L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 84 (46.922)
Città del Vaticano
lunedì-martedì 13-14 aprile 2015
.
Nel centenario dello sterminio degli armeni generalmente considerato «il primo genocidio del
XX
secolo» il Papa ricorda che anche oggi assistiamo a massacri sanguinosi
Senza memoria la ferita resta aperta
Il Pontefice ha proclamato san Gregorio di Narek dottore della Chiesa ed esortato alla riconciliazione e alla pacifica convivenza
«Non si può nascondere o negare il male» perché
senza la memoria le ferite della storia restano aperte. Il monito di Papa Francesco è risuonato domenica mattina, 12 aprile, nella basilica vaticana durante la messa celebrata in occasione del centenario del martirio degli armeni — quello che generalmente viene considerato come «il primo genocidio
del XX secolo» ha affermato il Pontefice citando il
testo della dichiarazione comune firmata nel 2001
da Giovanni Paolo II e da Karekin II — e della
proclamazione di san Gregorio di Narek a dottore
della Chiesa.
Verso il giubileo straordinario
della misericordia
Tempo di risveglio
PAGINA 6
Proprio nel ricordo dell’«immane e folle sterminio» perpetrato nel 1915 nei confronti del popolo
armeno, il Papa è tornato a denunciare l’«indifferenza generale e collettiva» nella quale anche oggi
si consuma «una sorta di genocidio» che ha come
obiettivo «tanti nostri fratelli e sorelle inermi». I
quali, ha rimarcato, «a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi — decapitati, crocifissi, bruciati vivi — oppure costretti ad abbandonare la loro terra».
«Sembra che l’umanità — ha constatato con
amarezza — non riesca a cessare di versare sangue
innocente» e «rifiuti di imparare dai propri errori
causati dalla legge del terrore». Ecco perché «ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili,
con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di
altri che rimangono spettatori». In proposito il
Pontefice ha ribadito che il male «non proviene
mai da Dio» e la crudeltà «non deve assolutamente trovare nel suo santo nome alcuna giustificazione». Al contrario, ha assicurato all’omelia della ce-
lebrazione eucaristica, è la misericordia divina a
colmare «le voragini» aperte dalla malvagità umana nel mondo.
Da qui l’invito a riprendere «il cammino di riconciliazione» tra i popoli, in particolare tra quello
armeno e quello turco, e l’appello lanciato a «tutti
coloro che sono posti a capo delle nazioni e delle
organizzazioni internazionali». Chiamati a opporsi
«con ferma responsabilità» e «senza cedere ad ambiguità e compromessi» — ha scritto Francesco nel
messaggio consegnato ai patriarchi e al presidente
della Repubblica armena al termine della messa —
ai conflitti che ancora oggi «degenerano in violenze ingiustificabili, fomentate strumentalizzando le
diversità etniche e religiose».
Nel segno della pace anche il saluto rivolto successivamente alla comunità armena durante il Regina caeli recitato a conclusione del rito liturgico e
l’augurio indirizzato ai fedeli delle Chiese d’O riente che, secondo il loro calendario, domenica 12
hanno celebrato la Pasqua.
PAGINE 4-5
E
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Decine di alunni di una scuola di Mosul sequestrati dall’Is mentre ad Aleppo altri ragazzi sarebbero morti in un bombardamento
La silenziosa tragedia dei bambini
BAGHDAD, 13. Continua ad accanirsi
sui bambini la cieca violenza che insanguina l’Iraq e la Siria.
Per tutta la giornata di ieri sono
circolate notizie del sequestro da
parte dei miliziani del cosiddetto
Stato islamico (Is) di centoventi
alunni, tra i dodici e i quindici anni,
in diverse scuole dell’area di Mosul.
L’emittente televisiva Al Sumariya,
considerata vicina al Governo di Baghdad, ha riferito che sono state pre-
se di mira le scuole di Qayyara,
Shura, Badush e Baaj, della zona rurale di Mosul, e che i ragazzi sarebbero stati portati in luoghi non precisati per essere costretti a combattere per l’Is.
Dai fronti siriani, nessuna conferma indipendente ha avuto invece la
notizia di bombardamenti aerei governativi su una scuola di Aleppo
che avrebbero provocato ieri nove
morti, compresi cinque bambini e tre
donne. L’Osservatorio siriano per i
diritti umani (Ondus), l’organizzazione con sede a Londra espressione
dell’opposizione in esilio al presidente Assad, ha specificato che la
scuola è la Jamil Kabani, nel quartiere di Al Asari, e ha aggiunto che
un altro bimbo è morto in un secondo bombardamento aereo nel quartiere di Sheikh Khedr. Bombarda-
menti governativi avrebbero ucciso
sabato trentacinque persone in un
mercato del quartiere di Al Madi.
Sempre ieri, l’esercito iracheno
avrebbe respinto un attacco sferrato
contro la raffineria di Baiji, la più
grande del Paese. Tre attentatori suicidi hanno cercato di colpire prima
dell’attacco all’enorme complesso,
che è stato lanciato da tre direzioni:
il villaggio di Al Bujwari a sud, la
struttura che ospita gli addetti della
raffineria a ovest e un piccolo impianto che produce derivati petroliferi a est. Due degli attentatori sono
stati uccisi prima di raggiungere gli
obiettivi, mentre il terzo è riuscito a
farsi esplodere, come ha riferito un
portavoce dell’esercito, secondo il
quale l’attacco è stato il più violento
da quando mesi fa l’esercito di Baghdad è riuscito a rompere l’assedio
Il Santo Padre ha accolto in udienza Sua
Eccellenza Reverendissima Monsignor
Carlos José Ñáñez, Arcivescovo di Córdoba (Argentina).
Un piccolo profugo siriano (Afp)
y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!&!#![!
Nona riunione
del Consiglio
di cardinali
È iniziata lunedì mattina, 13 aprile,
la nona riunione del Consiglio di
cardinali, alla quale partecipa Papa
Francesco. I lavori impegneranno i
cardinali consiglieri e il vescovo segretario fino a mercoledì 15.
I precedenti incontri del Consiglio
di cardinali si erano svolti nei giorni
1-3 ottobre e 3-5 dicembre 2013, 17-19
febbraio, 28-30 aprile, 1-4 luglio, 1517 settembre e 9-11 dicembre 2014, e
9-11 febbraio 2015.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia
al governo pastorale dell’Arcidiocesi di
Taunggyi (Myanmar), presentata da Sua
Eccellenza Reverendissima Monsignor
Matthias U Shwe, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico, e ha nominato Amministratore Apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae
Sedis di Taunggyi Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Basilio Athai, Vescovo Ausiliare della medesima Arcidiocesi.
Il provvedimento è stato reso noto il 12
aprile.
Il Santo Padre ha annoverato tra i
Membri dei Dicasteri della Curia Romana i seguenti Eminentissimi Signori Cardinali, creati e pubblicati nel Concistoro
del 14 febbraio 2015:
1) nel Consiglio di Cardinali e Vescovi
della Sezione per i Rapporti con gli Stati
della Segreteria di Stato l’Eminentissimo
Signor Cardinale Dominique Mamberti,
Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;
2) nella Congregazione per la Dottrina
della Fede l’Eminentissimo Signor Cardinale Ricardo Blázquez Pérez, Arcivescovo
di Valladolid (Spagna);
3) nella Congregazione per le Chiese
Orientali gli Eminentissimi Signori Cardinali: Berhaneyesus Demerew Soura-
all’impianto. L’Is ha diffuso fotografie di veicoli blindati all’attacco contro il perimetro della raffineria e di
miliziani apparentemente all’interno
dell’impianto, ma il portavoce militare ha assicurato che le forze irachene ne hanno il pieno controllo.
È giunta, intanto, la conferma della distruzione, già denunciata in
marzo dagli iracheni, del sito archeologico di Nimrud, raso al suolo
dall’Is.
Storico incontro
tra Obama e Castro a Panamá
Per voltare pagina
PAGINA 2
NOSTRE INFORMAZIONI
phiel, Arcivescovo di Addis Abeba (Etiopia); Edoardo Menichelli, Arcivescovo di
Ancona-Osimo (Italia);
4) nella Congregazione per il Culto
Divino e la Disciplina dei Sacramenti
l’Eminentissimo Signor Cardinale Dominique Mamberti, Prefetto del Supremo
Tribunale della Segnatura Apostolica;
5) nella Congregazione delle Cause dei
Santi l’Eminentissimo Signor Cardinale
Dominique Mamberti, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;
6) nella Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli gli Eminentissimi Signori Cardinali: John Atcherley Dew, Arcivescovo di Wellington (Nuova Zelanda); Pierre Nguyên Văn Nhon, Arcivescovo di Hà Nôi (Viêt Nam); Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, Arcivescovo
di Bangkok (Thailandia); Arlindo Gomes
Furtado, Vescovo di Santiago de Cabo
Verde (Capo Verde); Soane Patita Paini
Mafi, Vescovo di Tonga (Tonga);
7) nella Congregazione per il Clero gli
Eminentissimi Signori Cardinali: Manuel
José Macário do Nascimento Clemente,
Patriarca di Lisboa (Portogallo); Alberto
Suárez Inda, Arcivescovo di Morelia
(Messico);
8) nella Congregazione per gli Istituti
di Vita Consacrata e le Società di Vita
Apostolica gli Eminentissimi Signori Cardinali: Charles Maung Bo, Arcivescovo
di Yangon (Myanmar); Daniel Fernando
Sturla Berhouet, Arcivescovo di Montevideo (Uruguay);
9) nella Congregazione per l’Educazione Cattolica l’Eminentissimo Signor Cardinale José Luis Lacunza Maestrojuán,
Vescovo di David (Panamá);
10) nel Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani l’Eminentissimo Signor Cardinale John Atcherley Dew, Arcivescovo di Wellington
(Nuova Zelanda);
11) nel Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace gli Eminentissimi Signori Cardinali: Pierre Nguyên Văn
Nhon, Arcivescovo di Hà Nôi (Viêt
Nam); Alberto Suárez Inda, Arcivescovo
di Morelia (Messico);
12) nel Pontificio Consiglio «Cor
Unum» gli Eminentissimi Signori Cardinali: Francesco Montenegro, Arcivescovo
di Agrigento (Italia); Arlindo Gomes
Furtado, Vescovo di Santiago de Cabo
Verde (Capo Verde); Soane Patita Paini
Mafi, Vescovo di Tonga (Tonga);
13) nel Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti gli
Eminentissimi Signori Cardinali: Berhaneyesus Demerew Souraphiel, Arcivescovo di Addis Abeba (Etiopia); Francesco
Montenegro, Arcivescovo di Agrigento
(Italia);
14) nel Pontificio Consiglio per gli
Operatori Sanitari l’Eminentissimo Si-
gnor Cardinale Edoardo Menichelli, Arcivescovo di Ancona-Osimo (Italia);
15) nel Pontificio Consiglio della Cultura gli Eminentissimi Signori Cardinali:
Charles Maung Bo, Arcivescovo di Yangon (Myanmar); Ricardo Blázquez Pérez,
Arcivescovo di Valladolid (Spagna); José
Luis Lacunza Maestrojuán, Vescovo di
David (Panamá);
16) nel Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali gli Eminentissimi Signori Cardinali: Manuel José Macário do
Nascimento Clemente, Patriarca di Lisboa (Portogallo); Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, Arcivescovo di Bangkok (Thailandia);
17) nel Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
l’Eminentissimo Signor Cardinale Daniel
Fernando Sturla Berhouet, Arcivescovo
di Montevideo (Uruguay).
Il Santo Padre ha nominato Nunzio
Apostolico in Madagascar il Reverendo
Monsignore Paolo Rocco Gualtieri, Consigliere di Nunziatura, elevandolo in pari
tempo alla sede titolare di Sagona, con
dignità di Arcivescovo.
Nomina di Visitatore Apostolico
Il Santo Padre ha nominato Visitatore
Apostolico per i fedeli maroniti in Bulgaria, Grecia e Romania Sua Eccellenza
Reverendissima Monsignor François Eid,
Vescovo emerito del Cairo dei Maroniti e
Procuratore del Patriarca Maronita presso
la Santa Sede.
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lunedì-martedì 13-14 aprile 2015
L’Avana e Washington sulla strada della riconciliazione dopo lo storico incontro tra Obama e Castro a Panamá
Per voltare pagina
Confermato l’impegno alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche
PANAMÁ, 13. Storico faccia a faccia
tra il capo dello Stato cubano, Raúl
Castro, e il presidente statunitense,
Barack Obama, al vertice delle Americhe che si è chiuso sabato a Panamá. È stata la prima volta da più di
cinquant’anni che i leader dei due
Paesi hanno tenuto un incontro bila-
Hillary Clinton
si candida
alla Casa Bianca
WASHINGTON, 13. Hillary Clinton
ha ufficializzato ieri sera la sua
candidatura
alle
primarie
democratiche per le presidenziali
statunitensi del 2016. «Sono candidata alla presidenza», ha affermato in un video di novanta secondi l’ex segretario di Stato,
spiegando che vuole essere «la
paladina» degli americani. La sua
campagna elettorale partirà già
oggi dallo Iowa e sarà incentrata
sulla sicurezza economica della
classe media e sulle famiglie, oltre
ai temi a lei più cari, come la difesa dei diritti delle donne e delle
minoranze.
La ex first lady ha anche postato un video sul sito hillaryclinton.com per sciogliere la riserva
su una candidatura, la sua seconda alla Casa Bianca, di cui si parlava da due anni.
I sondaggi la danno favorita
per il dopo-Obama (dovrebbe
avere il sessanta per cento
nell’elettorato democratico), con
buone chance di diventare il quarantacinquesimo presidente degli
Stati Uniti, il primo donna.
Poche ore prima dell’annuncio,
il presidente Barack Obama, suo
rivale nel 2008, ha detto che
Clinton sarebbe «un’eccellente
presidente».
Le primarie democratiche inizieranno nel 2016 nello Iowa e
nel New Hampshire, mentre le
presidenziali si svolgeranno in novembre. In campo repubblicano
si sono già candidati Ted Cruz e
Rand Paul e a breve potrebbe farlo anche Marco Rubio, di origine
cubana.
terale. Castro e Obama si sono seduti l’uno a fianco all’altro in una piccola sala conferenza a margine dei
lavori del summit cui entrambi hanno preso parte. Il colloquio si è svolto in un clima cordiale: i due leader
si sono stretti la mano, hanno sorriso
e discusso del disgelo che ha preso il
via nel dicembre scorso.
Il presidente Obama ha sottolineato che «era tempo che si tentasse
qualcosa di nuovo nelle difficili relazioni tra Washington e L’Avana: siamo nella posizione di avanzare sul
sentiero verso il futuro». Con il tempo, «è possibile per noi voltare pagina e sviluppare una nuova relazione
tra i nostri due Paesi» ha detto ancora Obama, ribadendo l’apertura
alla normalizzazione delle relazioni.
Ha anche sottolineato che continuerà a fare pressione sulla questione
dei diritti umani.
Obama e Castro hanno concordato di avviare il ripristino ufficiale
delle relazioni diplomatiche a dicembre. Washington ha confermato l’allentamento delle restrizioni sui viaggi e sul commercio. I due leader si
Afroamericano
ucciso da un agente
in Oklahoma
WASHINGTON, 13. A pochi giorni
dal video in cui si vedeva un
agente della polizia di North
Charleston uccidere un afroamericano sparandogli alle spalle, negli Stati Uniti un altro afroamericano disarmato e immobilizzato è
morto per un colpo d’arma da
fuoco sparato da un agente. Durante un arresto a Tulsa in
Oklahoma il vicesceriffo Robert
Bates, 73 anni, ha sparato a Eric
Harris. Da parte sua, riferiscono i
media locali, Bates ha affermato
di essersi sbagliato e averlo ucciso involontariamente, dal momento che era convinto di avere
preso il taser (la pistola elettrica)
anziché l’arma di ordinanza.
L’ennesimo episodio di violenza
sembra destinato ad alimentare il
risentimento della comunità nera
nei confronti della polizia.
erano parlati al telefono a dicembre
scorso e lo hanno fatto di nuovo pochi giorni fa, prima del summit di
Panamá. Secondo gli analisti, la rimozione dell’Avana dalla lista statunitense dei Paesi che sostengono il
terrorismo, in cui l’isola è stata inserita nel 1982, sembra molto vicina. Il
Governo di Castro lo ha posto come
vincolo per il ripristino delle relazioni bilaterali. Gli unici altri Paesi sulla lista sono Iran, Siria e Sudan.
La rimozione dall’elenco permetterebbe l’allentamento di alcune sanzioni economiche e velocizzerebbe la
distensione. Tuttavia, non è facilmente prevedibile quanto presto
Obama confermerà la rimozione, dovendo scendere a patti con il Congresso. Il presidente potrà continuare ad allentare le sanzioni, ma solo il
Congresso controllato dai repubblicani può decidere la rimozione
dell’embargo che pesa sull’isola.
Tra i passi avanti che Cuba è disposta a fare con gli Stati Uniti ci
sono «le riunioni che stiamo svolgendo per il ristabilimento dei rapporti e l’apertura delle nostre amba-
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KABUL, 13. Il numero di vittime civili del conflitto in Afghanistan «è ancora molto alto e molto preoccupante»: 655 morti e 1.155 feriti nei primi
tre mesi del 2015. Lo ha reso noto ieri sera a Kabul la Missione delle Nazioni Unite di assistenza all’Afghanistan (Unama). Il dato rappresenta
un calo del 2 per cento rispetto allo
stesso periodo del 2014, che era stato
però un anno record.
Secondo l’Unama le forze antigovernative — principalmente gli insorti talebani — sono risultate responsabili per il 73 per cento delle vittime,
quelle filo-governative per il 14 per
cento, entrambe le parti per il 7 per
cento, mentre nel sei per cento degli
incidenti non è stata possibile una
chiara attribuzione. Commentando il
rapporto, il rappresentante speciale
Città del Vaticano
[email protected]
www.osservatoreromano.va
del segretario dell’Onu in Afghanistan, Nicholas Haysom, ha rivolto un appello alle parti a riconfermare l’impegno a evitare le vittime civili.
«Con l’avvicinarsi della stagione
in cui si registra un aumento degli
episodi violenti — ha concluso Ni-
cholas Haysom — l’Onu chiede alle
parti di adottare ogni possibile misura per proteggere le aree dove si trova la popolazione civile».
E anche oggi un agente della polizia è morto e altri due sono rimasti
feriti in un attentato nella provincia
meridionale di Kandahar.
Attacchi dei guerriglieri maoisti
nell’India centrale
NEW DELHI, 13. Per il terzo giorno
consecutivo, un commando della
guerriglia maoista è entrato in
azione nello Stato centrale indiano
di Chhattisgarh, attaccando armi in
pugno un accampamento delle
Forze di sicurezza paramilitari
(Bsf) e ingaggiando una battaglia
durata oltre due ore. Gli scontri a
fuoco hanno provocato la morte di
un soldato e di un guerrigliero uccisi. Lo riferisce l’emittente televisiva Times Now Tv. Questo nuovo
attacco nel distretto di Kanker è
avvenuto a poche ore di distanza
dall’assalto di un altro commando
di maoisti che ha incendiato nella
stessa area diciotto camion utilizza-
ti per il trasporto di minerale di
ferro della miniera di Barbaspur.
Sabato, invece, un centinaio di
guerriglieri comunisti hanno teso
una imboscata a un convoglio della
polizia in una densa foresta del distretto di Sukma, sempre nello Stato del Chhattisgarh, con un bilancio di sette agenti uccisi e undici
feriti. A Sukma, lo scorso dicembre, tredici soldati indiani sono stati uccisi in un agguato dei ribelli,
che controllano una vasta fascia
dell’India centro-orientale. Il movimento guerrigliero è chiamato anche “naxalita”, dal nome del villaggio dove nel 1967 scoppiò la prima
insurrezione maoista.
Rallenta
l’economia cinese
La manifestazione a San Paolo (Reuters)
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Nuovo episodio
di violenza
contro i cristiani
in Pakistan
La triste conta delle vittime civili
del conflitto afghano
Proteste contro il Governo brasiliano
L’OSSERVATORE ROMANO
La stretta di mano tra Castro e Obama (Ansa)
Rapporto della missione di assistenza dell’O nu
Cortei in 195 città
BRASILIA, 13. Centinaia di migliaia di brasiliani sono tornati ieri a manifestare contro la politica del presidente, Dilma Rousseff. Rieletta sei mesi fa, il capo dello Stato ha visto calare il suo consenso soprattutto a causa dello scandalo delle tangenti
di Petrobras, il colosso petrolifero di Stato, ed anche per l’impennata dell’inflazione e del costo delle forniture di acqua,
elettricità e gas.
Almeno 682.000 persone, secondo la
polizia — un milione e mezzo per gli organizzatori della protesta — hanno marciato
in ben centonovantacinque città, scandendo slogan contro il presidente. Rousseff
non è indagata nella vicenda Petrobras,
ma lo sono i presidenti di Senato, Camera
e oltre trenta politici, molti dei quali esponenti del Partito dei lavoratori, di cui il
capo dello Stato è espressione.
L’ex numero uno della compagnia petrolifera, Maria das Graças Silva Foster,
era infatti una stretta collaboratrice di
Rousseff. Intanto, nell’ambito dell’inchiesta su un presunto schema di tangenti
all’interno di Petrobras, pochi giorni fa sono stati arrestati alcuni ex deputati federali, tra i quali André Vargas, Luiz Argôlo e
Pedro Corrêa.
sciate» ha sottolineato Castro intervenendo subito dopo Obama. «È
fondamentale quanto espresso dal
presidente» ha detto Raúl Castro,
sottolineando la disponibilità a dialogare anche sulle questioni dei diritti umani e della libertà di stampa.
«In altre occasioni abbiamo manifestato ad amici statunitensi che siamo
disposti a discutere di tutto, soprattutto di queste tematiche e altre relative sia al nostro Paese e sia agli Stati Uniti». Può essere — ha aggiunto
— «che saremo convinti di alcune
cose e di altre no: non bisogna farsi
illusioni, tra noi ci sono molte differenze. Quella dei nostri Paesi è stata
una storia complicata» ha detto il
capo dello Stato cubano.
Al termine del vertice delle Americhe Obama ha avuto un breve colloquio anche con il presidente venezuelano, Nicolás Maduro. «Gli ho
ricordato che siamo rivoluzionari e
appassionati. E che vogliamo costruire la pace» ha detto il leader di
Caracas. Obama ha confermato «il
sostegno a favore di un dialogo pacifico fra le parti in Venezuela».
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PECHINO, 13. Si fa sempre più difficile la situazione per l’economia
cinese, a conferma che i venti di
crisi iniziano a spirare anche sul
Dragone. Stando agli ultimi dati
diffusi dal Governo, si registra un
netto calo in tutto il primo trimestre dell’anno per il commercio
estero cinese. Nel dettaglio, i dati
diffusi ieri dall’amministrazione
delle dogane mostrano infatti per
marzo un calo del commercio
estero pari al 15,9 per cento, frutto
soprattutto del meno 25,1 per cento delle importazioni.
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
ISLAMABAD, 13. Nuovo episodio di
violenza contro i cristiani in Pakistan. Nauman Masih, 14 anni, è
stato bruciato vivo a Lahore da alcuni giovani musulmani dopo
aver professato la sua fede. Il giovane è ora ricoverato in ospedale,
dove lotta tra la vita e la morte,
con gravi ustioni su tutto il corpo.
Come appreso dall’agenzia Fides, l’episodio è avvenuto venerdì
10 aprile, quando i giovani musulmani che stavano recandosi in
moschea hanno incontrato Nauman lungo la strada.
Fermatolo, lo hanno interrogato
e, saputo che era di religione cristiana, lo hanno picchiato, hanno
gettato benzina su di lui e poi gli
hanno dato fuoco, fuggendo.
Nauman si è buttato su un mucchio di sabbia, mentre alcuni passanti lo hanno aiutato a spegnere
il fuoco sul suo corpo e hanno
chiamato un’ambulanza.
La polizia è stata avvertita e ha
registrato una denuncia contro
ignoti. Nauman ha dichiarato al
sovrintendente di polizia: «i
giovani che mi hanno aggredito
erano dei perfetti sconosciuti, hanno iniziato a percuotermi dopo
che io ho detto di essere cristiano.
Ho provato a scappare ma mi
hanno inseguito e cosparso di
benzina».
Ripresa moderata
per il Giappone
TOKYO, 13. L’economia giapponese
è in ripresa moderata, e questo anche grazie al fatto che la politica
monetaria del Governo sta producendo gli effetti desiderati. Lo ha
detto oggi il governatore della
Bank of Japan (BoJ), Haruhiko
Kuroda, sottolineando, inoltre,
l’aumento annuo dell’inflazione intorno allo zero, al netto della tassa
sui consumi, portata dal cinque
all’otto per cento ad aprile 2014.
Sulle prospettive della dinamica
dei prezzi al consumo, Kuroda ha
osservato che la loro crescita è de-
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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stinata, per il momento, a rimanere
«intorno allo zero per cento», con
gli effetti del calo dei prezzi del
petrolio. L’istituto centrale ha avviato poco più di due anni fa una
politica monetaria volta all’abbattimento della deflazione, ponendosi
quale obiettivo un’inflazione al due
per cento e una ripresa del credito.
«La BoJ — ha continuato Kuroda
— farà gli adeguamenti necessari
esaminando i rischi al rialzo e al ribasso per le attività economiche»,
in merito alla politica monetaria.
Concessionaria di pubblicità
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Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
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Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
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Giovane migrante
appena sbarcata a Porto Empedocle (Ansa)
Dal campo di Dadaab
Il Kenya vuole espellere
i rifugiati somali
NAIROBI, 13. Il Kenya vuole espellere i profughi somali e ha dato ieri
tre mesi di tempo all’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati
(Unhcr) per rimpatriare in Somalia
le centinaia di migliaia di rifugiati
del campo di Dadaab. «Abbiamo
Sudan al voto
per rinnovare
presidenza
e parlamento
KHARTOUM, 13. Si sono aperti
oggi in Sudan i seggi per le elezioni presidenziali e parlamentari. Le operazioni di voto dei tredici milioni di elettori registrati
proseguiranno per tre giorni. Per
la presidenza concorrono quattordici candidati, ma tutti gli osservatori danno per scontata la conferma alla guida del Paese di
Omar Hassam el Bashir, dato anche il boicottaggio del voto annunciato dalle principali forze
d’opposizione. La decisione di
disertare le urne è stata presa dopo che il Governo ha rifiutato la
richiesta dell’opposizione di posporre il voto al termine delle
sessioni di dialogo nazionale che
— almeno in teoria — avrebbero
dovuto introdurre riforme costituzionali e politiche nel Paese.
Il Partito nazionale del congresso, quello del presidente, è
dato a sua volta per favorito nel
voto per il Parlamento federale e
per i Consigli legislativi dei 18
Stati della Federazione sudanese.
Sulla regolarità dello scrutinio
vigileranno osservatori della Lega
araba, dell’Organizzazione della
Conferenza islamica, dell’Unione
africana e dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo.
Settantacinquemila
poliziotti
sono dispiegati per garantire la
sicurezza degli undicimila seggi,
ma sulle elezioni proiettano ombre le persistenti violenze in diverse zone del Paese. Tra l’altro,
il voto è stato sospeso in un distretto dalla regione occidentale
del Darfur e in sette delle ventiquattro circoscrizioni dello Stato
del Kordofan meridionale, dove
dal 2011, quando il Sud Sudan
proclamò in luglio l’indipendenza, si protrae un conflitto tra
l’esercito di Khartoum e il Movimento per la liberazione del popolo sudanese - Nord, legato
all’omonima forza politica al potere a Juba. Oltre ai conflitti che
continuano a minare la stabilità
interna, desta preoccupazione la
situazione economica del Paese,
sottoposto a sanzioni internazionali e impoverito appunto dalla
secessione delle regioni meridionali, quelle più ricche di petrolio.
chiesto all’Unhcr che porti via i rifugiati nell’arco di tre mesi, altrimenti lo faremo noi», ha detto il vicepresidente kenyano, William Ruto. Un portavoce dell’Unhcr a Nairobi, Emmanuel Nyabera, ha detto
comunque che l’agenzia dell’O nu
non ha «ricevuto alcuna notifica o
richiesta formale del Governo kenyano al riguardo».
Nel complesso di Dadaab, aperto
dall’Onu nel 1991, all’inizio della
guerra civile somala, si protrae da
anni ed è andata via via ingigantendosi una delle maggiori emergenze
umanitarie al mondo.
La decisione del Governo di Nairobi — secondo il quale il campo
viene utilizzato per addestrare terroristi — appare diretta conseguenza
del massacro all’università di Garissa, rivendicato dagli islamisti somali
di Al Shabaab, in cui sono morte
148 persone, in massima parte studenti cristiani. Un’analoga richiesta,
senza esito, il Governo kenyano aveva fatto all’Unhcr dopo l’attacco,
sempre a opera di Al Shabaab, nel
settembre del 2013 contro il centro
commerciale Westgate, a Nairobi.
Il Kenya è diventato il maggiore
obiettivo esterno delle milizie di Al
Shabaab, da quando il Governo di
Nairobi inviò contro di loro truppe
in Somalia, prima in un’operazione
autonoma dal dichiarato intento di
porre in sicurezza la frontiera, poi
inquadrate nell’Amisom, la missione
dell’Unione africana.
A conferma dell’estrema tensione
provocata dalla minaccia di Al Shabaab, l’esplosione di un trasformatore ha scatenato ieri il panico in un
dormitorio del campus universitario
di Kikuvu, a Nairobi, dove una ressa di persone in fuga ha causato la
morte di uno studente e il ferimento
di altri centocinquanta, calpestati
dalla folla terrorizzata. Quando poco prima dell’alba è stata udita
l’esplosione nel dormitorio, gli studenti hanno temuto un attacco di
Al Shabaab come quello a Garissa.
Presi dal panico, alcuni si sono lanciati fuori dalle finestre degli alloggi
e un ragazzo è morto cadendo dal
quinto piano.
Morti nove migranti per il rovesciamento di un barcone
Dramma mediterraneo
ROMA, 13. Negli ultimi tre giorni — dal 10 al 12 aprile —
sono stati soccorsi nel Canale di Sicilia 5.629 migranti
diretti verso l’Italia. Nella sola giornata di ieri il Centro
nazionale soccorso della Guardia costiera ha coordinato
gli interventi di assistenza a 22 unità, gommoni e barconi fatiscenti. E oggi c’è stata una nuova tragedia: un
barcone carico di immigrati si è rovesciato a un’ottantina di miglia dalla costa libica. La Guardia costiera ha
recuperato nove cadaveri, mentre sono state tratte in
salvo altre 144 persone. Dall’inizio dell’anno, stando ai
dati forniti dall’Organizzazione internazionale per le
migrazioni (Oim), sono 15.000 gli immigrati messi in
salvo nel Mediterraneo. Per il direttore generale
dell’Oim, William Swing, «il lavoro delle forze marittime italiane nel salvataggio in mare di migliaia di immigrati in cerca di sicurezza in Europa è eroico». L’O im
— ha aggiunto — «elogia l’opera svolta dalla Guardia
costiera italiana, con il supporto della Marina militare».
Due sanguinosi
attentati
nel nord del Sinai
Centinaia di ribelli sciiti uccisi al confine tra Arabia Saudita e Yemen
S’intensificano i raid su San’a
Bombardamenti nel centro della città (Reuters)
SAN’A, 13. La coalizione internazionale a guida saudita che appoggia il
presidente yemenita, Abd Rabbo
Mansour Hadi, ha intensificato negli
ultimi giorni i raid sulla capitale
San’a e nei dintorni prendendo di
mira depositi di armi e altri siti dei
ribelli sciiti huthi.
I raid, che hanno colpito il ministero della Difesa e altre strutture fra
cui la caserma di Al Hafa, sono du-
rati per diverse ore, secondo testimonianze degli abitanti di San’a raccolte ieri dall’emittente Al Jazeera. Funzionari sauditi hanno riferito che
nella città meridionale di Aden è stato colpito anche uno stadio sportivo
usato dagli huthi come deposito di
munizioni. «L’impiego di scuole,
centri sportivi e altre strutture civili
mostra bene il comportamento di
questi gruppi (le milizie huthi, ndr)
che mirano a provocare i maggiori
danni possibili per accrescere le difficoltà quotidiane della popolazione», ha detto un portavoce della
coalizione, il generale di brigata
Ahmed Asseri. Nelle ultime 24 ore,
almeno 28 persone sono morte negli
scontri ad Aden.
Malgrado i bombardamenti, per
la prima volta dall’inizio delle ostilità aerei con a bordo aiuti sanitari so-
no riusciti ad atterrare. La Croce
rossa e l’Unicef hanno fatto arrivare
due velivoli con medicinali e attrezzature sanitarie che sono atterrati nel
fine settimana nell’aeroporto di
San’a con un carico di oltre trenta
tonnellate.
E intanto, la tensione cresce anche
nelle zone di frontiera. Oltre cinquecento miliziani huthi sono morti durante gli scontri con le forze
dell’Arabia Saudita al confine tra i
due Paesi da quando è iniziata l’offensiva della coalizione araba il 26
marzo scorso. Lo ha affermato ieri
un comunicato del ministero saudita
della Difesa.
Gli scontri si sono concentrati nelle regioni meridionali saudite di Nashran e Yizan. L’ultima battaglia si è
verificata quando un proiettile di
mortaio sparato dagli huthi ha colpito una delle unità saudite dispiegate
lungo il confine. Le truppe di Riad
hanno risposto al fuoco, e hanno
provocato «gravi perdite» tra i ribelli. I raid aerei — sempre secondo il
ministero della Difesa saudita — sono stati finora 1.200.
Infine, il presidente yemenita,
Abd Rabbo Mansour Hadi, ha nominato oggi Khaled Bahah capo del
Governo e suo vicepresidente.
Bahah è stato incaricato di formare
il nuovo Governo yemenita il 13 ottobre del 2014, esecutivo che non è
stato però mai in grado di governare
a causa dell’occupazione di San’a da
parte dei ribelli sciiti huthi.
IL CAIRO, 13. È di almeno tredici
morti e decine di feriti il bilancio
di un doppio attentato contro le
forze di sicurezza egiziane nella
penisola del Sinai. Lo hanno reso
noto ieri fonti governative. Un ordigno è esploso al passaggio di un
blindato uccidendo sei soldati, tra
cui due ufficiali, lungo l’autostrada internazionale Arish - Sheik
Zuid, nel nord della penisola.
Più tardi un’autobomba è
esplosa davanti a un commissariato di polizia causando sette morti.
Intanto, il leader dei Fratelli
musulmani, Mohamed Badie, è
stato condannato a morte in una
nuova tappa processuale per le
violenze e gli scontri di piazza seguiti alla deposizione dell’allora
presidente Mohammed Mursi,
nell’estate del 2013.
La condanna di Badie, la terza
alla pena capitale (delle due precedenti una è stata commutata in
ergastolo e l’altra annullata), è appellabile in un secondo e ultimo
grado di giudizio. La sentenza è
stata pronunciata nel corso di un
processo che ha visto anche infliggere il carcere a vita a un giovane
di 27 anni con la doppia nazionalità egiziana e statunitense.
Sono stati condannati a morte
anche altri tredici dirigenti dei
Fratelli musulmani, organizzazione dichiarata terrorista in Egitto.
Rapporto dell’Unicef sulle conseguenze delle violenze di Boko Haram in Nigeria
Ad Algeri negoziati con la mediazione dell’Onu mentre non si fermano i combattimenti a Tripoli
Ottocentomila bambini profughi
Sollecitata una tregua in Libia
ABUJA, 13. Circa ottocentomila bambini sono stati costretti ad abbandonare le proprie case a causa delle
violenze di Boko Haram nel nordest della Nigeria. Lo riporta il rapporto Missing Childhoods, diffuso
oggi dall’Unicef, l’agenzia dell’O nu
per l’infanzia. Nell’ultimo anno è
più che raddoppiato il numero di
bambini sfollati interni o rifugiati in
Ciad, Niger e Camerun. Per fronteggiare questa emergenza, l’Unicef
esorta i donatori ad aumentare fortemente il sostegno finanziario, dato
che finora ha ricevuto solo il 15 per
cento dei 26 milioni di dollari chiesti per il 2015.
Il rapporto dell’Unicef è stato reso noto mentre il Paese attende i risultati delle elezioni di sabato per i
governatori e le assemblee degli Stati della Federazione.
Sempre in queste ore, l’attenzione
si concentra anche sul primo anni-
Donne nigeriane alle ultime elezioni presidenziali (Afp)
versario del sequestro da parte di
Boko Haram, nella notte tra il 14 e
il 15 aprile dello scorso anno, di oltre duecento studentesse di Chibok,
nello Stato del Borno, delle quali da
allora non si hanno notizie certe.
Nelle prossime ore sono previsti, oltre a manifestazioni civili, incontri
di preghiera nelle moschee e nelle
chiese del Paese.
TRIPOLI, 13. Mentre riprendono oggi ad Algeri i negoziati sotto l’egida
dell’Onu, presente l’inviato speciale
Bernardino León, le potenze occidentali tornano a parlare con una
voce sola per chiedere la cessazione
delle ostilità tra le due fazioni rivali:
il Parlamento internazionalmente riconosciuto di Tobruk e quello islamista di Tripoli. In una dichiarazione congiunta, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna e
Italia sono tornati a chiedere una
tregua incondizionata.
«Esortiamo con forza tutti i partecipanti al dialogo a negoziare in
buona fede e a usare questa opportunità per definire un accordo sulla
formazione di un Governo di unità
nazionale e a mettersi d’accordo su
un incondizionato cessate il fuoco»,
si legge nella dichiarazione congiunta firmata dal ministro degli Esteri
francese Laurent Fabius, dal tedesco
Frank-Walter Steinmeier, dallo spagnolo José Manuel García-Margallo, dall’italiano Paolo Gentiloni, dal
britannico Philip Hammond, e dal
segretario di Stato americano John
Kerry.
Nella lettera i sei ministri chiedono «l’immediata fine dei raid aerei e
delle offensive di terra» perché queste sono «provocazioni che minano
i negoziati Onu e minacciano le
chance di una riconciliazione». Per
tentare di unire i fronti opposti i
ministri ricordano che «la crescente
minaccia terroristica (rappresentata
dal cosiddetto Stato islamico e altre
formazioni) rappresenta una grave
preoccupazione per la comunità internazionale» e questo potrebbe
portare a sanzioni Onu su quelle
parti che minacciano la pace, la stabilità e la sicurezza della Libia.
Riferimento minaccioso, quest’ultimo, secondo gli analisti più rivolto
a Tobruk che a Tripoli. La prima
parte, grazie alle truppe guidate dal
generale Khalifa Haftar, sta cogliendo successi contro la coalizione islamista di Alba Libica (Fajr) che ha
assunto il controllo della capitale lo
scorso agosto. Tobruk preferisce
scommettere su una eventuale disfatta degli islamisti piuttosto che
legarsi le mani negoziando un’intesa
con la mediazione delle Nazioni
Unite.
Nel frattempo, non si ferma la
violenza nel Paese nordafricano: è
di almeno 14 morti e 63 feriti il bilancio di cruenti scontri a Bengasi,
mentre a Tripoli un attacco all’ambasciata della Corea del Sud ha provocato due morti e una bomba collocata all’ingresso dell’ambasciata
del Marocco solo danni materiali.
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L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 13-14 aprile 2015
lunedì-martedì 13-14 aprile 2015
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Nel centenario dello sterminio degli armeni generalmente considerato «il primo genocidio del xx secolo» il Papa ricorda che anche oggi assistiamo a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione
Dal dolore alla riconciliazione
Senza memoria la ferita resta aperta
Solo con la pace le nuove generazioni possono aprirsi a un futuro migliore
Al termine della messa, il Pontefice ha
consegnato ai patriarchi e al presidente della
Repubblica dell’Armenia il seguente
messaggio.
Il male non proviene mai da Dio e non deve assolutamente trovare nel suo santo nome alcuna giustificazione
All’inizio della messa celebrata nella basilica vaticana domenica mattina, 12 aprile, seconda di Pasqua o
della Divina misericordia, Papa Francesco ha pronunciato il seguente saluto.
Cari fratelli e sorelle armeni, cari fratelli e
sorelle!
In diverse occasioni ho definito questo tempo
un tempo di guerra, una terza guerra mondiale “a pezzi”, in cui assistiamo quotidianamente
a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla
follia della distruzione. Purtroppo ancora oggi
sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa
della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi — decapitati, crocifissi, bruciati
vivi —, oppure costretti ad abbandonare la loro terra.
Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che
esclama: «A me che importa?»; «Sono forse io
il custode di mio fratello?» (Gen 4, 9; Omelia a
Redipuglia, 13 settembre 2014).
La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella
che generalmente viene considerata come «il
primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001); essa ha colpito il
vostro popolo armeno — prima nazione cristiana —, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli
assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi,
sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e
persino bambini e malati indifesi. Le altre due
furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo
stalinismo. E più recentemente altri stermini di
massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in
Burundi, in Bosnia. Eppure sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente. Sembra che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda guerra mondiale stia scomparendo e dissolvendosi. Pare che la famiglia
umana rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi
c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con
l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che «la guerra è una follia, una
inutile strage» (cfr. Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014).
Cari fedeli armeni, oggi ricordiamo con cuore trafitto dal dolore, ma colmo della speranza
nel Signore Risorto, il centenario di quel tragico evento, di quell’immane e folle sterminio,
che i vostri antenati hanno crudelmente patito.
Ricordarli è necessario, anzi, doveroso, perché
laddove non sussiste la memoria significa che il
male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o
negare il male è come lasciare che una ferita
continui a sanguinare senza medicarla!
Vi saluto con affetto e vi ringrazio per la vostra testimonianza.
Saluto e ringrazio per la sua presenza il Signor Serž Sargsyan, Presidente della Repubblica di Armenia.
Saluto cordialmente anche i miei fratelli Patriarchi e Vescovi: Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni; Sua Santità Aram I, Catholicos della Gran-
Gesù colma l’abisso
San Giovanni, che era presente nel Cenacolo con gli altri discepoli quella sera del primo giorno dopo il sabato, riferisce che Gesù venne in mezzo a loro, disse: «Pace a
voi!», e «mostrò loro le mani e il fianco»
(20, 19-20), mostrò le sue piaghe. Così essi
riconobbero che non era una visione, era
proprio Lui, il Signore, e furono pieni di
gioia.
Otto giorni dopo Gesù venne di nuovo
nel Cenacolo e mostrò le piaghe a Tommaso, perché le toccasse come lui voleva, per
poter credere e diventare anch’egli un testimone della Risurrezione.
Anche a noi, oggi, in questa Domenica
che san Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, il Signore
mostra, mediante il Vangelo, le sue piaghe.
Sono piaghe di misericordia. È vero: le piaghe di Gesù sono piaghe di misericordia.
Nelle [loro] sue piaghe noi siamo stati guariti.
Gesù ci invita a guardare queste piaghe,
ci invita a toccarle, come ha fatto con Tommaso, per guarire la nostra incredulità. Ci
invita soprattutto ad entrare nel mistero di
queste piaghe, che è il mistero del suo amore misericordioso.
Attraverso di esse, come in una breccia
luminosa, noi possiamo vedere tutto il mistero di Cristo e di Dio: la sua Passione, la
sua vita terrena — piena di compassione per
i piccoli e i malati — la sua incarnazione nel
grembo di Maria. E possiamo risalire a ritroso tutta la storia della salvezza: le profezie — specialmente quella del Servo di
Jahweh —, i Salmi, la Legge e l’alleanza, fino alla liberazione dall’Egitto, alla prima
pasqua e al sangue degli agnelli immolati; e
ancora ai Patriarchi fino ad Abramo e poi
C’è un “ecumenismo di sangue” che con il
tempo feconda gli sforzi comuni delle
Chiese verso l’unità. Un passo in tal senso
è stato compiuto nel ricordo del Metz Yeghern, il “grande male” che colpì il popolo
armeno nel 1915. Proprio nel segno della
memoria che guarisce le ferite, Papa Francesco ha scambiato un abbraccio di pace
con Karekin II, patriarca supremo e catholicos di tutti gli armeni, e Aram I, catholicos
di Cilicia. Un gesto di fraterna amicizia
compiuto all’altare della Confessione della
basilica vaticana nella mattina del 12 aprile,
II domenica di Pasqua o della Divina misericordia, durante la messa — celebrata da
Papa Francesco e concelebrata da Nerses
Bedros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia
degli armeni — in occasione del centenario
del martirio armeno, con il rito di proclamazione a dottore della Chiesa di san Gregorio di Narek.
Dopo il saluto pronunciato dal Pontefice
all’inizio del rito liturgico, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione
delle cause dei santi, ha chiesto a Francesco
di proclamare dottore della Chiesa universale il monaco armeno morto nel 1005.
«Fin dai primi secoli dell’era cristiana — ha
detto tra l’altro il porporato — lo Spirito
Santo ha acceso in Oriente numerose stelle,
ossia uomini santi e saggi che con l’esempio della loro vita e con l’insegnamento
hanno spianto la strada alla conoscenza dei
misteri di Dio e all’incontro con Cristo». Il
cardinale ha poi sottolineato come a circa
cento anni dalla proclamazione a dottore
della Chiesa universale di un altro figlio
nella notte dei tempi fino ad Abele e al suo
sangue che grida dalla terra. Tutto questo
possiamo vedere attraverso le piaghe di Gesù Crocifisso e Risorto, e come Maria nel
Magnificat possiamo riconoscere che «la sua
misericordia si stende di generazione in generazione» (cfr. Lc 1, 50).
Di fronte agli eventi tragici della storia
umana rimaniamo a volte come schiacciati,
e ci domandiamo «perché?». La malvagità
umana può aprire nel mondo come delle
voragini, dei grandi vuoti: vuoti di amore,
vuoti di bene, vuoti di vita. E allora ci domandiamo: come possiamo colmare queste
voragini? Per noi è impossibile; solo Dio
può colmare questi vuoti che il male apre
nei nostri cuori e nella nostra storia. È Gesù, fatto uomo e morto sulla croce, che colma l’abisso del peccato con l’abisso della
sua misericordia.
San Bernardo, in un suo commento al
Cantico dei Cantici (Disc. 61, 3-5; Opera
omnia 2, 150-151), si sofferma proprio sul
mistero delle piaghe del Signore, usando
espressioni forti, audaci, che ci fa bene riprendere oggi. Dice che «attraverso le ferite
del corpo si manifesta l’arcana carità del
cuore [di Cristo], si fa palese il grande mistero dell’amore, si mostrano le viscere di
misericordia del nostro Dio».
Ecco, fratelli e sorelle, la via che Dio ci
ha aperto per uscire, finalmente, dalla
schiavitù del male e della morte ed entrare
nella terra della vita e della pace. Questa
Via è Lui, è Gesù, Crocifisso e Risorto, e
sono in particolare le sue piaghe piene di
misericordia.
I Santi ci insegnano che il mondo si
cambia a partire dalla conversione del proprio cuore, e questo avviene grazie alla misericordia di Dio. Per questo, sia davanti ai
miei peccati sia davanti alle grandi tragedie
del mondo, «la coscienza si turberà, ma
Ecumenismo
del sangue
della Chiesa d’Oriente, sant’Efrem il siro,
viene richiesto lo stesso onore e titolo a
Gregorio di Narek, «maestro e gloria del
popolo armeno». Questo grande teologo,
«mistico e poeta, comunicò l’esperienza
spirituale ed ecclesiale con la vita e con
l’insegnamento dogmatico, trasmettendo la
teologia attraverso la via della bellezza».
Infine, il porporato ha sottolineato che la
richiesta è resa ancor più ricca di senso e di
valore nella ricorrenza «del primo centenario del grande male, che con efferata violenza colpì il popolo armeno». E proprio in
questo contesto «risplende ancora di più la
straordinaria figura di san Gregorio di Narek, seminatore di speranza e costruttore di
pace», ha concluso il cardinale Amato, prima che il postulatore per il dottorato, l’arcivescovo di Istanbul degli armeni, Lévon
Boghos Zékiyan, leggesse la biografia del
santo.
Alla preghiera universale sono state elevate intenzioni in spagnolo per la Chiesa,
in arabo per l’educazione delle menti dei
potenti, in tedesco per i dubbiosi, in portoghese per i popoli, in armeno per le terre e
le genti dell’Anatolia.
Insieme con Francesco e il patriarca Tarmouni hanno concelebrato i cardinali Koch, Sandri, Ouellet, Calcagno, Poli, Bertone e Coccopalmerio; il patriarca di Antio-
de Casa di Cilicia; Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici; e i due Catholicossati della Chiesa Apostolica Armena e il Patriarcato della Chiesa Armeno-Cattolica.
Con la ferma certezza che il male non proviene mai da Dio, infinitamente Buono, e radi-
cati nella fede, professiamo che la crudeltà non
può mai essere attribuita all’opera di Dio e, per
di più, non deve assolutamente trovare nel suo
Santo Nome alcuna giustificazione. Viviamo
insieme questa Celebrazione fissando il nostro
sguardo su Gesù Cristo Risorto, Vincitore della
morte e del male!
un secolo è trascorso da quell’orribile
massacro che fu un vero martirio del vostro popolo, nel quale molti innocenti
morirono da confessori e martiri per il
nome di Cristo (cfr. Giovanni Paolo II e
Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001). Non vi è famiglia armena ancora oggi, che non abbia
perduto in quell’evento qualcuno dei suoi
cari: davvero fu quello il Metz Yeghern, il
“Grande Male”, come avete chiamato
quella tragedia. In questa ricorrenza provo un sentimento di forte vicinanza al vostro popolo e desidero unirmi spiritualmente alle preghiere che si levano dai vostri cuori, dalle vostre famiglie, dalle vostre comunità.
Il più piccolo tra i poeti
Pubblichiamo il testo latino della
lettera apostolica per la proclamazione
di san Gregorio di Narek a dottore
della Chiesa.
La malvagità umana apre nel mondo delle voragini
Di seguito il testo dell’omelia di Papa
Francesco.
Cari fratelli e sorelle armeni,
LITTERAE APOSTOLICAE
quibus sanctus Gregorius Narecensis
Doctor Ecclesiae universalis
renuntiatur.
FRANCISCUS PP.
Ad perpetuam rei memoriam.
non ne sarà scossa perché mi ricorderò delle ferite del Signore. Infatti “è stato trafitto
per i nostri delitti” (Is 53, 5). Che cosa vi è
di tanto mortale che non possa essere disciolto dalla morte di Cristo?» (ibid.).
Tenendo lo sguardo rivolto alle piaghe di
Gesù Risorto, possiamo cantare con la
Chiesa: «Il suo amore è per sempre» (Sal
117, 2); la sua misericordia è eterna. E con
queste parole impresse nel cuore, camminiamo sulle strade della storia, con la mano
nella mano del nostro Signore e Salvatore,
nostra vita e nostra speranza.
chia dei siri, Ignace Youssif III Younan, e i
vescovi del Sinodo della Chiesa armenocattolica.
Con il corpo diplomatico accreditato
presso la Santa Sede erano gli arcivescovi
Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e
Gallagher, segretario per i Rapporti con gli
Stati; i monsignori Wells, assessore, e Bettencourt, capo del Procollo. Tra i presenti,
l’arcivescovo prefetto della Casa Pontificia
Gänswein, il vescovo Farrell e monsignor
Palmieri — rispettivamente segretario e sotto-segretario del Pontificio Consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani — e il
medico Polisca.
I canti sono stati eseguiti dalla schola
della Cappella Sistina, coadiuvata dal coro
guida Mater Ecclesiae e da cori armeni dal
Libano e dall’Armenia. Studenti del collegio armeno e alcuni monaci del monastero
di San Lazzaro in Venezia hanno svolto
servizio come ministranti.
Al termine della messa i patriarchi Nerses
Bedros XIX, Karekin II e Aram I hanno elevato la preghiera per i martiri armeni, seguita dal canto del Padre nostro nella loro
lingua. Infine i tre patriarchi hanno rivolto
parole di saluto e di ringraziamento al Pontefice. La celebrazione si è conclusa con il
canto del Regina caeli. Successivamente,
nella cappella della Pietà, il Papa ha consegnato a ogni patriarca e al presidente della
Repubblica dell’Armenia, Serzh Sargsyan —
presente al rito — un messaggio in copie
autografe in italiano e nella traduzione in
lingua armena.
«Vidimus stellam eius in oriente et
venimus adorare eum» (Mt 2, 2).
Stella, quae in orientis caelo apparuerat, in mente et corde Magorum
lumen accendit, quod ad quaerendam veram lucem eosdem incitavit,
quae mundum illuminat (cfr. Io 8,
12), Dominum Iesum Christum, longum post iter Bethleem inventum
adoratumque: «Viderunt puerum
cum Maria matre eius, et procidentes adoraverunt eum» (Mt 2, 11).
Inde a primis saeculis christianae
religionis in oriente alias innumeras
stellas accendit Spiritus Sanctus, scilicet sanctos prudentesque homines,
qui suae vitae exemplis ac doctrina
ad Dei mysteria cognoscenda et
Christum conveniendum expeditius
effecerunt iter. Stella perquam fulgida, quae numquam est exstincta, fuit
etiam presbyter et monachus sanctus
Gregorius Narecensis, magister et dilecti populi Armeni decus. Insignis
hic theologus, mysticus et poeta sua
sapientia evangelica ac insigni sua
doctrina theologica, nostro quoque
tempore suae genti Ecclesiaeque universali loqui pergit, quem inde ab
antiquis temporibus ipsa uti sanctum
colit. Continuata eius fama cum meditationum precationumque libro coniungitur, cuius titulus Liber Lamentationum, sed qui vulgo ab Armeno
populo est cognominatus Narecensis.
Praeter Evangelium in Armenia de
scripto agitur maxime venerato et
evulgato. Post hoc volumen finitum
Gregorius Narecensis de se addit:
«minimus inter poetas, postremus
inter doctores». Reapse eius perspectis scriptis, quae magno poetico
afflatu pervaduntur atque amplo cultu, alto mystico sensu ac latis biblicis cognitionibus distinguuntur, procul dubio non est «minimus inter
poetas» neque «postremus inter
doctores».
Ad verisimiliores opiniones in historica regione Andzevatsik circiter
anno CML natus est. Eius pater,
Khosrov Andzevatsi, luculentus fuit
scriptor ac serius actuosus episcopus.
Gregorius in familia litterarum cultrice adolevit, quae ipsius institutionem fulsit. Praeter parentem, traditio etiam duorum fratrum rettulit
nomina, quorum senior fuit Ioannes
et iunior Sahak, atque magistrum
Ananiam Narekatsi, qui eius matris
fuit consobrinus et monasterii Narecensis abbas, qui ad eius iuvenis familiaris alumnique spiritalem cultu-
San Gregorio di Narek proclamato dottore della Chiesa
ralemque provectionem multum contulit.
Gregorius iuvenis monasterium
Narecense est ingressus, quod saeculo X apud ripam meridianam orientalem lacus Van conditum est, ubi
praeclara aderat schola Sacrarum
Scripturarum et patrologiae, atque
ubi omnem suam religiosam intellectualemque vitam exegit, sanctitatis et
mysticae experientiae fastigium attingens atque suam doctrinam variis
in theologicis mysticisque operibus
exprimens demonstransque. Dogmaticis quoque controversiis operam
dedit, respuens potissimum haereticas opinationes sectae Thondrakianorum, ac quoad doctrinam etiam
oppugnatus et falso insimulatus.
Iam vivens Gregorius Narecensis
sanctitatis miraculorumque egregia
est circumdatus fama et praeclarae
doctrinae et impensae spiritalitatis
est habitus vir. Circiter anno MV e
vita cessit, id est paulo post Librum
Lamentationum scriptum, anno vero
MIII. In monasterio Narecensi, prope
templum sanctae Sandukht est sepultus. Continuo post obitum sanctus est veneratus atque ad eius sepulcrum accedere consueverunt Armeni fideles. Eius memoriam firmius
tenuit populus, etiam post territorium anno MLXXI vastatum. Ferales
post eventus et caedes annorum
MCMXV-MCMXVI sive monasterium sive sancti monachi Armeni sepulcrum prorsus deleta sunt.
Gregorii Narecensis
nomen Armenae Ecclesiae in calendarium
mature est illatum atque die XXVII mensis
Februarii
festum
statutum est. Hac
die eius memo-
ria etiam apud Martyrologium Romanum invenitur, ubi Armenus monachus ut sanctus exhibetur, magnus
quidem mysticus ac “doctor Armenorum”. Suas propter eximias theologicas cogitationes nec non doctrinae dogmaticae mysticaeque vim
saeculorum decursu crebrescentem
famam obtinuit. Eius intercessioni
complura miracula sunt adscripta.
Haud ille multum scripsit. Ipsius
maxime celebratum opus fuit Liber
Lamentationum. Quaedam eiusdem
sunt relatae laudationes (Sanctae
Crucis, Dei Matris, sanctorum Apostolorum, sancti Iacobi Nisibensis),
hymni et odes (circiter viginti carmina religiosa), in Canticum Canticorum commentarium atque epistula
tractatus abbati Kedchav missa in
qua de Ecclesiae mysteriis et de haeresi Thondrakianorum agitur. Quaedam an ad eum pertineant dubitatur, scilicet Commentarium in Iob,
«Oratio de recta fide inculcanda et
de integra virtute tenenda», homilia
de conscientiae examine, canon precationum, consolationis sermo pro
defunctis, commentarium denique in
precationem quae est Pater Noster.
Altas ob suas theologicas sententias, novas suas cogitationes et suae
poesis vim sive a populo sive a doctis hominibus semper est magni aestimatus. Magis ac magis quibusdam
Ecclesiae Patribus est comparatus,
scilicet
Ioanni
Chrysostomo,
Ephraem Syro, Gregorio Illuminatori. Ipsius opus gradatim omnem vitae religiosae cultusque provinciam
pervasit: poesim, miniaturam, musicam, hagiographiam, liturgiam et
laographiam.
Insuper Gregorius Narecensis ante omnia defensorem
se praestat et theologum
supernaturalis
efficaciae
sacramentorum. Copia de
hac re tractanda ei praebita est doctrinae erroribus Thondrakianorum, qui
religionis christianae originem repetere prae se ferebant,
hierarchiam, sacramenta, Ecclesiam et liturgiam respuentes. Ipsorum quidem caritatis fraternique
amoris una erant praecepta.
Gregorius saepenumero de
his egit ut efficaciam sacramentorum et ministerium
San Gregorio di Narek
sacramentale transmissionis Ecclesiaeque mediationis confirmaret, gratiae divinae vitaeque interioris comprobans momentum.
Quoad alias eiusdem dogmaticas
sententias, Gregorius Narecensis principem locum Sanctissimae Trinitati
tribuit, cuius effigiem in hominis
anima cernit ac potissimum cum
theologalibus virtutibus comparationem instituit. Ad eiusdem mentem
trinitarium mysterium intellegitur
cum Verbum incarnatum consideratur. Hoc modo trinitaria familiaritas
obtinetur Eius, qui ante omnia saecula natus est a Patre. Sat scimus relationem, qua Spiritus Sanctus distinguitur ab aliis duabus Personis,
aliter Orientalem interpretari quam
traditionem Latinam, saeculis quaestione Filioque obstrictam. Constantinopolitana formula firmiter retenta,
Gregorius Narecensis trinitarium Incarnationis nexum in lucem profert,
traditioni Armenae fidelis. Intellegit
insuper Spiritum Sanctum veluti caritatis experientiam inter Patrem et
Filium, affirmans porro tres divinas
Personas in creationis opere implicari.
Peculiarem locum obtinet Panaghia, “Ea quae nihil aliud est quam
sanctitas”, “Tota Sancta”, cuius Gregorius extollere titulos “Matris Domini” non desinit et “Matris Dei”,
cuiusque totam puritatem magnificat
et maxime angelicam innocentiam
collustrat Eius quae e Creatoris manibus intemerata orta est. Unde necessitas adest magna in Maria privilegia praesumendi, quae cum divinae
maternitatis munere coniunguntur,
ut Immaculata Conceptio et Assumptio in caelum, atque utique «absoluta coram peccato Deiparae invulnerabilis natura, atque ipsius officium Mediatricis, ut inter Deum et
Hominem pontis». Verbum LXXX
Gregorii merito «inter praeclariores
precationes [Mariales], ex hominis
corde manantes» recensetur.
Aliae theologicae et mysticae considerationes Gregorii Narecensis Verbi Incarnationi dicantur, perfecti hominis ac Dei, cuius divinitatem et ab
aeterno generationem semper tuita
est Ecclesia Armena; Ecclesiae, quae
est credentium populus, Christi
Sponsa, Domini Arca, omnium credentium mater, quae christifideles
coniungit cum angelis cuiusque nationales peculiaritates in universalem
Ecclesiam confluere debent; sacramentis, iis potissimum quae ad christianam initiationem attinent, nominatim baptismo qui hominem per
Ecclesiae mediatricem actionem novam creaturam efficit, confirmationi
sacri chrismatis unctione quae Trinitatis in christiani anima inhabitationem corroborat, paenitentiae tandem
sacramento.
Apud Gregorium admodum peculiaris pars de re mystica agit, quae
non est experientia rerum tantum
humanarum vel naturalis spiritus
elatio, sed Dei tactus, fructus superioris illuminationis, quae homini
praebetur quaeque directo cum fidei
actu nectitur, id est absolutae acceptione fiduciae, tota deditione qua
sua in vita homo se manifestanti, loquenti, invadenti Deo reserat, cuius
ideo experientia ad transformantem
beatificantemque
coniunctionem
perducit.
Experientiae mysticae Narecensis
peculiaritas haec prae se fert summatim elementa: I certum deformitatis
peccati sensum; II transcendentiae
Dei sensum, qui secum fert totam
peccati repulsam; III humanae finitionis coram Deo sensum; IV perceptionem humanum verbum ad exprimendum et se exprimendum omnino
esse incongruum; V perceptionem
decretorium esse gratiae opus, quae
humani verbi vacuitatem superat et
imbecillitatem ac plenitudini omnipotentiaeque redemptrici divini Verbi reserat; VI progressum tandem
cuiusdam habitus, qui definitur
“mystica abyssi”, ubi apophasis substituitur aphasia, quae est dicendi incapacitas, quae summatim perstringit inter “verbum” et “Verbum” dialecticae salvificae difficultatem.
Sanctus iam vivus habitus et post
mortem, ipse ob perfectam fidei orthodoxiam potissimum eminet. Suae
nationis Ecclesiae persequens traditionem, Concilii Oecumenici Ephesini (anni CDXXXI) christologiam ipse
tenuit, ita ut in Concordiae Formula
explicatur, quam Ioannes Antiochenus confecit, quamque verbum de
verbo anno CDXXXIII accepit Cyrillus
Alexandrinus,
Ecclesiae
doctor:
«Nos itaque confitemur Dominum
nostrum Iesum Christum, Dei Filium, Unigenitum, perfectum Deum
et perfectum hominem».
Doctrinalis eius haereditas prorsus
peculiaritate pollet. Eius ad mentem
theologia magis est ars Deo quam
de Deo loquendi. Cum quidem omni dolo et omni fucato sermone
exuitur, ut Creatoris intuitus directo
attingatur, homo sui peccati fit conscius, sed magis redemptionis gratiam percipit, id est divinum amorem eiusque potentiam. Arbitramur
insuper eius doctrinam bonum esse
universalis
Ecclesiae,
liquidam
aquam ac panem omni aetate alentem et in omnibus regionibus.
Has cunctas propter causas, sacri
Armeniae Pastores saepius a Summis
Pontificibus flagitarunt ut sanctus
Gregorius Narecensis doctor proclamaretur Ecclesiae Universalis. Postulationem memoramus, quam anno
MCMLXXXVIII Patriarcha Ioannes Petrus XVIII Kasparian Summo Pontifici sancto Ioanni Paulo II attulit. Ad
Praefecti tunc Congregationis pro
Doctrina Fidei, Iosephi S.R.E. Cardinalis Ratzinger consilium, inquisitiones de sanctitate et doctrina sancti
Gregorii Narecensis agitari sunt
coeptae, quae copiosos fructus genuerunt. Hac de re multum quoque
egit Patriarcha Narcissus Petrus XIX
Tarmouni, qui Summo Pontifici Benedicto XVI postulationem iteravit.
Cum primum saeculum adpeteret
Armenorum
caedis
(ab
anno
MCMXV), idem Patriarcha a Nobis
quaesivit ut sanctus Gregorius universalis Ecclesiae Doctor proclamaretur, hac vertente centenaria memoria. Nobis consentientibus, Positio
super Ecclesiae Doctoratu parata est.
Congregatio pro Doctrina Fidei candidati eminentem doctrinam est suffragata. Theologi Consultores Con-
gregationis de Causis Sanctorum, in
congressione peculiari die XIII mensis Ianuarii anno MMXV coadunati,
peculiaritatem, universalitatem theologicumque
pondus
scriptorum
sancti Gregorii iudicaverunt et unanimiter comprobaverunt, qui mirabiliter theologiam et mysticam coniunxit. Die XVII mensis Februarii eiusdem anni, Causam ponente Venerabili Fratre Nostro Angelo S.R.E. Cardinali Amato, Congregationis de
Causis Sanctorum Praefecto, Sessio
Plenaria Cardinalium Episcoporumque eiusdem Dicasterii habita est, qui in
doctrina sancti Armeni ea signa agnoverunt, quae requiruntur ad proclamationem Doctoris Ecclesiae. In Audientia die
XXI mensis Februarii
anno MMXV eidem
Praefecto
concessa,
libenter Cardinalium
Episcoporumque vota
recepimus, statuentes
Nos Doctoris Ecclesiae universalis titulum sancto Gregorio
Narecensi collaturos,
interveniente sollemni
celebratione in Papali
Basilica S. Petri, die
XII mensis Aprilis.
Quod hodie, Deo
iuvante
cunctaque
plaudente
Ecclesia,
praesertim pastoribus
et fidelibus Armenorum, factum est. In
Petriano enim templo, plurimis adstantibus S.R.E. Cardinalibus sacrisque et
Romanae Curiae et Catholicae Ecclesiae Praesulibus cum Patriarcha
Ciliciae Armenorum, acta omnia
confirmantes et petitorum vota perlibenter implentes, haec inter divinum
sacrificium pronuntiavimus verba:
«Nos, vota plurimorum Fratrum
in Episcopatu multorumque christifidelium totius orbis explentes, de
Congregationis de Causis Sanctorum
consulto, praehabito voto Congregationis pro Doctrina Fidei ad eminentem doctrinam quod attinet, certa
scientia ac matura deliberatione deque apostolicae potestatis plenitudine Sanctum Gregorium Narecensem,
presbyterum et monachum, Ecclesiae
universalis Doctorem declaramus. In
nomine Patris et Filii et Spiritus
Sancti».
Haec edicimus et statuimus decernentes praesentes Litteras firmas, validas atque efficaces semper exstare
ac permanere suosque plenos atque
integros effectus sortiri et obtinere;
sicque rite indicandum esse ac definiendum; irritumque ex nunc et inane fieri, si quidquam secus, super
his, a quovis, auctoritate qualibet,
scienter sive ignoranter attentari contigerit.
Datum Romae, apud Sanctum
Petrum, sub anulo Piscatoris, die
duodecimo mensis Aprilis, Dominica
II Paschae seu Divinae
Misericordiae, anno Domini
bismillesimo quinto decimo,
Pontificatus Nostri tertio.
Ci è data un’occasione propizia di pregare insieme nell’odierna celebrazione, in
cui proclamiamo Dottore della Chiesa san
Gregorio di Narek. Esprimo viva gratitudine per la loro presenza a Sua Santità
Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni, a Sua Santità
Aram I, Catholicos della Grande Casa di
Cilicia, e a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni
Cattolici.
San Gregorio di Narek, monaco del X
secolo, più di ogni altro ha saputo esprimere la sensibilità del vostro popolo,
dando voce al grido, che diventa preghiera, di un’umanità dolente e peccatrice,
oppressa dall’angoscia della propria impotenza ma illuminata dallo splendore
dell’amore di Dio e aperta alla speranza
del suo intervento salvifico, capace di trasformare ogni cosa. «In virtù della sua
potenza, io credo con una speranza che
non tentenna, in sicura attesa, rifugiandomi nelle mani del Potente ... di vedere
Lui stesso, nella sua misericordia e tenerezza e nell’eredità dei Cieli» (San Gregorio di Narek, Libro delle Lamentazioni,
XII).
La vostra vocazione cristiana è assai antica e risale al 301, anno in cui san Gregorio l’Illuminatore guidò alla conversione e
al battesimo l’Armenia, la prima tra le nazioni che nel corso dei secoli hanno abbracciato il Vangelo di Cristo. Quell’evento spirituale ha segnato in maniera indelebile il popolo armeno, la sua cultura e la
sua storia, nelle quali il martirio occupa
un posto preminente, come attesta in modo emblematico la testimonianza sacrificale di san Vardan e dei suoi compagni
nel V secolo.
Il vostro popolo, illuminato dalla luce
di Cristo e con la sua grazia, ha superato
tante prove e sofferenze, animato dalla
speranza che deriva dalla Croce (cfr. Rm
con ferma responsabilità, senza cedere ad
ambiguità e compromessi.
Questa dolorosa ricorrenza diventi per
tutti motivo di riflessione umile e sincera
e di apertura del cuore al perdono, che è
fonte di pace e di rinnovata speranza.
San Gregorio di Narek, formidabile interprete dell’animo umano, sembra pronunciare per noi parole profetiche: «Io mi sono volontariamente caricato di tutte le
colpe, da quelle del primo padre fino a
quello dell’ultimo dei suoi discendenti, e
me ne sono considerato responsabile»
(Libro delle Lamentazioni, LXXII). Quanto
ci colpisce questo suo sentimento di universale solidarietà! Come ci sentiamo piccoli di fronte alla grandezza delle sue invocazioni: «Ricordati, [Signore,] ... di
quelli che nella stirpe umana sono nostri
nemici, ma per il loro bene: compi in loro
perdono e misericordia (...) Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali!
Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (ibid.,
LXXXIII).
Dio conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno
e quello turco, e la pace sorga anche nel
Nagorno Karabakh. Si tratta di popoli
che, in passato, nonostante contrasti e
tensioni, hanno vissuto lunghi periodi di
pacifica convivenza, e persino nel turbine
delle violenze hanno visto casi di solidarietà e di aiuto reciproco. Solo con questo
spirito le nuove generazioni possono
aprirsi a un futuro migliore e il sacrificio
di molti può diventare seme di giustizia e
di pace.
Per noi cristiani, questo sia soprattutto
un tempo forte di preghiera, affinché il
sangue versato, per la forza redentrice del
sacrificio di Cristo, operi il prodigio della
piena unità tra i suoi discepoli. In particolare rinsaldi i legami di fraterna amicizia che già uniscono la Chiesa Cattolica e
8, 31-39). Come ebbe a dirvi san Giovanni
Paolo II: «La vostra storia di sofferenza e
di martirio è una perla preziosa, di cui va
fiera la Chiesa universale. La fede in Cristo, redentore dell’uomo, vi ha infuso un
coraggio ammirevole nel cammino, spesso
tanto simile a quello della croce, sul quale
avete avanzato con determinazione, nel
proposito di conservare la vostra identità
di popolo e di credenti» (Omelia, 21 novembre 1987).
Questa fede ha accompagnato e sorretto il vostro popolo anche nel tragico
evento di cento anni fa che «generalmente viene definito come il primo genocidio
del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune, Etchmiadzin,
27 settembre 2001). Il Papa Benedetto XV,
che condannò come «inutile strage» la
Prima Guerra Mondiale (AAS, IX [1917],
429), si prodigò fino all’ultimo per impedirlo, riprendendo gli sforzi di mediazione già compiuti dal Papa Leone XIII di
fronte ai «funesti eventi» degli anni 18941896. Egli scrisse per questo al sultano
Maometto V, implorando che fossero risparmiati tanti innocenti (cfr. Lettera del
10 settembre 1915) e fu ancora lui che, nel
Concistoro Segreto del 6 dicembre 1915,
affermò con vibrante sgomento: Miserrima Armenorum gens ad interitum prope ducitur, (AAS, VII [1915], 510).
Fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo per il popolo armeno e
per la Chiesa universale, ma per l’intera
famiglia umana, perché il monito che viene da questa tragedia ci liberi dal ricadere
in simili orrori, che offendono Dio e la
dignità umana. Anche oggi, infatti, questi
conflitti talvolta degenerano in violenze
ingiustificabili, fomentate strumentalizzando le diversità etniche e religiose. Tutti coloro che sono posti a capo delle Nazioni e delle Organizzazioni internazionali sono chiamati ad opporsi a tali crimini
la Chiesa Armena Apostolica. La testimonianza di tanti fratelli e sorelle che, inermi, hanno sacrificato la vita per la loro fede, accomuna le diverse confessioni: è
l’ecumenismo del sangue, che condusse
san Giovanni Paolo II a celebrare insieme,
durante il Giubileo del 2000, tutti i martiri del XX secolo. Anche la celebrazione di
oggi si colloca in questo contesto spirituale ed ecclesiale. A questo evento partecipano rappresentanze delle nostre due
Chiese e si uniscono spiritualmente numerosi fedeli sparsi nel mondo, in un segno che riflette sulla terra la comunione
perfetta che esiste tra gli spiriti beati del
cielo. Con animo fraterno, assicuro la mia
vicinanza in occasione della cerimonia di
canonizzazione dei martiri della Chiesa
Armena Apostolica, che avrà luogo il 23
aprile prossimo nella Cattedrale di Etchmiadzin, e alle commemorazioni che si
terranno ad Antelias in luglio.
Affido alla Madre di Dio queste intenzioni con le parole di san Gregorio di Narek:
«O purezza delle Vergini, corifea dei
beati,
Madre dell’edificio incrollabile della
Chiesa,
Genitrice del Verbo immacolato di Dio,
(...)
rifugiandoci sotto le ali sconfinate di
difesa della tua intercessione,
innalziamo le nostre mani verso di te,
e con indubitata speranza crediamo di
essere salvati».
(Panegirico alla Vergine)
Dal Vaticano, 12 aprile 2015
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 13-14 aprile 2015
Verso il giubileo straordinario della misericordia
Tempo di risveglio
«La Chiesa, in questo momento di grandi cambiamenti
epocali, è chiamata ad offrire più fortemente i segni della
presenza e della vicinanza di Dio. Questo non è il tempo per
la distrazione, ma al contrario per rimanere vigili e
risvegliare in noi la capacità di guardare all’essenziale». Lo
Risuona ancora in tutti noi il saluto
di Gesù Risorto ai suoi discepoli la
sera di Pasqua: «Pace a voi!» (Gv
20, 19). La pace, soprattutto in queste settimane, permane come il desiderio di tante popolazioni che subiscono la violenza inaudita della discriminazione e della morte, solo
perché portano il nome cristiano. La
nostra preghiera si fa ancora più intensa e diventa un grido di aiuto al
Padre ricco di misericordia, perché
sostenga la fede di tanti fratelli e so-
Nelle tre
basiliche papali
ha sottolineato Papa Francesco presiedendo nella basilica
Vaticana sabato pomeriggio, 11 aprile, i primi vespri della
domenica di Pasqua o della Divina misericordia, in
occasione della consegna e della lettura della bolla di
indizione del giubileo straordinario.
relle che sono nel dolore, mentre
chiediamo di convertire i nostri cuori per passare dall’indifferenza alla
compassione.
San Paolo ci ha ricordato che siamo stati salvati nel mistero della
morte e risurrezione del Signore Gesù. Lui è il Riconciliatore, che è vivo
in mezzo a noi per offrire la via della riconciliazione con Dio e tra i fratelli. L’Apostolo ricorda che, nonostante le difficoltà e le sofferenze
della vita, cresce tuttavia la speranza
nella salvezza che l’amore di Cristo
ha seminato nei nostri cuori. La misericordia di Dio si è riversata in noi
rendendoci giusti, donandoci la
pace.
Una domanda è presente nel cuore di tanti: perché oggi un Giubileo
della Misericordia? Semplicemente
II
perché la Chiesa, in questo momento di grandi cambiamenti epocali, è
chiamata ad offrire più fortemente i
segni della presenza e della vicinanza di Dio. Questo non è il tempo
per la distrazione, ma al contrario
per rimanere vigili e risvegliare in
noi la capacità di guardare all’essenziale. È il tempo per la Chiesa di ritrovare il senso della missione che il
Signore le ha affidato il giorno di
Pasqua: essere segno e strumento
della misericordia del Padre (cfr. Gv
20, 21-23). È per questo che l’Anno
Santo dovrà mantenere vivo il desiderio di saper cogliere i tanti segni
della tenerezza che Dio offre al
mondo intero e soprattutto a quanti
sono nella sofferenza, sono soli e abbandonati, e anche senza speranza
di essere perdonati e di sentirsi ama-
ti dal Padre. Un Anno Santo per
sentire forte in noi la gioia di essere
stati ritrovati da Gesù, che come
Buon Pastore è venuto a cercarci
perché eravamo smarriti. Un Giubileo per percepire il calore del suo
amore quando ci carica sulle spalle
per riportarci alla casa del Padre.
Un Anno in cui essere toccati dal Si-
Domenica 12 aprile
la bolla di indizione dell’anno
santo straordinario, Misericordiae
vultus, è stata letta nelle altre
tre basiliche papali, nel contesto
di una celebrazione liturgica.
Nella basilica di Santa Maria
Maggiore, il cardinale arciprete
Santos Abril y Castelló
ha presieduto
la messa capitolare alle 10.
Quindi nella basilica
di San Paolo fuori le Mura,
anche il cardinale arciprete James
Michael Harvey ha celebrato la
liturgia eucaristica alle 10.15.
Infine, nella basilica
di San Giovanni in Laterano,
alle 17, alcuni passi della bolla
sono stati letti dal cancelliere
della diocesi di Roma,
monsignor Giuseppe Tonello.
Quindi il cardinale arciprete
Agostino Vallini ha presieduto
la preghiera
dei secondi vespri
della seconda domenica di
Pasqua.
Dio, per offrire a tutti, a tutti, la via
del perdono e della riconciliazione.
La Madre della Divina Misericordia apra i nostri occhi, perché comprendiamo l’impegno a cui siamo
chiamati; e ci ottenga la grazia di vivere questo Giubileo della Misericordia con una testimonianza fedele
e feconda.
Davanti alla porta santa
Concluso il congresso internazionale dei consacrati
«Siate formatori beati, contenti di
poter prestare questo servizio». La
consegna è contenuta nel primo dei
dodici punti elencati nel messaggio
conclusivo — a firma del cardinale
João Braz de Aviz, e dell’arcivescovo José Rodríguez Carballo, rispettivamente, prefetto e segretario della
Congregazione per gli istituti di vita
consacrata e le società di vita apostolica — del congresso internazionale sul tema «Formati alla vita consacrata nel cuore della Chiesa e del
mondo», svoltosi dal 7 all’11 aprile a
Roma.
Un messaggio, dal titolo «Beati
formatori e formatrici», che vuole
essere un forte invito alla gioia per
trasmetterla alle nuove generazioni.
Nel testo viene data importanza alla
«formazione del cuore», non solo
dei comportamenti, ben ricordando
che «cor ad cor loquitur». Non è
passato inosservato quel riferimento
a mettersi alla scuola di Gesù per
imparare «ogni giorno l’arte del formare i cuori», perché è la passione
per Cristo che «rende formatori». Il
messaggio invita a curare la forma-
gnore Gesù e trasformati dalla sua
misericordia, per diventare noi pure
testimoni di misericordia. Ecco perché il Giubileo: perché questo è il
tempo della misericordia. È il tempo
favorevole per curare le ferite, per
non stancarci di incontrare quanti
sono in attesa di vedere e toccare
con mano i segni della vicinanza di
Le beatitudini dei formatori
zione continua, per apprendere dalla pedagogia di Gesù, ma anche dai
giovani, dagli errori e dalla vita. Occorre poi considerare che si è formatori «a tempo pieno» e dando il meglio di se stessi. Un compito di
grande responsabilità, perché è il Signore che «vi affida i giovani che
accompagnate come realtà preziosa
ai suoi occhi e che deve divenire tale anche ai vostri stessi occhi». Per
questo, è necessario un cuore grande, «per accogliere quanti il Padre
vi affida da ogni parte della terra»,
in particolare i giovani che siano
«ricchi di misericordia per “i senza
dignità”», per imparare a cercare
Dio «nelle periferie dell’esistenza, liberi di lasciarsi formare dalla vita».
Il messaggio avverte che occorre fare attenzione a non pretendere nulla
dai giovani che «non sia già vissuto
e messo in atto da voi. Senza imporre pesi impossibili e motivando
sempre ogni richiesta con la legge
della libertà dei figli di Dio, la legge
dell’amore». È opportuno poi considerare la necessità della relazione interpersonale tra formatore e formando, quale «strumento per eccellenza
dell’azione educativa».
Il testo dà ampia importanza alla
formazione dei formatori, quale
«precisa e inderogabile responsabilità dei superiori». E si conclude con
un incoraggiamento, perché «senza
il vostro servizio la vita consacrata
non potrebbe esistere, o avrebbe un
futuro incerto». Allo stesso modo,
«senza la vostra pazienza e il vostro
discernimento il popolo di Dio rischierebbe di non veder più quella
via luminosa capace di far brillare,
in un mondo che passa, il mondo
definitivo trasfigurato dalle beatitudini».
La formazione dei formatori è
emersa come esigenza comune anche nel corso del forum interdicaste-
riale, che si è svolto sabato pomeriggio, 11 aprile. Il primo a intervenire
è stato il cardinale Beniamino Stella,
prefetto della Congregazione per il
Clero, il quale ha parlato di formazione dei formatori, che non è «una
sorta di slogan del momento, ma
una permanente e grave esigenza
della vita della Chiesa, bisognosa di
donare al popolo di Dio “buoni pastori”, o “buone guide”, che possano
condurlo sulle vie del Signore». Infatti, siccome «nella buona riuscita
dell’opera formativa si gioca una
parte consistente del futuro di una
diocesi o di un istituto», è «imprescindibile che vescovi e superiori affidino tale delicato e prezioso incarico a persone veramente idonee, considerandolo uno dei ministeri di
maggior rilievo, come è ben chiaro
al magistero anche meno recente dei
Papi». D’altra parte, ha fatto notare
il porporato, la formazione è
«un’arte relazionale, che si fonda su
un rapporto e uno scambio tra chi
forma e chi è formato». Infatti,
«non c’è un soggetto agente e un
altro passivo, come se il formatore
dovesse modellare la “materia inerte” di chi è formato». Al contrario,
ci sono «due libertà, che si incontrano per concorrere all’unica azione
formativa, avendo ovviamente in essa responsabilità e compiti differenti, in ragione di quanto compete a
ciascuno». Il cardinale ha anche sottolineato l’importanza di un giusto
discernimento vocazionale e di una
formazione che favorisca la maturazione della persona, particolarmente
«di una affettività, piena e realizzata, con una perfetta continenza nel
celibato».
Gli ha fatto eco l’arcivescovo Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica, il
quale ha ricordato il grande numero
di scuole cattoliche e di facoltà ec-
clesiastiche, sorte nel mondo grazie
al contributo dei consacrati. Il presule ha parlato di sfide educative.
Un primo fenomeno che caratterizza
il nostro tempo e la cultura di oggi
è «la crisi dei rapporti e della comunicazione tra le generazioni». Questo problema, ha aggiunto, pone «la
questione dell’autorità e della libertà, così come sono vissute nei processi educativi, inclusa la trasmissione della fede». Una seconda sfida è
«la nuova cultura digitale», che «offre opportunità che continuano a
evolversi nelle loro applicazioni a
tanti campi della vita umana e dischiude scenari impensati che suscitano talvolta disorientamento, paure
e condanne». La terza sfida riguarda il tema interculturale.
L’arcivescovo Rodríguez Carballo
poi ha sottolineato alcune urgenze
della formazione: il discernimento
vocazionale, la necessità di un incontro personale con Gesù; camminare in profonda comunione con la
Chiesa, ma anche la necessità di formarsi e formare a una vita fraterna
in comunità che sia umana e umanizzante. È opportuno, ha sottolineato il presule, curare la “passione”
per il Signore e la “passione” per
l’umanità specialmente per i più poveri. I consacrati, essendo «chiamati
a evangelizzare la cultura e ad andare alle “periferie del pensiero”», devono coltivare «un rinnovato amore
per l’impegno culturale», per la
«dedizione allo studio come mezzo
per la formazione integrale e come
percorso ascetico». Infatti, come
l’“intellettualismo astratto” può portarli a «sentirsi prigionieri nelle reti
di un “narcisismo soffocante”, non
coltivare lo studio potrebbe generare nel consacrato “un senso di emarginazione e di inferiorità” e una pericolosa superficialità e leggerezza
nelle iniziative pastorali e di evangelizzazione che le renderebbero inutili alla nobile causa del dialogo con
la cultura attuale e della sua necessaria evangelizzazione».
Con la consegna e la lettura della
Misericordiae vultus, la bolla di indizione del giubileo straordinario, il
Papa ha compiuto un passo avanti
verso la porta santa che aprirà l’8
dicembre, indicando subito la misericordia come “architrave” della
Chiesa. Proprio davanti a quella
porta Francesco ha voluto fermarsi
in preghiera all’inizio della cerimonia di sabato pomeriggio, 11 aprile,
nell’atrio della basilica vaticana. Il
rito è proseguito con la recita dei
primi vespri della seconda domenica di Pasqua o della Divina misericordia.
In dodici hanno ricevuto direttamente dalle mani del Pontefice, che
ha invocato l’assistenza dello Spirito Santo e il sostegno della Madre
di Dio, la bolla di indizione del
giubileo: i cardinali Angelo Comastri, arciprete della basilica di San
Pietro; Agostino Vallini, arciprete
della basilica di San Giovanni in
Laterano; Santos Abril y Castelló,
arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore; James Michael Harvey, arciprete della basilica di San
Paolo fuori le mura; Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione
per le Chiese orientali; Fernando
Filoni, prefetto della Congregazione
per l’evangelizzazione dei popoli;
Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi; l’arcivescovo Savio Hon Tai-Fai, nato a Hong
Kong e segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, in rappresentanza di tutto
l’Oriente; il vescovo Barthélemy
Adoukonou, originario del Benin e
segretario del Pontificio Consiglio
della cultura, per il continente africano; monsignor Khaled Ayad Boshay, della Chiesa patriarcale di
Alessandria dei copti, per le Chiese
orientali; e i monsignori Francesco
Di Felice e Leonardo Sapienza, protonotari apostolici.
È stato poi il rogazionista Sapienza, reggente della Prefettura
della Casa Pontificia, a leggere da
un pulpito in legno alcuni brani
della Misericordiae vultus.
Dalla porta santa, per l’occasione
incorniciata da un ornamento floreale, si è quindi mossa la processione, accompagnata dal canto del
salmo 88 Misericordias Domini. En-
trando in basilica il Papa ha voluto
accanto a sé l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio
Consiglio per la promozione della
nuova evangelizzazione, a cui ha affidato l’organizzazione dell’anno
santo straordinario. Oltre al presule,
erano presenti quanti prestano servizio nel dicastero, a cominciare
dall’arcivescovo segretario José Octavio Ruiz Arenas e dal sotto-segretario monsignor Graham Bell.
La basilica era gremita di fedeli
che si erano preparati alla preghiera
vespertina con la recita del rosario.
Francesco ha preso posto lungo la
parete sinistra della navata centrale,
proprio di fronte alla statua bronzea
di San Pietro in cattedra.
In particolare, poi, davanti alla
Confessione erano stati collocati un
grande crocifisso, copia di quello
che si trova nella Cappella sistina, e
il cero pasquale. E sopra, accanto
all’altare, era la statua della Madonna con il Bambino.
L’invocazione della pace e il ricordo dei cristiani perseguitati insieme con le motivazioni essenziali del
giubileo della misericordia sono state al centro dell’omelia del Papa. E
queste intenzioni sono state poi subito rilanciate attraverso le intercessioni di preghiera. La cerimonia si è
conclusa con il canto dell’antifona
mariana Regina caeli.
Alla celebrazione hanno partecipato trentatré cardinali, tra i quali il
decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano.
Con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano l’arcivescovo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e i monsignori
Wells, assessore, e Bettencourt, capo del Protocollo.
Erano
presenti
l’arcivescovo
Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, con il medico Polisca.
Presenti inoltre numerosi arcivescovi e vescovi, i canonici vaticani e
prelati della Curia romana.
Al rito hanno preso parte, tra gli
altri, il ministro italiano degli Affari
interni Angelino Alfano, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, il prefetto di Roma Franco
Gabrielli, il sindaco di Roma Ignazio Marino, con alcuni collaboratori
e assessori.
Per l’account @Pontifex su Twitter
Venti milioni di follower
@Pontifex ha superato i venti milioni di follower. L’account con cui il Papa è presente su Twitter ha raggiunto il significativo traguardo domenica 12
aprile, verso le 17.30. La cifra record è il risultato della somma di quanti seguono i “cinguettii” di Francesco in nove differenti lingue: spagnolo, con
oltre otto milioni e mezzo di seguaci; inglese, quasi sei milioni; italiano, oltre due milioni e mezzo; portoghese, circa un milione e mezzo; polacco,
più di quattrocentomila; francese, 364.000; latino, 340.000; tedesco,
257.000; e arabo, 196.000. Creato nel dicembre 2012, @Pontifex aveva superato i dieci milioni di follower nell’ottobre 2013.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 13-14 aprile 2015
pagina 7
Vetrata raffigurante
l’incredulità di Tommaso
«Nel segno dei chiodi» Tommaso
«trova la prova decisiva che era
amato, che era atteso, che era capito».
Lo ha detto Papa Francesco
commentando al Regina caeli del 12
aprile le letture della seconda
domenica di Pasqua. Al termine della
messa celebrata nella basilica vaticana,
il Pontefice si è affacciato alla finestra
dello studio del Palazzo apostolico per
la recita della preghiera mariana con i
fedeli presenti in piazza San Pietro.
Messa a Santa Marta
Il coraggio della franchezza
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi è l’ottavo giorno dopo la
Pasqua, e il Vangelo di Giovanni ci
documenta le due apparizioni di
Gesù Risorto agli Apostoli riuniti
nel Cenacolo: quella della sera di
Pasqua, assente Tommaso, e quella
dopo otto giorni, presente Tommaso. La prima volta, il Signore mostrò le ferite del suo corpo ai discepoli, fece il segno di soffiare su di
loro e disse: «Come il Padre ha
mandato me, anche io mando voi»
(Gv 20, 21). Trasmette ad essi la sua
stessa missione, con la forza dello
Spirito Santo.
Ma quella sera mancava Tommaso, il quale non volle credere alla testimonianza degli altri. “Se non vedo e non tocco le sue piaghe — disse —, io non credo” (cfr. Gv 20, 25).
Otto giorni dopo — cioè proprio come oggi — Gesù ritorna a presentarsi in mezzo ai suoi e si rivolge subito a Tommaso, invitandolo a toccare
le ferite delle sue mani e del suo
fianco. Viene incontro alla sua incredulità, perché, attraverso i segni della passione, possa raggiungere la
pienezza della fede pasquale, cioè la
fede nella risurrezione di Gesù.
Tommaso è uno che non si accontenta e cerca, intende verificare di
persona, compiere una propria esperienza personale. Dopo le iniziali
resistenze e inquietudini, alla fine
arriva anche lui a credere, pur avanzando con fatica, ma arriva alla fede. Gesù lo attende pazientemente e
si offre alle difficoltà e alle insicurezze dell’ultimo arrivato. Il Signore
proclama “beati” quelli che credono
senza vedere (cfr. v. 29) — e la prima
di questi è Maria sua Madre —, però viene incontro anche all’esigenza
del discepolo incredulo: «Metti qui
il tuo dito e guarda le mie mani...»
(v. 27). Al contatto salvifico con le
piaghe del Risorto, Tommaso manifesta le proprie ferite, le proprie piaghe, le proprie lacerazioni, la propria umiliazione; nel segno dei chiodi trova la prova decisiva che era
amato, che era atteso, che era capito. Si trova di fronte un Messia pieno di dolcezza, di misericordia, di
tenerezza. Era quello il Signore che
cercava, lui, nelle profondità segrete
del proprio essere, perché aveva
sempre saputo che era così. E quanti di noi cerchiamo nel profondo del
cuore di incontrare Gesù, così come
è: dolce, misericordioso, tenero! Perché noi sappiamo, nel profondo,
che Lui è così. Ritrovato il contatto
personale con l’amabilità e la misericordiosa pazienza del Cristo, Tommaso comprende il significato profondo della sua Risurrezione e, intimamente trasformato, dichiara la
sua fede piena e totale in Lui escla-
Al Regina caeli il Papa parla dell’incredulità di Tommaso
Nel segno
dei chiodi
mando: «Mio Signore e mio Dio!»
(v. 28). Bella, bella espressione, questa di Tommaso!
Egli ha potuto “toccare” il Mistero pasquale che manifesta pienamente l’amore salvifico di Dio, ricco
di misericordia (cfr. Ef 2, 4). E come Tommaso anche tutti noi: in
questa seconda Domenica di Pasqua
siamo invitati a contemplare nelle
piaghe del Risorto la Divina Misericordia, che supera ogni umano limite e risplende sull’oscurità del male
e del peccato. Un tempo intenso e
prolungato per accogliere le immense ricchezze dell’amore misericordioso di Dio sarà il prossimo Giubileo
Straordinario della Misericordia, la
cui Bolla di indizione ho promulgato ieri sera qui, nella Basilica di San
Pietro. Quella Bolla incomincia con
le parole “Misericordiae Vultus”: il
Volto della Misericordia è Gesù Cristo. Teniamo lo sguardo rivolto a
Lui, che sempre ci cerca, ci aspetta,
ci perdona; tanto misericordioso,
non si spaventa delle nostre miserie.
Nelle sue piaghe ci guarisce e perdona tutti i nostri peccati. E la Vergine Madre ci aiuti ad essere misericordiosi con gli altri come Gesù lo è
con noi.
Al termine del Regina caeli, il
Pontefice come di consueto ha salutato
i gruppi presenti, rivolgendo un
particolare augurio ai fedeli delle
Chiese d’Oriente che celebravano la
Pasqua.
Cari fratelli e sorelle,
rivolgo un cordiale saluto a voi fedeli di Roma e a voi venuti da tante
parti del mondo. Saluto i pellegrini
della diocesi di Metuchen (Stati
Uniti d’America), le Ancelle del
Bambino Gesù provenienti dalla
Croazia, le Figlie della Divina Carità, i gruppi parrocchiali di Forlì e
Gravina di Puglia, e tutti i ragazzi e
giovani presenti, in particolare gli
alunni della scuola “Figlie di Gesù”
di Modena, quelli del “Liceo Verga”
di Adriano e i cresimandi di Palestrina. Saluto i pellegrini che hanno
partecipato alla Santa Messa presieduta dal Cardinale Vicario di Roma
nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, centro di devozione alla Divina
Misericordia.
Saluto le comunità neocatecumenali di Roma, che iniziano oggi una
speciale missione nelle piazze della
Città per pregare e dare testimonianza della fede.
Rivolgo un cordiale augurio ai fedeli delle Chiese d’Oriente che, secondo il loro calendario, celebrano
oggi la Santa Pasqua. Mi unisco alla gioia del loro annuncio del Cristo
Risorto: Christós anésti! Salutiamo i
nostri fratelli di Oriente in questo
giorno della loro Pasqua, con un
applauso, tutti!
Rivolgo anche un sentito saluto
ai fedeli armeni, che sono venuti a
Roma e hanno partecipato alla Santa Messa con la presenza dei miei
fratelli, i tre Patriarchi, e numerosi
Vescovi.
Nelle settimane scorse mi sono
arrivati da ogni parte del mondo
tanti messaggi di auguri pasquali.
Con gratitudine li ricambio a tutti.
Desidero ringraziare di cuore i bambini, gli anziani, le famiglie, le diocesi, le comunità parrocchiali e religiose, gli enti e le diverse associazioni, che hanno voluto manifestarmi affetto e vicinanza. E continuate
a pregare per me, per favore!
A tutti voi auguro una buona domenica. Buon pranzo e arrivederci!
Solo lo Spirito Santo ci dà la «forza
di annunziare Gesù Cristo fino alla
testimonianza finale». E lo Spirito
«viene da qualsiasi parte, come il
vento». Nell’omelia della messa celebrata lunedì 13 aprile a Santa Marta, Papa Francesco ha affrontato il
tema del «coraggio cristiano» che è
una «grazia che dà lo Spirito
Santo».
Punto di partenza della sua riflessione è stato un brano degli Atti degli apostoli (4, 23-31). Si tratta della
parte finale di un lungo racconto
«che incomincia con un miracolo
che fanno Pietro e Giovanni: la guarigione di quello storpio che era alla
porta bella del tempio, chiedendo
elemosina». Il Papa ha richiamato
l’intero episodio e ha ricordato che
Pietro guardò lo storpio «e gli disse: “Oro né argento ho, ma quello
che ho ti do: alzati e cammina”».
L’uomo guarì. La gente che vide si
stupì «e lodava Dio». Allora «Pietro profittò per annunciare il Vangelo, per annunciare la buona notizia
di Gesù Cristo: per annunciare Gesù Cristo».
A quel punto, ha spiegato Francesco, i sacerdoti si trovarono in difficoltà: inviarono «alcuni a prendere
Pietro e Giovanni», i quali si mostrarono come «gente semplice, senza istruzione». I due apostoli «sono
rimasti in carcere, quella sera». Il
giorno seguente i sacerdoti decisero
«di proibirgli di parlare in nome di
Gesù, di predicare questa dottrina».
Ma loro «continuarono»; anzi Pietro — che «era quello che portava la
voce dei due» — affermò: «Se sia
giusto obbedire a voi invece che a
Dio: noi obbediamo a Dio!». E aggiunse «quella parola che abbiamo
sentito tante volte: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto
e ascoltato».
Da qui il Pontefice ha ripreso il
brano proposto dalla liturgia del
giorno, dove si legge che i due, «rimessi in libertà», andarono a riferire
alla comunità «quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani», e che tutti, a quelle parole,
«insieme innalzarono la loro voce a
Dio e incominciarono a pregare», ripercorrendo le tappe della storia
della salvezza fino a Gesù. E
«quando ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di
Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza».
Proprio su quest’ultima parola —
“franchezza” — si è soffermato il
Pontefice rilevando come in quella
preghiera comune si legga: «“E ora,
Signore, volgi lo sguardo alle loro
minacce e concedi ai tuoi servi” non
di fuggire: “di proclamare con tutta
franchezza la tua parola”». Qui
emerge l’indicazione per ogni cristiano: «Possiamo dire», ha sottoli-
neato Francesco, che «anche oggi il
messaggio della Chiesa è il messaggio del cammino della franchezza,
del cammino del coraggio cristiano». Quella parola infatti, ha spiegato, «si può tradurre “coraggio”,
“franchezza”, “libertà di parlare”,
“non avere paura di dire le cose”».
È la “parresìa”. I due apostoli «dal
timore sono passati alla franchezza,
a dire le cose, con libertà».
Il cerchio della riflessione del Papa si è chiuso con la rilettura del
brano del Vangelo di Giovanni (3,
1-8), ovvero del «dialogo un po’ misterioso fra Gesù e Nicodemo, sulla
“seconda nascita”». È a questo punto che il Pontefice si è chiesto: «In
tutta questa storia, chi è il vero protagonista? In questo itinerario della
franchezza, chi è il vero protagonista? Pietro, Giovanni, lo storpio
guarito, la gente che sentiva, i sacerdoti, i soldati? Nicodemo, Gesù?».
E la risposta è stata: «Il vero protagonista è proprio lo Spirito Santo.
Perché è lui l’unico capace di darci
questa grazia del coraggio di annunciare Gesù Cristo».
È il «coraggio dell’annuncio» ciò
che «ci distingue dal semplice proselitismo». Ha spiegato il Papa:
«Noi non facciamo pubblicità» per
avere «più “soci” nella nostra “società spirituale”». Questo «non serve, non è cristiano». Invece «quello
che il cristiano fa è annunziare con
coraggio; e l’annuncio di Gesù Cristo provoca, mediante lo Spirito
Santo, quello stupore che ci fa andare avanti». Perciò «il vero protagonista di tutto questo è lo Spirito
Santo», a tal punto che — come si
legge negli Atti degli apostoli —
quando i discepoli ebbero terminato
la preghiera il luogo in cui erano
tremò e tutti furono colmi di Spirito. È stato, ha detto Francesco, «come una nuova Pentecoste».
Lo Spirito Santo è quindi il protagonista, tant’è vero che Gesù dice
a Nicodemo che si può nascere di
nuovo ma che «il vento soffia dove
vuole e ne senti la voce, ma non sai
da dove viene né dove va. Così è
chiunque è nato dallo Spirito Santo». Perciò, ha spiegato il Pontefice,
«è proprio lo Spirito che ci cambia,
che viene da qualsiasi parte, come il
vento». E ancora: «soltanto lo Spirito è capace di cambiarci l’atteggiamento, di cambiare noi, di cambiare
l’atteggiamento, di cambiare la storia della nostra vita, cambiare la nostra appartenenza, pure». Ed è lo
stesso Spirito che diede la forza ai
due apostoli, «uomini semplici e
senza istruzione», di «annunziare
Gesù Cristo fino alla testimonianza
finale: il martirio».
Ecco allora l’insegnamento per
ogni credente: «il cammino del coraggio cristiano è una grazia che dà
lo Spirito Santo». Ci sono infatti
sulla terra e la speranza per il futuro
e la vita eterna. La luce della resurrezione, infatti, «illumina la vita
dell’uomo, la vita di ogni individuo
in tutte le sue fasi».
Tawadros, citando passi evangelici, ha ricordato quindi «la grande
pietra posta di fronte al sepolcro» e
lo «stupore» di chi trovò vuoto il
luogo «dove il corpo di Cristo era
stato messo». E ha ribadito come
questa sia «l’ora della gioia per l’uomo». Affinché possa beneficiare di
tutto ciò, occorre però che l’uomo
«risponda» alla grazia della resurrezione. Una risposta che deve essere
«continua e incessante», tramite le
preghiere, i digiuni e le letture spiri-
tuali. Si tratta di un vero e proprio
«tempo di reazione». Per questo
motivo, ha osservato il patriarca copto, «la nostra Chiesa ricorda la resurrezione come un dovere e una
commemorazione continua e attiva».
Infatti, ogni anno fino a Pentecoste,
«festeggiamo la Pasqua per cinquanta giorni, e non per un giorno solo.
Non consideriamo quei cinquanta
giorni come giorni normali della settimana, ma come se fossero tutte domeniche. Possiamo chiamarli “lunga
giornata di domenica”, che esprime
l’esistenza in eternità». È l’immagine
«della vita perfetta nel Regno dei
Cieli. La risurrezione è la “grande
gioia” nella quale l’uomo vive».
Messaggio pasquale del patriarca di Mosca
Serve un’impresa spirituale
MOSCA, 13. È il sacrificio di sé, alla
base dell’impresa spirituale, l’espressione più alta dell’amore: lo ha sottolineato il patriarca di Mosca, Cirillo, nel messaggio per la Pasqua, celebrata ieri dalle Chiese ortodosse
che seguono il calendario giuliano.
«Come possiamo noi imitare il Salvatore? Quale può essere la nostra
impresa spirituale, che corrisponda
alle realtà della vita moderna?», si è
chiesto Cirillo. «Oggi, quando si
parla di “impresa spirituale” molti si
rappresentano la figura di qualche
guerriero leggendario, di un condottiero o eroe del passato. Ma il senso
dell’impresa spirituale non sta
nell’ottenere la fama o il riconoscimento pubblico del proprio operato», ha spiegato. Attraverso l’impresa spirituale, «sempre legata agli
sforzi interiori e alla vittoria su di sé,
possiamo conoscere che cosa sia il
vero e perfetto amore».
Quella a cui è chiamato ogni fedele è «una carità attiva, segnata dal
servizio disinteressato a ogni prossimo, ma prima di tutto a quanti necessitano del nostro sostegno: sofferenti, malati, soli, disperati. Se questa legge di vita, che in modo così
chiaro ci mostra l’esistenza terrena
del Salvatore, diventerà patrimonio
di molti, l’umanità sarà autenticamente felice. Servendo gli altri —
scrive il primate ortodosso russo — si
riceve molto di più di quanto si dà:
il Signore stesso entra allora nei nostri cuori e nella comunione con la
Grazia di Dio cambia tutta la vita
dell’uomo. E, come senza sforzo non
c’è santità, e senza Calvario non c’è
Resurrezione, così anche senza
un’impresa spirituale non ci può essere un’autentica trasformazione spirituale e morale della persona». E
quando l’impresa spirituale «diventa
contenuto di vita non solo dei singoli ma di un intero popolo», esso
«acquista un’enorme forza spirituale».
Anche i copti, come tutte le Chiese che seguono il calendario giuliano, hanno festeggiato domenica 12 il
mistero centrale della fede cristiana.
«Senza la resurrezione, non vi è pace quotidiana nella nostra vita terrena. Senza la resurrezione, non avremo speranza per il futuro», ha scritto il patriarca copto ortodosso, Tawadros II, nel messaggio per la Pasqua. La veglia solenne è stata pre-
sieduta dallo stesso patriarca nella
cattedrale di San Marco, al Cairo.
Alla celebrazione è stato invitato anche il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sissi, che già aveva partecipato — fatto inedito nella storia del
Paese — alla veglia del Natale copto,
la sera del 6 gennaio scorso. Stavolta, tuttavia, il capo dello Stato ha inviato un suo rappresentante.
Nel suo messaggio il capo spirituale della più numerosa comunità
cristiana egiziana ha presentato una
riflessione tutta incentrata sull’importanza del mistero della risurrezione, cioè «la gioia delle nostre gioie e
la festa delle nostre feste». Infatti, ricorda il patriarca copto, «la resurrezione nella vita cristiana non è un
semplice evento storico». Così come
«non è nemmeno un’occasione per
noi da celebrare in diversi modi».
Essa «è la base fondamentale del nostro piano di salvezza», che Cristo
«ha completato sul legno della croce». Ancora, «essa è il nucleo della
nostra fede ed è anche l’effettivo
perdono di tutta l’umanità». In tal
senso, la resurrezione è il centro di
ogni «battaglia spirituale» e senza di
essa non sarebbero possibili la pace
«tante strade che possiamo prendere, anche che ci danno un certo coraggio», per le quali si può dire:
«Ma guarda che coraggioso, la decisione che ha preso!». Però tutto
questo «è strumento di un’altra cosa
più grande: lo Spirito». E «se non
c’è lo Spirito, noi possiamo fare tante cose, tanto lavoro, ma non serve
a niente».
Per questo, ha concluso il Papa,
dopo il giorno di Pasqua, «che è
durato otto giorni», la Chiesa «ci
prepara a ricevere lo Spirito Santo».
Ora, «nella celebrazione del mistero
della morte e della resurrezione di
Gesù, possiamo ricordare tutta la
storia di salvezza», che è anche «la
nostra propria storia di salvezza», e
possiamo «chiedere la grazia di ricevere lo Spirito perché ci dia il vero
coraggio per annunciare Gesù Cristo».
Nomine
episcopali
Le nomine di oggi riguardano la
rappresentanza pontificia in Madagascar e la Chiesa maronita.
Paolo Rocco Gualtieri
nunzio apostolico
in Madagascar
Nato a Supersano, Lecce, il 1°
febbraio 1961, è stato ordinato sacerdote il 24 settembre 1988. Incardinato a Ugento - Santa Maria di Leuca, è laureato in diritto
canonico e licenziato in teologia
dogmatica. Entrato nel servizio
diplomatico della Santa Sede il 1°
luglio 1996, ha prestato successivamente la propria opera nelle
rappresentanze pontificie in Papua Nuova Guinea, Repubblica
Dominicana e nella sezione per i
rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.
François Eid
visitatore apostolico
per i fedeli maroniti
in Bulgaria, Grecia
e Romania
Nato a Mtolleh, nell’eparchia
libanese di Sidone, il 24 luglio
1943, è entrato nell’ordine maronita della Beata Vergine Maria
nel 1958. Dopo aver frequentato
il collegio Notre Dame de Louaizé, è stato inviato nel 1964 a Roma per studiare filosofia al Pontificio ateneo Sant’Anselmo conseguendo la licenza. Successivamente ha ottenuto all’università
Lateranense la licenza in teologia. Contemporaneamente, ha
studiato musica al Pontificio istituto di Musica sacra e pittura
all’accademia delle Belle arti di
Macerata. Ordinato sacerdote il
28 agosto 1971 a Deir-El-Kamar,
nel 1987 ha conseguito la licenza
in diritto canonico al Pontificio
istituto Orientale. È stato direttore del seminario minore di Shailé, parroco a Montréal in Canada
e co-fondatore della parrocchia
maronita di Ottawa, assistente
generale dell’ordine, rettore del
convento Sant’Antonio a Roma e
procuratore dell’ordine, rettore
del collegio Notre Dame de Louaizé, presidente dell’università
Notre Dame de Louaizé. Nel
1999 è stato eletto superiore generale dell’ordine e alla fine del
mandato, nel luglio 2005, è stato
nominato di nuovo rettore del
convento romano e procuratore.
Eletto vescovo del Cairo il 24 settembre 2005 e consacrato l’11 febbraio dell’anno successivo, ha rinunciato all’incaricato pastorale
per assumere l’ufficio di procuratore del Patriarca maronita presso
la Santa Sede il 16 giugno 2012.
Ha composto opere musicali liturgiche e pubblicato libri e articoli in arabo e italiano.