la situazione attuale, è necessaria una soluzione militare» ha detto una fonte governativa citata dalle agenzie internazionali. Sul piano umanitario, l’Unrwa (l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso ai profughi palestinesi) ha fatto sapere che la situazione nel campo profughi è «assolutamente disastrosa e continua a peggiorare» e per questo serve «una tregua umanitaria». Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, circa duemila palestinesi hanno lasciato il campo profughi negli ultimi giorni. All’interno del campo mancano tutti i servizi fondamentali, soprattutto quelli relativi all’assistenza medica. Nella mattina di giovedì 9 aprile, Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nel Palazzo apostolico, il presidente della Repubblica Slovacca, Andrej Kiska, il quale ha successivamente avuto un incontro in Segreteria di Stato, con monsignor Antoine Camilleri, sotto-segretario per i rapporti con gli Stati. Durante i cordiali colloqui, svoltisi nella ricorrenza del venticinquesimo anniversario della ripresa delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’allora Repubblica federativa Ceca e Slovacca, avvenuta il 19 aprile 1990 e seguita dal viaggio di Giovanni Paolo II nel Paese, è stato espresso vivo compiacimento per i buoni rapporti bilaterali, suggellati dagli Accordi in vigore e dal dialogo proficuo tra la Chiesa e le autorità civili. Nel prosieguo della conversazione, ci si è soffermati sull’attuale contesto internazionale, con particolare attenzione alle sfide che interessano alcune aree del mondo, specialmente il Medio oriente, e all’importanza della tutela della dignità della persona umana. di diversa bandiera — alla quale l’Iran partecipa dal 2008 in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite. Una missione, quest’ultima, che oggi si inquadra in un contesto diverso, visto l’aggravarsi della crisi yemenita e il perdurare degli attacchi aerei dell’alleanza a guida saudita, sostenuta dagli Stati Uniti. Washington è infatti schierata a fianco dei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo persico contro i ribelli sciiti nello Yemen. Lo ha ribadito ieri sera il segretario di Stato americano, John Kerry. «Non ci allontaneremo dai nostri alleati e amici — ha affermato Kerry — né dalla necessità di stare a fianco di coloro che si sentono minacciati». L’Amministrazione statunitense ha così cominciato a rifornire in volo gli aerei della coalizione saudita. Lo ha reso noto ieri sera il Pentagono. Quello nello Yemen è comunque un quadro tragicamente caotico, in cui Al Qaeda approfitta per guadagnare terreno nella penisola arabica, di fronte al quale si intensificano gli sforzi per individuare una via d’uscita diplomatica. Ci sta provando la Giordania, che ha fatto circolare ieri tra i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una bozza di risoluzione per fermare l’escalation e fornire aiuti umanitari alla popolazione, condannando al tempo stesso l’aggressione dei ribelli huthi. Ma Russia e Venezuela contestano il progetto di risoluzione delle Nazioni Unite che vieterebbe la spedizione di armi ai ribelli sciiti e ai miliziani dell’ex presidente Ali Abdulah Saleh, nel tentativo di fermare la campagna militare contro i sostenitori di Hadi. Anche il premier pakistano, Nawaz Sharif, ha chiesto ieri sera, al termine di un colloquio a Islamabad con il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, «una urgente soluzione alla crisi in Yemen attraver- so la diplomazia e il dialogo». Fonti governative pakistane hanno indicato che la posizione del premier «è frutto dei suoi contatti con vari leader di Paesi islamici, fra cui quelli della Turchia». Il capo della diplomazia iraniana, giunto in Pakistan da Ankara, ha dal canto suo fatto sapere di «condividere la posizione pakistana come contributo per il raggiungimento di un cessate il fuoco in Yemen». E il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha chiesto oggi all’Arabia Saudita di porre fine ai raid della coalizione contro i ribelli sciiti. «Una grande Nazione come lo Yemen non può essere soggetta a In viaggio tra le macerie dell’Uganda L’abbraccio che salva SILVIA GUSMANO A PAGINA 5 bombardamenti. Dobbiamo pensare tutti a come porre fine a questa guerra. Partiamo da un cessate il fuoco per portare gli yemeniti al tavolo dei negoziati e lasciare a loro la scelta del proprio futuro», ha detto Rohani in un discorso alla televisione di Stato. Ma sul terreno continua ad aumentare il numero delle vittime. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità si contano finora almeno 560 morti e 1800 feriti. Ma si tratta di un bilancio destinato ad aumentare, mentre ad Aden non si fermano i combattimenti. L’ultimo bilancio degli scontri armati nella città parla di almeno 22 morti e 70 feriti. Alcune aree residenziali sarebbero infatti state bombardate dagli huthi. È quanto riferiscono fonti dei soccorsi e funzionari locali che hanno accusato i miliziani di aver «colpito a caso abitazioni di civili» nei quartieri di Mualla e Crater. Gli huthi avrebbero attaccato la città a colpi di mortaio e proiettili sparati dai carri armati. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali: — George Pell, Prefetto della Segreteria per l’Economia; — Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia - Città della Pieve (Italia); Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Adolfo Tito Yllana, Arcivescovo titolare di Montecorvino, Nunzio Apostolico in Australia; il Reverendo Monsignore Giovanni Pietro Dal Toso, Segretario del Pontificio Consiglio «Cor Unum». Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Andrej Kiska, Presidente della Repubblica Slovacca, e Seguito. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 10 aprile 2015 I danni provocati dalle alluvioni a Chanaral (Reuters) Attesa per l’incontro tra Barack Obama e Raúl Castro Vertice delle Americhe a Panamá PANAMÁ, 9. Tutto pronto a Panamá per il settimo vertice delle Americhe, che si apre domani. Un incontro che riunisce trentacinque capi di Stato e di Governo degli Stati del Continente per discutere su questioni di politica comune e concordare azioni a livello nazionale e regionale. La prima riunione avvenne nel 1994 a Miami. La democrazia è sempre stata un tema centrale nei diversi vertici. La crescita, lo sviluppo, la creazione di posti di lavoro, la povertà, l’ambiente, la sicurezza energetica, la discriminazione e la delinquenza, sono le altre questioni toccate con maggiore frequenza in questi summit. A Panamá gli occhi saranno tutti puntati sui presidenti statunitense e cubano. E Barack Obama, in partenza stamane da Washington per fare prima tappa in Giamaica, arriva a Panamá con il vento in poppa, forte delle sue recenti e storiche aperture all’Avana, ma anche della sua politica sull’immigrazione e sulla lotta al narcotraffico, molto apprezzate in America Latina. In un certo senso, però, l’invitato d’onore sarà il presidente cubano, Raúl Castro, considerato che è la prima volta che Cuba partecipa a un vertice regionale dal 1962, quando gli Stati Uniti ne imposero l’espulsione dall’Osa, l’Organizzazione degli Stati americani. E oltre alla probabile stretta di mano tra Obama e Castro — che secondo quanto ha affermato la Casa Bianca avranno una «interazione» a margine del vertice, anche se non ci sono in agenda colloqui formali — in molti si aspettano anche l’annuncio che gli Stati Uniti toglieranno Cuba dalla loro “lista nera” dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo. Una svolta che per gli analisti internazionali dovrebbe spianare la strada alla riapertura dell’ambasciata americana all’Avana e di quella cubana a Washington. Cuba fu iscritta nella “lista nera” nel 1982, per il suo sostegno a gruppi ribelli comunisti dell’America Latina, alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia e all’organizzazione basca dell’Eta. Le cose sono però cambiate da tempo, e il processo di revisione della lista da parte del Dipartimento di Stato americano per ciò che riguarda Cuba «è stato quasi completato», hanno reso noto fonti della Casa Bianca. Ma a prescindere dall’annuncio, che potrebbe anche tardare alcuni giorni, il vertice dovrebbe comunque produrre risultati significativi, dopo Tsarnaev giudicato colpevole dell’attentato a Boston WASHINGTON, 9. Il ventunenne Dzhokhar Tsarnaev, accusato dell’attentato alla maratona di Boston del 15 aprile del 2013, rischia ora la pena capitale. L’uomo è stato infatti giudicato colpevole di tutti e trenta i capi di accusa, di cui 17 punibili appunto con la morte: dall’omicidio delle quattro vittime fino alla cospirazione e all’utilizzo di armi di distruzione di massa. A decretare il verdetto di colpevolezza i dodici giurati, sette donne e cinque uomini, di un tribunale di Boston dopo undici ore e trenta minuti di camera di consiglio. Il processo entra ora nella seconda fase, nella quale gli stessi giudici dovranno decidere la pena. Pochi giorni fa, in una dichiarazione congiunta, il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, e i vescovi del Massachusetts avevano ribadito, in nome dell’inviolabilità della vita, l’opposizione della Chiesa cattolica alla pena di morte. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va che i due precedenti appuntamenti — a Trinidad nel 2009 e a Cartagena nel 2012 — si sono conclusi senza una dichiarazione congiunta proprio a causa dei dissensi su Cuba e sulla sua prolungata assenza. A sparigliare le carte potrebbe, però, essere ora il Venezuela, il cui presidente, Nicolás Maduro, ha già avvertito che non andrà a Panamá «in ginocchio», con un particolare riferimento alle sanzioni imposte da Obama contro alcuni dirigenti venezuelani, accusati di violazioni dei diritti umani. Maduro, ha detto, sarà al summit per «esigere rispetto, perché gli Stati Uniti non possono continuare a credere di poter governare il mondo intero per decreto». Gli Stati Uniti intendono però gettare acqua sul fuoco, tanto che Thomas Shannon, un consigliere del segretario di Stato americano, John Kerry, è arrivato ieri sera a Caracas per incontrarsi con Maduro e con il ministro degli Esteri, Delcy Rodríguez, proprio in vista del Vertice delle Americhe. Su un cartellone il logo del vertice di Panamá (Reuters) Nel Cile settentrionale Si aggrava il bilancio delle alluvioni SANTIAGO, 9. Continua ad aggravarsi il bilancio delle vittime e dei danni provocati dalla forte tempesta di pioggia che ha colpito il Cile settentrionale alla fine di marzo, una zona solitamente contraddistinta da clima arido. Sebbene i morti accertati siano ventisei, i dispersi sono ormai più di centocinquanta. E con il passare delle ore diminuiscono sempre più le possibilità di trovarli ancora vivi. Ancora nessuna notizia delle duecento ragazze rapite nell’aprile scorso dai miliziani di Boko Haram L’Onu teme una carneficina in Nigeria ABUJA, 9. Sequestrate, obbligate a convertirsi all’Islam, costrette al matrimonio e poi sgozzate. Sarebbe questo il tragico epilogo per le circa duecento liceali nigeriane rapite nell’aprile dello scorso anno dai miliziani di Boko Haram, nella località del nord della Nigeria di Chibok. In un’intervista pubblicata ieri dal quotidiano nigeriano «This Day», il direttore dell’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani (Unhcr), Raad Zeid al Hussein, si è infatti detto «molto pessimista» sulla sorte delle ragazze rapite, affermando che «potrebbero essere state tutte uccise». La città è stata controllata per mesi dai terroristi di Boko Haram. Poi, sotto la spinta dell’offensiva dei militari nigeriani, l’hanno abbandonata e sarebbe stato questo il momento del massacro delle giovani studentesse. Una volta entrati in città, i soldati hanno trovato i cadaveri di numerose donne. Sempre stando alle dichiarazioni di al Hussein, le liceali erano state dapprima costrette a sposare i loro sequestratori. Peraltro, alcuni rapporti delle Nazioni Unite confermerebbero che molte giovani donne sono state massacrate nelle città dello Stato settentrionale del Borno. Appena un mese fa, l’esercito di Abuja aveva dichiarato ufficialmente di non avere più da tempo noti- zie delle giovani. Il sequestro delle liceali (poi mostrate in un video dei Boko Haram) ebbe vastissima eco internazionale, dando il via ad una campagna che ne chiedeva la liberazione. Non è la prima volta che i jihadisti, che recentemente hanno stretto un’alleanza con i miliziani del cosiddetto Stato islamico, compiono massacri ai danni di civili, cristiani e non solo, con un bilancio di migliaia di morti. Giorni fa un gruppo di miliziani ha compiuto una strage nel villaggio di Kwajafa, nello Stato di Borno, uccidendo almeno ventiquattro persone e feren- Voto rinviato in alcune zone del Sudan Una donna nigeriana scampata alle violenze di Boko Haram (Afp) Stilata dai delegati al dialogo politico mediato dalle Nazioni Unite Tobruk esamina una road map sulla Libia RABAT, 9. Lunedì prossimo la Camera dei rappresentanti libica (il Parlamento di Tobruk internazionalmente riconosciuto) riceverà raccomandazioni da una commissione interna appena istituita e relative a una road map politica ad interim per la Libia. Lo riferisce un media libico citando un deputato. Le raccomandazioni della commissione composta da 19 deputati verranno trasmesse per essere votate dall’Assemblea. La road map, che prevede anche un Governo di unità nazionale, è stata stilata dai GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio delegati al dialogo politico mediato dall’Onu a Skhirat, in Marocco. Il sito precisa che l’esame della road map da parte del Parlamento sarebbe dovuto iniziare in tempo per consentire una ripresa dei negoziati già domenica scorsa, ma poi è stato avviato solo ieri e subito demandato alla commissione incaricata di stilare “raccomandazioni finali”. I documenti in cui si articola la road map sono 15. Nel frattempo, Italia, Egitto e Algeria hanno deciso «insieme di intensificare gli sforzi e il lavoro Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione done molte altre. Fonti militari e testimoni hanno riferito che la carneficina si era verificata vicino alla moschea del villaggio. Il neopresidente, Muhammadu Buhari, ha garantito che «nella lotta contro i Boko Haram non verrà risparmiato alcuno sforzo». In un comunicato dell’Ufficio nazionale di emergenze si precisa, inoltre, che oltre 2.500 persone sono ancora accolte in rifugi di emergenza dopo aver perso la casa, alle quali bisogna aggiungere altre 6.250 persone le cui abitazioni hanno sofferto danni gravi. Le piogge torrenziali hanno colpito una delle zone più aride del Paese sudamericano, che comprende il deserto di Atacama. Le regioni maggiormente interessate sono quelle di Tarapacá, Antofagasta, Atacama e Coquimbo. Rimane in vigore lo stato di catastrofe per Antofagasta, Taltal e la regione di Atacama, e l’allerta sanitaria per i comuni di Copiapó, Chañaral, Caldera, Tierra Amarilla, Diego de Almagro, Alto del Carmen, Freirina, Huasco e Vallenar. In queste zone, infatti, si teme l’insorgere di epidemie. Secondo il ministero dell’Interno, è il peggiore disastro mai avvenuto nel nord della Nazione sudamericana negli ultimi ottant’anni. È stato accertato che in poche ore sul deserto di Atacama, il più arido al mondo, è caduta una quantità di pioggia equivalente a quella di quindici anni. La situazione ha portato la presidente, Michelle Bachelet, ad annullare la sua partecipazione al Vertice delle Americhe, che si apre venerdì a Panamá. In una nota ripresa dalle agenzie di stampa internazionali, Bachelet ha sottolineato che i danni causati delle alluvioni ammontano a circa un miliardo e mezzo di dollari. Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va comune per favorire l’attività che sta svolgendo l’inviato speciale dell’Onu per cercare di stabilizzare la situazione» in Libia, «contrastare il terrorismo» e arrivare a un «Governo di unità nazionale». Lo ha annunciato ieri il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, nel corso della conferenza stampa a Villa Madama al termine della trilaterale con il collega egiziano, Sameh Shoukry, e il ministro algerino per gli Affari maghrebini, Abdelkader Messahel. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Operazione antiterrorismo in Tunisia TUNISI, 9. Sono 13 le persone finora fermate dalla polizia tunisina nell’ambito delle indagini sull’attentato avvenuto martedì scorso a Sbeitla, nella provincia tunisina di Kasserine, lungo il confine con l’Algeria, dove sono morti cinque militari. Le persone fermate si trovavano tutte nella zona al momento dell’attentato. Sono state trasferite presso la sede del ministero dell’Interno di Tunisi per essere interrogate. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 KHARTOUM, 9. Le consultazioni presidenziali e legislative in programma in Sudan lunedì, martedì e mercoledì prossimo non si terranno in alcune delle circoscrizioni dello Stato frontaliero del Sud Kordofan, in particolare nella regione dei Monti Nuba. Lo ha annunciato la Commissione elettorale, sottolineando che il rinvio è dovuto a ragioni di sicurezza. Nella zona è in corso da tempo un vasto conflitto armato. All’inizio della prossima settimana, circa quindici milioni di aventi diritto saranno chiamati a eleggere il presidente e rinnovare il Parlamento. Nonostante i candidati alla massima carica dello Stato siano quindici, anche alla luce del boicottaggio annunciato dai principali partiti di opposizione, appare scontata la conferma di Omar Hassan Al Bashar, al potere nel Paese africano da oltre un quarto di secolo. Anche dal Darfur, un’altra area di crisi situata all’estremità occidentale del Paese, sono giunte notizie di nuove violenze. Lo ha confermato la locale missione di pace dell’Onu Unamid, precisando che nella località di Rowata bombardamenti dei caccia sudanesi nei pressi di postazioni ribelli hanno provocato la morte di almeno quattordici civili. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 10 aprile 2015 pagina 3 In coincidenza con l’arrivo a Seoul del segretario alla Difesa statunitense Missili terra-aria lanciati da Pyongyang Sanguinosi attacchi nell’Afghanistan nord-orientale KABUL, 9. Sale nuovamente la tensione in Afghanistan. Uomini armati con indosso uniformi dell’esercito afghano hanno attaccato oggi il tribunale di Mazar-iSharif nel nord del Paese. Almeno due le vittime e venti i feriti. Lo ha riferito il capo della polizia della provincia di Balkh. Ieri un uomo con la divisa dell’esercito afghano ha aperto il fuoco a Jalalabad, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar, contro militari che scortavano l’ambasciatore statunitense in Afghanistan, Michael McKinley, uccidendo un soldato americano e ferendone altri due. L’autore dell’attacco, che secondo una rivendicazione era del gruppo antigovernativo Hezb-i-islami di Gulbuddin Hekmatyar, è stato a sua volta ucciso. Secondo una ricostruzione ufficiale l’ambasciatore McKinley si era riunito insieme ai vertici della Missione internazionale Resolute Support con i governatori delle province orientali afghane per esaminare lo stato della sicurezza alla frontiera con il Pakistan. All’uscita dall’incontro uno dei soldati afghani che accompagnava la comitiva fin dal suo arrivo all’aeroporto, ha aperto il fuoco contro un gruppo di militari americani. Simili episodi si sono moltiplicati da quando Obama ha annunciato che rallenterà il ritiro delle truppe statunitensi dal Paese. Nel frattempo, l’inviato statunitense per Afghanistan e Pakistan, Dan Feldman, è da ieri a New Delhi per consultazioni con il Governo indiano sulle prospettive della sicurezza regionale con particolare riferimento alla situazione afghana. A quanto appreso, Feldman ha incontrato vari esponenti governativi indiani, fra cui il consigliere per la Sicurezza nazionale del premier Narendra Modi, Ajit Doval, e il viceministro degli Esteri indiano, S. Jaishankar. In un breve comunicato il Governo indiano ha reso noto che «le parti hanno esaminato i risultati della visita a Washington del presidente afghano, Ashraf Ghani, e del coordinatore del Governo di unità nazionale, Abdullah Abdullah». «La discussione — si sottolinea — ha riguardato anche il modo migliore per favorire in Afghanistan un processo politico sostenibile, inclusivo, sovrano e democratico». SEOUL, 9. La Corea del Nord ha lanciato due missili terra-aria al largo della costa occidentale, ultimi di una successione di test effettuati mentre nella regione è in visita il capo del Pentagono, Ashton Carter. «Non conosciamo la loro gittata, ogni tanto lo fanno», ha detto questa mattina il portavoce del ministero della Difesa sudcoreana. I missili lanciati dal regime comunista nordcoreano sottolineano come la situazione nella penisola sia pericolosa, e quanto sia necessario, per mantenere la pace, la presenza di una forza americana di sostegno alle truppe sudcoreane. Lo ha dichiarato il segretario alla Difesa statunitense, giunto oggi a Seoul da Tokyo nel quadro di una missione in Asia. Ashton Carter avrà nelle prossime ore un incontro con la presidente sudcoreana, Park Geun Hye. Dopo la Corea del Sud, Carter si recherà nelle Hawaii dove si trova la sede del comando militare americano per la zona del Pacifico. Intanto, la Corea del Nord ha deciso di espellere una cittadina americana accusandola di atti contro lo Stato. Secondo Pyongyang, la donna, identificata come Suh Sandra, era impegnata a «ordire complotti» durante le sue frequenti visite in Corea del Nord, compiute a partire dal 1998 «con il pretesto degli aiuti umanitari». Invece di trattenerla in stato di arresto, la Corea del Nord Il Paese ancora senza Costituzione Scioperi e disordini in Nepal ha optato per l’espulsione della donna, adducendo l’età avanzata come motivo della decisione. Nel frattempo, un nuovo rapporto delle Nazioni Unite afferma che gli aiuti umanitari per la Corea del Nord si trovano di fronte a un «significativo sottofinanziamento», mentre circa il 70 per cento della popolazione deve affrontare l’insicurezza alimentare. Il testo è stato reso noto ieri sera dal sottosegretario generale delle Nazioni Unite agli Affari umanitari Valerie Amos. E mentre Pyongyang continua a spendere ingenti risorse finanziarie nello sviluppo dei suoi progetti missilistici, il rapporto mette in evidenza le restrizioni che il regime impone alle operazioni umanitarie, sottolineando che la capacità delle agenzie Onu di accedere liberamente alle comunità «è ancora fuori portata». Nonostante queste difficoltà le Nazioni Unite chiedono alla comunità internazionale 111 milioni di dollari per le operazioni umanitarie in Corea del Nord nel 2015. Onorato dalla Grecia il pagamento del debito con il Fondo monetario internazionale Cooperazione tra Atene e Mosca KATHMANDU, 9. Tensione a Kathmandu e in altre zone del Nepal dopo gli scontri di ieri tra manifestanti e poliziotti, che cercavano di impedire lo sciopero nazionale indetto dai partiti di ispirazione maoista. Al centro, ancora una volta i disaccordi sulla nuova Costituzione che, pure essendo da tutti considerata necessaria per fare uscire il Paese dallo stallo politico, economico e sociale in cui si trova da anni, resta più causa di contenzioso che di pace e unità, dopo diversi rinvii della data di promulgazione. L’ennesimo tentativo della maggioranza di approvare la Carta senza l’appoggio dell’opposizione dell’estrema sinistra, una trentina di movimenti politici, ha alimentato il tentativo di bloccare nuovamente il Paese asiatico. Ancora una volta i maoisti, eredi di una guerriglia che insanguinò il Nepal per un decennio fino al 2006, hanno bloccato trasporti, scuole e servizi pubblici, con gravi disagi. Decine gli arresti, tra cui tredici funzionari del partito maoista. Dal 2008 la litigiosa e frammentata classe politica nepalese cerca di trovare un’intesa sulla nuova Carta fondamentale dello Stato, in particolare sul punto più controverso: ampia autonomia provinciale o federazione di Stati su base etnica, per garantire la necessaria stabilità ai ventotto milioni di nepalesi. MOSCA, 9. Il premier greco, Alexis Tsipras, dopo l’incontro di ieri con Vladimir Putin — che il Cremlino ha definito «molto positivo» — vedrà oggi a Mosca il primo ministro Dmitri Medvedev, con il quale discuterà di «vari aspetti dell’interazione economica e commerciale». L’incontro fa parte della visita di due giorni del premier ellenico in Russia, iniziativa che ha sollevato giudizi sfavorevoli da diversi rappresentanti dell’Unione europea, critici circa l’avvicinamento di Atene a Mosca. Come anticipato ieri dal ministro dello Sviluppo economico russo, Aleksei Ulyukayev, nei colloqui di oggi si dovrebbe affrontare la questione dell’embargo alimentare contro l’import Ue, che ha molto colpito il settore ortofrutticolo greco. La Russia, a detta del ministro, ha preparato una serie di proposte per alleggerire il peso delle contro-sanzioni nei confronti della Grecia, anche se — come ha detto Putin — l’embargo non può essere cancellato. Ma il leader del Cremlino ha ieri gettato le basi per agganciare la Grecia al futuro gasdotto Turkish Stream e dribblare così l’Ue. Dopo due ore e mezzo di colloqui con Putin, il premier greco ha rivelato che Atene è «interessata» a un allacciamento al nuovo gasdotto russo-turco annunciato da Mosca per trasportare il suo gas in Europa, dopo aver cancellato il progetto South Stream per le resistenze di Bruxelles. Tour europeo per Modi Il premier indiano Narendra Modi scatta un selfie (Reuters) La posta in gioco è alta: pur precisando che Mosca e Atene non hanno raggiunto alcun accordo concreto, Putin ha subito sottolineato che il Turkish Stream potrebbe trasformare la Grecia in un hub «per la distribuzione energetica» in Europa e «attrarre investimenti importanti nell’economia greca creando posti di lavoro». E ha ventilato la possibilità di crediti per «grandi progetti concreti», come questo che, a suo avviso, potrebbe fruttare ad Atene «centinaia di milioni di euro». Nel frattempo, la Grecia ha rispettato i suoi obblighi verso il Fondo monetario internazionale e gli altri partner della ex troika, e continua a negoziare per evitare un nuovo crac. «Non credo che abbiamo il diritto morale di farci i complimenti, abbiamo ancora tanto lavoro da fare» ha dichiarato oggi il ministro dell’Economia greco, Yanis Varoufakis, in un convegno a Parigi, confermando implicitamente il pagamento del prestito di 450 milioni di euro al Fondo monetario. Incontro di verifica a Berlino sull’attuazione degli accordi di Minsk PARIGI, 9. I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Russia e Ucraina si incontreranno lunedì 13 a Berlino per fare il punto sul fragile cessate il fuoco nell’est dell’ex Repubblica sovietica, siglato nel febbraio scorso a Minsk. Lo ha annunciato ieri il capo della diplomazia francese, Laurent Fabius, al termine di un colloquio a Parigi con il collega ucraino, Pavlo Klimkin. Fabius ha riferito che il presidente ucraino, Petro Poroshenko, sarà a Parigi il prossimo 22 aprile. «Ci sono stati alcuni progressi sul terreno per il rispetto del cessate il fuoco approvato il 12 febbraio a Minsk», ha spiegato il ministro degli Esteri francese che ha tuttavia denunciato le «troppe violazioni» anche sul ritiro delle armi pesanti. Dal canto suo, un funzionario del ministero degli Esteri tedesco ha riferito oggi che un incontro a breve del cosiddetto gruppo Normandia (Francia, Germania, Russia, Ucraina) sarebbe importante per «seguire rigorosamente l’attuazione dell’accordo di Minsk». Imputato spara e uccide tre persone nel tribunale di Milano Il primo ministro indiano in Francia, Germania e Canada NEW DELHI, 9. Il premier indiano, Narendra Modi, ha lasciato oggi New Delhi per un viaggio di otto giorni, che lo porterà in Francia, Germania e Canada. Una missione all’estero diretta a incrementare le relazioni economiche e commerciali, in particolare nei settori della difesa, del nucleare civile, dell’imprenditoria e delle infrastrutture. Il tour inizierà da Parigi, importante partner economico di New Delhi. È previsto un incontro con il presidente, François Hollande, su un battello sulla Senna. Domenica, Modi si trasferirà in Germania, dove insieme al cancelliere, Angela Merkel, inaugurerà la fiera internazionale di Hannover. L’India, Paese ospite della prestigiosa rassegna, vi partecipa con oltre quattrocento imprese. Si tratta della prima visita in Europa per Narendra Modi, leader del Ashton Carter nella base americana a sud di Seoul (Ansa) Bharatiya janata party (Bjp, il Partito del popolo indiano), a quasi un anno dalla sua vittoria elettorale. In un primo momento era in agenda anche una tappa a Bruxelles, che poi è stata cancellata a causa della mancata risposta, informa la stampa indiana, dell’Unione europea sulle date suggerite da New Delhi. Secondo i media indiani, nell’agenda dei colloqui con Hollande ci sono due importanti accordi tuttora in sospeso: quello sulla fornitura dei centoventisei aerei caccia Rafale e quello sui reattori nucleari Areva. Il tour di Modi si concluderà in Canada, dove il 14 aprile incontrerà il primo ministro di Ottawa, Stephen Harper, e poi terrà un discorso alla vasta comunità indiana a Toronto. È la prima visita di un capo di Governo indiano in Canada negli ultimi quarantadue anni. MILANO, 9. Almeno tre persone sono morte e diverse sono rimaste ferite dopo che un uomo ha aperto il fuoco, giovedì mattina, nel palazzo del tribunale di Milano. A sparare è stato Claudio Giardiello, 57 anni, imprenditore immobiliare di Benevento, imputato in un procedimento per bancarotta fraudolenta, catturato poi dai carabinieri a Vimercate dopo una fuga rocambolesca. Secondo alcune testimonianze, l’uomo ha estratto una pistola dopo che il suo avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani, aveva dichiarato di voler rinunciare all’incarico e ha aperto il fuoco, uccidendo quest’ultimo e un coimputato, Giorgio Erba. Secondo le prime ricostruzioni, rese note mentre andiamo in stampa, Giardiello si è poi recato al piano inferiore dell’edificio, dove ha raggiunto, e ucciso, il giudice fallimentare Fer- nando Ciampi. Dopo essersi asserragliato all’interno del palazzo per qualche minuto, l’uomo è poi riuscito ad allontanarsi a bordo di una moto, prima di essere rintracciato e bloccato dai carabinieri, che lo hanno condotto in caserma. Oltre ai tre deceduti, presso gli ospedali di Milano sono stati trasportati anche un numero imprecisato di feriti, tutti però in condizioni non gravi, mentre non trova conferme ufficiali la morte per arresto cardiaco di una quarta persona. Della vicenda è stato subito informato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. I primi interrogativi sull’accaduto sorgono in merito alle misure di sicurezza predisposte nel tribunale. Secondo un testimone, uno dei metal detector, posti all’ingresso dell’edificio, giovedì mattina sarebbe risultato non funzionante. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 venerdì 10 aprile 2015 Felice Casorati, «La famiglia Consolaro Girelli» (1916) Medici e consenso informato nel caso Montgomery Il dilemma del paternalismo n principio stava la Madre. A Parma si è aperta una mostra sugli archetipi della maternità, dalle statuette votive delle antiche civiltà mediterranee alle Madonne con Bambino rinascimentali; dalle intense Pietà del Cinquecento fino alle invenzioni del Novecento, in cui l’immagine della donna e della famiglia si laicizza (pensiamo a Felice Casorati o Gino Severini). E, per reazione, artisti contemporanei come Alberto Giacometti, Francesco Messina o Lucio Fontana, con le loro immagini neo-arcaiche e fortemente evocative, sentono il bisogno di ritrovare la sacralità primitiva dell’immagine della donna e della madre. Un bisogno, questo, di tornare all’origine del significato della maternità, che corrisponde alla nostra sensibilità post-moderna. La mostra «Mater. Percorsi simbolici sulla maternità», aperta fino al 28 giugno al palazzo del Governatore, affronta attraverso oltre centocinquanta reperti i tanti significati che l’icona della madre ha assunto nei millenni: dea della fecondità e della terra, divinità che assiste la donna che partorisce e allatta, matrona che sta all’origine della famiglia e della società latina (la mater familias romana), Madre di Dio nella civiltà cristiana (della misericordia, consolatrice, regina, in maestà). Dal Paleolitico all’età del ferro e del bronzo affiorano nella mo- I di CARLO PETRINI lcune sentenze segnano un cambiamento radicale nella relazione tra medico e paziente. Il primo ottobre 1999 Nadine Montgomery, una donna diabetica, partorì un bimbo al Bellshill Maternity Hospital. Nelle donne gravide affette da diabete vi è una maggiore probabilità che il feto raggiunga dimensioni superiori al normale e ciò comporta un aumento di circa il dieci per cento del rischio di distocia. Sam, questo il nome del bambino, nacque con un parto distocico, in conseguenza del quale è ora affetto da una grave disabilità neurologica. La donna fece ricorso, affermando che se la dottoressa Dina McLellan, che l’assistette durante il parto, l’avesse correttamente informata del possibile rischio, avrebbe scelto il taglio cesareo. L’ostetrica invece aveva reputato corretto non informare la donna, essendo il rischio poco probabile. La Corte ha accolto il ricorso della madre di Sam, riconoscendole un indennizzo di cinque milioni di sterline. La sentenza dell’11 marzo 2015 dalla Suprema Corte del Regno Unito segna una svolta: nel «British Medical Journal» la sentenza è definita una tappa storica nel superamento del paternalismo medico. Finora nel Regno Unito la decisione del medico sulle informazioni da fornire al paziente era basata su una sentenza del 1985, riguardante il caso Sidaway. Tale decisione prevedeva l’applicazione del cosiddetto Bolam test, in base al quale un me- di ALFRED O TRADIGO A Enea viene curato dal medico Japix (dalla Casa di Sirico di Pompei) assistito, voglia sapere?»; «Quali informazioni sulle possibili alternative è prevedibile che egli desideri sapere?»; «Ho avuto ogni ragionevole cura nell’assicurarmi che il paziente conosca ciò che egli reputa utile sapere?». I giudici della Suprema Corte, nella sentenza, osservano inoltre che il medico deve dare le informazioni senza attendere che sia il paziente a chiederle, perché «c’è qualcosa di surreale nell’attribuire l’onere della domanda al paziente, il quale potrebbe non essere consapevole del fatto che vi è qualcosa da chiedere». Nella sentenza, non senza Con la sentenza dell’11 marzo un velo di ironia, si osserva che alcuni medici pola Suprema Corte del Regno Unito trebbero ritenere di non segna una svolta aver tempo per un dialogo probabilmente lungo Ora il dottore deve dare informazioni con il paziente: a tale ponendosi dal punto di vista proposito la Corte rileva che «anche i medici medella persona che sta curando no inclini o abili alla comunicazione, così come quelli più indaffarati, dico «è considerato non negligente hanno il dovere di prendere una se la sua condotta è conforme a un pausa e di impegnarsi nella discusresponsabile corpus di pareri medi- sione che la legge impone». ci». Il riferimento, quindi, era l’opiA margine della sentenza, tuttanione prevalente dei medici. Con la via, si può osservare che vi sono alnuova sentenza, invece, la prospet- meno tre eccezioni al dovere di intiva viene rovesciata: il medico non formare. La prima riguarda i casi in deve più chiedersi quale sia l’orien- cui è lo stesso paziente a chiedere tamento prevalente dei suoi colle- di non essere informato; la seconda ghi, e conformarsi a esso, bensì de- riguarda i casi in cui dare l’informave porsi dal punto di vista della zione potrebbe comportare un danpersona che sta assistendo. no per la salute del paziente; la terIl medico, pertanto dovrà porsi za riguarda le situazioni di emerdomande come: «Il paziente cono- genza in cui un paziente è incosce il rischio dovuto al trattamento sciente, nel qual caso il medico ha che gli sto proponendo?»; «Quali il dovere di intervenire immediatatipi di rischi è ragionevole che una mente, indipendentemente dall’inpersona, nelle condizioni del mio formazione e dal consenso. Nel Novecento la maternità si laicizza E sulla famiglia si accende la luce artificiale della modernità stra di Parma le più svariate immagini di divinità femminili — da Cipro, Taranto, Aquileia — tra cui l’interessante tipologia delle Matres Matutae di Capua. È il caso di un bassorilievo in tufo del IV secolo prima dell’era cristiana che rappresenta una madre seduta con in braccio cinque neonati avvolti in fasce: il reperto veniva esposto come ex voto nel santuario di Capua davanti alla dea delle partorienti per chiedere la sua protezione. Le immagini propiziatorie di divinità sedute con il bambino sulle ginocchia o tra le braccia mentre allattano ci introducono alle immagini votive cristiane delle tante Madonne con il Bambino dei nostri santuari mariani. Davanti all’icona della Madonna del latte (galaktòfusa) pregavano intere generazioni di spose per chiedere il dono della maternità e Il Leopardi “incompreso” di Martone Favolosa ignoranza «Leopardi viene letto sì nelle nostre scuole, ma senza che se ne illustri lo spirito ribelle. Per un Paese cattolico come l’Italia riconoscere che il poeta più grande era ateo non va bene» spiega Mario Martone, il regista de Il giovane favoloso ad Aureliano Tonet di «Le Monde». Un’affermazione piuttosto bizzarra, chiosa Ernesto Galli della Loggia sul «Corriere della Sera» del 9 aprile; «viene da chiedersi dove abbia finora vissuto il regista e se abbia mai letto ad esempio, le pagine dedicate a Leopardi da tal Francesco De Sanctis», un noto italianista dell’Ottocento «di qualche influenza, e non proprio amicissimo dei preti» aggiunge l’autore dell’editoriale, consapevole che, con i tempi che corrono, non è opportuno dare niente — ma proprio niente — per scontato. «Il guaio di registi, attori, cantanti italiani non è tanto quello di fare spesso cose mediocri, è quello di sparare a ogni occasione giudizi su cose di cui ignorano tutto», scrive senza mezzi termini Galli della Loggia. Centocinquanta reperti esposti a Parma In cerca della madre dell’allattamento. Ottenuta la grazia, le donne portavano davanti alla Madonna i loro ex voto, così come, parallelamente, in ambito pagano venivano portate al santuario della dea statuette fittili a grandezza naturale di bambini in fasce (dalle Puglie del III e II secolo prima dell’era cristiana) e anche mammelle votive. L’immagine e il modello della donna cristiana è Maria. A lei ci si rivolge per ottenere il dono della maternità. In lei il mistero della verginità e della maternità si uniscono in una straordinaria fecondità: Vergine e Madre, Figlia del Tuo Figlio (Dante, Paradiso, canto XXXIII, 1). Nell’abbraccio tra la Madre e il Figlio accade qualcosa di speciale, cielo e terra si uniscono. La mostra ci riporta ai momenti lieti della vita di Maria. All’Annunciazione, quando tutto comincia in lei, sorpresa dall’angelo nella prospettiva di un bel colonnato rinascimentale (per esempio, nella tempera su tavola di Luca Signorelli, 1491). Poi la presenta affacciata al davanzale con il figlio, giovane e bella madre nell’affresco del Pinturicchio conservato in Vaticano. O ancora signora dal lungo collo di cigno, in Maestà, assisa su un trono gotico e circondata dagli angeli, il figlio benedicente in piedi sulle ginocchia (Stefano d’Antonio di Vanni, secolo XV). Bernardino Luini dipinge una leonardesca Madonna del latte (fine XV secolo) e Moretto da Brescia una Madonna con Bambino che gioca (XV secolo). Nell’abbraccio tra la Madre e il Bambino delle varie icone cretesi e veneziane esposte a Parma c’è però già il presentimento della dolorosa Passione che il Figlio dovrà subire sulla croce. Materni- tà che in filigrana sono già delle piccole Pietà. Se nelle immagini egiziane di Iside che allatta Horo, o della dea Nut che accoglie nel suo grembo l’anima — dipinta a colori sul fondo di un sarcofago egizio — o ancora nel sarcofago greco con la madre defunta circondata dai parenti il tema della morte si affaccia timidamente, nelle icone di Maria con il Bambino il presentimento del futuro dolore della madre per il figlio morto diventa dolore universale di tutte le madri. Nella Madonna del latte con crocifissione di Ambrogio di Baldese (1380-1385) è addi- Bartolo di Fredi, «Madonna della misericordia» (1364, particolare) rittura l’immagine della crocifissione a fare da sfondo al dolce momento dell’allattamento. La Madonna sa che dovrà perdere il suo Gesù. E, come ogni madre al mondo, non vorrebbe mai vedere seppellire il frutto del suo grembo. Nelle immagini della Pietà in cui la profezia di Simeone si avvera — «anche a te una spada ti trafiggerà l’anima» — la storia dell’iconografia della maternità tocca il suo vertice. La tempera Mostra sulla toletta femminile a Parigi Make-up in stile rinascimentale Edgar Degas, «L’acconciatura» (1892-1895) su tavola di Francesco Neri da Volterra e le due tele del Correggio e del Campi sono altrettante illustrazioni della laude Stabat Mater di Jacopone da Todi. Quel Figlio è Dio. Eppure totalmente uomo, nato dal seno di quella donna; deposto dalla croce e totalmente affidato all’abbraccio di una donna. Liberata dal velo del romanticismo, nel Novecento la maternità si laicizza. Imborghesisce. Sulla famiglia si accende la luce artificiale della modernità. Il neon della pittura di Felice Casorati rischiara l’esistenza della nuova coppia borghese con bambino, seduta in salotto attorno a un tavolino da the. E cosa scopriamo? Che il bimbo-marinaretto è sulle ginocchia di un papà elegante con tanto di baffi, cravatta e colletto alto; mentre la mamma, dall’aria distaccata — potrebbe sembrare una cameriera se non fosse seduta — sta per versare il the. Il bambino non guarda i genitori: guarda noi, è in posa per il quadretto familiare. In questa tela di Casorati, intitolata La famiglia Consolaro Girelli (1916), non c’è mistero. Tutto è lucido come le scarpe di vernice del bambino. È una famiglia che si specchia, si autocompiace di sé e del suo ruolo sociale. La crisi dell’immagine della donna novecentesca è riassunta da Gustav Klimt nel segno della morte e della caducità del suo corpo. Nell’opera Tre età della donna (1905, Roma, Galleria Na- Pudore e discrezione al servizio di una castigata sensualità: la ricetta reca firme illustri, tra le quali spicca quella di Edgar Degas. Sono alcune delle sue opere, infatti, a costituire l’architrave della mostra «La Toilette, naissance de l’intime» allestita, fino al prossimo 5 luglio, al museo Marmottan Monet di Parigi. Dipinti che ritraggono donne intente alla cura del proprio corpo e del proprio aspetto: un rituale che riveste anche una valenza storica perché segna il progresso sociale della donna, cui si riconosce importanza crescente nei salotti e nelle dinamiche della vita della borghesia e della nobiltà. La mostra — che verte tra storia sociale dei costumi e storia iconografica dell’arte — presenta anche incisioni, arazzi, sculture e dagherrotipi, e segue un percorso che muove dal Medioevo per poi snodarsi lungo l’epoca rinascimentale e attraverso i secoli successivi. Dipinti della scuola di Fontainebleau mostrano donne davanti allo specchio, che si pettinano con cura certosina, in un concerto di profumi e cosmetici. Una grazia d’altri tempi. (gabriele nicolò) zionale d’arte moderna), non esposta a Parma ma presente nel catalogo (edizioni L’Erma) l’antico ordine si è rotto. Anche la dea-madre imbruttisce, muore e si corrompe. Michelangelo Pistoletto la rappresenta ancora come Venere, ma tra gli stracci (Venere degli stracci, cemento, mica e stracci, 1967). Tremendamente vicina alle cronache quotidiane l’immagine di Medea (70-79 prima dell’era cristiana) affresco su intonaco uscito dagli scavi di Ercolano. Medea, la maga che uccide i propri figli, rimanda alla grande tela Le cattive madri (1804) di Giovanni Segantini, dove una donna fluttuante, avvinghiata per i capelli ai rami spogli di un albero in mezzo alla neve, cerca di liberarsi mentre tra i rami un neonato le succhia il seno in un groviglio macabro. Dove sta la madre oggi? La risposta si perde nel gioco infinito delle immagini e dei sensi che questa mostra ha proposto. Ma se ci fermiamo davanti alla Pietà con Madonna e san Francesco di Antonio Campi (1575 circa), proveniente dalla sala capitolare della cattedrale di Cremona, capiamo che il dolore di Maria sul figlio morto appartiene all’umanità intera. Così come nella statuetta in bronzo della Madre dell’ucciso (prima età del ferro), proveniente dal museo nazionale di Cagliari: lo stesso dolore in un reperto di età nuragica, eppure vicino alla nostra sensibilità contemporanea. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 10 aprile 2015 pagina 5 Al Lacor Hospital durante gli anni della guerra civile in due letti uno a fianco all’altro la vittima e il carnefice si riscoprono fratelli Biennale di Venezia Il dialogo necessario tra arte e fede In viaggio tra le macerie dell’Uganda L’abbraccio che salva Nel racconto di Bevilacqua e Bonanate di SILVIA GUSMANO n quel momento mi sono accorto che, vicino a me, c’era un altro ragazzo, lo stavano medicando. Aveva una gamba fasciata, ma la benda era inzuppata di sangue. Piangeva disperato. I nostri sguardi si sono incrociati. L’ho riconosciuto. Era il ragazzo che mi aveva tagliato le dita con il machete (…). Spaventato mi sono seduto sul letto, coperto di sudore. Anche lui mi aveva riconosciuto e tremava come una foglia». Kenneth e James, a poche ore dal loro primo tragico incontro, si ritrovano vicini in ospedale, feriti gravemente nel corpo e nello spirito. E dopo essersi raccontati, sciolgono l’odio reciproco in un abbraccio che li salva. L’ospedale è il Saint Mary’s chiamato anche Lacor Hospital, a qualche chilometro da Gulu, nel Nord Uganda. Un luogo dove, negli anni mostruosi della guerra civile, «in due letti, uno a fianco all’altro, c’è la vittima e il carnefice che si riscoprono fratelli. Il Lacor accoglie e cura tutti, senza distinzioni». Testimone dell’episodio, è Francesco Bevilacqua, manager milanese che vola in Africa per liberarsi del senso di incompiutezza che lo opprime e dieci anni più tardi racconta quell’esperienza, realmente vissuta, ne I bambini della notte (Milano, Il Saggiatore, 2014, pagine 226, euro 15), scritto a quattro mani con Mariapia Bonanate. Il libro è un commovente intreccio di più viaggi, un’esplorazione delicata e autentica di universi lontani che al Lacor si fondono fraternamente. Il primo viaggio è quello del protagonista. Francesco scopre tra le macerie d’Africa un inferno che non credeva possibile, vi si immerge e ne esce completamente cambiato. A guidarlo, tra i campi profughi e i reparti dell’ospedale, tra i bimbi orfani e le strade di polvere rossa minacciate dai guerriglieri, brother Elio, fratello laico comboniano, che da oltre vent’anni vive, soffre e combatte come un “alcoli”, la gente del Nord Uganda. Il suo viaggio, come tanti altri qui, non prevede ritorno. Elio Croce, figlio delle Dolomiti, ha scelto di vivere nella savana. È «un uomo che incontra “l’altro” con un istintivo, spontaneo, senso di reciproca appartenenza». Un religioso che, instancabile, costruisce la pace, con il cuore aperto e con il sudore della fronte, mentre, mattone su mattone, tira su muri capaci di proteggere gli innocenti dalla ferocia insensata della guerra. La lettura del suo diario, «scritto per salvare da un oblio ingiusto persone e fatti, destinati a scomparire nel nulla», offre a Francesco occhi nuovi. «C’è un continuo alternarsi in queste pagine — commenta il protagonista — fra la storia del Paese e il destino collettivo e individuale di centinaia di persone (…). Sono i volti delle mamme che stanno morendo di Aids e hanno affidato piangendo a Elio i loro figli. È il volto di Margaret Arac, alla quale, durante un agguato, un colpo di bazooka ha portato via un piede. Si è salvata fingendosi morta, mentre i ribelli violentavano le altre donne ferite e poi le uccidevano (…). È il volto di suor Paola, una delle tante religiose sconosciute, che hanno donato la vita per la gente di questo pezzo d’Africa. Donne eroiche, generose, geniali, che non fanno notizia, se non due righe sui giornali quando sono ammazzate». Perché — si chiede con insistenza Francesco all’inizio — Elio e tanti altri rimangono? Come sopportano tanto dolore? Come convivono con la paura? Una prima risposta è nel viaggio che Dan, orfano di nove anni, responsabile di quattro fratelli più piccoli, compie ogni sera in fuga dal proprio villaggio, dove rischia di essere rapito dai guerriglieri e trasformato in soldato. Lui, come altre migliaia di bambini, cerca rifugio nei cortili del Lacor e percorre chilometri e chilometri a piedi, quasi sempre a digiuno, per varcare i cancelli dell’ospedale prima del coprifuoco e poi, di nuovo, all’alba. Sono i night commuters, i bambini della notte, che come un unico grande tappeto umano si stendono in tutti gli spazi all’aperto dell’ospedale, «I sporchi, laceri, infreddoliti, e si addormentano, bagnandosi quando piove. La seconda risposta è nel viaggio che ha trasformato un angolo di terra dilaniata in un baluardo di umanità. Nel 1961, arrivano in Nord Uganda, due medici, il chirurgo canadese Lucille Teasdale e il pediatra italiano Piero Corti. Il Saint Mary’s è un piccolo ospedale aperto dai comboniani e loro ne fanno il proprio sogno professionale e l’obiettivo primario, oggi raggiunto, di pasfamiliare. Qui si sposano, mettono al mon- sare interamente le consegne agli ugandesi. do una figlia e creano una struttura d’avan- Le prove più dure arrivano quando alla traguardia che con «le migliori cure possibili gedia del conflitto armato, si affiancano la al minor costo» diventi per gli alcoli e non minaccia dell’Aids e la mostruosa esplosiosolo una concreta speranza di sopravvi- ne dell’ebola. In entrambi i casi, a distanza di pochi anni, il Lacor fa scuola nel monvenza. Quando iniziano, le sfide da affrontare do, grazie a scoperte tempestive e a protosono povertà e malattie, ma nel giro di po- colli d’avanguardia. E dà un esempio in chi anni, la forte insatabilità politica del grado di scuotere l’indifferenza occidentale. Paese determina uno scenario disastroso, Lucille contrae il virus dell’Hiv ferendosi dominato dalla violenza. Per vent’anni i con alcune schegge d’ossa mentre opera un gruppi ribelli riparati al Nord alimentano una guerra civile tra le più sanguinarie e sconoAperto dai comboniani sciute della storia contemporanea. Il Lacor diventa suo malil Saint Mary’s divenne centro d’avanguardia grado ospedale di guerra e Lugrazie al chirurgo canadese Lucille Teasdale cille chirurgo di guerra, in grado di operare senza sosta per e al pediatra italiano Piero Corti giornate intere. L’emergenza Oggi per volontà dei due coniugi continua del conflitto — con incursioni, assalti, sparatorie, la struttura è gestita in toto da ugandesi rapimenti del personale — non ferma tuttavia la vocazione dei due medici occidentali, pur costretti, con grande sofferenza, a mandare paziente colpito da una granata. Le danno per qualche anno la figlia Dominique in due anni di vita, ma va avanti a lavorare Italia. Loro non mettono mai in conto di per altri dieci, sino al 1996, ricevendo premi lasciare l’Uganda e il Saint Mary’s non e riconoscimenti dalla comunità internaziosmette mai di allargarsi a nuovi reparti, a nale. Il suo successore, il medico ugandese nuove specializzazioni a nuovi progetti, a Matthew Lukwiya, cadrà vittima dell’ebola cominciare dalla scuola per infermieri. Con nel 2000, dopo essere riuscito per mesi ad arginare gli effetti devastanti dell’epidemia grazie a qualità umane e professionali fuori dal comune. Il suo non-viaggio è forse il capitolo più toccante della storia. Quando Piero lo manda all’estero per una specializzazione di un anno e la sua bravura gli guadagna una proposta di lavoro in Inghilterra, il giovane medico rifiuta. Rifiuta la vita agiata e la tranquillità che non ha mai conosciuto e sceglie di rimanere a Gulu, al servizio della propria gente. Matthew è il tredicesimo dipendente del Saint Mary’s a morire di ebola, ma anche l’ultimo: le misure da lui approntate, infatti, sconfiggono l’epidemia. Il suo corpo viene sepolto accanto a quello di Lucille, sotto due grandi alberi nel giardino dell’ospedale. Pochi anni più tardi li raggiunge Piero e oggi che il Lacor è il secondo ospedale del Paese, guidato da tre medici ugandesi e sostenuto da una fitta rete di solidarietà che fa capo a Dominique Corti, quei due alberi accolgono ogni giorno preghiere e ringraziamenti. Tra le tante persone che si inginocchiano sulle lapidi dei tre medici, anche Dan, giovane studente di medicina, e Francesco, tornato più volte a Gulu. «Le loro vite sono dei capolavori di amore gratuito e di promozione sociale e umana», scrivono Bevilacqua e Bonanate. E la loro vocazione, «una medicina che aggiungeva vita alla vita». Un itinerario di ricerca tra biblioteche, archivi e toponomastica Quanta Persia nel cuore di Roma di MARIA VITTORIA FONTANA Tutte le strade portano a Roma. Questo antico detto vale anche per la Persia. Ne è prova il paziente e meticoloso itinerario di ricerca di Angelo Michele Piemontese, professore emerito all’università La Sapienza di Roma, dove ha insegnato Lingua e letteratura persiana. Lo studio della Persia in rapporto all’Italia ha finito per portare Piemontese a indagare nei meandri della città eterna: non solo biblioteche e archivi, ma anche piazze, chiese, strade. Ecco allora che nel volume La Persia istoriata in Roma (Biblioteca Apostolica Vaticana, 2014, pagine 466, euro 60) è possibile cogliere i tasselli di un prezioso mosaico che comprende e accomuna, in felice sintesi, la dimensione persiana e quella romana. Nella premessa al libro, Piemontese, citando Virgilio, chiede e si chiede quale sia il motivo che spinge a vedere Roma. «Per ritrovare una risposta consona a questa bella domanda posta da Virgilio, intrapresi un nuovo percorso nel molteplice paesaggio che rende inesauribile l’urbe. La ricognizione di una sua memoria storica di referenza persica, tanto negletta quanto considerevole, mi porse lungo il cammino una chiave per la risposta: Roma ama la virtù del memorandum perenne. Preso questo motto — prosegue l’autore — come filo di guida in siti, palazzi, chiese, archivi e biblioteche, mirai a rintracciare ciò che nel corso dei secoli Roma, ricorda, ospita, nota e illustra circa la Persia antica e moderna, riguardandone molte vicende, persone, storie e leggende. Tale Persia istoriata rifulge nel paesaggio urbano antico e moderno, monumentale, artistico, letterario, drammaturgico e musicale». Il volume comprende tre capitoli. Il primo tratta dei segni persici in Roma antica; il secondo si sofferma sulla memoria storica romana dei santi persiani (Abdon e «Sibilla Persica» in Filippo Barbieri, «Sibyllarum et Prophetarum de Christo Vaticinia» (1481) Sennen, Mario Marta Audiface e Abaco, Anastasio Persiano, Onofrio); il terzo è incentrato sul «regno antico evocato nel paesaggio urbano». Seguono 53 pagine di bibliografia, 46 tavole fuori testo e tre sezioni dedicate agli indici: delle fonti manoscritte, dei nomi e toponomastico. Nel primo capitolo non poteva mancare il riferimento ad Alessandro il Macedone, il conquistatore dell’impero di Persia. L’autore ricorda quindi come la Persia svolgesse un ruolo di “cardine decisivo” sul fronte “vicino-asiatico”, segnando il limes geopolitico nel confronto strategico fra Europa e Asia. Qui l’espansione romana incontrava un duro ostacolo. La Persia, governata dai re Parthi Arsacidi e poi dai Sasanidi, fu la nemica dell’impero di Roma e di Costantinopoli. Pertanto questa plurisecolare antagonista «rimase indelebile nella memoria storica di Roma». Un soggetto che Piemontese ha indagato per lungo tempo concerne i santi persiani venerati a Roma dal III secolo. Di essi ha rintracciato la storia, le connessioni con il tessuto urbano della città, nelle chiese, negli affreschi. Nel terzo capitolo, il più corposo, il ruolo di protagonista viene recitato dalla Roma rinascimentale e post-rinascimentale. L’elezione di Martino V sancita dal concilio di Costanza (1417), prelude all’ingresso del nuovo Papa a Roma (1420). A esso si accompagna l’inizio della rinascita urbana della città. Il cardinale Giordano Orsini, titolare della basilica di Santa Sabina dopo la morte del Pontefice (1431), volle affidare al messaggio iconografico «la funzione delle sibille, mediatrici tradizionali di vaticini pagani e cristiani». Due manoscritti, conservati a Liegi e a Tongerloo, testimoniano del ciclo di affreschi del palazzo Orsini sulla Via papalis, distrutti forse a opera dei nemici giurati degli Orsini, i Colonna. Le pitture raffiguravano dodici profeti giudaici e dodici sibille antiche. Questo tema sarà ripreso da Michelangelo nella volta della Cappella Sistina, dove trovano posto sette pro-feti giudaici e cinque sibille. Fra queste spicca la sibilla Persicha: la misteriosa figura accoglie il visitatore che, entrando, la distingue come primo personaggio, sulla sinistra, in un ideale abbraccio visivo in senso orario, dal basso verso l’alto. Di fronte a lei Michelangelo dipinge il profeta Daniele. «Se hai due pani, uno dallo a un povero, poi vendi l’altro e compra un fiore di giacinto, e dai pure quello al povero». Presentando il 9 aprile presso la Sala Stampa il Padiglione della Santa Sede alla 56a Esposizione internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura e commissario del padiglione, ha voluto sottolineare che la bellezza è un diritto di tutti, anche dei meno fortunati. Per questo la scelta di tornare a proporre arte sacra dal 9 maggio al 22 novembre all’Arsenale (anteprima dal 5 all’8) non è una «iniziativa da principi rinascimentali, ma un impegno anche religioso». Il bello però — ha sottolineato il presidente della Biennale, Paolo Baratta — è insufficiente a spiegare il mondo, e l’arte contemporanea ha necessità di riflettere su quello che accade oggi, deve aprire gli occhi anche su quello che non si vorrebbe vedere. Quello che si propone è quindi uno sguardo senza pregiudizi sul tema «In Principio... la Parola si fece carne». I termini del prologo giovanneo, spiega Ravasi, «ispirano gli spazi tematici in cui è suddiviso il padiglione. In essi trovano posto le creazioni di artisti selezionati sia in ragione della consonanza del loro percorso di ricerca attuale con il tema prescelto, sia per la varietà delle tecniche utilizzate e per la diversa provenienza geografica e culturale». I tre artisti — ha sottolineato Micol Forti, che dirige la collezione d’arte contemporanea dei Musei Vaticani e cura il padiglione di Venezia — sono molto diversi tra loro. Monika Bravo, colombiana di nascita, internazionale di formazione, americana d’adozione, ha elaborato «una narrazione scomposta e ricomposta su 6 schermi e altrettanti pannelli trasparenti, posti su pareti potentemente colorate. In ogni composizione natura, parola e astrazione artistica si presentano come elementi attivi di una visione aperta a un margine di indeterminatezza sperimentale nell’elaborazione di un nuovo spazio percettivo, attraverso il garbo e la “manualità” poetica con cui vengono usati i media tecnologici». La ricerca della giovane macedone, Elpida HadziVasileva, «fonde invece abilità artigianali, conoscenze scientifiche e una potente visione estetica». La sua è un’installazione monumentale, architettonica, che accoglie il visitatore in una dimensione al tempo stesso fisica e simbolica e che utilizza materiali di scarto, in un tragitto che dal ready-made conduce al re-made. La realtà è invece restituita senza falsificazioni dal fotografo trentenne Mário Macilau. La serie di 9 fotografie in bianco e nero, realizzate a Maputo — capitale del Mozambico dove l’artista è nato e lavora — sono dedicate ai ragazzi di strada che, ancora bambini, si trovano ad affrontare la vita come sopravvivenza. Non si tratta di un reportage, sottolinea Forti, ma di «un’opera poetica che ribalta i nessi tra l’adesso e il già stato, il vicino e il lontano, il visibile e il non-visibile. Il tema dell’origine e del fine di ogni atto artistico è portato dalla forza della composizione fotografica a confrontarsi con l’agonia del reale». Prosegue, quindi, dopo l’esperienza del 2013, la volontà di ristabilire il dialogo tra arte e fede, così come, ha sottolineato ancora Ravasi, «continua a rivelarsi densa di vitalità l’esigenza di interrogare, in un ambito del tutto internazionale, la relazione tra la Chiesa e l’arte contemporanea». E forse, ha concluso Baratta, è arrivato il momento per allargare il discorso anche alla musica. (marcello filotei) L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 10 aprile 2015 Il Consiglio canadese delle Chiese scrive al primo ministro Harper Per la pace in Iraq e in Siria Messaggio di Bartolomeo in occasione della Pasqua ortodossa Nel risorto l’uomo ritrova la speranza rubata ISTANBUL, 9. «Le grida e le minacce della morte» che riecheggiano in molti angoli del pianeta non hanno, e mai avranno, l’ultima parola. Infatti, «il male viene vinto attraverso il bene» perché «Cristo è risorto dai morti e ha dimostrato in questo modo l’impossibilità della morte di prevalere». È quanto sottolinea il patriarca ecumenico Bartolomeo nel messaggio per la Pasqua ortodossa che cade domenica prossima, 12 aprile. Con la Pasqua, viene evidenziato, «festeggiamo la morte della morte», una «realtà di vita e di speranza» che capovolge sin dalle fondamenta ogni prospettiva di peccato. «Attorno a noi, nel mondo — osserva Bartolomeo — sentiamo le grida e le minacce della morte, che lanciano da molti punti della terra coloro i quali credono di poter risolvere le differenze degli uomini con l’uccisione degli avversari, fatto che costituisce anche la più grande dimostrazione della loro debolezza. Infatti, attraverso la provocazione della morte del prossimo, attraverso la vendetta contro l’altro, il diverso, il mondo non migliora, né si risolvono i problemi degli uomini». Problemi provocati e inaspriti «dal disprezzo della persona umana e dalla violazione dei suoi diritti, soprattutto del debole». Al contrario, le difficoltà si risolvono «con il riconoscere e onorare il valore della persona e con il rispetto dei suoi diritti». In questo senso, Bartolomeo sottolinea come con la sua resurrezione Cristo abbia dimostrato l’impossibilità della morte e del peccato di provocare delle situazioni irreversibili. «Le situazioni createsi con la morte sono controvertibili, poiché, malgrado gli eventi, sono momentanee, non hanno radice e linfa, mentre è sempre presente invisibilmente, colui che ha vinto la morte per sempre, Cristo». In ragione di ciò, i cristiani credono «che il diritto della vita appartenga a tutti gli uomini». Infatti, «la vita e la resurrezione sono offerti da colui che ha calpestato la morte e il suo potere sugli uomini, Cristo Gesù, e in lui solo e nel suo insegnamento l’uomo deve sperare. La fede in Cristo conduce alla resurrezione, alla resurrezione di tutti noi, la fede e la realizzazione del suo insegnamento nella nostra vita portano alla salvezza di tutti noi, ma anche ad affrontare i nostri problemi nel mondo». Di qui l’auspicio di Bartolomeo che «ogni uomo» possa riconoscere e vivere il messaggio della resurrezione, cioé questo «superamento della debolezza umana» e il «proclama della vita di fronte alla corruzione del mondo e alle vicissitudini degli esseri umani». Poiché solo nella fede in Cristo risorto l’uomo potrà ritrovare la «speranza rubata» dalla confusione umana. «Dio voglia che la luce della resurrezione illumini i cuori di tutti». Esortazione del metropolita d’Italia e Malta La strada della libertà ROMA, 9. In occasione della Pasqua ortodossa che sarà celebrata domenica 12 aprile, il metropolita Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta, ha inviato un messaggio ai fedeli ricordando san Giorgio il Tropeoforo, patrono e protettore dell’arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta e della comunità dei greci ortodossi di Venezia. Gennadios, nel sottolineare gli effetti negativi della crisi attuale, nemica dell’umanità, che «uccide ingiustamente e illegalmente», e della modernizzazione, indiffe- rente al prossimo, esorta i fedeli, il clero e il popolo di Dio a percorrere con convinzione la strada della libertà, la strada della luce, la strada della verità, che è «sola e unica». «È la strada di Gesù Cristo — conclude il messaggio dell’arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta — che guida alla Resurrezione, guida al Regno di Dio, alla vita eterna, per cui è stato creato l’uomo, a motivo del quale è nato, è stato crocifisso, è stato sepolto ed è risorto il nostro Salvatore Gesù Cristo». OTTAWA, 9. Gli sforzi militari non possono da soli portare la pace nel Vicino oriente; è necessaria una strategia internazionale più generale. Ad affermarlo è il Consiglio canadese delle Chiese (Cce) in una lettera congiunta indirizzata al primo ministro Stephen Harper, avente come oggetto la missione militare canadese in Iraq e in Siria. Nel documento — firmato tra gli altri dall’arcivescovo di Gatineau, PaulAndré Durocher, presidente della Conferenza episcopale — si esprime inquietudine per la crisi umanitaria che attanaglia i due Paesi, per il trasferimento forzato e lo sterminio di antiche comunità cristiane e anche per gli attacchi portati contro altre minoranze religiose. Manifestando apprezzamento per la partecipazione di tutti i membri del Parlamento al dibattito in corso sul ruolo del Canada in Iraq e in Siria, i rappresentanti del Cce hanno incoraggiato il Governo a sostenere e a difendere gli sforzi diplomatici, così come gli aiuti umanitari e l’assistenza ai rifugiati. Inoltre, i leader religiosi invitano a dare appoggio alle organizzazioni della società civile e alle iniziative per il controllo degli armamenti nella regione così come a quelle per il rispetto dei diritti dell’uomo. «D all’estate 2014 — è scritto nella lettera — abbiamo consultato ampiamente le Chiese e le nostre agenzie nel Vicino oriente per ascoltare le loro inquietudini e ricevere consigli sul modo in cui noi, Chiese canadesi e Canada come nazione, possiamo contribuire nella maniera più costruttiva a edificare la pace in Iraq, in Siria e nell’insieme della regione». Di qui la riflessione sulle conseguenze di estendere la missione militare del Canada in Siria. «Il nostro punto di vista», si osserva, «è ispirato da convinzioni profonde sulla santità della vita e sulla dignità di ogni persona, sull’importanza di proteggere da atrocità le popolazioni vulnerabili». Tuttavia, l’esperienza di passati interventi militari nell’area suggerisce ora prudenza: «I nostri partner nella regione esprimono gratitudine per il soccorso e la protezione portati da recenti missioni militari nel nord dell’Iraq». Ma assieme alla riconoscenza c’è la consapevolezza che tale intervento «ha avuto riper- cussioni importanti e comportato conseguenze tragiche». La libertà di coscienza e di religione e, più in generale, il rispetto dei diritti della persona sono essenziali in Iraq per costruire una società aperta, pacifica e democratica: «Cristiani, ebrei e musulmani credono nella misericordia di Dio. Ci incontriamo e, in presenza gli uni degli altri, preghiamo per la pace in Iraq e in Siria. Siamo impegnati a dialogare con le comunità musulmane in Canada, poiché siamo coscienti che le gravi distorsioni del significato di islam sono causa di malintesi e sofferenza nel Paese» per i musulmani impegnati per la pace e rispettosi della legge. «Condanniamo — concludono dunque i Indicazioni del Fondo monetario internazionale Negli Stati Uniti Più regole per la finanza islamica Crescono le vocazioni sacerdotali DUBAI, 9. La finanza islamica, che sta registrando una crescita molto rapida, deve essere regolamentata e meglio armonizzata per proseguire il suo ulteriore sviluppo. È quanto si evince da un rapporto pubblicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi), reso noto dall’agenzia di stampa Afp. Questo tipo di finanza che rispetta la legge islamica (sharia) vieta la speculazione, il ricorso ai tassi di interesse, che viene paragonato all’usura, i prodotti con margine di rischio eccessivo o investimenti considerati dannosi per la società. La finanza islamica si basa sul pilastro concettuale coranico che il denaro non genera da sé altro denaro e che esso non ha alcun valore intrinseco. Pertanto, gli investimenti conformi alla sharia sono invece strutturati sullo scambio della proprietà dei beni o di servizi tangibili. Secondo il Fondo monetario internazionale, questo settore attualmente disciplinato da norme principalmente emanate dalla finanza tradizionale, richiede un quadro normativo e strutture di vigilanza che rispondano a suoi rischi specifici. L’organismo di vigilanza finanziario internazionale sottolinea la «necessità di una maggiore armonizzazione e chiarezza nel regolamento, una maggiore cooperazione tra i responsabili di norme in materia di finanza islamica e convenzionale, e di strumenti adeguati per una effettiva supervisione». La finanza islamica opera in un ambiente in cui le leggi e la fiscalità, le infrastrutture finanziarie e l’accesso alle reti di sicurezza e alla liquidità della Banca centrale sono o assenti o inadeguati per le sue caratteristiche. Nonostante ciò, il peso di questo settore nella finanza mondiale — prosegue il rapporto dell’Fmi — è raddoppiato in quattro anni, rappresentando adesso circa 2.000 miliardi, con una domanda di prodotti finanziari in rapido aumento. Circa quaranta milioni degli 1,6 miliardi di musulmani nel mondo sono oggi clienti della finanza islamica, che fino agli anni ‘70 era solo un mercato di nicchia. Anche se le autorità di regolamentazione islamiche hanno messo a punto una serie di norme, si è ancora lontani da un funzionamento armonizzato, a causa delle differenze di interpretazione dei testi religiosi e di applicazione limitata delle regole. L’Fmi, tuttavia, mette in evidenza le potenzialità della finanza islamica nell’economia globale, sottolineando il sostegno che potrebbe offrire alle piccole e medie imprese, e il suo ruolo potenziale in termini di investimenti nelle infrastrutture pubbliche attraverso i bond islamici (sukuk). WASHINGTON, 9. Hanno scoperto la vocazione o, in qualche modo, hanno per la prima volta considerato la possibilità di farsi prete intorno ai 17 anni. E sono stati incoraggiati a farlo anche, se non principalmente, dal proprio parroco (71%), dagli amici (46%), da altri parrocchiani (45%) e dalla mamma (40%). In media, prima di entrare in seminario, hanno frequentato per quindici anni le attività parrocchiali e della diocesi di appartenenza. È quanto emerge da una indagine realizzata negli Stati Uniti tra gli ordinandi sacerdoti dal Center for Applied Research in the Apostolate (Cara) che opera all’interno della Georgetown University. Indagine dalla quale emerge soprattutto un significativo aumento delle vocazioni. Nel corso del 2015, infatti, le ordinazioni sacerdotali previste sono 595, contro le 477 del 2014 e le 497 dell’anno precedente. La ricerca, è spiegato dal sito in rete dell’episcopato statunitense, viene realizzata annualmente dal Cara, attraverso i dati forniti dal segretariato per il clero, la vita consacrata e le vocazioni della Conferenza episcopale. I dati del 2015 appaiono particolarmente incoraggianti. E ciò, chiarisce il vescovo di Raleigh, nel North Carolina, Michael Francis Burbidge, presidente della commissione episcopale per il clero, la vita consacrata e le vocazioni, non solo per l’aumento del numero dei candidati al sacerdo- zio, ma anche per le prospettive di crescita che appaiono all’orizzonte. «È incoraggiante vedere il lieve aumento delle ordinazioni quest’anno negli Stati Uniti», ha detto monsignor Burbidge, il quale sottolinea soprattutto l’importanza di quelle che vengono definite «influenze positive». Cioè del ruolo determinante giocato dal parroco, dalla famiglia e dalla scuola cattolica nel cammino di discernimento della chiamata vocazionale. Padre W. Shawn McKnight, direttore esecutivo del segretariato, si sofferma poi su un elemento ritenuto «preoccupante», relativo agli alti costi del sistema educativo. Per il religioso, «sarà importante trovare modi per sostenere in futuro la riduzione del debito». Quanto ai dati più significativi, dall’indagine emerge che l’età media degli ordinandi del 2015 è di 34 anni. Un dato in linea con quelli degli ultimi anni. Per quanto riguarda l’origine etnica, i nuovi sacerdoti per i due terzi sono caucasici europei-americani (bianchi). Ma contrariamente alla popolazione cattolica adulta degli Stati Uniti è più frequente tra di loro la presenza di originari di Paesi asiatici o di isole del Pacifico rispetto quella degli ispanici-latini. Un quarto dei nuovi sacerdoti non sono però nati sul suolo statunitense. Essi provengono principalmente dallo stesso continente americano (Colombia e Messico), dall’Asia (Filippi- ni e Vietnam), dall’Africa (Nigeria) e dall’Europa (Polonia). Mediamente costoro hanno vissuto negli Stati Uniti per dodici anni. Un altro dato interessante riguarda l’educazione ricevuta in famiglia. La quasi totalità degli ordinandi del 2015 è cattolico sin dalla nascita — solo il 7% lo è divenuto in seguito — e l’84% è figlio di entrambi i genitori cattolici. Più di un terzo (37%) ha poi dichiarato di avere un parente sacerdote o religioso. Quanto al livello di istruzione, più della metà (60%) ha completato il college prima di entrare in seminario. Uno su sette ha conseguito un diploma di specializzazione, mentre uno su tre è entrato in seminario mentre frequentava ancora il college. Quanto ai più comuni campi di interesse prima di abbracciare la vocazione, il 20% ha compiuto studi filosofici e teologici, una quasi analoga percentuale (19%) si è dedicata alle cosiddette arti liberali e il 13% alla conoscenza scientifica. Sei su dieci hanno avuto anche una qualche esperienza lavorativa a tempo pieno, mentre solo il 4% ha segnalato di avere prestato servizio nelle forze armate statunitensi. Quanto all’istruzione di base, la metà (per l’esattezza il 51%) ha dichiarato di avere frequentato una scuola elementare cattolica e per il 45% un college cattolico. Medie nettamente superiori a quelle rilevate tra i cattolici adulti statunitensi. leader religiosi — ogni tentativo di demonizzare l’islam». Il Consiglio canadese delle Chiese rappresenta venticinque comunità ecclesiali: tra queste gli anglicani, gli evangelici, gli ortodossi, i protestanti, oltre ai cattolici. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 10 aprile 2015 Le sfide pastorali della famiglia Credibili perché misericordiosi di MARIO GRECH È vocazione dei teologi, in comunione con il magistero, acquisire «un’intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio contenuta nella Scrittura ispirata e trasmessa dalla tradizione viva della Chiesa» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum veritatis, n. 6). Questa conferenza è un passo nella giusta direzione per fornire ai nostri fratelli la luce di quella verità che ci rende liberi e illumina la Chiesa perché predichi il Vangelo della gioia e della compassione. Le vostre ricerche teologiche sono fondamentali per affrontare le sfide poste alla vita matrimoniale e alla famiglia, poiché ciò di cui la Chiesa avrà bisogno nel prossimo sinodo sarà fornire nuove risposte radicate nella Parola di Dio, fedeli alla tradizione della Chiesa e “creative”. Serve a poco riunirsi per ripetere ciò che già si sa. Occorre una riflessione teologica profonda nella Chiesa, poiché questa, come afferma il concilio Vaticano II, favorisce la crescita della «comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse» (Dei Verbum, n. 8). Tuttavia, al fine di poter dare “risposte concrete” dobbiamo essere in contatto con l’esperienza concreta delle nostre famiglie. Considero dunque lodevole il punto di partenza della conferenza: l’“esperienza concreta” delle sfide poste al matrimonio e alla famiglia nel nostro continente. Dobbiamo guardare in maniera attenta e compassionevole alle situazioni nelle quali si trovano oggi le famiglie. Permettetemi di citare quanto ho già detto nell’ultimo sinodo: «La “creatività”, sia nel linguaggio sia nell’atteggiamento pastorale verso le persone che si trovano in situazioni pastorali difficili, richiede più di una mera modifica esterna. Anzi, esige la ricerca costante di nuove risposte, insieme a nuovi approcci pastorali che possono essere tratti dagli insegnamenti dei Padri della Chiesa. È auspicabi- le che tali situazioni vengano analizzate attentamente, con “erudizione teologica” e “mentalità pastorale”, per ottenere soluzioni pastorali adeguate, costruite su riflessioni dottrinali approfondite». Alcuni temono che questa esperienza sinodale possa scuotere le solide fondamenta dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia. Da parte mia, ritengo che ciò di cui dovremmo aver paura è la nostra resistenza allo Spirito Santo che guida la Chiesa: una paura che dovrebbe essere sentita da tutti coloro che amano Cristo e la sua Chiesa, quel timor Domini che costituisce l’initium sapientiae. Tutti noi dovremmo, dinanzi a Dio, fare un esame di coscienza, per restare sempre radicati nel Signore e far sì che le nostre riflessioni e proposte siano guidate da un amore sincero e autentico per lui e la sua Chiesa. Riflettendo sul momento attuale nella storia della Chiesa, ho l’impressione che questa esperienza sinodale non riguardi solo il matri- Verso il sinodo Pubblichiamo quasi per intero, in una nostra traduzione, l’intervento che il vescovo di Gozo e presidente della Conferenza episcopale maltese ha tenuto in occasione di un recente convegno dedicato — in vista del sinodo dei vescovi dell’ottobre prossimo — alle prospettive culturali e alle sfide pastorali riguardanti il matrimonio e la famiglia nei Paesi europei. All’assemblea dell’Unione superiore maggiori d’Italia L’autorità al servizio della trasformazione ROMA, 9. L’autorità esercitata nella guida delle comunità di vita consacrata «è chiamata a far crescere la persona, quindi aiutare a essere liberi, spingere alla comunione, aprire spazi di speranza per il futuro». È il messaggio che viene dalla sessantaduesima assemblea nazionale dell’Unione superiore maggiori d’Italia (Usmi), in corso di svolgimento presso la Pontificia Università Urbaniana. Il tema dei lavori, che si concludono venerdì 10, ai quali prendono parte circa 500 madri generali e provinciali, è: «L’arte del passaggio. Autorità come servizio pasquale». Ai lavori sono stati invitati diversi relatori, fra i quali padre Lorenzo Prezzi, il quale, nel suo intervento ha sottolineato che il servizio dell’autorità è radicalmente cambiato, anche in considerazione del fatto che la vita religiosa sta diventando “invisibile”. Non sempre infatti si vede che si fa apostolato per il Signore. Secondo padre Prezzi, si assiste a una mondanizzazione della vita religiosa e soprattutto a un «cambiamento del modello di vita». Praticamente è terminata l’epoca delle congregazioni il cui apostolato è nel sociale. È in questo contesto, è stato ricordato, che Papa Francesco ha invitato i religiosi a uscire, per andare a evangelizzare. L’invito al coraggio e a non adeguarsi allo spirito del mondo richiedono che la vita religiosa si appropri di quello che è le tipico: la testimonianza e la profezia. Obiettivo dell’incontro delle superiore è dunque quello di «manifestare la ricchezza della comunione, essere illuminate nel servizio di governo, riflettere insieme, individuare percorsi di vita per elaborare — si legge in un comunicato dell’Usmi — progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali per uscire con maggior coraggio dai confini del proprio istituto». monio e la famiglia, ma anche la Chiesa stessa e il modo in cui dobbiamo vivere la nostra chiamata a essere fratelli e sorelle in Cristo. Questa carità fraterna ci aiuterà a vivere secondo l’assioma paolino maior est charitas: l’amore prevalga su ogni cosa (cfr. 1 Corinzi, 13, 13). Non temo una Chiesa che, come famiglia, s’interroga su come predicare il Vangelo nel mondo attuale. Temo invece una Chiesa che non riesce a proseguire il suo cammino sotto la guida dello Spirito Santo per giungere a una comprensione della verità sempre più piena. Dobbiamo andare avanti con coraggio e creatività. Così, dovremmo tutti invocare sulla nostra Chiesa lo Spirito di verità, che è anche lo Spirito di amore e di comunione. Mi rattrista incontrare sacerdoti e laici che hanno un amore e una dedizione profondi per il Signore e per la sua Chiesa e che mi dicono di sentirsi confusi e disorientati dalla riflessione e dal dibattito teologico che si stanno svolgendo sulle sfide pastorali riguardanti la famiglia. Ammetto che talvolta tale disorientamento è dovuto alla visione di una Chiesa divisa in due poli opposti: i conservatori e i progressisti, che si accusano reciprocamente di sbagliare e di essere ingannevoli nelle loro asserzioni. Ricordando le tentazioni indicate da Papa Francesco nel suo discorso al termine del sinodo dello scorso ottobre, che preoccupano sia i cosiddetti conservatori, sia i cosiddetti progressisti, dovremmo evitare di “classificarci” gli uni gli altri con etichette che dividono. Dobbiamo invece cercare tutti di essere veramente fedeli a Cristo nostro Signore e alla sua Chiesa mentre procediamo sul nostro cammino nel mondo. In altre parole, ciò che vorrei sottolineare è che scendere a compromesso con le tendenze attuali e populiste è una cosa e andrebbe evitato, mentre essere fedeli allo Spirito Santo è tutt’altra cosa; è una cosa non solo lodevole, ma anche necessaria per compiere la nostra missione di proclamare il Vangelo all’intera umanità. Come afferma il Papa: «La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (Evangelii gaudium, n. 114). È una Chiesa misericordiosa quella che rende possibile a tutti di sperimentare l’amore redentore di nostro Signore Gesù Cristo. Alcuni potrebbero considerare questa enfasi sulla misericordia come un segno che la Chiesa sta diventando “sentimentale”, rendendo sfocata la sua visione di ciò che è vero e buono. Tuttavia, una Chiesa misericordiosa è quella che trasmette la verità il cui cuore è ferito dall’amore per gli uomini. La misericordia non rende la Chiesa vulnerabile, bensì credibile, poiché è questa Chiesa “ferita per amore” che dà una testimonianza autentica del “Cuore ferito del suo Maestro Gesù Cristo”. Papa Francesco, di nuovo, dice chiaramente: «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze» (Evangelii gaudium, n. 49). La vera misericordia, ben lungi dall’essere “lassista”, è ciò di cui l’umanità, e in particolare le nostre famiglie, hanno sete per incontrare il loro unico Signore e Salvatore. pagina 7 ZAGABRIA, 9. «Nella società croata si assiste con sempre maggiore frequenza a casi di individui e famiglie che, colpiti da circostanze o avvenimenti avversi, sono condotti al limite della loro pazienza e della loro sopportazione». È l’allarme lanciato dall’arcivescovo di Zagabria, il cardinale Josip Bozanić, nel suo messaggio di Pasqua, nel quale ha avvertito che «la società non può rimanere indifferente davanti al dolore di chi, soprattutto i giovani, ha difficoltà a trovare un lavoro, di chi perde la casa, di chi non è in grado di sostenere e di dare un’istruzione adeguata ai propri figli e di chi, in numero crescente, dipende dall’assistenza di enti benefici e di istituzioni sociali». Al riguardo, il porporato ha espresso profonda gratitudine ai volontari e ai sostenitori della Caritas, che negli ultimi tempi hanno aumentato gli sforzi per fornire assistenza ai più svantaggiati, e ha ricordato con rammarico come, recentemente, si siano verificati casi nei quali i prestiti bancari hanno gettato nella povertà e al limite della sopravvivenza migliaia di cittadini. «È difficile evitare di pensare che si tratti di usura», ha affermato il cardinale, «perché ciò crea benefici da un lato (le banche) e perdite dall’altro (i cittadini croati) con una evidente sproporzione. Purtroppo — ha proseguito — sembra che già dall’inizio i meccanismi di controllo che avrebbero dovuto tutelare i cittadini sono falliti, mentre in alcuni Paesi (come l’Austria) le banche centrali hanno impedito processi simili all’interno dei propri mercati finanziari». Il cardinale ha ricordato che Papa Francesco, quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires, parlava già del nuovo dominio monetario che può impoverire in un istante molte famiglie. Come Papa Francesco, l’arcivescovo di Zaga- Il cardinale Bozanić chiede tutela per i giovani croati Un futuro nella solidarietà bria ha esplicitamente condannato l’usura e ha esortato le istituzioni statali a «impedire e a rafforzare il proprio impegno a favore delle vittime. Nel caso della Croazia — ha proseguito il porporato — mi appello a tutti i responsabili coinvolti nel grave fenomeno dei prestiti bancari ad alti interessi a trovare una soluzione e una distribuzione equa degli oneri nel quadro del sistema. In questo momento, nessuno ha il diritto di lavarsi le mani come fece Pilato, soprattutto chi non ha fatto ciò che era necessario fare. Le autorità statali — ha sottolineato il cardinale — devono bloccare i tentativi di risolvere il problema in maniera superficiale, perché ogni volta che un problema viene nascosto sotto il tappeto si creano nuove difficoltà e tensioni che minacciano la pace civile». Secondo il porporato, al fine di prevenire eventi simili, lo Stato dovrebbe varare una migliore normativa, più equilibrata: «Raccomando ai fedeli e a tutte le persone di buona volontà di diffidare della pubblicità ingannevole che promette guadagni facili. Credo che abbiamo bisogno di molta più cautela, unità, comunicazione, solidarietà, rispetto reciproco e sensibilità. Tutto questo — ha concluso l’arcivescovo di Zagabria — è particolarmente vero quando si tratta delle persone più vulnerabili e svantaggiate della società. Dinanzi a questi sviluppi, è necessario trovare la forza e un nuova volontà politica di avviare i meccanismi sociali che possono aprire nuovi orizzonti di speranza». Iniziative della Conferenza episcopale ceca per le coppie sposate Punto di forza PRAGA, 9. La Conferenza episcopale ceca, anche in vista dei lavori del del prossimo sinodo dei vescovi, ha promosso per sabato prossimo un dibattito al Senato sulle politiche famigliari da avviare nel Paese. Il tema di fondo è la valorizzazione della famiglia, non più come istituto “debole” da difendere, ma anche come punto di forza della società. L’evento è organizzato dal Centro nazionale per la famiglia, istituzione fondata dall’organizzazione episcopale già nel 1996. L’organismo, ha spiegato all’agenzia Sir, la direttrice, Marie Oujezdska, «individua la sua missione in attività a sostegno della famiglia, vista come un ambiente unico in cui nascono e si sviluppano i valori che sono indispensabili per la prosperità della nostra società. La filosofia del nostro lavoro — ha continuato — si ispira alla concezione cristiana della dignità umana. Vogliamo contribuire a creare un’atmosfera pro famiglia motivando donne e uomini a fondarne una, ad approfondire relazioni coniugali stabili e di qualità, affinché siano incoraggiati ad allevare un numero ottimale di figli». Il centro collabora con numerose organizzazioni pro famiglia, sia nella Repubblica Ceca sia all’estero, coordina conferenze e dibattiti e sviluppa diversi programmi che riflettono le principali questioni di attualità inerenti all’istituto fami- gliare. Secondo Oujezdska, «la famiglia non dovrebbe essere vista come un problema sociale. Non dobbiamo parlarne soltanto come di un’istituzione che ha bisogno di sostegno. Soprattutto — precisa — dovrebbe essere valorizzata come una fonte di prosperità di ogni società. Il nostro ruolo consiste nel rafforzare i benefici del matrimonio e della genitorialità. Ritengo che sia estremamente importante che il valore della famiglia venga presentato in modo positivo e comprensibile». Nella Repubblica Ceca sono numerose le iniziative della Conferenza episcopale volte a promuovere e a tutelare la famiglia. Oujezdska ricorda che «c’è un centro speciale per la famiglia che opera presso il dipartimento pastorale di ogni diocesi. Il compito principale, come da tradizione, è di fornire una preparazione spirituale al matrimonio e dunque questi centri lavorano per offrire un servizio alle famiglie in tutte le fasi della loro esistenza. Queste attività — sottolinea — vanno però a beneficio non solo dei cattolici praticanti, ma anche di persone di altre confessioni o religioni che apprezzano la parte essenziale di questo servizio. Inoltre — conclude — tutte le persone hanno l’opportunità di entrare in familiarità con la vita dei fedeli, di fare amicizie. Siamo testimoni di lunga data di questa esperienza, poiché siamo stati fondati dalla Conferenza episcopale ceca diversi anni fa». Naturalmente, a tutte le famiglie che hanno bisogno, oltre che di un aiuto morale, anche di un sostegno concreto, la Chiesa cattolica nella Repubblica Ceca offre il proprio servizio attraverso gli uffici nazionali e regionali della Caritas. Lutto nell’episcopato Monsignor Elmo Noel Joseph Perera, vescovo emerito di Galle, in Sri Lanka, è morto nella mattina di giovedì 9 aprile. Il compianto presule era nato a Madampe, in diocesi di Chilaw, il 4 dicembre 1932 ed era stato ordinato sacerdote il 21 dicembre 1960. Eletto alla Chiesa titolare di Gadiaufala il 17 dicembre 1992 e nominato, allo stesso tempo, ausiliare di Galle, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il 6 gennaio 1993. Il 1° giugno 1995 era divenuto vescovo della diocesi di Galle, al cui governo pastorale aveva rinunciato l’11 ottobre 2004. Le esequie saranno celebrate alle 10.30 di sabato 11, nella cattedrale di Galle. † I Superiori e il personale dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica sono affettuosamente vicini alla Signora Clelia Fois per la repentina morte del fratello MAURIZIO Nel porgere sentite condoglianze chiedono al Signore che lo introduca nel possesso della gioia eterna e conforti i familiari con la speranza cristiana. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 10 aprile 2015 «San Gregorio di Narek» (XII secolo) Nella mattina di giovedì 9 aprile Papa Francesco ha ricevuto in udienza i membri del sinodo patriarcale della Chiesa armeno-cattolica. Dopo il saluto del patriarca di Cilicia degli Armeni Nersos Bedros XIX Tarmouni, il Pontefice nel suo discorso ha richiamato la lunga storia di fedeltà e l’«ammirevole patrimonio di spiritualità e di cultura» del popolo armeno. Il discorso del Pontefice al sinodo patriarcale della Chiesa armeno-cattolica Una storia di fedeltà e di risurrezione Beatitudine, Eccellenze! Vi saluto fraternamente e vi ringrazio per questo incontro, che si colloca nell’imminenza della celebrazione di domenica prossima nella Basilica Vaticana. Eleveremo la preghiera del suffragio cristiano per i figli e le figlie del vostro amato popolo, che furono vittime cento anni orsono. Invocheremo la Divina Misericordia perché ci aiuti tutti, nell’amore per la verità e la giustizia, a risanare ogni ferita e ad affrettare gesti concreti di riconciliazione e di pace tra le Nazioni che ancora non riescono a giungere ad un ragionevole consenso sulla lettura di tali tristi vicende. In voi e attraverso di voi saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i fedeli laici della Chiesa Armeno-Cattolica: so che in tanti vi hanno accompagnato in questi giorni qui a Roma, e che molti di più saranno uniti spiritualmente a noi, dai Paesi della Diaspora, come gli Stati Uniti, l’America Latina, l’Europa, la Russia, l’Ucraina, fino alla Madrepatria. Penso con tristezza in particolare a quelle zone, come quella di Aleppo — il Vescovo mi ha detto «la città martire» — che cento anni fa furono approdo sicuro per i pochi sopravvissuti. Tali regioni, in questo ultimo periodo, hanno visto messa in pericolo la permanenza dei cristiani, non solo armeni. Il vostro popolo, che la tradizione riconosce come il primo a convertirsi al cristianesimo nel 301, ha una storia bimillenaria e custodisce un ammirevole patrimonio di spiritualità e di cultura, unito ad una capacità di risollevarsi dopo le tante persecuzioni e prove a cui è stato sottoposto. Vi invito a coltivare sempre un sentimento di riconoscenza al Signore, per essere stati capaci di mantenere la fedeltà a Lui anche nelle epoche più difficili. È importante, inoltre, chiedere a Dio il dono della sapienza del cuore: la commemorazione delle vittime di cento anni fa ci pone infatti dinanzi alle tenebre del mysterium iniquitatis. Non si capisce se non con questo atteggiamento. Come dice il Vangelo, dall’intimo del cuore dell’uomo possono scatenarsi le forze più oscure, capaci di giungere a programmare sistematicamente l’annientamento del fratello, a considerarlo un nemico, un avversario, o addirittura individuo privo della stessa dignità umana. Ma per i credenti la domanda sul male compiuto dall’uomo introduce anche al mistero della partecipazione alla Passione redentrice: non pochi figli e figlie della nazione armena furono capaci di pronunciare il nome di Cristo sino all’effusione del sangue o alla morte per inedia nell’esodo interminabile cui furono costretti. Le pagine sofferte della storia del vostro popolo continuano, in certo senso, la passione di Gesù, ma in ciascuna di esse è posto il germoglio della sua Resurrezione. Non venga meno in voi Pastori l’impegno di educare i fedeli laici a saper leggere la realtà con occhi nuovi, per giungere a dire ogni giorno: il mio popolo non è soltanto quello dei sofferenti per Cristo, ma soprat- I lavori del congresso internazionale per i formatori alla vita consacrata Il Vangelo dev’essere il “vademecum” del consacrato, così come lo è stato per i fondatori e le fondatrici. Lo ha suggerito il cardinale João Braz de Aviz aprendo i lavori del congresso internazionale sul tema «Formati alla vita consacrata nel cuore della Chiesa e del mondo», che si svolge a Roma dal 7 all’11 aprile. Il prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica ha invitato i religiosi e le religiose a incarnare la buona novella nei nuovi contesti geografici e culturali che attendono oggi la loro missione. Una sfida, ha rimarcato, su cui è necessario riflettere soprattutto in questo anno a loro dedicato. Il porporato ha sottolineato come per affrontare questa sfida i consacrati abbiano a disposizione delle linee guida a cui Caravaggio, «San Matteo e l’angelo» (1602) fare riferimento, in particolare il Vaticano e il magistero dei Pontefici. Papa Francesco, ha ricordato il cardinale, ha definito l’assise conciliare una ventata di Spirito Santo per tutta la Chiesa. «Grazie a esso — ha aggiunto — la vita consacrata ha attuato un fecondo cammino di rinnovamento che, con le sue luci e le sue ombre, è stato un tempo di grazia». Il Pontefice, ha sottolineato, «orienta ancora, in questo “guardare il passato con gratitudine”», a vivere l’Anno della vita consacrata come «un’occasione anche per confessare con umiltà e con grande confidenza in Dio amore, la propria fragilità e per viverla come esperienza dell’amore misericordioso del Signore»; ma anche «per gridare al mondo con forza e per testimoniare con gioia la santità e la vitalità presenti nella gran parte di coloro che sono stati chiamati a seguire Cristo». Il porporato ha invitato i presenti a chiedersi se il Vangelo sia veramente il II Vademecum quotidiano “vademecum” a cui fare riferimento ogni giorno, come lo era per i fondatori e per le fondatrici. Senza dimenticare che il Papa ha esortato a vivere il presente con passione, a diventare «esperti di comunione» e testimoni e artefici di quel «progetto di comunione», che «sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio». Pur riconoscendo le difficoltà odierne, il prefetto ha invitato ad abbracciare il futuro con speranza. «Siamo in molti — ha detto — a curare la dimensione della formazione nella vita consacrata nella Chiesa e qui, insieme, possiamo approfondire nuovi sentieri». Per tutti — quanti hanno già alle spalle anni di esperienza in ambito formativo e quanti iniziano da poco — «rimane l’appello a far fruttare le strade già percorse da tanti come veri discepoli di Gesù nel passato». Infatti, ha detto il porporato, la memoria grata del passato «vissuto da fondatori e fondatrici, ci fa riprendere il nuovo momento presente, complesso, sfidante», ma, allo stesso tempo, «con la certezza della fedeltà sempre rinnovata nel Signore vivo che alimenta in noi la speranza, in modo che possiamo dire: “so che lui è fedele, per questo posso sempre sperare e camminare, cercando i nuovi sentieri possibili”». Tra le numerose difficoltà che sperimentate oggi: diminuzione delle vocazioni, invecchiamento, problemi economici, globalizzazione, relativismo, emarginazione e irrilevanza sociale. Ma è proprio in queste incertezze, ha assicurato il cardinale, che «si attua la nostra speranza, frutto della fede del Signore della storia che continua a ripeterci: “Non aver paura, perché io sono con te”». Una speranza che non «si fonda sui numeri o sulle opere, ma su colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia». Anche l’intervento di Michelina Tenace sul tema «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (Fil 2, 5). Col cuore del Figlio sulle strade del mondo», è stato all’insegna della formazione, concepita come azione teologico-trinitaria. Tenace ha spiegato che la formazione integrale deve essere attenta a tutte le dimensioni — intellettuale ed emotiva, individuale e comunitaria, personale e sociale, affettiva e sessuale — e deve mirare alla conformazione ai sentimenti di Cristo. La vita consacrata, ha detto, «ha origine nella creazione dell’essere umano, maschio e femmina a immagine di Dio; attinge al dinamismo della incarnazione del Figlio di Dio “per noi e per la nostra salvezza”, rivelandoci che il peccato non ha potuto cancellare l’amore del Padre per noi». Quindi essa deve mirare alla «progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo verso il Padre» e «deve favorire il dono, e nel dono fare sperimentare più vita e non meno, perché la persona è viva in quella relazione che la costituisce e non per ciò che possiede». Nella formazione, inoltre, si comunicano i carismi. In che modo ciò avviene? Anche in questo caso il primato è di Dio: «il carisma è la manifestazione di una modalità del dono fino al sacrificio di sé». Esso, dunque, scaturisce da una risposta all’amore del Padre, da un profondo desiderio di “essere per”. Il “fare” ne è una conseguenza. Una formazione che tenga presente questo aspetto può modellare uomini e donne, figli di Dio, liberi di scegliere e di amare. Una formazione che ponga l’accento sull’“essere” non rischia infatti di diventare mera esaltazione dell’uomo, ma esaltazione del divino nell’umano. D’altronde, ha sottolineato Tenace, anche le prove sono necessarie nella formazione: «Se sono vissute come partecipazione alla Pasqua, sono esperienze di risurrezione e aprono alla bellezza della testimonianza». Infatti «nulla è più convincente di un uomo che ha attraversato la tomba e ha custodito la sua integrità filiale, risorto dal Padre per essere segno in mezzo ai fratelli. La Pasqua è lo splendore della vocazione a essere partecipi della vita divina, cioè trinitaria, cioè ecclesiale». Le ha fatto eco padre Amedeo Cencini, che nella sua relazione sul tema «Finché non sia formato Cristo in voi (Gal 4, 19). Formati dal Padre per tutta la vita nella potenza dello Spirito Santo», ha spiegato come la formazione sia azione del Padre che mira a formare nei religiosi i sentimenti e la sensibilità del Figlio. Da questa visione derivano alcune conseguenze: la prima è di natura psicologica. Un’azione formativa non può che durare tutta la vita, in quanto se deve incidere nel profondo delle persone deve prolungarsi per l’intera esistenza. È l’idea della formazione continua. La seconda conseguenza è di natura teologica: se è il Padre il “formatore”, egli non smette di ricercare in noi il volto e il cuore di suo Figlio. La formazione continua ha dunque radici teologiche: essa non viene dopo la formazione vera e propria, quella che si può definire istituzionale, ma viene prima, ossia è la premessa e il fondamento di tutto l’itinerario formativo. Da qui la provocazione di padre Cencini: a che serve, allora, la formazione iniziale? Essa ha una funzione importan- tissima, perché cerca di suscitare nel giovane la disponibilità a continuare a lasciarsi formare dalla vita e da tutte le sue provocazioni educative. È la cosiddetta docibilitas, cioè la disponibilità umile e intelligente di chi «ha imparato a imparare», di chi è riuscito a lasciarsi toccare e mettere in crisi dalla vita in ogni situazione, di quanti hanno imparato sia dai successi, sia dagli insuccessi. È pertanto necessario che il giovane impari a cercare Dio in tutto, in ogni momento e in ogni persona, nella buona e nella cattiva sorte, nei poveri e nei deboli. Per questo, ha concluso padre Cencini, è importante la formazione iniziale, perché oggi non basta più formare persone docili; occorre formare persone alla docibilitas, libere e responsabili della propria crescita, desiderose di lasciarsi plasmare dalla mano del Padre ogni giorno della loro vita. tutto dei risorti in Lui. Per questo è importante fare memoria del passato, ma per attingere da esso linfa nuova per alimentare il presente con l’annuncio gioioso del Vangelo e con la testimonianza della carità. Vi incoraggio a sostenere il cammino di formazione permanente dei sacerdoti e delle persone consacrate. Essi sono i vostri primi collaboratori: la comunione tra loro e voi sarà rafforzata dall’esemplare fraternità che essi potranno scorgere in seno al Sinodo e col Patriarca. Il nostro pensiero riconoscente va in questo momento a quanti si adoperarono per recare qualche sollievo al dramma dei vostri antenati. Penso specialmente a Papa Benedetto XV che intervenne presso il Sultano Mehmet V per far cessare i massacri degli armeni. Questo Pontefice fu grande amico dell’Oriente cristiano: egli istituì la Congregazione per le Chiese Orientali e il Pontificio Istituto Orientale, e nel 1920 iscrisse Sant’Efrem il Siro tra i Dottori della Chiesa Universale. Sono lieto che questo nostro incontro avvenga alla vigilia dell’analogo gesto che domenica avrò la gioia di compiere con la grande figura di San Gregorio di Narek. Alla sua intercessione, affido specialmente il dialogo ecumenico tra la Chiesa Armeno-Cattolica e la Chiesa Armeno-Apostolica, memori del fatto che cento anni fa come oggi, il martirio e la persecuzione hanno già realizzato “l’ecumenismo del sangue”. Su di voi e sui vostri fedeli invoco ora la benedizione del Signore, mentre vi chiedo di non dimenticare di pregare per me! Grazie! Convegno dell’apostolato del mare In dialogo con l’islam Rilanciare nei porti e a bordo delle navi il dialogo tra persone di differenti religioni. Perché, sebbene l’attuale clima internazionale non aiuti l’incontro tra culture, il dialogo è un’esigenza vitale, non facoltativa, per i cristiani. È una delle indicazioni più significative tra quelle scaturite nei giorni scorsi dall’incontro dei coordinatori dell’apostolato del mare nell’area mediterranea, tenutosi a Marsiglia sotto la presidenza del vescovo Joseph Kalathiparambil, segretario del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. Il tema del dialogo soprattutto con l’islam è stato in qualche modo obbligato dalla presenza nel porto marsigliese della Costa fascinosa, i cui croceristi sono rimasti coinvolti nell’attentato al museo del Bardo di Tunisi. E proprio sulla grande nave monsignor Kalathiparambil ha celebrato alla vigilia dell’apertura dei lavori la messa in suffragio delle 22 vittime e per la guarigione dei numerosi feriti. «Nessuno tra i passeggeri e l’equipaggio — ha detto all’omelia — poteva immaginare che Durante la cerimonia di indizione dell’anno santo La bolla ai rappresentanti della Chiesa nel mondo Papa Francesco consegnerà a sei rappresentanti della Chiesa nel mondo una copia della Misericordiae vultus, la bolla di indizione del giubileo straordinario, durante la celebrazione in programma nel pomeriggio di sabato 11 aprile, vigilia della II domenica di Pasqua o della Divina misericordia. A ricevere il documento — oltre ai quattro arcipreti delle basiliche papali di Roma — saranno i cardinali Ouellet, Filoni e Sandri, prefetti rispettivamente delle Congregazioni per i vescovi, per l’evangelizzazione dei popoli e per le Chiese orientali; l’arcivescovo Savio Hon Tai-Fai, segretario di Propaganda Fide, in rappresentanza di tutto l’Oriente, il vescovo Barthélemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della cultura, in rappresentanza del continente africano, e monsignor Khaled Ayad Bishay, della Chiesa patriarcale di Alessandria dei Copti, in rappresentanza delle Chiese orientali. una settimana programmata per il relax e il riposo, sarebbe stata ricordata con paura e terrore». Soprattutto, ha aggiunto «è difficile per noi capire la logica di questi attacchi terroristici, impossibile comprendere perché sia necessario uccidere e distruggere per affermare i propri principi». E tutto questo — ha spiegato — «ci fa sentire insicuri, impauriti. Sembra che non ci sia nessun posto in cui poter essere in salvo e che non ci si possa fidare di nessuno. Molte sono le domande davanti a tanta violenza. Ma di sicuro non dobbiamo rispondere con maggior violenza». Da qui l’importanza di celebrare l’Eucaristia, ha concluso il vescovo, che è «la più grande manifestazione dell’amore divino», e di «invocare il dono della pace e della tolleranza tra le nazioni». Successivamente nel corso dei lavori si è parlato della necessità di migliorare la comunicazione tra i coordinatori dell’apostolato del mare, soprattutto attraverso la rete web, e sono stati fissati alcuni appuntamenti in preparazione al congresso mondiale per il centenario di questa realtà pastorale nel 2020. Tra i problemi segnalati, la mancanza di risorse umane e finanziarie, la scarsa continuità di una formazione specifica e un certo disinteresse da parte della gerarchia. E se generalmente il congresso si tiene a Roma, la scelta di Marsiglia ha offerto l’occasione per conoscere realtà locali come la scuola nautica, i cui studenti frequentano la cappellania marittima creata nel 1996. Essa attira anche giovani di altre fedi, creando un legame comunitario che prosegue anche dopo gli anni della formazione. Significativa infine la scelta dei temi approfonditi. Suor Colette Hamza, dell’Institut Catholique de la Méditerranée (Imc), si è interrogata sulla possibilità di un dialogo con l’islam, mentre il direttore dello stesso Imc, Remi Caucanas, ha parlato dell’evoluzione dell’ecumenismo dal concilio Vaticano II a oggi.
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