Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLV n. 76 (46.914) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano venerdì 3 aprile 2015 . Alla messa crismale nella basilica vaticana il Pontefice parla della fatica pastorale del sacerdote I bambini vittime della guerra Santa stanchezza Generazioni perdute di LUCETTA SCARAFFIA Nel pomeriggio la lavanda dei piedi ai detenuti nel carcere romano di Rebibbia Sulla «stanchezza dei sacerdoti» il Papa ha incentrato la sua riflessione nella messa crismale celebrata la mattina del 2 aprile, Giovedì santo. Nella basilica vaticana Francesco ha esortato i presenti a chiedere «la grazia di imparare a essere stanchi», ricordando che «la nostra stanchezza è come l’incenso che sale silenziosamente al cielo». All’omelia il Pontefice ha confidato di pensare spesso alla stanchezza dei sacerdoti — «specialmente quando a essere stanco sono io» ha precisato — e di pregare frequentemente per questo. Quindi ha raccomandato di non cedere alla «tentazione di riposare in un modo qualunque» e ha esortato a tenere «ben presente che una chiave della fecondità sacerdotale sta nel come riposiamo e nel come sentiamo che il Signore tratta la nostra stanchezza». In particolare il Papa ha invitato a evitare tre tentazioni: la stanchezza della gente, dei nemici e di se stessi. La prima fa riferimento a quella stanchezza delle folle di cui parlano i Vangeli. «Ma — ha fatto notare in proposito — il Signore non si stancava di stare con la gente. Al contrario: sembrava che si ricaricasse». Perciò «questa stanchezza in mezzo alla nostra attività è solitamente una grazia che è a portata di mano di tutti noi sacerdoti». Ed è una stanchezza «buona, sana», è «la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore, ma con il sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini», ha aggiunto. La seconda è la stanchezza dei nemici, per la quale occorre «chiedere la grazia di imparare a neutralizzare il male». Mentre l’ultima, «forse la più pericolosa», perché «più autoreferenziale», è L la stanchezza di se stessi, quella che Francesco chiama il «civettare con la mondanità spirituale». Perché, ha concluso, «solo l’amore dà riposo», mentre «ciò che non si ama, stanca male, e alla lunga stanca peggio». Nel pomeriggio il Papa si reca nel carcere romano di Rebibbia, dove celebra la messa «in coena Domini» con il rito della lavanda dei piedi a dodici detenuti: sei donne (due nigeriane, di cui una con un bambino al nido, una congolese una ecuadoregna e due italiane) e sei uomini (un brasiliano, un nigeriano e quattro italiani). E in un tweet lanciato dall’account @Pontifex il Papa scrive: «Gesù lava i piedi degli apostoli. Noi siamo disposti a servire gli altri così?». PAGINE 7 E 8 ti, sono loro inferte: il rappresentante del Papa ha invitato a spingere lo sguardo verso il futuro, alle vite miserabili che attendono questi “bambini fantasma”. Definiti così perché come rifugiati sono senza documenti, privi quindi della possibilità di frequentare la scuola — che si tiene comunque, spesso, anche in lingue che non conoscono — e sovente anche privati della loro famiglia, smembrata nella fuga e mai ricostituita. Questi bambini sono depredati di un’educazione adeguata, e quindi pagheranno per tutta la vita l’anormalità della loro situazione. Essi costituiscono, come ha detto icasticamente Tomasi, una “generazione perduta”. Perduta perché saranno chiusi loro gli accessi a una vita dignitosa, perduta perché dalla rabbia che stanno incamerando può nascere altra violenza. L’arcivescovo non si limita a denunciare la sofferenza dei bambini profughi — che sono ormai un numero spaventoso, in varie parti della terra — ma invita a considerare le conseguenze future della poca attenzione con la quale li guardiamo. Quante generazioni perdute ci sono al mondo che renderanno più difficile la vita futura, la loro e quella degli altri? Speriamo che la concezione del tempo torni a guardare in modo lineare in avanti. Speriamo che la resurrezione di Pasqua ci aiuti a guardare di nuovo al futuro, a riallacciare i rapporti con le giovani generazioni del mondo di cui siamo tutti responsabili. La sentenza Quella iscrizione sopra la testa CARLO CARLETTI A Losanna si cerca un accordo sul programma nucleare iraniano I ribelli sciiti huthi avanzano nonostante i raid sauditi Trattativa continua Battaglia nel centro di Aden LOSANNA, 2. Inizia a Losanna, in Svizzera, un’altra giornata di trattative sul programma nucleare iraniano, la seconda dopo la scadenza dei termini previsti per il negoziato che era stata fissata alla mezzanotte del 31 marzo. Le delegazioni di Iran e del gruppo cinque più uno (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania) stanno provando a superare le divergenze su alcuni nodi che frenano il raggiungimento dell’intesa, in particolare sui tempi della revoca delle sanzioni contro Teheran. L’accordo politico — base di un successivo accordo tecnico per il quale c’è tempo fino alla fine di giugno — sembra avvicinarsi, almeno stando alle ultime dichiarazioni di alcuni protagonisti delle trattative. Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, tornando ieri sera a Losanna, ha affermato: «Siamo a pochi metri dalla linea del traguardo, ma gli ultimi metri sono sempre i più difficili». Il suo omologo tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha annullato una missione nei Paesi baltici per restare a Losanna e seguire da vicino le trattative. Ottimistica anche la previsione del ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, il quale, dopo un’altra notte di negoziato, ha dichiarato che «l’alba è vicina». Il capo della diplomazia di Teheran ha sottolineato in una pausa dei lavori che sono stati fatti «progressi significativi», anche se «ancora non è stato trovato un accordo» per risolvere il pluridecennale contenzioso sul programma nucleare. «Non siamo per fissare scadenze arbitrarie, ma nemmeno per trattative infinite», ha intanto fatto sapere il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest. Secondo alcuni osservatori queste parole rivelano un possibile cambio di atteggiamento: raggiungere un’intesa in questa tornata negoziale è necessario per evitare il fallimento dell’intera trattativa. SAN’A, 2. I carri armati dei ribelli sciiti huthi sono entrati nelle scorse ore nel centro di Aden, la roccaforte delle truppe fedeli al presidente Abd Rabbo Mansour Hadi nello Yemen del sud. Lo ha riferito l’emittente Al Jazeera, citando testimoni locali. E, mentre si intensificano i combattimenti, nelle ultime ore truppe straniere di nazionalità non precisata sono sbarcate al porto della città. Lo riporta la Bbc. L’avanzata degli huthi verso Aden non ha quindi risentito dei raid lanciati la scorsa settimana da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita che sostiene le forze lealiste. «Se Aden cadesse sarebbe un disastro per la città e per la sua gente», ha ammesso oggi il ministro degli Esteri yemenita, Riad Yassin, in una dichiarazione alla Attacchi jihadisti nella penisola del Sinai y(7HA3J1*QSSKKM( +,!"!&!z!@! a resurrezione, che stiamo per festeggiare, dovrebbe orientare lo sguardo di ogni credente verso il futuro, verso quel momento in cui la morte sarà vinta. Da questo mistero nasce la tradizione cristiana, dalla quale deriva la concezione del tempo nelle società occidentali, poi divenuta anche una sua misurazione accolta da tutto il mondo: un tempo che, a partire dall’incarnazione, si muove in modo lineare verso il futuro, verso la resurrezione. Mai come oggi è necessario orientare i nostri sguardi in questa direzione: la secolarizzazione, accompagnata da un aumento dell’età media mai registratosi nel mondo occidentale, ha fatto sì che questa concezione progressiva del tempo venisse offuscata, se non addirittura dimenticata. Il futuro come dimensione lontana a cui pensare sta scomparendo, i traguardi di cui ci interessiamo sono sempre molto vicini: le prossime elezioni, i cambiamenti ecologici e bio-tecnologici immediati invece del loro effetto sul lungo periodo. Non credendo più alla resurrezione siamo diventati miopi, e poco interessati a cosa succederà dopo di noi. La Chiesa, che vive in un tempo millenario, non può aderire a questa visione limitata: sa che andiamo verso la resurrezione, e guarda ai fenomeni che accadono con attenzione diversa. Ne ha dato un saggio acuto e incisivo l’arcivescovo Silvano Tomasi, nel discorso che ha tenuto a Ginevra il 17 marzo scorso al Consiglio per i diritti dell’uomo, organismo delle Nazioni unite. Tomasi ha centrato la sua attenzione sui bambini vittime dei conflitti, ma non per aggiungere deprecazione a deprecazione, denuncia a denuncia, per il dolore e le sofferenze che, come sappiamo tut- Il segretario di Stato americano John Kerry a Losanna (Afp) IL CAIRO, 2. Almeno 32 persone, tra cui 15 soldati e due civili, sono stati uccisi oggi in cinque attacchi simultanei con razzi e armi automatiche sferrati da commando armati contro checkpoint dell’esercito nella penisola del Sinai, nel nord dell’Egitto. Lo riferiscono fonti della sicurezza locale citate dall’agenzia di stampa Xinhua, precisando che altri 17 soldati e sei civili sono rimasti feriti. Dopo gli attacchi è scattata un’operazione delle forze di sicurezza egiziane con l’impiego di elicotteri. Stando sempre alle notizie diffuse dalla Xinhua i militari hanno ucciso «almeno 15 presunti terroristi». Sino a ora gli attacchi contro i checkpoint non sono stati rivendicati. Da quando nel luglio del 2013 è stato destituito il presidente Mohammed Mursi, espressione dei Fratelli musulmani, le azioni dei fondamentalisti si sono moltiplicate. Secondo le autorità del Cairo almeno 500 tra poliziotti e soldati dell’esercito sono stati uccisi in attentati e attacchi compiuti principalmente nel nord della penisola del Sinai al confine con Israele. stessa televisione del Qatar. Yassin non ha escluso che i Paesi alleati dell’Arabia Saudita nell’operazione «Tempesta conclusiva» possano fare ricorso a un intervento di terra contro i ribelli sciiti. Intervistato dal sito web libico «Al Wasat», il capo della diplomazia yemenita ha spiegato che «l’operazione militare proseguirà sino a quando il presidente Abd Rabbo Mansur Hadi non potrà ritornare a San’a per adempiere al suo incarico e dopo il completo ritiro delle forze sciite huthi che hanno occupato la capitale e le sue istituzioni». Il fronte sciita, al contrario, ha celebrato la notizia dell’ingresso ad Aden. «Possiamo affermare che dopo una settimana di bombardamenti sullo Yemen gli aggressori non hanno raggiunto alcun risultato. Le vittorie ad Aden oggi imbarazzano e fanno tacere gli Stati aggressori», ha commentato il portavoce degli huthi, Mohammad Abdulsalam. L’avanzata degli huthi aggrava la già precaria situazione umanitaria nell’area, dove migliaia di civili restano bloccati nelle proprie abitazioni. Decine di persone in fuga sarebbero rimaste vittime dei violenti combattimenti in corso. Il segretario generale dell’O nu, Ban Ki-moon, si è detto «molto preoccupato» per le notizie di vittime civili a causa delle operazioni militari in corso nello Yemen, e ha ricordato che «tutte le parti coinvolte devono rispettare i loro obblighi derivanti dal diritto internazionale sulla protezione dei civili». Inoltre, Ban Ki-moon ha riaffermato in una nota la sua «ferma convinzione della necessità di risolvere il conflitto con mezzi pacifici», ricordando che gli ospedali e le altre A PAGINA 5 Ribelli huthi nelle zone occupate (Ansa) strutture mediche hanno uno status di protezione speciale ai sensi del diritto internazionale. Nel frattempo, presunti miliziani di Al Qaeda nella penisola arabica hanno attaccato la prigione di Mukalla, nel sud dello Yemen, liberando circa 300 detenuti, tra i quali alcuni membri della stessa organizzazione terroristica. Lo hanno reso noto fonti della sicurezza precisando che gli assalitori, dopo l’attacco, hanno fatto perdere le loro tracce. I militanti di Al Qaeda hanno anche attaccato alcuni edifici governativi nella stessa città. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 3 aprile 2015 Il premier ucraino Arseni Yatsenyuk e il cancelliere tedesco Angela Merkel alla conferenza stampa a Berlino (Ap) Intervento della Santa Sede Si avvicinano le scadenze dei rimborsi dei creditori Un’agenda per il sostegno dei Paesi in via di sviluppo Atene e Bruxelles in attesa di un accordo BRUXELLES, 2. L’accordo tra la Grecia e i partner Ue sulle riforme, in cambio delle quali verrebbe sbloccata la tranche da 7,2 miliardi di aiuti internazionali, appare sempre più difficile. Non c’è più tempo e le scadenze avanzano. Intanto il Governo del premier Tsipras ha aggiornato l’elenco delle riforme allo studio: circolano voci su una lista più dettagliata delle precedenti, che prevede interventi per sei miliardi di euro, come scrive il «Financial Times», che pubblica il documento in esclusiva. Il testo è composto da 26 pagine. Ma si tratta ancora di ipotesi. La sensazione che filtra dai palazzi di Bruxelles — dicono gli osservatori — non è buona: viene considerato «difficile» che entro la prossima settimana sia raggiunto un accordo con i creditori su un elenco delle diciotto riforme del Governo targato Syriza. Questo pomeriggio è fissata una riunione dell’Eurogruppo a livello di sherpa. Le stesse fonti hanno indicato che una lista «completa e credibile» non c’è ancora sul tavolo e che le parti stanno ancora negoziando sui contenuti della lista. «C’è molto lavoro da fare ancora» dicono i tecnici. Secondo alcuni, l’ipotesi più verosimile è che l’accordo definitivo possa essere raggiunto a fine mese, il 24-25 a Riga dove si ritroveranno i ministri finanziari Ue per le riunioni informali di primavera. Nel frattempo Atene dovrà far fronte alle scadenze nei pagamenti ai creditori internazionali. Da Berlino, d’altra parte, non arrivano segnali incoraggianti. «Nella migliore delle ipotesi, prevediamo ci possa essere una qualche valutazione intermedia preliminare ma è difficile prevedere come si svilupperanno le cose la prossima settimana» ha spiegato il portavoce delle Finanze, Martin Jaeger. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha dichiarato che l’Esecutivo di Berlino farà tutto il possibile per evitare il tracollo greco. Per Atene, sulla carta, le prospettive non sono delle migliori. Il ministro greco degli Interni, Nikos Voutzis, ha avvertito che il suo Paese non sarà in grado di rimborsare al Fondo monetario internazionale (Fmi) una tranche del debito da 450 milioni di euro. Parlando al settimanale tedesco «Der Spiegel», Nikos Voutzis, ha infatti affermato: «Se entro il 9 aprile non riceveremo niente dai creditori internazionali, prima pagheremo stipendi, affitti e pensioni qua in Grecia e preghiamo i nostri partner all’estero di comprendere che non potremo pagare puntualmente i 450 milioni di euro dovuti al Fondo monetario internazionale». Bisognerà trovare un accordo «per posticipare il pagamento e scongiurare il default sul debito. Abbiamo denaro sufficiente fino a metà aprile». «Der Spiegel» afferma che il mancato rispetto di questo pagamento all’Fmi da parte della Grecia rappresenta «una chiara violazione dello statuto del Fondo», mai avvenuta finora. «Da agosto non abbiamo più ricevuto un euro — ha detto Voutzis — non esiste alcun Paese al mondo che ripiana i debiti con mezzi propri, senza accendere crediti». Voutzis ha aggiunto che il rinvio del pagamento all’Fmi «deve essere concordato affinché non ci sia un default» e ha precisato che «i soldi ci bastano fino ad aprile». Ma se una prima parte della tranche non potrà arrivare prima di maggio, serviranno altre fonti di finanziamento. «Vogliamo gli 1,9 miliardi di euro del Fondo di salvataggio delle banche che viene trattenuto da mesi» ha chiesto Voutzis. Secondo il Governo greco, indica ancora il settimanale tedesco, Atene avrebbe pagato due volte per salvare le banche più piccole e adesso rivuole indietro i soldi. «E poi la Grecia vorrebbe almeno una quota minima dei fondi del programma di finanziamenti della Bce», visto che è al momento esclusa dal piano di acquisto di titoli di Stato dei Paesi membri dell’eurozona. Rischio ambientale nel golfo del Messico CITTÀ DEL MESSICO, 2. Rischio ambientale nel golfo del Messico. Un violento incendio è scoppiato ieri su una piattaforma offshore dell’azienda petrolifera statale messicana Pemex. Una persona è morta e almeno altre 16 sono rimaste ferite, due delle quali in modo grave. Altri trecento lavoratori sono stati evacuati, mentre alcuni sembrerebbero dispersi. L’azienda ha deciso di interrompere il flusso del greggio per evitare disastri naturali. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Incendio nel sottosuolo di Londra LONDRA, 2. Momenti di paura ieri nel centro di Londra, in una zona del West End piena di uffici finanziari e rinomata per i suoi teatri. Un fumo denso e nero e lingue di fuoco sono fuoriusciti dai tombini di Kingsway, una importante e trafficata arteria nel centro della capitale britannica, a due passi dalla Bank of England. Il fuoco, secondo i pompieri, è stato scatenato da un corto circuito che ha coinvolto i cablaggi sotterranei ma anche alcune tubature del gas. Non ci sono state vittime, ma soltanto tanta paura tra le decine di migliaia di persone che si trovavano nella zona, che pullula di uffici della comunità finanziaria. Tanti i disagi per chi è rimasto per ore intrappolato nel traffico. In duemila sono stati fatti sgomberare dagli uffici dai pompieri, che hanno fatto abbandonare anche i locali di un vicino complesso della London School of Economics e transennato una vasta area normalmente molto trafficata. Sgomberati anche gli uffici sullo Strand della Royal Court of Justice, con magistrati e avvocati in toga e parrucca a invadere le strade e i bar, rimasti aperti pur senza elettricità. Ed è stata chiusa anche una stazione della metropolitana, con disagi non indifferenti per i pendolari. Pubblichiamo la traduzione italiana dell’intervento pronunciato il 24 marzo 2015 dall’arcivescovo Bernardito Auza, Nunzio Apostolico, Osservatore Permanente della Santa Sede, ai negoziati intergovernativi delle Nazioni Unite sull’agenda di sviluppo post2015. Lo ha promesso il premier al cancelliere tedesco Impegno di Kiev sulle riforme BERLINO, 2. Dialogo con la Germania per la stabilizzazione ucraina. Il premier ucraino, Arseni Yatsenyuk, ha sottolineato ieri gli sforzi di Kiev sulle riforme, «che sono difficili», e il desiderio del suo Paese «di avvicinarsi all’Europa, non a parole, ma con i fatti». Yatsenyuk si è recato ieri a Berlino per incontrare il cancelliere tedesco, Angela Merkel. «In Ucraina la situazione dal punto di vista del confronto militare è più tranquilla, ma la tregua non è stata rispettata completamente» ha sottolineato Merkel, aggiungendo che «Francia e Germania continueranno ad accompagnare il processo per arrivare alla realizzazione del pacchetto delle misure concordate». A chi gli ha chiesto delle divergenze con il presidente Petro Poroshenko, Yatsenyuk ha risposto che «il presidente e il premier sono uniti sul fatto che l’Ucraina combatte per la propria indipendenza, sul fatto che la Russia l'ha aggredita, sul fatto che le misure concordate vanno rispettate da parte di Mosca». Il primo ministro ha rivendicato ancora una volta l’integrità territoriale del suo Paese e ha fatto sapere che il suo Governo sarebbe favorevole a elezioni nelle aree dell’est controllate dai filorussi in tempi brevi. Sono tuttavia molte le difficoltà di una campagna elettorale nelle circostanze attuali. Intanto, il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha dichiarato ieri che per risolvere il conflitto nel sud-est del Paese è necessario «l’invio di una missione di forze di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite». Una linea condivisa anche dal capo di Stato bielorusso, Alexandr Lukashenko, secondo cui gli Stati Uniti dovrebbero essere coinvolti nel processo di pace perché senza di loro «non è possibile la stabilità» nel Paese. «Non so — ha detto Lukashenko — cosa gli americani vogliono qui, in Europa orientale, e in particolar modo in Ucraina, ma se vogliono pace e stabilità devono immediatamente partecipare al processo di pace». Sul piano energetico, Kiev e Mosca dovrebbero siglare entro il 14 aprile un memorandum sulle forniture di gas russo all’Ucraina che sarà valido fino alla primavera del prossimo anno. Lo ha detto ieri il ministro dell’Energia ucraino, Volodimir Demcishin, precisando che l’accordo dovrebbe essere raggiunto nel corso di trattative con Russia e Unione europea il 13 e 14 aprile. Le forniture di gas dalla Russia all’Ue via Ucraina sono normali, ha precisato un portavoce della Commissione europea. Martedì scorso è scaduto il pacchetto invernale per le forniture di gas naturale, siglato lo scorso ottobre fra Mosca e Kiev con la mediazione dell’Unione europea. Nell’ultimo incontro trilaterale tenutosi a Bruxelles lo scorso 20 marzo è stato discusso il pacchetto estivo per sostituire l’accordo invernale. Signori Co-facilitatori, Grazie per aver convocato questa sessione. La mia Delegazione sostiene questo processo trasparente e inclusivo di negoziato intergovernativo e ci complimentiamo con entrambi per la leadership svolta durante tutto il processo. La mia Delegazione desidera anche ringraziare il Presidente della Commissione statistica delle Nazioni Unite la sua presentazione sugli indicatori preliminari. Per quanto riguarda il tema di questa sessione, la mia Delegazione desidera fare alcuni commenti iniziali. Anzitutto, la mia Delegazione apprezza la natura ambiziosa e impegnativa degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Allo stesso tempo siamo convinti della necessità di avere un’agenda di sviluppo post2015 trasformativa e orientata all’azione. Inoltre, gli obiettivi di sviluppo sostenibile devono integrare in modo equilibrato i tre pilastri dello sviluppo sostenibile — lo sviluppo economico, sociale e ambientale — focalizzandosi in modo omnicomprensivo sullo sradicamento della povertà e sulla realizzazione di una vita di dignità per tutti. È imperativo che gli obiettivi di sviluppo sostenibile si concentrino maggiormente sui bisogni dei Paesi più vulnerabili, ovvero i Paesi meno svi- In Spagna dopo il varo della nuova legge Confronto sull’immigrazione BRUXELLES, 2. Tra Spagna e Commissione Ue è iniziato un confronto serrato sulla questione immigrazione. «La Commissione prende nota della legge recentemente adottata dalla Spagna e valuterà con attenzione la sua compatibilità con la normativa comunitaria e come sarà attuata» ha dichiarato ieri il portavoce della Commissione europea. La legge sui migranti, entrata in vigore ieri in Spagna, introduce tra l’altro la possibilità del cosiddetto “rifiuto alla frontiera”. I mi- granti intercettati sulle barriere frontaliere di Ceuta e Melilla potranno perciò essere immediatamente rimandati in territorio marocchino, senza previa identificazione. La Commissione «è attualmente impegnata in un dialogo con la Spagna per affrontare la situazione a Ceuta e Melilla» ha spiegato il portavoce, che ha anche ricordato che il commissario Ue all’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, sta pianificando di compiere a breve una visita nella capitale spagnola. luppati, i Paesi in via di sviluppo senza sbocchi sul mare e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo, con un’attenzione particolare ai settori della loro popolazione in cui la povertà è più pervasiva, alle regioni in cui i conflitti armati continuano a impedire perfino la realizzazione degli obiettivi di sviluppo del millennio — e, di fatto, a causare anche un’ulteriore regressione verso il sottosviluppo — e alle zone più colpite dai disastri naturali. In secondo luogo, la mia Delegazione è pienamente consapevole che gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono un pacchetto preparato con attenzione e determinazione per rispondere ai desideri delle parti interessate. Per questo la mia delegazione non sostiene la valutazione tecnica dei fini e degli obiettivi, poiché questo potrebbe portare alla riapertura e alla rinegoziazione di ciò che è già un accordo politicamente equilibrato accettabile dalla grande maggioranza delle parti in causa. In terzo luogo, ci aspettiamo di vedere risultati e progressi significativi se gli obiettivi di sviluppo sostenibile vengono attuati. Tali risultati e progressi dovrebbero essere accertati e verificati in base a indicatori concordati dalle stesse parti interessate. Pertanto, la mia Delegazione prende atto del lavoro della Commissione statistica delle Nazioni Unite nel fornire una lista preliminare di indicatori per i fini e gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Inoltre, sottolineiamo che lo sviluppo di indicatori basati sulle prove deve proseguire in maniera aperta e trasparente ed essere guidato dagli Stati membri. Tali indicatori non devono sconvolgere l’equilibrio politico degli obiettivi di sviluppo sostenibile, né servire per imporre idee o ideologie che non trovano consenso negli esiti del gruppo di lavoro aperto (OWGs). A tale riguardo, la mia Delegazione desidera rilevare che alcuni fini e obiettivi vengono compresi in modo diverso in contesti culturali e religiosi differenti e quindi si tradurranno in maniera differente nelle politiche e nelle legislazioni nazionali. Riteniamo che gli indicatori debbano tener conto di tali differenze ed essere elaborati in un modo che permetta ai Paesi di accertare i propri risultati in una maniera che rispecchi e rispetti i loro valori nazionali e sia coerente con le loro politiche e legislazioni nazionali. Infine, la mia Delegazione è fermamente convinta che gli indicatori dovrebbero essere globali, pur tenendo conto delle specificità nazionali e regionali, specialmente delle diverse capacità. Gli indicatori non possono essere dati irrealistici che solo — o nemmeno — i Paesi sviluppati sono in grado di realizzare. Grazie. Scomparso elicottero nei soccorsi agli alluvionati del Cile SANTIAGO, 2. Si aggrava il bilancio dell’ondata di maltempo che ha colpito la settimana scorsa il nord del Cile. Secondo l’ultimo bollettino diffuso dall’Ufficio nazionale di emergenze, le forti piogge cadute sulle regioni di Atacama, Antofagasta e Coquimbo hanno provocato almeno ventitré morti, oltre sessanta dispersi e più di ventiduemila sinistrati. L’esercito cileno ha cominciato a fornire assistenza alimentare d’urgenza per le popolazioni colpite dal disastro naturale, come aveva annunciato la presidente, Michelle GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Bachelet, che, a causa della situazione nel nord del Paese, non parteciperà al prossimo Vertice delle Americhe, in programma a Panamá il 10 e 11 aprile. E nella notte, un elicottero che partecipava alle operazioni di soccorso è scomparso senza lasciare tracce: lo ha reso noto oggi l’Aeronautica cilena. Sul velivolo, un Bell 206 dell’azienda Aguas Chañar, viaggiavano quattro persone, compreso il pilota Pedro Pablo Aldunate, che è il marito di María Isabel Bachelet, cugina della presidente. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Tragico naufragio in Russia Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va MOSCA, 2. Almeno 54 persone sono morte e una quindicina di marinai risultano dispersi nell’affondamento, ieri, di un peschereccio russo con equipaggio multinazionale nel mare di Ochotsk, al largo della penisola della Kamciatka. «Sono state tirate fuori dall’acqua 106 persone, 52 delle quali ancora in vita. Sul luogo dell’incidente stanno operando 26 imbarcazioni», ha detto un rappresentante del ministero delle Emergenze russo. Migranti fermati dalla polizia a Melilla (Ap) Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. 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In questi anni di conflitto, a Yarmuk si erano consolidate le basi dei ribelli contro il Governo del presidente siriano Bashar Al Assad e le stesse fazioni palestinesi si erano divise tra sostenitori e avversari di quest’ultimo. La vicenda, comunque, conferma la complessità della situazione in Siria, dove le diverse formazioni ribelli combattono tra loro oltre che contro le forze governative. A fronteggiare a Yarmuk i miliziani jihadisti dell’Is — che oggi si starebbero comunque ritirando, secondo l’emittente Al Jazeera — sono infatti impegnati quelli di Aknaf Bayt Al Maqde, una fazione palestinese alleata del gruppo islamista Fronte Al Nusra e avversaria del Governo di Al Assad. L’attacco dell’Is è giunto inatteso per molti osservatori, anche se fonti a Yarmuk del Fronte popolare per la liberazione della Palestina — organizzazione vicina invece all’Autorità palestinese e sostenuta dal Governo siriano — hanno sostenuto che i miliziani jihadisti sono entrati a Yarmuk dal vicino quartiere di Hajar Aswad, dove avevano organizzato da mesi proprie basi. Nelle stesse ore, la Giordania, uno dei Paesi impegnati nella coalizione internazionale contro l’Is guidata dagli Stati Uniti, ha chiuso l’ultimo posto di frontiera ancora aperto con la Siria, quello di Nasib, dopo un attacco sferrato da formazioni del Fronte Al Nusra con un bombardamento di mortai. Le forze governative siriane hanno risposto subito al fuoco, impegnando anche elicotteri da combattimento. Sull’esito dello scontro le notizie sono ancora incerte, anche se fonti dell’opposizione siriana in esilio hanno sostenuto che Al Nusra ha preso possesso di Nasib. Questo equivarrebbe per il gruppo islamista a controllare praticamente tutta la frontiera con la Giordania, perché già da tempo hanno nelle loro mani il passaggio di Ramtha. NAIROBI, 2. Almeno quindici persone, in massima parte studenti, sono state uccise e una sessantina sono state ferite nell’assalto sferrato questa mattina nel campus dell’università di Garissa, nell’est del Kenya. L’attacco è stato rivendicato dalle milizie islamiche di Al Shabaab, che già in passato avevano compiuto violenze nell’area e più in generale in Kenya. Gli assalitori, al momento in cui andiamo in stampa, tengono in ostaggio numerosi studenti, quelli di religione cristiana, dopo averne rilasciati una quindicina di religione islamica. La circostanza conferma una progressiva radicalizzazione in senso fondamentalista di Al Shabaab. Ol- tre alla Somalia, il Kenya è il loro principale bersaglio da quando il Governo di Nairobi inviò contro il gruppo truppe in territorio somalo, impegnate prima in un’operazione autonoma e poi inquadrate nell’Amisom, la missione dell’Unione africana in Somalia. Proprio le truppe kenyane, la loro marina e la loro aviazione, furono determinanti per scacciare Al Shabaab da Chisimaio, seconda città e secondo porto del Paese che avevano controllato per anni. All’epoca in molti diedero le milizie islamiche per definitivamente sconfitte, ma gli eventi successivi hanno dimostrato come Al Shabaab abbia mantenuto intatta la sua capacità di colpire, sia con azio- Dopo dieci mesi in Thailandia Revocata la legge marziale Forze di polizia dislocate fuori dall’ateneo attaccato (Ap) Un’altra città nigeriana strappata alle milizie jihadiste Buhari promette la sconfitta di Boko Haram Il premier thailandese Prayuth Chan-ocha (Ansa) BANGKOK, 2. La giunta militare al potere in Thailandia ha revocato la legge marziale in vigore dallo scorso maggio. Lo ha annunciato ieri sera in un discorso televisivo il premier, generale Prayuth Chan-ocha, comunicando il nulla osta del re, Bhumibol Adulyadej, al provvedimento, che ha effetto immediato. La legge marziale sarà però sostituita da una norma potenzialmente ancora più severa, ossia l’articolo 44 della Costituzione in via di preparazione, che, secondo molti analisti, concentra sul primo ministro tutti i poteri, assolvendolo da qualsiasi responsabilità legale. L’articolo 44 della nuova Costituzione ad interim, redatta da una commissione nominata dai generali che hanno preso il potere con il golpe dello scorso 22 maggio, consiste di un singolo paragrafo che, in sostanza, concede al leader della giunta militare di scavalcare qualsiasi ramo del Governo, in nome della sicurezza nazionale. Il ricorso a tale norma, indicano gli osservatori, conferma una tendenza alla centralizzazione dei poteri nelle mani del generale Prayuth, che continua a motivare le sue scelte con la necessità di garantire stabilità e giungere alla riconciliazione nazionale, dopo un decennio di divisioni politiche condite da manifestazioni di piazza di opposti campi politici. Uccisa una donna armata che si accingeva ad assaltare il comando di polizia Ancora terrore a Istanbul ANKARA, 2. All’indomani del tragico sequestro del magistrato Mehmet Selim Kiraz, finito nel sangue, la situazione rimane incandescente in Turchia con un nuovo attacco armato stavolta contro la questura di Istanbul. Una donna, che pare indossasse un giubbotto esplosivo, è stata uccisa ieri e un altro assalitore è fuggito, ma poco dopo è stato catturato. A due mesi dalle cruciali politiche del 7 giugno, in meno di 48 ore il Paese sembra essere precipitato in una improvvisa e pericolosa spirale di violenza. Ieri mentre sulla sponda europea di Istanbul si svolgevano con il premier Ahmet Davutoğlu i funerali del magistrato ucciso con i due sequestratori nel blitz delle teste di cuoio, sulla sponda asiatica un uomo armato ha preso d’assalto una sede del partito islamico Akp. L’uomo è stato poi arrestato. ni militari sia con il ricorso al terrorismo, in patria come fuori dai confini, appunto soprattutto in Kenya. L’attacco all’università di Garissa è stato sferrato questa mattina presto dai miliziani di Al Shabaab — da cinque a dieci stando alle testimonianze degli ostaggi rilasciati — sembra una decina, entrati nella moschea del campus nascondendosi tra i fedeli della preghiera mattutina. Fonti governative affermano che i militari hanno messo in sicurezza tre dei quattro edifici dove sono ospitati gli studenti. Gli assalitori sarebbero quindi asserragliati con un numero non precisato di ostaggi, nel quarto edificio. L’attacco all’università di Garissa arriva dopo che una settimana fa era stato diffuso dall’intelligence un allarme su possibili azioni terroristiche contro università. Ma le misure di sicurezza erano state adottate principalmente in tre atenei di Nairobi, la Kenyatta University, l’University of Nairobi, e l’United States International University. ABUJA, 2. Il presidente eletto della Nigeria, Muhammadu Buhari, ha confermato la determinazione a sconfiggere Boko Haram, il gruppo jihadista responsabile da oltre cinque anni a questa parte di sistematiche e sempre più feroci violenze che hanno provocato migliaia di morti tra la popolazione civile, soprattutto nel nord-est del Paese. «Vi posso assicurare che Boko Haram si misurerà rapidamente con la forza della nostra volontà collettiva e dell’impegno comune per liberare la Nazione dal terrore e riportare la pace. Nessuno sforzo sarà risparmiato per sconfiggere il terrorismo», ha detto Buhari in un discorso pronunciato ieri sera nella capitale federale Abuja, dopo aver ricevuto dalla commissione elettorale la certificazione della sua vittoria alle urne. Poche ore prima, truppe del Ciad e del Niger impegnate nella missione africana inviata a sostegno dell’esercito nigeriano, avevano strappato la città di Malam Fatori ai miliziani di Boko Haram che la controllavano da mesi, secondo quanto annunciato dal presidente nigerino, Mahamadou Issoufou. Dall’inizio dell’offensiva a marzo della forza africana, alla quale forniscono contingenti anche Benin e Camerun, sono state riconquistate trentasei località occupate da Boko Haram nel nord-est della Nigeria. Ciò nonostante, appare ancora la strada per arrivare alla definitiva sconfitta del gruppo jihadista. A Sanguinoso attentato in Afghanistan KABUL, 2. È di almeno 17 morti e 61 feriti il bilancio di un attacco sferrato ieri da un attentatore suicida a Khost City, nell’Afghanistan orientale. Lo riferiscono fonti della polizia locale. L’attacco — ha spiegato il vicegovernatore della provincia di Khost, Abdul Wahid Pathan — è stato messo a segno «durante una protesta di alcuni manifestanti contro il governatore». I dimostranti si erano riuniti nei pressi della residenza del governatore accusato di corruzione. Nell’attentato, ha aggiunto Pathan, «è rimasto ferito Homayoun Homayoun, capo della commissione Difesa del Parlamento». Nel frattempo, le autorità di Kabul hanno annunciato che le elezioni legislative afghane non si svolgeranno come previsto quest’anno, ma nel 2016. questo scopo — e più in generale per ricostruire la pace nel Paese — Buhari ha chiesto al rivale sconfitto, il presidente uscente Goodluck Jonathan, di «dimenticare le vecchie battaglie e contenziosi del passato». In merito, il presidente eletto ha sottolineato la necessità di mettere da parte le rivalità politiche, dopo una campagna particolarmente accesa, e ha promesso di formare un Governo «di tutti i nigeriani». Un riferimento che gran parte degli osservatori attribuiscono in particolare al supera- La Croce rossa sospende l’invio di aiuti nel nord Mali BAMAKO, 2. Il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ha deciso di sospendere gli spostamenti dei suoi operatori nel nord del Mali dopo l’attacco di martedì scorso nei pressi di Gao e nel quale è stato ucciso uno di loro e un altro è stato ferito. «Aspettiamo di vedere più chiaro in questa storia. Ci prenderemo il tempo di analizzare quel che è successo e capire perché la Croce rossa è stata fatta oggetto di un attacco simile e ne trarremo le conseguenze», ha spiegato ieri Valery Mbaoh Nana, portavoce del Cicr nella capitale maliana Bamako. L’attacco, sferrato contro un automezzo del Cicr diretto in Niger per fare scorta di medicinali era stato attribuito da diverse fonti al Movimento per l’unicità e il jihad in Africa occidentale (Mujao), uno dei gruppi islamisti presenti nel nord del Mali e contro i quali la Francia aveva deciso un intervento armato a fine 2012. L’episodio offre un’ennesima conferma di come la pace sia ancora lontana dalla regione a oltre tre anni dall’intervento delle forze francesi, dal successivo dispiegamento dei caschi blu e dalla dichiarata fine della transizione con l’elezione nell’estate del 2013 di Ibrahim Boubacar Keïta alla presidenza della Repubblica. Il nord del Mali resta infatti nella morsa delle violenze, mentre sul piano politico non si arriva ancora all’accordo tra le forze tuareg e arabe della regione e le nuove autorità di Bamako. mento della tradizionale contrapposizione tra il nord della nigeria a maggioranza musulmana e il sud a maggioranza cristiana. Tra le priorità della sua presidenza, alla quale s’insedierà il 29 maggio, Buhari ha ribadito la lotta alla corruzione, aggiungendo che «nessuno sarà considerato al di sopra della legge». Dopo la sfida costituita da Boko Haram, tra i temi cruciali della campagna elettorale c’era stata proprio la corruzione. La vittoria di Buhari e dell’All Progressive Congress, la coalizione d’opposizione che lo ha candidato, mette fine a sedici anni di governo del People’s Democratic Party, che ha guidato il Paese, da ultimo con Jonathan, dopo la caduta nel 1999 della dittatura militare andata al potere nel 1983 con un colpo di Stato guidato proprio da Buhari. Questi trascorsi avevano suscitato dubbi sul nuovo presidente, ma la gran parte degli osservatori e dei rappresentanti delle organizzazione della società civile e delle comunità religiose sottolineano che ormai le condizioni sono profondamente mutate. In questo senso si è espresso, tra gli altri, il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, in un’intervista alla Misna, sottolineando che per la prima volta il risultato elettorale è stato pacificamente accettato dallo sconfitto. «Abbiamo dimostrato al mondo di aver abbracciato la democrazia e lasciato alle spalle il sistema del partito unico», aggiungendo che le elezioni sono state organizzate bene. Quanto a Buhari, secondo il cardinale «è giusto ricordare che negli anni ’80 fu un dittatore militare, ma ora lo scenario è cambiato. Abbiamo un sistema di governo civile e democratico. Come si comporterà ora il nuovo presidente è presto per dirlo, lo vedremo. La mia preghiera è che sappia affrontare i gravi problemi della Nigeria, impegnandosi per la pace, l’unità e l’armonia del Paese». In particolare, per il musulmano Buhari «sarà una grande sfida quella dell’armonia religiosa. Il presidente dovrà mantenere la promessa di riconoscere l’importanza per la Nigeria di tanti cristiani devoti e di lavorare insieme con loro». La sostanziale regolarità delle elezioni nigeriane e soprattutto l’accettazione pacifica del risultato da parte dei contendenti sono state sottolineate anche da diversi soggetti internazionali. Lo ha fatto, tra gli altri, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ieri ha telefonato sia a Buhari sia a Jonathan. La Casa Bianca ha comunicato che il presidente si è congratulato per l’atteggiamento assunto nel primo trasferimento di poteri avviato in modo democratico e pacifico nel Paese africano. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 venerdì 3 aprile 2015 Paul Gauguin, «Gesù nell’orto degli ulivi» (1889) Riti e tradizioni della Pasqua ebraica Passando oltre di ZION EVRONY* l 4 aprile, quindicesimo giorno del mese ebraico di Nisan, per otto giorni, gli ebrei di tutto il mondo celebrano Pesach, la Pasqua, così ricordando la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù sotto il faraone nell’antico Egitto. I primi due giorni e gli ultimi due sono festività a tutti gli effetti, lavorare è proibito insieme ad altre attività, ma cucinare è permesso se non è sabato. Durante i quattro giorni di mezzo, cioè i chol hamoed o “giorni di mezza festa”, molte attività, incluso il lavoro indifferibile, sono permesse. «In quella notte io passerò per il paese d’Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d’Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dei dell’Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d’Egitto» (Esodo 12, 1213). Dopo centinaia di anni di schiavitù, Dio mandò Mosè dal faraone per chiedere la liberazione del popolo ebraico. In seguito al rifiuto del faraone, Dio colpì l’Egitto con dieci piaghe, devastandone la terra e distruggendone le coltivazioni e il bestiame. Come ultima piaga, Dio uccise tutti i primogeniti d’Egitto, «passando oltre» (da qui Pesach, “passaggio oltre”) i bambini ebrei e risparmiando le loro vite. Il faraone finalmente si arrese, lasciando Mosè e il popolo ebraico liberi di lasciare l’Egitto e intraprendere un lungo viaggio che li avrebbe portati alla Terra Promessa. Anticamente, quando esisteva il tempio di Gerusalemme, la celebrazione di Pesach era basata sul pellegrinaggio collettivo a Gerusalemme, l’offerta dell’agnello pasquale il pomeriggio del 14 di Nisan e la sua consumazione al termine di una cena collettiva la sera del 15. Da quando è stato distrutto il tempio, il sacrificio pasquale non è più presentabile e i riti che si svolgono lo ricordano. La storia della liberazione è raccontata durante la prima sera di Pesach (quest’anno venerdì 3) e letta dal libro di preghiere Haggadah consumando particolari cibi in uno specifico ordine o Seder. Il Seder di Pesach è composto da sette cibi, ognuno dei quali simboleggia parte della storia degli schiavi ebrei liberati dalla schiavitù. Le erbe amare o Maror stanno per l’amarezza della schiavitù; la Zeròah o zampa d’agnello arrosto simboleggia il sacrificio che gli ebrei hanno compiuto nel fuggire dall’Egitto; la Betzàh, l’uovo bollito, rappresenta un’altra offerta sacrificale dei giorni del secondo tempio; il Charòset (un mix di noci, mele e vino) simboleggia la malta che gli schiavi ebrei utilizzavano nel fare i mattoni; il Karpàs (una verdura, di solito il sedano) sta per la freschezza della primavera; il Chazèret è un’altra erba amara che simboleggia l’asprezza della schiavitù, ed è in alcune tradizioni rappresentata dalla lattuga; tre Matzàh, cioè i pani azzimi, sono posti al centro del piatto del Seder. Alcuni cibi sono accompagnati da acqua salata o aceto, che rappresentano le lacrime e il sudore della schiavitù. Vengono consumati anche quattro bicchieri di vino che simboleggiano le quattro promesse bibliche di redenzione: «Vi sottrarrò ai gravami degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi libererò con braccio teso e con grandi castighi. Io vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio» (Esodo 6, 6-5). Il Seder viene ripetuto anche durante la seconda sera di Pesach. La cerimonia del Seder si concentra molto sul ruolo dei bambi- I ni. Il bambino più piccolo della famiglia è di solito colui (o colei) che farà domande sul significato del Seder, dando spunto per un dibattito sui valori di questa tradizione. Il bambino canta le quattro domande o Mah Nishtana: «Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti?» è la prima domanda, e continua: «Perché le altre sere mangiamo sia il chamètz (cibo lievitato) che la matzàh e stasera mangiamo solo la matzàh?». «Perché le altre sere mangiamo molte verdure e stasera solo il maror?». Gli adulti rispondono con versi dell’Haggadah, dove è sottolineato che «più si parla dell’Esodo dall’Egitto, più si è degni di lode». «Il quindicesimo giorno sarà la festa dei Pani azzimi in onore del Signore; per sette giorni mangerete pane senza lievito» (Levitico 23, 5-8). Il Chamètz, il cibo lievitato, è assolutamente proibito durante la Pesach, e, prima che le celebrazioni comincino, ogni traccia di cibo lievitato deve essere eliminata dalla casa. La Matzàh e altri cibi non lievitati sostituiscono il Chamètz, ricordando il fatto che gli schiavi ebrei fuggirono così di fretta dall’Egitto che non ebbero il tempo di far lievitare il pane. Diverse tradizioni caratterizzano le celebrazioni di Pesach nel mondo. In alcune comunità, ad esempio, il piatto del Seder è posto sulla testa di un bambino che sfila davanti a tutti, prima di consumare il pasto. I piatti tipici del Seder italiano sono spesso una combinazione di tradizione ebraica e italiana, dunque si mangia lasagna matzoh, “carciofi alla giudia” e carne secca. Gli ebrei ashkenaziti (di origine tedesca) si astengono anche dal consumo di riso, mais, legumi, mentre la maggioranza degli ebrei sefarditi (di origine spagnola) e quelli italiani non osservano questi rigori. Vi sono differenze anche nella successione delle recitazioni delle preghiere durante il Seder. In Israele le celebrazioni della Pesach durano 7 giorni invece di 8, secondo l’originaria regola biblica. Ovunque essa sia celebrata, la Pesach rimane un’occasione per gli ebrei di tutto il mondo per riunirsi con le proprie famiglie, ricordando la conquista della libertà del popolo ebraico, trasmettendo la memoria alle giovani generazioni e celebrandola con deliziose pietanze. Gesù nell’orto degli ulivi La battaglia nascosta già rivolto insistentemente ai discepoli come a tutti nel capitolo 13 e il ricordo di quell’esortazione fa impallidire ancora di più i volti di questi tre che, invece, sono addormentati tutte e tre le volte in cui Gesù va loro incontro (versetti 37, 40 e 41; richiamo al capitolo 13 sarà anche, tra breve, il riferimento al canto del gallo, cfr. 13,35). Essi dovevano restare e vegliare, ma ne sembrano incapaci. Gesù suggerisce un altro sostegno alla debolezza della carne, la preghiera (versetto 34), e, consapevole del conflitto che egli stesso sta vivendo tra uno spirito pronto e una carne debole, ritorna a pregare. Ma i discepoli dormono. È chiaro che la tentazione che colpisce i discepoli va ben oltre una debolezza fisica: Marco dà una spiegazione di questo sonno con una delle sue tipiche frasi-commento: «I loro occhi, infatti, erano appesantiti» (versetto 40). Quale pesantezza può farti tenere gli occhi chiusi mentre il tuo maestro e signore sta soffrendo atrocemente? Fino a che punto la stanchezza fisica può essere davvero un alibi per un tale disinteresse? Con un altro commento il narratore aveva già spiegato un fallimento dei discepoli nella sezione dei pani, in 6, 52: lì era il cuore indurito, qui sono gli occhi pesanti ad impedire un discepolato degno del proprio maestro. I discepoli, qui, sono ciechi a ciò che essenzialmente accade al Getse- solo Gesù aveva assicurato a Giacomo e Giovanni che avrebbero bevuto il suo stesso calice (10, 38-39), alludendo così alla partecipazione alle sue sofferenze, ma aveva anche passato il calice (14, 23-24) del suo vino/sangue perché tutti condividessero gratuitamente il suo destino. Ora, invece, Gesù vuole prendere le distanze da questo calice, lo rifiuta: la tensione è altissima, la battaglia atroce. L’ora, dunque, da allontanare — la medesima che dirà essere giunta in 14, 41 —, è quella di bere lui stesso il calice. Per entrambi gli elementi (calice e ora), Gesù prega che siano allontanati, portati via da lui. Sia l’uno sia l’altra, dunque, sono cifra della soffeMarco parla molto raramente renza a cui Gesù va inconPubblichiamo uno stralcio del tro, ma di una sofferenza della situazione emotiva commento di Annalisa Guida a in cui si gioca la sua stessa Marco, pubblicato nel libro I o psicologica dei suoi personaggi identità come messia e, in Vangeli tradotti e commentati da lui, di Dio come Padre. L’eccezione in questo punto quattro bibliste (Roma, Àncora Dio potrebbe accontentare Editrice, 2015, pagine 1900, euro amplifica il dramma Gesù: il Gesù marciano a 46,75). Sul giornale del 2 aprile più riprese ha insegnato ai abbiamo pubblicato un analogo suoi discepoli che tutto è brano di Rosalba Manes su possibile a Dio e a chi crerivelazione esclusiva al lettore di un Matteo. de in lui. Eppure non è rapporto unico che riemergerà questa la direzione che nell’appello drammatico alla croce. prende il racconto; la moLa preghiera di Gesù, la sua angodalità si sposta dal potere sciosa richiesta, nel Getsemani è acvolere, già nella stessa preghiera di mani, e che invece il lettore, come compagnata dell’inerme sonno dei Gesù: «Tutto è possibile a te (...). unico testimone e partner di Gesù, suoi discepoli, i tre più intimi, quelli Però non ciò che voglio io, ma ciò percepisce, ossia che quella preghiedei momenti più solenni: per ben che vuoi tu». Sarà necessario, per il ra è una specie di finestra sul segretre volte Gesù tornerà da loro per personaggio Gesù e per l’ingresso ti- to della figliolanza divina di Gesù e trovarli addormentati (triplice ritormido ma più consapevole del lettore del rapporto specialissimo con il Pano e constatazione motivano la sudnel mistero degli eventi della passio- dre suo. Gesù, dunque, realizza la divisione delle scene nei versetti 32ne, che questa preghiera venga ripe- propria figliolanza divina mentre i 38; 39-40; 41-42; questo micro-ractuta: ciò sarà fatto, già al versetto discepoli falliscono nel realizzare il conto è un tipico esempio marciano 39, con le stesse parole e anche nei loro discepolato. Senza dubbio, di scena tripartita). Si anticipa, così, versetti 40-41, sebbene omessa, sem- dunque, il Getsemani è un climax, il contrasto tra gli atteggiamenti di bra implicito che la sequenza “pre- momento decisivo della story-line seGesù e Pietro ai rispettivi interrogaghiera personale-esortazione ai diquela dei discepoli. Gesù aveva già tori (14, 53-72). scepoli” si ripeta; non c’è bisogno, provato numerose volte ad aprire gli La scena al Getsemani è un proalla terza volta, di ribadirlo esplicitagressivo e drammatico isolamento mente. Piuttosto Marco sente il bi- occhi ai suoi: a Betsàida e a Gerico, del personaggio di Gesù dai suoi acsogno di insistere su un altro aspet- attraverso le guarigioni fisiche di due ciechi che incastonano l’insecompagnatori: in 14,32 Gesù è con i to: il sonno dei discepoli. discepoli; in 14,34-35 Pietro, Giaco*Ambasciatore di Israele Gesù li aveva esortati a restare e gnamento di Gesù sulla croce, e qui, vegliare. L’invito a vegliare era stato nel cuore della passione, con vari presso la Santa Sede mo e Giovanni; in 14,35-36 solo. Il tentativi (cfr. le varie predizioni). Ma tutti sono destinati al fallimento: qui, nel Getsemani, essi non riescono neanche a tenere gli occhi aperti. Si realizza, dunque, la profezia di Isaia, 6, 9-10, da Marco, 4 in Pilato tra Anatole France e Joseph Ratzinger poi sta funzionando quasi da programma narrativo dell’incomprensione/cecità/sordità dei discepoli: loro, gli insider del mistero del regno, ora sono definitivamente outsider al mistero di Gesù, al punto tale che non sanno nemmeno cosa rispondergli. Le reazioni di questi uomini alla È interessante anche quanto scrive sullo stes- forza pacificante del diritto, questo fu forse il di SABINO CARONIA presenza interpellante di Gesù sono so tema Helen K. Bond nel suo libro dedicato suo pensiero e così si giustificò davanti a se state sempre più spesso caratterizza«Che cos’è la verità?» è la domanda di Pilato al funzionario romano. Il governatore esce dal- stesso (...). La pace fu in questo caso per lui te dall’incomprensione e dalla paura a cui Gesù non risponde (se non nell’apocrifo la stanza senza aspettare una risposta; non si più importante della giustizia (...). Per il mo(9,32), dalla vergogna (9,34), dalla Vangelo di Nicodemo dove dice: «La verità è tratta di un moto di irritazione verso il prigio- mento tutto sembrò andar bene. Gerusalemme tristezza (14,19), dallo smarrimento dal cielo»). Gesù non ha risposto, scrive Kier- niero, sottolinea Bond, ma il segno che Pilato rimase tranquilla. Il fatto però che la pace, in ultima analisi, non può essere stabilita contro (14,40). kegaard, perché la sua vita era la risposta — fa parte di quel mondo che rifiuta Gesù. Sopraggiunto la terza volta, Gesù In proposito, Georg Ratzinger nel suo volu- la verità, doveva manifestarsi più tardi». Quelnon a caso, l’anagramma di quid est veritas è sembra risoluto (versetto 41). Non me Mio fratello il Papa ricorda la lettura delle lo di Cristo, come riconosce anche il Pilato di est vir qui adest. c’è più tempo. Né per dormire né Sul tema dell’Ecce homo si pensi invece alle opere di Gertrud von Le Fort, quella «poetessa Bulgakov, è il «regno della verità». Gesù qualifica la testimonianza alla verità come l’essenza per riposarsi, ma neanche per indupagine del racconto Le procurateur de Judée di della trascendenza» — secondo la felice definigiare a pregare. L’ora è giunta in cui Anatole France. Vecchio, amareggiato, Pilato zione di padre Ferdinando Castelli — autrice, della sua regalità. si compirà la consegna. La formulaincontra un amico conosciuto in Giudea quan- tra l’altro, di un romanzo, La moglie di Pilato, zione, secca, sintetica, molto vicina do era procuratore e a lui racconta le sue di- dove si narra di Claudia Procla che, rimasta alla seconda predizione lucana della sgrazie di amministratore, vittima del procon- vedova, sogna le voci che nei secoli ripeteranpassione (Luca, 9, 44b), non lascia sole Vitellio. «Chi difenderà la mia memoria?» no il nome del marito nelle formule liturgiche. spazio a fraintendimenti. Di nuovo chiede. L’amico, più frivolo, ricorda una balle- E proprio al procuratore di Giudea, e alla dola corrispondenza tra chi consegna e rina incontrata in una bettola di Gerusalemme manda «che cos’è la verità?», Joseph Ratzinger chi viene consegnato nel paralleli— il cui nome, Maddalena, non viene pronun- ha dedicato alcune delle pagine più belle del smo dei versetti 41b-42: «Ecco, viene ciato — finita tra i fedeli di un giovane tauma- suo Gesù di Nazaret. Dopo aver osservato che consegnato il Figlio dell’uomo... coturgo, Gesù il Nazareno. «Ti ricordi di que- Pilato siamo tutti noi e che la sua è una dolui che mi consegna si avvicina». I st’uomo?» chiede l’amico. Pilato aggrotta le manda «nella quale effettivamente è in gioco il discepoli, ormai, devono alzarsi e sopracciglia. Poi, dopo qualche istante di silen- destino dell’umanità», conclude: «Alla fine andare. E il racconto confermerà che zio, mormora: «Gesù? Gesù il Nazareno? No, vinse in lui l’interpretazione pragmatica del diTanzio da Varallo, «Gesù davanti a Pilato» (1615, particolare) ritto: più importante della verità del caso è la non c’è più tempo. non ricordo». di ANNALISA GUIDA iamo nel cuore della passione: gli eventi tragici non hanno avuto inizio, eppure quello che avviene nel campo del Getsemani sembra la vera battaglia. Anticipati dalla doppia predizione a Pietro, gli eventi si susseguiranno come da copione. Prima, però, che si passi alla fase del compimento, ecco la preghiera tragica di Gesù. Marco la pone come momento di pausa e di svolta tra la catena di predizioni precedenti e il loro inverarsi (almeno parzialmente) nel racconto. Gesù si rivolge qui al Padre, S suo triplice ritorno da Pietro, Giacomo e Giovanni per constatarne tutte le volte l’incapacità di vegliare enfatizzerà la sua solitudine. La fuga generale all’arresto sancirà la sua assoluta separazione. All’inizio della scena, al gruppo dei discepoli Gesù chiede solo di sedersi affinché lui possa pregare (versetto 32), mentre ai più intimi, Pietro, Giacomo e Giovanni, quelli che già precedentemente ha voluto con sé in altri due momenti d’intensa autorivelazione, sembra fare una richiesta più esigente: restare e vegliare (versetto 34) perché la sua anima è triste fino alla morte. L’ansia di Gesù è espressa ai versetti 33-34 da un crescendo emotivo: lo spavento, l’inquietudine, la tristezza profonda. Come sappiamo, Marco offre molto raramente introspezione emotiva o psicologica dei suoi personaggi, e quasi mai lo fa di Gesù, né quasi mai Gesù esprime il proprio stato d’animo rispetto a una situazione (esempi rari sono stati 6,4 e 8,2). L’eccezione, qui, amplifica il dramma e ci fa entrare direttamente nel suo turbamento. Come a dire: in un’angoscia in cui anche il Padre sembra assente, grazie alla potenza del racconto nella solitudine di Gesù entra almeno il lettore, che per la prima volta è messo a contatto in maniera così nuda e diretta con la sua preghiera, la sua autoconsapevolezza, il suo dramma interiore. Stiamo per contemplare una scena che rafforza la fede in Gesù o la mette definitivamente in crisi? Gesù avanza un po’ (versetto 35) e si getta a terra, pregando — conosceremo tra poco il destinatario di questa preghiera — che, se possibile, passi da lui quell’ora. A quale ora si riferisca è ben chiaro dall’esplicitazione della sua preghiera: rivolgendosi direttamente a Dio come Padre (versetto 36), colui al quale tutto è possibile, Gesù chiede che allontani quel calice da lui. L’effetto sul lettore e sull’accentuarsi del dramma è incredibile: non Se il desiderio di pace uccide la giustizia Quattro bibliste L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 3 aprile 2015 pagina 5 Francisco del Rincón, «L’elevazione della croce» (1604, Valladolid, Colegio de San Gregorio, Museo Nacional de Escultura) Nella procedura penale romana era previsto che il giudice facesse scrivere su una tabella la motivazione della condanna E il nome di chi era considerato reo La sentenza Quella iscrizione sopra la testa per il contenente; Marco (15, 26), il più conciso, annota «e vi era l’iscrizione con il motivo (della condanna) iscritto: “Il re dei Giudei”»; Luca (23, 38–39) infine riporta: «E c’era anche una iscrizione sopra di lui, scritta in greco, latino ed ebraico: “Questo è il re dei Giudei”». Nell’ottica del diritto penale romano e della tipologia, della funzionalità, della tecnica esecutiva di un prodotto epigrafico, l’iscrizione tramandata dai Vangeli suggerisce alcune osservazioni che possono consentire di leggere più lucidamente ruolo e significato dell’inserimento di un testo epigrafico nell’evento ultimo della Passione. In primo luogo, dal punto di vista tecnico e statico, è oggettivamente impossibile pensare a una iscrizione collocata al di sopra di un dispositivo cruciforme, con struttura e morfologia di patibulum (cioè in forma commissa o patibolata, cosiddetta a tau). Non a caso nella tradizione figurativa seriore, è generalmente rappresentato nella tipologia immissa o capitata (la cosiddetta “croce latina”), la sola che avrebbe potuto consentire l’esposizione dell’iscrizione, che nella tradizione iconografica a partire dal V secolo, è appunto rappresentata come una tabellina retCimabue, «Crocifisso di Santa Croce» tangolare collocata sulla (1272-1288, particolare) sommità del palo verticale (stipes) della croce che sopravanza l’asse prossimità della croce — doveva orizzontale, il patibulum. accompagnare il percorso di GeIn secondo luogo, tenuto consù di Nazaret dal Sinedrio al to che si trattava di un testo trilingue (greco, latino, ebraico), Calvario. I Vangeli, seppure con evidenti l’iscrizione doveva probabilmente diversità nell’estensione del rac- estendersi almeno su tre righi e, conto e nel dettaglio delle infor- coerentemente alla sua funzionamazioni, riferiscono infatti di un lità (anche giuridica) doveva pretesto iscritto commissionato da vedere di necessità la scrittura Ponzio Pilato, senza accennare per esteso del nome del condanperò alla sua funzionalità giuridi- nato e del capo d’accusa; pertanca. Nella procedura penale roma- to nessun motivo plausibile potuto giustificare na era previsto che il giudice, ri- avrebbe conosciuta la colpevolezza del- l’esposizione di un acronimo — l’accusato e pronunciata la con- come ad esempio il seriore Inri — danna, dettasse il titulus — tra- come poi veicolato dalla tradizioscritto su una tabella — cioè la ne figurativa successiva, anche se motivazione della sentenza e il nella testimonianza più antica si trova la forma, comunque abbrenome del condannato. La descrizione più dettagliata viata, Rex Ivd scritta entro una della iscrizione destinata a Gesù tabellina rettangolare posta al di si trova nel Vangelo di Giovanni, sopra della testa di Gesù, come non a caso tramandato come te- documentato in una capsella stimone oculare dell’evento de- eburnea del British Museum risascritto: «Pilato scrisse (scilicet fece lente al 420–430: in questo caso scrivere) un’iscrizione (titulus/tí- — come evidente — viene ripropotlos) e la pose sopra la croce. Vi sta la versione ellittica dell’iscriera scritto: “Gesù il Nazareno, re zione, come tramandata da Mardei Giudei”. Molti giudei lessero co (15, 26) e Luca (23, 38–39), questa iscrizione (ancora titu- che non menzionano il nome del lus/títlos), poiché il luogo dove fu condannato (Iesus) né il suo etnicrocifisso Gesù era prossimo alla co (Nazarenus). città. Era scritta in ebraico, in laSe, infine, come specificato nel tino, in greco» (Giovanni, 19, Vangelo di Giovanni, «molti Giudei lessero questa iscrizione», 19–20). Nei sinottici il riferimento a si può ragionevolmente supporre questa iscrizione è presentato in che l’iscrizione fosse collocata in termini più succinti e con qual- una posizione strategicamente che difformità rispetto alla ver- funzionale alla lettura o almeno a sione di Giovanni anche in rela- una sua immediata percezione vizione al testo dell’iscrizione e alla siva. Escluso che potesse trattarsi sua denominazione. Matteo (27, di un titolo lapidario, è lecito im37–38) riporta «e imposero sulla maginare una iscrizione effimera, sua testa la causa (cioè il capo destinata cioè dopo l’uso a non d’accusa) scritta: “Questo è Gesù essere conservata: dunque un tire dei Giudei”», laddove — come tulus albo/rubro pictus tracciato su evidente — l’iscrizione è implici- supporto probabilmente ligneo, tamente definita con il contenuto disposto o ai piedi della croce o, di CARLO CARLETTI el succedersi degli eventi che scandiscono i dies paschales — come narrati nei Vangeli — si può cogliere un particolare di carattere giuridicamente normativo spesso non adeguatamente considerato dai commentatori antichi e moderni nel suo significato cogente in riferimento all’azione processuale che condusse alla condanna del Nazareno: è l’iscrizione che fisicamente — prima appesa al collo, poi disposta in N più probabilmente, appesa a una asta — una sorta di labaro — collocata a fianco o dietro il patibulum e più in alto rispetto a esso, così da apparire appunto come posta sopra la testa. Questa collocazione era comunque susseguente e diversa rispetto a quella del momento della condanna — non riportata dai Vangeli ma prevista dalla legislazione romana — in cui la scritta con il capo d’accusa doveva restare appesa al collo del condannato nel percorso al luogo del supplizio, dove sarebbe stata poi rimossa e collocata su altro supporto accanto o sopra il patibulum. È quanto sembra potersi intuire da una lettura comparata dei passi evangelici: Matteo riporta «la posero sopra la sua testa», Luca «sopra di questo» e dunque non necessariamente deve intendersi, come proposto nella traduzione della Bibbia di Gerusalemme, «sopra la sua testa», ma forse più genericamente sopra o in contiguità con il crocifisso. Marco non ne fa cenno; Giovanni dice «la pose sopra la croce». Queste informazioni, sebbene tra loro non conformi e talvolta tecnicamente ellittiche, giustificano tuttavia l’ipotesi ricostruttiva di una iscrizione appesa a un’asta e collocata dietro o a fianco della croce. Questa possibile soluzione è anche imposta dalla morfologia dello strumento di supplizio, che si presentava nella forma di una crux commissa, in tutto corrispondente a quella di uso corrente nel mondo romano. Questa tipologia trova una conferma convincente in un graffito parietale tracciato nel I secolo in una taberna di Pozzuoli, Dal punto di vista tecnico è oggettivamente impossibile pensare a una scritta collocata al di sopra di un dispositivo cruciforme prossima all’anfiteatro. Si tratta di una crocifissione: su una croce commissa è appesa una donna, il cui nome Alcimilla è tracciato all’altezza della testa. L’eccezionale rappresentazione, trattata in termini estremamente realistici, seppure rozzi e approssimativi, non presenta nessun elemento che possa far pensare a una intenzione derisoria o blasfema da parte dell’esecutore — come nel graffito derisorio del Palatino — anche perché il crudo realismo della scena è sottolineato da un’altra iscrizione contestuale che menziona il luogo, la città di Cuma (Cumis), dove il supplizio dovette consumarsi. È verosimile che la scena rappresentasse l’esecuzione capitale di una donna avvenuta nell’anfiteatro di Cuma in occasione di uno spettacolo gladiatorio, di cui si conserva l’annuncio a Pompei in un edictum muneris, testualmente riportato in una iscrizione murale dipinta sulla facciata di un sepolcro fuori porta Nocera (Corpus inscriptionum latinarum, IV, 9983a): «Venti coppie di gladiatori e le loro riserve combatteranno a Cuma il primo, il cinque e il sei ottobre: ci saranno i condannati alla crocifissione (cruciarii), il combattimento con le fiere (venatio) e il velario (vela)». Sulla croce Prima il perdono di ANTONIO PELAYO adre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Luca, 23, 34). Sono le sue prime parole dalla croce. Sono parole di perdono, non di vendetta, di odio o di rancore, e non chiedono neppure a Dio, giudice supremo, di fare giustizia davanti all’enorme ingiustizia della morte di un innocente. Gesù inchiodato alla croce si rivolge a Dio come Padre per chiedergli di non scaricare la sua frusta castigatrice su quegli stolti che lo hanno crocifisso. «Non sanno quello che fanno — scriveva Hans Urs von Balthasar, uno dei grandi teologi del XX secolo — lo inchiodano al legno per disfarsi definitivamente di lui e così lo inchiodano per sempre a questa terra, saldamente. Lo inchiodano in modo che non si possa più muovere e così eseguono la sua volontà di rimanere sempre con noi. Né la Resurrezione né l’Ascensione cambiano tutto ciò. Non è l’uomo che lo costringe a essere fedele alla terra; è Lui stesso che, con la sua divina libertà, rimane con noi fino alla fine e oltre» (Via Crucis in Vaticano, 1988). «Non sanno quello che fanno», sospira Gesù mentre i suoi occhi, offuscati dal sangue che a fiotti sgorga dal suo capo coronato di spine, intravedono appena l’orrenda folla che assiste alla sua esecuzione. Forse non sapevano quello che stavano facendo i soldati romani, semplici esecutori materiali del più orrendo crimine della storia dell’umanità. Forse Anna e Caifa, e con loro la casta dei sacerdoti e degli scribi corrotti e corruttori, erano incapaci di comprendere l’entità dell’errore che stavano commettendo. Forse il governatore Ponzio Pilato, assalito dalle sue paure e dalla sua codardia, pensava di aver preso la decisione politicamente corretta, sebbene fosse convinto dell’innocenza del Nazareno. Forse Giuda poteva giustificare il suo tradimento con la delusione che aveva subito la sua brama di capeggiare una rivolta contro gli invasori romani. Forse in quella moltitudine vociferante e blasfema non c’erano altro che un sadico desiderio di divertirsi con la disgrazia altrui e di ammazzare un pomeriggio con uno spettacolo che non si vedeva tutti i giorni. «P Forse, forse, forse. Ma Gesù si disfa di tutti quei forse e chiede al Padre di perdonare tutti, senza eccezioni. Perciò è venuto al mondo, per perdonare e vuole che questo sia il suo testamento. Il perdono di Gesù non ha limiti e attraversa ogni tempo, fino a giungere ai giorni nostri. Non gli impedisce di perdonare neppure i nostri enormi e gravi peccati, perché anche gli uomini e le donne di oggi non sanno quello che fanno, noi non sappiamo quello che stiamo facendo. Non sanno quello che fanno quegli scienziati che giocano con la vita umana come se fosse un oggetto, un prodotto che si può manipolare, trasformare, vendere o affittare; quei sapienti che nei loro laboratori possono già clonare l’essere umano privandolo della sua vera natura di uomo libero e di creatura nata dall’amore tra un uomo e una donna. Sicuramente non sanno quello che fanno quanti trafficano con gli esseri umani, persino con i bambini; quanti li gettano in mare su miseri scafi, esposti a ogni sorta di pericolo con l’unica speranza di lasciare dietro di sé un passato di fame, di violenza e di morte; molti di loro, troppi, finiscono sul fondo del mare, trasformato così nel più crudele di tutti i cimiteri. Non sanno quello che fanno quei politici corrotti e corruttori che antepongono la loro cupidigia alla ricerca del bene comune; quanti lusingano i più bassi istinti con la demagogia e il populismo, dimenticandosi che la verità non può essere né elusa né camuffata; quanti cercano solo il potere per servirsene e non per servire il popolo dal quale provengono. Non sanno quello che fanno neanche quanti sfruttano la terra come se fosse una loro proprietà e non un dono che abbiamo ricevuto in prestito per trasmetterlo migliorato alle generazioni future; quegli spietati egoisti che non rispettano le leggi della natura e che ignorano che non si può giocare impunemente con la salvaguardia del pianeta. Non sanno, purtroppo, quello che fanno neppure quei giovani disperati che si abbandonano alla più codarda delle fughe, rifugiandosi nelle reti dell’alcool o delle droghe che uccidono; giovani che hanno per- Giuseppe Pongolini, «Nuova crocifissione» (2004, particolare) so la bussola della loro esistenza e diffidano di un amore che non hanno mai conosciuto e che perciò sottovalutano; giovani di entrambi i sessi che sembrano aver gettato la spugna prima ancora di cominciare a lottare per la loro vita. Non sanno quello che fanno — e questo sì che è ancora più preoccupante — i clerici accecati dall’ambizione, dalla ricerca del potere e dall’avidità di denaro; quelli che osano violare le coscienze e i corpi di bambini e di adolescenti; quelli che mettono sulle spalle degli altri gioghi che loro stessi non sono capaci di sopportare e si dimenticano di quella misericordia che deve essere la loro unica norma di comportamento. Ma Gesù perdona perché il perdono è una forma molto speciale e privilegiata di quell’amore che è la quintessenza del suo Vangelo. Un perdono che sgorga dalla croce come il san- Sermone delle sette parole Anticipiamo l’inizio del lungo sermone sulle sette parole di Cristo sulla croce che nel giorno di venerdì santo tiene nella Plaza Mayor di Valladolid don Antonio Pelayo, corrispondente dal Vaticano di «Vida Nueva» e di Antena 3, consigliere ecclesiastico dell’ambasciata di Spagna presso la Santa Sede. Nato a Valladolid, il predicatore di quest’anno ricorda nella premessa di avere ascoltato in passato il tradizionale pregón pronunciato dai cardinali Marcelo González e Antonio María Javierre e da José Luis Martín Descalzo, sacerdote, giornalista e poeta. gue che scorre sul corpo del Crocifisso e impregna questo nostro amato mondo terribile. «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo — dice il Vangelo di Giovanni — per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (3, 17). Come Papa Francesco ci ha recentemente ricordato, ci costa accettare la «logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio». Di conseguenza — ha aggiunto nell’omelia ai nuovi cardinali, lo scorso 25 febbraio — «la strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero». Lo stesso Papa ha appena annunciato un anno santo straordinario. Anno santo della Misericordia perché — come Francesco ripete continuamente — «Dio perdona sempre, Dio perdona tutto, Dio non si stanca di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 3 aprile 2015 Appello del vescovo messicano di Piedras Negras Nel dramma dei migranti dispersi In un messaggio l’incoraggiamento del Papa all’episcopato colombiano Il rischio della pace BO GOTÁ, 2. Il rischio e il coraggio di lavorare per la pace, unica strada per costruire una società più giusta e fraterna. È l’indicazione che Papa Francesco, attraverso una lettera del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha inteso rivolgere all’episcopato colombiano. Un messaggio che, nel clima della settimana santa, è destinato all’«amato popolo colombiano, ai loro pastori e alle loro autorità». In «attesa», scrive il porporato, «di potere incontrare tutti presto», durante un prossimo viaggio pontificio in America latina. Nel documento, indirizzato a monsignor Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente della locale Conferenza episcopale, il cardinale Parolin manifesta il vivo ringraziamento del Papa «per le manifestazioni di sincero affetto collegiale» espresse recentemente dall’episcopato colombiano e ricorda come Bergoglio «in tempi diversi ha visitato questa bella terra, e ha sempre ammirato la gioia e la laboriosità dei suoi abitanti, così come la vitalità evangelizzatrice della Chiesa». Tuttavia, ora il Papa «è anche consapevole dell’importanza cruciale di questo momento in cui, con sforzo rinnovato e mossi dalla speranza, i colombiani stanno cercando di costruire una società più giusta e fraterna: una società in pace». Il Governo colombiano, come è noto, è impegnato nei colloqui di pace con i gruppi guerriglieri per porre definitivamente fine a una stagione che ha insanguinato il Paese. Si tratta di un obiettivo importante, per raggiungere il quale, sottolinea il cardinale Parolin, «è necessario essere consapevoli in primo luogo di testimoniare la gioia di Gesù Cristo, “Principe della pace”, l’unico che rende possibile la riconciliazione fra tante sofferenze e divisioni». In questo senso, il Papa «invita tutti a essere collaboratori nell’opera della pace che nasce dall’amore di Dio per l'umanità» ed esorta «a proseguire l’opera di giustizia, fraternità, solidarietà, dialogo e comprensione, che sono le fondamenta della costruzione di una società rinnovata. A lottare senza sosta contro ogni forma di ingiustizia, inequità, corruzione, esclusione, e contro quei mali che distruggono la vita della società». Infatti, viene ricordato, «costruire la pace è un processo complesso che non si esaurisce in spazi o piani a breve termine». Bisogna «correre dei rischi» per cementare la pace a partire dalle vittime, «con un impegno costante al fine di ripristinare la dignità, per riconoscere il dolore riparando così il danno subìto». Il cardinale assicura pertanto che «il Papa ha espresso grande affetto, vicinanza e solidarietà, a chi ha patito le conseguenze del conflitto armato in tutte le sue espressioni». Di qui anche la sottolineatura che «si deve forgiare la pace dall’emarginazione, dalla povertà estrema, da coloro che non sono inclusi nella società». Tuttavia, si avverte, «costruire una pace stabile e duratura significa anche lavorare in favore di rapporti sani nelle famiglie colpite oggi da preoccupanti situazioni di violenza affinché, trasformate dalla potenza del Vangelo, siano semi e scuola di una cultura di pace e di riconciliazione». In tale prospettiva, «si deve continuare a incoraggiare» l’impegno «in favore degli sfollati, dei sopravvissuti alle mine antiuomo, nei confronti di coloro a cui è stata sottratta ingiustamente la proprietà, degli ostaggi, di tutti coloro che hanno sofferto in varie forme, e anche delle vittime di decenni di ingiustizia, inequità ed emarginazione». Insomma «è necessario correre il rischio di trasformare tutta la Chiesa, ogni parrocchia e ogni istituzione, in un “ospedale da campo” in un luogo sicuro dove è possibile far reincontrare chi ha conosciuto le atrocità con chi ha agito con violenza. Affinché nella Chiesa tutti trovino guarigione e opportunità per recuperare la dignità perduta o tolta. Che diventi possibile il pentimento, il perdono e la decisione di non riprodurre di nuovo la catena di violenza. Coloro che hanno agito con violenza, possano riconoscere le dolorose conseguenze delle loro azioni, che non solo hanno fatto male alle vittime, ma che hanno anche ferito la propria dignità umana. Che questo “ospedale” copra le periferie del dolore, spesso anche di risentimento e di odio, che sono generati in ogni conflitto». PIEDRAS NEGRAS, 2. Preoccupazione per il destino di migliaia di migranti è stata espressa dal vescovo di Pidras Negras in Messico, monsignor Alonso Gerardo Garza Treviño. Nei giorni scorsi il presule ha lanciato un appello affinché le autorità competenti intervengano per far luce sui tanti giovani scomparsi nel tentativo di espatriare negli Stati Uniti: «La gente è molto preoccupata per i propri familiari e avverte un senso di impotenza nel vedere che non ci sono risvolti positivi dalle indagini svolte dalla polizia. Ma la cosa più grave — ha proseguito monsignor Garza Treviño — è che le persone continuano a scomparire». Nel corso di un incontro con i fedeli in occasione delle celebrazioni per la settimana santa il vescovo non ha nascosto la propria apprensione, sottolineando che quanto che sta accadendo nel Paese sudamericano, nella quasi totale indifferenza, è terribile: «Ci sono casi in cui non si ha la minima idea di dove siano finite queste persone, vittime innocenti». Monsignor Garza Treviño ha sottolineato anche che sono poche le famiglie che hanno ricevuto una richiesta di riscatto. La maggior parte invece non sa più nulla dei propri parenti scomparsi. Ci sono storie molto drammatiche al riguardo. «Ho sentito — ha detto il vescovo — i racconti di alcuni famigliari che dicono di non avere notizie dei propri cari. Nessuno sa niente. Nessuno riesce a ottenere informazioni attendibili». Secondo fonti locali, molti degli uomini e dei giovani rapiti vengono usati da gruppi di narcotrafficanti per trasportare droga o altra merce oltre la frontiera, come conferma il ritrovamento di un gruppo di persone scomparse da Piedras Negras nelle carceri del Texas. Ultimamente le autorità messicane e statunitensi si sono incontrate a Maverick per uno scambio di informazioni riguardo agli scomparsi e ai detenuti. In diverse occasioni, i vescovi latinoamericani di frontiera hanno ribadito la necessità di porre fine al fenomeno del sequestro e dello Denuncia della Chiesa in Cile Dopo l’inondazione il mercato nero Documento dei presuli brasiliani della regione Sud 2 Accanto al popolo che soffre BRASÍLIA, 2. «Anche noi soffriamo con il popolo a causa della violenza, dell’esodo dalle campagne, delle migrazioni, dei conflitti per la terra». È quanto affermano i presuli della regione Sud 2 dell’episcopato brasiliano, corrispondente allo Stato meridionale del Paraná, nel messaggio conclusivo dell’incontro svoltosi nei giorni scorsi ad Apucarana. Nel documento, reso noto dal sito internet della conferenza episcopale, i vescovi, ricordando il cinquantesimo della diocesi di Apucarana, mettono in evidenza il ruolo svolto dalla Chiesa locale e sottolineano i progressi registrati di recente in campo sociale. Proprio per questo i vescovi tornano a mettere in evidenza quanto sia importante una sempre maggiore collaborazione tra istituzioni e popolazione per «trovare insieme luci e soluzioni». Il testo del documento ricorda anche le linee guida del Papa e della dottrina sociale della Chiesa per promuovere il bene comune, come pure la Campagna di fraternità, l’iniziativa quaresimale della Chiesa in Brasile, che quest’anno ha avuto per tema «Fraternità: Chiesa e società» e si è sviluppata con lo slogan «Sono venuto per servire». Si tratta, come è noto, di una iniziativa che nel tempo ha assunto una grande importanza anche a livello sociale. La Campagna di fraternità intende infatti ricordare la vocazione e la missione di ogni cristiano e delle comunità ecclesiali al dialogo e alla collaborazione con tutte le istanze della società, così come indicato dal concilio Vaticano II. Nel documento i vescovi della regione Sud 2 auspicano anche che l’anno della pace indetto per il 2015 dall’intero episcopato nazionale contribuisca al superamento dei conflitti interni al Paese. Secondo gli ultimi dati disponibili, infatti, nel 2012 in Brasile sono state assassinate più di 56.000 persone. Occorre dunque sconfiggere la violenza e creare un clima più rispettoso e fraterno. In questa prospettiva, l’anno della pace è stato indetto con l’intenzione di integrare le iniziative a carattere nazionale con quelle locali e diocesane. Di qui anche l’importanza della partecipazione dei cristiani alla vita politica come un aiuto alla costruzione di una società giusta e fraterna. In questa prospettiva, come si ricorderà, i presuli brasiliani, anche attraverso la raccolta di firme, hanno pubblicamente espresso sostegno a un progetto di legge di iniziativa popolare per una riforma che renda più trasparente il sistema elettorale. Per quanto riguarda sempre lo Stato del Paraná, la Commissione pastorale per la terra ha annunciato l’imminente pubblicazione del Rapporto sui conflitti per l’acqua (principalmente quella da impiegare in agricoltura) con i dati relativi all’anno 2014. Secondo alcune anticipazioni, l’anno scorso è stato registrato il maggior numero di conflitti le- gati all’acqua degli ultimi dieci anni, nei quali sono rimaste coinvolte più di 42.000 famiglie, contando solo quelle che vivono nelle zone rurali. Secondo quanto evidenziato dall’episcopato brasiliano, dall’anno 2005 si contano 322.508 nuclei familiari colpiti in diversa misura da questo tipo di conflitti. Nell’anno 2014 i casi sono stati 127, con 42.815 famiglie interessate. Tra le zone più interessate del Paese quella del Pará, con oltre 69.000 famiglie colpite. Come è stato documentato nell’incontro per la creazione della Rete Ecclesiale PanAmazzonia, tenutosi nel mese di settembre dello scorso anno, la regione soffre per la mancanza di «grandi progetti macroeconomici» mentre «i Governi nazionali non presentano proposte» come invece si sono impegnate a fare «nell’ambito dell’Iniziativa integrale delle infrastrutture regionali del Sud America e per gli impatti dei cambiamenti climatici nell’Amazzonia». Per quanto riguarda la crisi idrica, che colpisce gli Stati del sudest del Brasile, l’analisi stima che oltre 37 milioni di persone ne sono state coinvolte. Nonostante la mancanza di dati specifici, il rapporto indica come la conservazione dell’Amazzonia e del Cerrado (zona sud della foresta brasiliana) siano i fattori essenziali per garantire l’acqua anche al centrosud del Brasile. SANTIAGO DEL CILE, 2. Mentre continua senza sosta il lavoro dei volontari per portare aiuto e conforto alle popolazioni del nord del Cile colpite da violente inondazioni, migliaia di sfollati sono ora alle prese anche con l’odioso fenomeno dello sciacallaggio e del mercato nero. Nei giorni scorsi, come riferisce l’agenzia Fides, monsignor Celestino Aós Braco, vescovo di Copiapó, insieme con un gruppo di esperti della Caritas e della diocesi, ha raggiunto le zone più colpite per verificare la situazione e dare un segno concreto di solidarietà in questo momento così difficile. Le forti piogge, gli allagamenti e le frane hanno provocato nella zona la morte di dodici persone. Venti risultano i dispersi. Secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno 748 persone hanno perso la loro casa e più di cinquemila sono state costrette ad abbandonarle per il pericolo delle frane. Nella città di El Salado sono state improvvisate delle tendopoli per accogliere in particolare i bambini e gli anziani. In molte cittadine della regione ancora mancano l’acqua potabile e l’elettricità. Condizioni che favoriscono quanti sono pronti a sfruttare ogni situazione per trarne facili profitti. Monsignor Aós Braco, dopo la visita a diversi gruppi di senza tetto, ha denunciato saccheggi e speculazioni sui prezzi dei generi di prima necessità. A questo proposito ha detto: «Non riesco a capire come ci possano essere delle persone, in mezzo a queste tragedie, che vogliono approfittare della situazione e chiedono di pagare cifre esorbitanti per beni necessari. Questo è un comportamento spregevole. Come società dobbiamo essere molto rigidi e guardare all’onestà come prima cosa. Dobbiamo essere uniti e onesti, senza privare i più vulnerabili dei beni materiali, perché così facendo togliamo loro la speranza». Nei giorni scorsi, come si ricorderà, Papa Francesco in un messaggio di cordoglio a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, aveva esortato «le istituzioni e tutti gli uomini di buona volontà, affinché, mossi da sentimenti di solidarietà fraterna e carità cristiana, prestino aiuti efficaci per superare questi difficili momenti». Parole a cui si era unito il cardinale arcivescovo di Santiago del Cile, Riccardo Ezzati Andrello, il quale in un messaggio aveva detto che «il desolante panorama degli ultimi giorni nel nord del nostro Paese non può lasciarci indifferenti». sfruttamento dei migranti. In occasione di un recente incontro a Tapachula, i presuli hanno anche stilato un documento dal titolo «No all’indifferenza al dramma della migrazione» dove si ricorda che ogni giorno «centinaia di fratelli centroamericani, nell’attraversare queste terre meridionali, subiscono estorsioni e vengono aggrediti in molti modi che mettono a rischio la loro stessa vita. Tali fatti non possono lasciare indifferenti, ma sono motivo di dolore e vergogna. La Chiesa non è indifferente a questo dramma. I costanti appelli del Papa e dei vescovi su questa realtà — hanno aggiunto — sono un richiamo alla coscienza dei cristiani e a chi deve dare alla comunità risposte efficaci. Una voce purtroppo non ascoltata, soprattutto da parte di coloro che, con le loro pratiche criminali, rendono ogni giorno più doloroso il cammino, di per sé insicuro, di tanti fratelli centroamericani». Nonostante l’impegno di molti le risposte date al fenomeno delle migrazioni sono ancora insufficienti. «Senza essere degli esperti in analisi socioeconomiche — hanno sottolineato i presuli — vediamo la grande contraddizione tra il progresso tecnologico nel mondo occidentale e l’enorme arretratezza di molte comunità, in particolare rurali e indigene. Vediamo la contraddizione tra la globalizzazione, la libera circolazione delle comunicazioni, del commercio, del denaro, e le difficoltà di ogni genere che devono superare coloro che cercano di emigrare per una vita migliore. Vediamo la contraddizione tra le promesse dei Governi e di coloro che aspirano a cariche pubbliche nelle nostre città di fronte alla realtà di miseria e disperazione soprattutto delle giovani generazioni». Alle autorità i presuli hanno ricordato il dovere di «occuparsi con maggiore serietà del tema dell’emigrazione in tutti i suoi aspetti: promuovendo fonti di lavoro degno in grado di sradicare la povertà, prima causa del fenomeno, e garantendo la sicurezza di quanti attraversano il nostro territorio». «I fratelli provenienti da altri Paesi — hanno concluso i presuli latinoamericani — possano aiutarci a scoprire la ricchezza dei loro valori, della loro cultura. Il loro passaggio in mezzo a noi ci aiuti a riconoscere che tutti noi siamo di passaggio in questa vita». L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 3 aprile 2015 pagina 7 Parla il cappellano del carcere romano di Rebibbia dove il Pontefice celebra la messa «in coena Domini» Oltre le sbarre di MAURIZIO FONTANA «Il Giovedì santo di Papa Francesco a Rebibbia sarà importante per i detenuti, ma forse ancora di più per chi è fuori». Sorride don Pier Sandro Spriano, cappellano del carcere romano, consapevole dell’affermazione un po’ spiazzante. Dietro l’apparente paradosso si nasconde quello che per lui è l’aspetto più importante della messa «in coena Domini» che il Pontefice celebra nel pomeriggio di giovedì 2 aprile. «I cristiani — spiega al nostro giornale — non hanno ancora compreso che anche all’interno del carcere c’è una Chiesa. Non una chiesa di mattoni, ma una Chiesa di uomini e donne, che prega, celebra, riflette, ascolta la parola di Dio e vorrebbe annunciare all’esterno il concetto di giustizia che esprime il Vangelo». Non l’«occhio per occhio, dente per dente» al quale si fa riferimento nel mondo comune. Invece «la giustizia del Vangelo pensa a punire se è necessario, ma nel contempo anche a salvare il colpevole». Venticinque anni (su cinquanta di sacerdozio) di servizio pastorale all’interno del carcere hanno consolidato in lui una convinzione: «Se oltre a punire chi commette un reato, io non lo curo, questa persona tornerà a delinquere più di prima». Per questo spera che da questa celebrazione emerga un «segnale forte per dire che il reato, il male, non annulla la possibilità di essere cristiani, ma nemmeno annulla la possibilità di essere annunciatori di una giustizia nuova, così come la predica il Vangelo». E il primo scopo della giustizia evangelica è quello di «ricomporre», di «ricostruire» la persona. Proprio a questo si dedica il gruppo guidato da don Spriano: quattro cappellani ufficiali, tredici preti volontari, ventidue seminaristi e un centinaio di volontari della Caritas (sono quelli del Vic, Volontari in carcere, fondato dallo stesso cappellano). Ai detenuti viene proposto un cammino celebrativo di preghiera e di catechesi: si pensi che in carcere c’è una partecipazione alla messa del trenta per cento. Quello dei volontari cattolici è un lavoro prezioso nella complessa realtà di Rebibbia: quattro istituti penitenziari, tre maschili e uno femminile, circa 1.900 uomini e 350 donne, il 36 per cento dei detenuti è straniero (da un’ottantina di Paesi). Sono più di quanti il carcere potrebbe accogliere, ma secondo il cappellano il sovraffollamento non è il primo dei problemi. Quello vero è che ci si accontenta di seguire solo il dettato della Costituzione, che impone, per un certo tempo, di allontanare dalla società chi ha commesso dei reati. Ma per il recupero delle persone, il carcere fa poco. Ecco allora che diventa fondamentale la presenza della Chiesa. «Noi — ci spiega — riusciamo a confrontarci con la singola persona affinché questa possa essere, come dice la legge, stimolata a rivedere il suo passato deviante». In questo i volontari sono aiutati anche dal fatto di non avere obblighi istituzionali: non partecipano ai consigli di disciplina, non danno giudizi al magistrato. I detenuti lo sanno. E trovano in loro un appiglio, la possibilità di una speranza. Parte allora il dialogo. A volte si avviano conversioni. Si tenta di ricucire, di ricomporre i cocci. La realtà del carcere, sembra quasi banale ricordarlo, è devastante per la persona. Don Spriano entra un po’ nel dettaglio: «Qui si vive in un impianto che non è fatto per riconciliare. È fatto per punire. Violenze gratuite, rapporti disciplinari, il dover stare chiusi e non poter decidere niente per conto proprio, il sovraffollamento che crea la fatica del convivere». Su tutto domina la solitudine. Le carceri sono stracolme, le celle accolgono molti più detenuti di quanto dovrebbero, ma in questo affollamento «la solitudine è uno dei problemi fondamentali del carcerato». Proprio pochi giorni fa, a Rebibbia un detenuto si è suicidato. «I suicidi in carcere — spiega il sacerdote — dipendono dalla condizione Mentre si prepara la gmg e si commemora il decimo anniversario della morte di Giovanni Paolo II Settimana santa tra i giovani polacchi VARSAVIA, 2. Una settimana santa da vivere anche in preparazione della Giornata mondiale della gioventù e nella memoria del santo Giovanni Paolo II, di cui proprio oggi ricorre il decimo anniversario della morte. L’esortazione viene da diverse diocesi della Polonia, che stanno già avviando programmi in vista dell’incontro di Cracovia. Da Gniezno, la più antica diocesi della Polonia, è arrivato l’appello dell’arcivescovo Wojciech Polak: «È l’invito — ha spiegato il presule rivolgendosi ai ragazzi e alle ragazze che si raduneranno il prossimo anno — a cercare la felicità con coraggio, ad andare contro corrente e a opporsi alla banalizzazione dell’amore e alla cultura di ciò che è passeggero». Parafrasando la celebre espressione di Giovanni Paolo II l’arcivescovo ha sottolineato: «Non abbiate paura di essere felici! Ma questa vostra felicità deve derivare da un cuore puro, da un cuore dedito al Signore e agli uomini, da un cuore capace di immergersi in Dio e di aprirsi agli altri». Nei prossimi giorni, il vescovo celebrerà per i giovani una speciale liturgia. «Abbiamo ricevuto — ha spiegato a Sir Europa il coordinatore diocesano, don Wojciech Orzechowski — le adesioni di oltre mille persone dalla Francia, dal Libano e dal Kazakhstan. I giovani saranno accolti nell’ambito delle giornate diocesane che precedono l’incontro con Papa Francesco». Anche la diocesi di Rzeszów, nel sud-est della Polonia, ha iniziato a lavorare, assieme alle autorità locali, a un dettagliato programma di eventi. Si prevede di accogliere circa diecimila giovani, che potranno conoscere meglio anche il territorio poi- ché la Giornata mondiale della gioventù, ha spiegato il vescovo Jan Franciszek Wątroba, oltre alla dimensione spirituale avrà anche una funzione importante per la Polonia e le sue regioni. Nella diocesi di Włocławek, poi, è già pronto il programma dettagliato delle giornate diocesane dal 20 al 25 luglio 2016, per le quali si prevede la partecipazione di circa quattromila ospiti coinvolti nelle attività di varie parrocchie. Il 22 luglio 2016 è programmata la visita alla casa natale di Faustina Kowalska, la santa che si dedicò in particolare alla devozione di Gesù misericordioso. «L’annuncio dell’Anno santo della misericordia — ha sottolineato monsignor Damian Andrzej Muskus, vescovo ausiliare di Cracovia e responsabile del Comitato organizzativo della Gmg — è un grande dono per i giovani che si preparano a raggiungere Cracovia, “la capitale della divina misericordia”. Il giubileo sarà un tempo di grazia e di celebrazione del mistero che vogliamo donare ai giovani. Per noi, per tutta la Chiesa in Polonia, e specialmente per la Chiesa di Cracovia, la Gmg sarà un’occasione irripetibile per ricordare e renderci conto ancora una volta della responsabilità affidataci da san Giovanni Paolo II quando, nel santuario di Łagiewniki, consacrò il mondo alla divina misericordia». Nel frattempo, ha preso avvio l’incontro dei giovani dell’arcidiocesi di Przemysl, dove domenica scorsa è stato aperto il centro d’informazione per la prossima Giornata mondiale della gioventù. L’evento di Przemysl, organizzato dal 1994, prevede quest’anno la presenza di cinquemila persone. Si tratta di uno dei più grandi raduni di giovani su scala nazionale. spirituale della persona. A volte ci sono problemi psichici, a volte non si regge la frattura di aver perso la famiglia, o il colpo di una condanna all’ergastolo. Ci sono delle condizioni che il carcere esaspera proprio per la solitudine in cui si vive. Qui nessuno riesce a impostare veri rapporti amicali. Ci può essere aiuto reciproco, cameratismo, ma fondamentalmente si è portati a badare al proprio interesse, alla sopravvivenza». E se si pensa alle famiglie la realtà è altrettanto triste: «La maggioranza si perde. Mancano i contatti, manca un rapporto costante: ci sono solo quattro ore al mese di colloqui. Durante i quali non puoi dare neanche una carezza a tua moglie. Tutto questo è molto difficile da sostenere». Eppure, ci dice ancora il cappellano, per accordare i benefici di legge ai detenuti, la cosa più importante che viene valutata è proprio il loro rapporto con la famiglia. La constatazione di don Pier Sandro è amara: in questo sistema, a chi commette un reato non si infligge solo la pena prevista della privazione della libertà, ma, in maniera del tutto gratuita, «vengono tolti anche altri diritti fondamentali come quelli all’affettività, alla privacy, o quello alla salute». Quella sanitaria — pure in un carcere come Rebibbia considerato dagli stessi reclusi «a sei stelle» — è infatti un’emergenza assolu- Dieci preti a pranzo con il Papa Un momento di comunione, nel giorno del Giovedì santo, tra il vescovo di Roma e dieci preti della diocesi impegnati nella pastorale: secondo una tradizione che si sta consolidando, anche quest’anno, per la terza volta, il Papa ha voluto condividere il pranzo con alcuni sacerdoti. E così a fine mattina del 2 aprile, dopo la celebrazione eucaristica nella basilica vaticana, il Pontefice si è recato nell’abitazione dell’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, dove ha trascorso circa un’ora e mezza con i sacerdoti. In un clima semplice e cordiale, il vescovo di Roma ha voluto così conoscere più da vicino la missione di nove parroci e del superiore di una comunità di religiosi che vivono in un appartamento per condividere anche in questo modo la vita della gente. Il Papa ha ascoltato con grande attenzione le loro testimonianze, incoraggiandoli nel loro ministero. È stato, come aveva suggerito proprio Francesco nell’omelia della messa crismale, un tempo comune di riposo spirituale per riflettere sul servizio quotidiano a quanti i preti incontrano. Pubblicata una guida interattiva per i disabili A Granada riti senza barriere GRANADA, 2. Senza più barriere. Per i disabili di Granada i riti, le celebrazioni e le processioni della settimana santa non avranno più limitazioni dettate da barriere architettoniche e ambientali. Nella città andalusa è stata infatti pubblicata la prima guida interattiva ai riti pasquali rivolta a persone con disabilità visiva, uditiva o con difficoltà di deambulazione. Un ulteriore gesto di attenzione manifestato dalla Chiesa spagnola, segno di una particolare sensibilità nei confronti delle persone disabili. Si è infatti appena conclusa nella penisola iberica la settimana per la vita che ha avuto per tema «C’è molta vita in ogni vita», con la quale si è inteso esortare i fedeli a «riconoscere il prezioso dono di ogni vita umana, specialmente di coloro che nascono o vivono con alcune vulnerabilità o disabilità». In questa prospettiva si inserisce dunque anche la «Guida della settimana santa accessibile della città di Granada», la prima pubblicazione del genere prodotta in Spa- A Gerusalemme il patriarca Twal ricorda i cristiani perseguitati Dagli ordinari di Terra Santa Testimoni dell’amore umiliato Auguri per la Pasqua ebraica GERUSALEMME, 2. «In questo mondo ferito dalle guerre, dalle divisioni, dalle sofferenze, che vede un numero sempre più grande di fratelli che cercano rifugio nel nostro Paese, dobbiamo chinarci per tendere loro la mano: ci sono tante lacrime da asciugare e tanti cuori affranti da consolare». È un passaggio dell’omelia pronunciata Giovedì santo dal patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, nel corso della celebrazione che si è svolta nella basilica del Santo Sepolcro. «In ciascuna eucaristia — ha spiegato il patriarca — assistiamo al medesimo e unico sacrificio che è avvenuto sulla Croce duemila anni fa, e che continuiamo a compiere nella fede. Un amore dato senza limiti, che non ha paura di donarsi a costo di essere schernito, calpestato, umiliato, crocifisso». Testimoni di questo «amore umiliato» sono «i cristiani iracheni e siriani, costretti a lasciare tutto in una notte, e a mettersi in cammino senza sapere ta. «Tante volte noi volontari — ci rivela il cappellano — dobbiamo comprare medicinali salvavita che la Asl non riesce a garantire». E continua: «La quantità di infarti di persone giovani deriva chiaramente dalla mancanza di movimento. Senza contare che la forzata convivenza con troppi favorisce la diffusione di malattie come la tubercolosi o la scabbia». E all’igiene spesso devono provvedere i volontari: si pensi, ci dice il sacerdote, «che ogni detenuto avrebbe diritto a un rotolo di carta igienica ogni due mesi». Tutto questo «fa perdere non solo il gusto del vivere, ma anche i valori». Don Spriano tiene a specificare di non volere colpevolizzare i responsabili e il personale delle carceri italiane: non mancano persone meritevoli e lodevoli. Il punto è un altro: «È l’intero sistema carcerario che, così come è impostato, è fallimentare». Ma anche fuori dal carcere la mentalità non sembra essere differente: «Fuori l’ex detenuto è detenuto per sempre. Non ti si apre più nessuna porta. La società è diffidente al massimo e ti costringe in un angolo, anche se hai voglia di ricominciare». Ecco allora più chiaro l’apparente paradosso con cui don Spriano ha iniziato il nostro colloquio: questa messa celebrata a Rebibbia servirà sicuramente ai detenuti come segno di speranza, ma probabilmente, conclude il cappellano, «sarà più utile fuori da queste mura, a chi sta al di là delle sbarre». dove andare, solo con i vestiti che portavano addosso, e una fede incrollabile nei cuori. Questi arabi cristiani, questi discepoli di Gesù, che hanno rifiutato di rinnegare Cristo e che per Lui hanno accettato di perdere tutto, sono una testimonianza di come deve essere la fede al giorno d’oggi. Siamo di nuovo alle radici della prima Comunità cristiana, assidua nella preghiera, nello spezzare il pane e nella carità». «Fratelli e sorelle del mondo intero — ha concluso il patriarca Twal — ascoltiamo in loro la voce di Cristo che ci chiama, ascoltiamo Gerusalemme che geme, e tendiamo le nostre mani per aiutare i cristiani del Medio oriente a scendere dalla croce che gli interessi e l’egoismo hanno innalzato per loro». Nell’omelia il patriarca ha anche ricordato l’esempio di vita delle due religiose palestinesi Maria-Alphonsine Ghattas e Mariam Bawardi, che saranno canonizzate il prossimo 17 maggio. GERUSALEMME, 2. Un messaggio augurale per la Pasqua ebraica (Pesach) è stato diffuso dagli ordinari cattolici di Terra Santa e dalla Commissione per le relazioni col popolo ebraico. «Ebrei e cristiani — si legge nel testo pubblicato sul sito del Patriarcato latino di Gerusalemme — celebrano in questo momento il passaggio dalle tenebre alla luce, dalla tomba alla terra della libertà, dalla morte alla vita. Nell’occasione vogliamo riaffermare il nostro impegno nella lotta per la libertà di tutti da tutte le catene di schiavitù. Buona festa di Pasqua!». gna grazie alla concreta collaborazione — riferisce l’agenzia Sir — tra istituzioni comunali e la locale federazione delle fraternità e confraternite della settimana santa. La guida contiene le cartine dei luoghi interessati dai riti e gli indirizzi delle chiese con collegamenti ipertestuali a Google Maps per poter generare un itinerario valido e sicuro. Infatti, una volta scaricata su dispositivo elettronico, è possibile navigare all’interno della guida e anche nella rete, interagendo con le pagine web delle diverse confraternite. La guida dispone anche di trentaquattro schede, una per ogni processione o stazione penitenziale realizzate a Granada durante la settimana santa, nelle quali si raccomanda alle persone con mobilità ridotta un punto dell’itinerario dove assistere più comodamente al rito. Si tratta, avvertono gli estensori della guida, di raccomandazioni basate sulle esperienze e le testimonianze di persone che hanno operato quelle scelte negli anni precedenti in funzione di un’accessibilità adeguata, una deambulazione praticabile e con meno assembramenti di gente rispetto ad altri luoghi del percorso. Ci sono poi informazioni sull’accessibilità alle chiese e sugli orari di apertura. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 3 aprile 2015 Benedizione degli oli e del crisma Alla «stanchezza dei sacerdoti» il Papa ha dedicato l’omelia della messa crismale celebrata nella mattina del 2 aprile, Giovedì santo, nella basilica vaticana. «Chiediamo la grazia di imparare a essere stanchi» ha raccomandato ai presenti, ricordando che «la nostra stanchezza è come l’incenso che sale silenziosamente al cielo» e invitandoli a evitare tre tentazioni: la stanchezza della gente, dei nemici e di sé stessi. «La mia mano è il suo sostegno, / il mio braccio è la sua forza» (Sal 88, 22). Così pensa il Signore quando dice dentro di sé: «Ho trovato Davide, mio servo, / con il mio santo olio l’ho consacrato» (v. 21). Così pensa il nostro Padre ogni volta che “trova” un sacerdote. E aggiunge ancora: «La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui / ... Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre, / mio Dio e roccia della mia salvezza”» (vv. 25.27). È molto bello entrare, con il Salmista, in questo soliloquio del nostro Dio. Egli parla di noi, suoi sacerdoti, suoi preti; ma in realtà non è un soliloquio, non parla da solo: è il Padre che dice a Gesù: «I tuoi amici, quelli che ti amano, mi potranno dire in modo speciale: Tu sei mio Padre» (cfr. Gv 14, 21). E se il Signore pensa e si preoccupa tanto di come potrà aiutarci, è perché sa che il compito di ungere il popolo fedele non è facile, è duro; ci porta alla stanchezza e alla fatica. Lo sperimentiamo in tutte le forme: dalla stanchezza abituale del lavoro apostolico quotidiano fino a quella della malattia e della morte, compreso il consumarsi nel martirio. La stanchezza dei sacerdoti! Sapete quante volte penso a questo: alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io. Prego per voi che lavorate in mezzo al popolo fedele di Dio che vi è stato affidato, e molti in luoghi assai abbandonati e pericolosi. E la nostra stanchezza, cari sacerdoti, è come l’incenso che sale silenziosamente al Cielo (cfr. Sal 140, 2; Ap 8, 3-4). La nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre. Siate sicuri che la Madonna si accorge di questa stanchezza e la fa notare subito al Signore. Lei, come Madre, sa capire quando i suoi figli sono stanchi e non pensa a nient’altro. «Benvenuto! Riposati, figlio. Dopo parleremo... Non ci sono qui io, che sono tua Madre?» — ci dirà sempre quando ci avviciniamo a Lei All’omelia della messa crismale Papa Francesco parla della fatica pastorale del sacerdote Santa stanchezza In mezzo alla gente con l’odore delle pecore e con il sorriso di un papà (cfr. Evangelii gaudium, 286). E a suo Figlio dirà, come a Cana: «Non hanno vino» (Gv 2, 3). Succede anche che, quando sentiamo il peso del lavoro pastorale, ci può venire la tentazione di riposare in un modo qualunque, come se il riposo non fosse una cosa di Dio. Non cadiamo in questa tentazione. La nostra fatica è preziosa agli occhi di Gesù, che ci accoglie e ci fa alzare: «Venite a me quando siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (cfr. Mt 11, 28). Quando uno sa che, morto di stanchezza, può prostrarsi in adorazione, dire: «Basta per oggi, Signore», e arrendersi davanti al Padre, uno sa anche che non crolla ma si rinnova, perché chi ha unto con olio di letizia il popolo fedele di Dio, il Signore pure lo unge: «Cambia la sua cenere in diadema, le sue lacrime in olio profumato di letizia, il suo abbattimento in canti» (cfr. Is 61, 3). Teniamo ben presente che una chiave della fecondità sacerdotale sta nel come riposiamo e nel come sentiamo che il Signore tratta la nostra stanchezza. Com’è difficile imparare a riposare! In questo si gioca la nostra fiducia e il nostro ricordare che anche noi siamo pecore e abbiamo bisogno del pastore, che ci aiuti. Possono aiutarci alcune domande a questo proposito. So riposare ricevendo l’amore, la gratuità e tutto l’affetto che mi dà il popolo fedele di Dio? O dopo il lavoro pastorale cerco riposi più raffinati, non quelli dei poveri ma quelli che offre la società dei consumi? Lo Spirito Santo è veramente per me «riposo nella fatica», o solo Colui che mi fa lavorare? So chiedere aiuto a qualche sacerdote saggio? So riposare da me stesso, dalla mia auto-esigenza, dal mio auto-compiacimento, dalla mia auto-referenzialità? So conversare con Gesù, con il Padre, con la Vergine e san Giuseppe, con i miei Santi protettori amici per riposarmi nelle loro esigenze — che sono soavi e leggere —, nel loro compiacimento — ad essi piace stare in mia compagnia —, e nei loro interessi e riferimenti — ad essi interessa solo la maggior gloria di Dio — ...? So riposare dai miei nemici sotto la protezione del Signore? Vado argomentando e tramando fra me, rimuginando più volte la mia difesa, o mi affido allo Spirito Santo che mi insegna quello che devo dire in ogni occasione? Mi preoccupo e mi affanno eccessivamente o, come Paolo, trovo Prosegue la missione del cardinale Filoni in Iraq Colombe pasquali per gli sfollati Ha toccato alcuni villaggi del nord, quelli più vicini alle zone occupate dalle milizie del cosiddetto Stato islamico (Is), il cardinale Fernando Filoni nella sua missione in Iraq durante la settimana santa. Il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, che ad agosto era stato inviato speciale del Papa tra le popolazioni stremata dalle violenze jihadiste e da anni di guerra, è tornato in terra irachena per visitare soprattutto i campi dove hanno trovato rifugio le minoranze cristiane e yazide in fuga dalla piana di Ninive e da Mossul. Dapprima a Baghdad e poi ad Arbil, il porporato ha anche avuto incontri con la Chiesa cattolica locale — dai vescovi, alle religiose delle missionarie della carità che gestiscono un centro nella capitale — e con le autorità del posto. Anche con quelle del governo autonomo del Kurdistan iracheno, che gli hanno assicurato come i cristiani e le altre minoranze siano in cima anche alle loro attenzioni. Da Arbil, la città che accoglie il maggior numero di profughi, il cardinale Filoni ha quindi raggiunto le antichissime città assire di Shaqlawa, Aqrah e Alqosh. Nella circostanza ha visitato la tomba del profeta biblico Naum e incontrato il capo spirituale supremo yazida, il “Baba Sheikh”, Kato. Ma il prefetto ha trascor- so la maggior parte del proprio tempo soprattutto con i rifugiati nei villaggi della zona. E questo gli ha offerto la possibilità di constatare che la situazione rispetto al mese di agosto è molto migliorata, perché le famiglie hanno trovato un alloggio. Sebbene continuino a vivere in condizioni difficili e delicate. Per questo, come gesto di incoraggiamento, ha portato loro in dono seimila colombe pasquali offerte dalla diocesi di Roma. riposo dicendo: «So in chi ho posto la mia fede» (2 Tm 1, 12)? Ripassiamo un momento, brevemente, gli impegni dei sacerdoti, che oggi la liturgia ci proclama: portare ai poveri la Buona Notizia, annunciare la liberazione ai prigionieri e la guarigione ai ciechi, dare la libertà agli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore. Isaia dice anche curare quelli che hanno il cuore spezzato e consolare gli afflitti. Non sono compiti facili, non sono compiti esteriori, come ad esempio le attività manuali — costruire un nuovo salone parrocchiale, o tracciare le linee di un campo di calcio per i giovani dell’oratorio...; gli impegni menzionati da Gesù implicano la nostra capacità di compassione, sono impegni in cui il nostro cuore è “mosso” e commosso. Ci rallegriamo con i fidanzati che si sposano, ridiamo con il bimbo che portano a battezzare; accompagniamo i giovani che si preparano al matrimonio e alla famiglia; ci addoloriamo con chi riceve l’unzione nel letto di ospedale; piangiamo con quelli che seppelliscono una persona cara... Tante emozioni... Se noi abbiamo il cuore aperto, questa emozione e tanto affetto affaticano il cuore del Pastore. Per noi sacerdoti le storie della nostra gente non sono un notiziario: noi conosciamo la nostra gente, possiamo indovinare ciò che sta passando nel loro cuore; e il nostro, nel patire con loro, ci si va sfilacciando, ci si divide in mille pezzetti, ed è commosso e sembra perfino mangiato dalla gente: prendete, mangiate. Questa è la parola che sussurra costantemente il sacerdote di Gesù quando si sta prendendo cura del suo popolo fedele: prendete e mangiate, prendete e bevete... E così la nostra vita sacerdotale si va donando nel servizio, nella vicinanza al Popolo fedele di Dio... che sempre, sempre stanca. Vorrei ora condividere con voi alcune stanchezze sulle quali ho meditato. C’è quella che possiamo chiamare «la stanchezza della gente, la stanchezza delle folle»: per il Signore, come per noi, era spossante — lo dice il Vangelo —, ma è una stanchezza buona, una stanchezza piena di frutti e di gioia. La gente che lo seguiva, le famiglie che gli portavano i loro bambini perché li benedicesse, quelli che erano stati guariti, che venivano con i loro amici, i giovani che si entusiasmavano del Rabbì..., non gli lasciavano neanche il tempo per mangiare. Ma il Signore non si seccava di stare con la gente. Al contrario: sembrava che si ricaricasse (cfr. Evangelii gaudium, 11). Questa stanchezza in mezzo alla nostra attività è solitamente una grazia che è a portata di mano di tutti noi sacerdoti (cfr. ibid., 279). Che bella cosa è questa: la gente ama, desidera e ha bisogno dei suoi pastori! Il popolo fedele non ci lascia senza impegno diretto, salvo che uno si nasconda in un ufficio o vada per la città con i vetri oscurati. E questa stanchezza è buona, è una stanchezza sana. È la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore..., ma con il sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini. Niente a che vedere con quelli che sanno di profumi cari e ti guardano da lontano e dall’alto (cfr. ibid., 97). Siamo gli amici dello Sposo, questa è la nostra gioia. Se Gesù sta pascendo il gregge in mezzo a noi non possiamo essere pastori con la faccia acida, lamentosi, né, ciò che è peggio, pastori annoiati. Odore di pecore e sorriso di padri... Sì, molto stanchi, ma con la gioia di chi ascolta il suo Signore che dice: «Venite, benedetti del Padre mio» (Mt 25, 34). C’è anche quella che possiamo chiamare «la stanchezza dei nemici». Il demonio e i suoi seguaci non dormono e, dato che le loro orecchie non sopportano la Parola di Dio, lavorano instancabilmente per zittirla o confonderla. Qui la stanchezza di affrontarli è più ardua. Non solo si tratta di fare il bene, con tutta la fatica che comporta, bensì bisogna difendere il gregge e difendere sé stessi dal male (cfr. Evangelii gaudium, 83). Il maligno è più astuto di noi ed è capace di demolire in un momento quello che abbiamo costruito con pazienza durante lungo tempo. Qui occorre chiedere la grazia di imparare a neutralizzare — è un’abitudine importante: imparare a neutralizzare —: neutralizzare il male, non strappare la zizzania, non pretendere di difendere come superuomini ciò che solo il Signore deve difendere. Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16, 33). E questa parola ci darà forza. E per ultima — ultima perché questa omelia non vi stanchi troppo — c’è anche «la stanchezza di sé stessi» (cfr. Evangelii gaudium, 277). È forse la più pericolosa. Perché le altre due provengono dal fatto di essere esposti, di uscire da noi stessi per ungere e darsi da fare (siamo quelli che si prendono cura). Invece questa stanchezza è più auto-referenziale: è la delusione di sé stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono, di aiuto: questi chiede aiuto e va avanti. Si tratta della stanchezza che dà il «volere e non volere», l’essersi giocato tutto e poi rimpiangere l’aglio e le cipolle d’Egitto, il giocare con l’illusione di essere qualcos’altro. Questa stanchezza mi piace chiamarla «civettare con la mondanità spirituale». E quando uno rimane solo, si accorge di quanti settori della vita sono stati impregnati da questa mondanità, e abbiamo persino l’impressione che nessun bagno la possa pulire. Qui può esserci una stanchezza cattiva. La parola dell’Apocalisse ci indica la causa di questa stanchezza: «Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore» (2, 3-4). Solo l’amore dà riposo. Ciò che non si ama, stanca male, e alla lunga stanca peggio. L’immagine più profonda e misteriosa di come il Signore tratta la nostra stanchezza pastorale è quella che «avendo amato i suoi..., li amò sino alla fine» (Gv 13, 1): la scena della lavanda dei piedi. Mi piace contemplarla come la lavanda della sequela. Il Signore purifica la stessa sequela, Egli si «coinvolge» con noi (Evangelii gaudium, 24), si fa carico in prima persona di pulire ogni macchia, quello smog mondano e untuoso che ci si è attaccato nel cammino che abbiamo fatto nel suo Nome. Sappiamo che nei piedi si può vedere come va tutto il nostro corpo. Nel modo di seguire il Signore si manifesta come va il nostro cuore. Le piaghe dei piedi, le slogature e la stanchezza, sono segno di come lo abbiamo seguito, di quali strade abbiamo fatto per cercare le sue pecore perdute, tentando di condurre il gregge ai verdi pascoli e alle acque tranquille (cfr. ibid., 270). Il Signore ci lava e ci purifica da tutto quello che si è accumulato sui nostri piedi per seguirlo. E questo è sacro. Non permette che rimanga macchiato. Come le ferite di guerra Lui le bacia, così la sporcizia del lavoro Lui la lava. La sequela di Gesù è lavata dallo stesso Signore affinché ci sentiamo in diritto di essere “gioiosi”, “pieni”, «senza paura né colpa» e così abbiamo il coraggio di uscire e andare «sino ai confini del mondo, a tutte le periferie», a portare questa buona notizia ai più abbandonati, sapendo che «Lui è con noi, tutti i giorni fino alla fine del mondo». E per favore, chiediamo la grazia di imparare ad essere stanchi, ma ben stanchi! Imponente partecipazione dei sacerdoti alla messa del crisma celebrata da Papa Francesco all’altare della confessione della basilica di San Pietro. Erano quasi duemila, oltre a quaranta cardinali e numerosi arcivescovi e vescovi. Tutti hanno rinnovato le promesse sacerdotali davanti al Pontefice. Si è svolta poi la benedizione degli oli e la consacrazione del crisma, introdotte dalla processione con tre carrelli — ciascuno di un colore diverso a seconda dell’olio contenuto nelle anfore — che si è mossa dalla cappella della Pietà al canto del O Redemptor. Il colore bianco era per quello degli infermi, il viola per quello dei catecumeni e il rosso per il crisma. Ogni carrello è stato accompagnato da quattro diaconi. Un altro diacono, Jean Junior Mputu Loote, portava una piccola anfora contenente le sostanze profumate, che ha versato nel crisma. Il Papa si è chinato alitando sull’anfora contenente il sacro crisma e ha recitato la preghiera. L’olio per la celebrazione della messa è stato donato dalla cooperativa Arte y Alimentación di Castelseras in Spagna. Le essenze profumate sono state fornite da Alchimia natura di Modena e dall’azienda agrumicola Misilmeri di Palermo. Gli oli verranno poi portati a San Giovanni in Laterano, dove saranno distribuiti ai sacerdoti della diocesi di Roma per l’amministrazione dei sacramenti nel corso dell’anno. Alla liturgia della Parola, la prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, è stata letta in italiano da Mattia Pica, la seconda lettura in italiano, da Andreas Biancucci, e il Vangelo è stato proclamato in latino da Jacob Hsieh. Tra i concelebranti, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e numerosi presuli, prelati e officiali della Curia romana, fra i quali, gli arcivescovi Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, e Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia, i monsignori Peter Bryan Wells, assessore, e José Avelino Bettencourt, capo del Protocollo. Al momento della consacrazione, sono saliti all’altare con il Pontefice i cardinali Tarcisio Bertone, Giovanni Battista Re, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi. I canti sono stati eseguiti dalla Cappella Sistina, diretta dal maestro Massimo Palombella, dal coro guida Mater Ecclesiae e dalla Cappella Giulia. Hanno prestato servizio liturgico come ministranti gli alunni del Pontificio Collegio internazionale Maria Mater Ecclesiae, mentre i diaconi permanenti della diocesi di Roma hanno distribuito la comunione ai concelebranti. Prima dell’inizio della celebrazione eucaristica, è stata cantata in latino l’Ora terza.
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