commento al vangelo di Domenica 9 febbraio 2014

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
padre Gian Franco Scarpitta
Luce che illumina credenti e non credenti
Luce e tenebre sono il binomio di
contraddizione che interessa diverse
pagine della Bibbia, non ultima quella
della Genesi intorno alla creazione. Essa
effettivamente non pone i due elementi
antitetici in relazione iniziale di contrasto
ma di necessaria continuità: la luce è
possibile solo quando sussistano le
tenebre e queste sono consequenziali e
relative alla luminosità. In altre parole,
luce e tenebre nella creazione sono cose distinte, ma ciascuna è correlativa all'altra.
Sia Giovanni Battista sia Gesù Figlio di Dio ci descrivono però le tenebre
necessariamente opposte alla luce, perché nelle loro pagine esse assumono il
significato profondo di peccato, o meglio di perdizione, smarrimento e disagio morale
che consegue al peccato, e parlano di luce che irrompe nelle tenebre per averne
ragione. Il popolo che cammina nelle tenebre, configurato con la Galilea delle genti,
necessita che una luce rifulga sul suo percorso e che vi sia un orientamento nel suo
procedere ottenebrato dal peccato e dall'ingiustizia (Is 9, 1). E' un popolo assuefatto
dall'ingiustizia, dalla perversione e dal deperimento morale, di tendenza
probabilmente paganeggiante, che sconosce i criteri della retta convivenza perché
misconosce l'amore di Dio. Ha bisogno che in esso rifulga la luce perenne apportatrice
di novità e di salvezza che si può identificare in una sola persona: il Messia, Unto del
Signore. Egli è la luce "per illuminare le genti e gloria del popolo d'Israele"(Lc 2, 32)
e la sua luminosità pervade tutto il mondo delle tenebre per averne ragione e per
essere di riferimento a quanti tentano di svincolarsi dalle sue morse. Cristo viene
descritto in definiva dalla Scrittura (e dalla nostra liturgia) come "luce del mondo" la
cui luminosità ci ha raggiunti consolidandoci nell'appartenenza a lui e il cui fulgore
costituisce per noi monito nei nostro percorsi anche nelle immediate vicende del
quotidiano quando molto spesso si tende a procedere nell'oscurità pur disponendo di
una luce anche di voltaggio elevato per il semplice fatto che molto spesso il peccato
e la i sentieri del male sono molto più accattivanti delle vie della luce e non di rado ci
si ostina per ciò stesso a cercare ciò che di fatto impassibilmente troveremo.
Un proverbio cinese afferma che "è difficile trovare un gatto nero in una
stanza buia, soprattutto quando non c'è" e l'uomo che tenta di procacciare la verità
senza Cristo è proprio come colui che cerca quel gatto. Un certo filosofo aggiunge
che cercare la verità senza la Trascendenza è come cercare un gatto nero in una stanza
buia e ogni tanto gridare "l'ho trovato, l'ho trovato", tipico di chi si illude di trovare
l'inverosimile con le sue sole forze. Solo Cristo luce del mondo può fare in modo che
non troviamo gatti neri illuminandoci su quanto dobbiamo cercare e abbiamo la
possibilità di trovare. Dice l'apocalisse: "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua
luce".
La luce di Cristo ci ha raggiunti e
avvinti nel Sacramento del Battesimo, il
quale a sua volta ci invita ad essere di essa
rifulgenti e apportatori agli altri. In forza
del Battesimo, la luce di Cristo che dissipa
le tenebre in noi non può restare celata né
può essere nascosta, ma deve
necessariamente essere preconizzata ad
altri
per
mezzo
della
radicale
testimonianza. Se Cristo, luce del mondo,
ci ha resi a nostra volta luce di riflesso, è
necessario che portiamo codesta luce ad altri, che ne siamo testimoni e promulgatori,
per non vanificare noi stessi avvelenando i nostri rapporti con Dio. Chi infatti omette
di essere "luce che illumina i non credenti" trasgredisce un grosso rapporto di fedeltà
nei riguardi di Dio e allo stesso tempo manca anche nei riguardi di se stesso perché
svilisce la propria identità fondamentale di uomo che rifugge dal vivere secondo
verità.
Sfruttando un altro termine di paragone, Giacomo afferma che "Chi ascolta la
parola di Dio e non la mette in pratica è simile a uno che si guarda allo specchio e poi
se ne va, e subito dimentica com'era" (Gc 1, 25 - 26) poiché la Parola ti colloca davanti
a te stesso, ti fa scoprire la tua reale identità di uomo raggiunto da Cristo, ti fa
percepire di aver avuto appagati i tuoi desideri di fondo; ma quando essa è destinata
a restare lettera morta senza trasformarsi in prospettiva o in programma di vita, si
manca inesorabilmente nell'attenzione verso se stessi in modo da non riconoscersi e
inevitabilmente smentirsi.
Analogamente potremmo affermare che ricevere la luce di Cristo ma non
recare questa luce ad altri corrisponde ad aver visto la strada illuminata ma a voler
procedere come se essa fosse buia. Diceva Abram Lincoln: "la religione di un uomo
non serve a nulla se non ne traggono vantaggio anche il suo cane e il suo gatto" ed
effettivamente nessuna fede è compatibile con la coerenza e con la linearità quando
non produce appropriati frutti e quando il suo professarla non produce la risultante di
una gioiosa testimonianza della quale tutto e tutti possono usufruire. La fede cristiana
comporta poi che il frutto del nostro credere sia l'agire secondo Cristo e il produrre
copiosi frutti che attestino conversione, amore e familiarità con lo stesso Signore che
vive in noi.
A questo proposito, le parole di Gesù sono molto chiare: "nessuno può
mettere una lucerna sotto il moggio, ma sul candelabro perché faccia luce a tutti quelli
che sono nella casa." Come il padrone di casa non dovrebbe avere difficoltà a
collocare una lucerna sul lampadario, così ciascuno di noi è tenuto ad apportare la
luce alimentando il proprio lucerniere e collocandolo in modo da poter irradiare a tutti
la medesima luce riflessa. Come il sale non può mai perdere il proprio sapore, così
neppure noi dobbiamo diventare insipidi e insignificanti.
Essere stati illuminati è prerogativa
per essere luminosi ed è irrinunciabile per
ciascuno doverlo essere profondamente e
con profitto. Ma qual è il concreto
atteggiamento che ci rende luce "che
illumina credenti e non credenti"?
Sorprendente è la risposta che riporta il
libro del profeta Isaia di cui alla Prima
Lettura odierna: l'esercizio della carità
sincera e operosa. Vestire gli ignudi,
condividere anche le poche risorse di cui si dispone con chi è privo del necessario,
praticare la giustizia verso gli umili e i derelitti è fondamentale per vivere il vero
digiuno e per ciò stesso mettere in pratica la vera volontà di Dio. E quando l'esercizio
dell'amore al prossimo diventa cosa effettiva perfino le tenebre si tramutano in luce:
"Allora brillerà fra le tenebre la tua luce. La tua tenebra sarà come il meriggio."
Cos'altro può rendere infatti più luminosi e convincenti della carità? Cos'altro
ci rende più credibile dell'amore concreto verso gli altri?