Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 85 (46.923) Città del Vaticano mercoledì 15 aprile 2015 . Papa Francesco ricorda che la vocazione cristiana è un esodo da se stessi Per educare alla pace In cerca della via d’uscita Quei bambini di Tangeri La vocazione cristiana è un’esperienza di esodo, di uscita da se stessi e di cammino alla sequela di Cristo e al servizio dei fratelli. Lo afferma Papa Francesco nel messaggio per la cinquantaduesima giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che si celebra il prossimo 26 aprile, quarta domenica di Pasqua. «Credere — ricorda in proposito il Pontefice — vuol dire lasciare se stessi, uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in Gesù». Il modello è Abramo, il quale abbandona «la propria terra mettendosi in cammino con fiducia, sapendo che Dio indicherà la strada verso la nuova terra». Questa “uscita”, puntualizza il Papa, «non è da intendersi come un disprezzo della propria vita, del proprio sentire, della propria umanità»; al contrario, «chi si mette in cammino alla sequela di Cristo trova la vita in abbondanza, mettendo tutto se stesso a disposizione di Dio e del suo regno». L’itinerario vocazionale «ha la sua radice nell’amore». Infatti, spiega Francesco, «la vocazione cristiana è anzitutto una chiamata d’amore che attrae e rimanda oltre se stessi, decentra la persona, innesca un esodo permanente». Essa resta sempre «quell’azione di Dio che ci fa uscire dalla nostra situazione iniziale, ci libera da ogni forma di schiavitù, ci strappa dall’abitudine e dall’indifferenza e ci proietta verso la gioia della comunione con Dio e con i fratelli». Ecco perché la Chiesa «è davve- di ZOUHIR LOUASSINI E Marc Chagall, «L’esodo» (1952) ro fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa in uscita, non preoccupata di se stessa, delle proprie strutture e delle proprie conquiste, quanto piuttosto capace di anda- re, di muoversi, di incontrare i figli di Dio nella loro situazione reale e di com-patire per le loro ferite». Chi segue Cristo, infatti, non fugge «dalla vita e dal mondo», ma trova nuo- ve motivazioni «all’impegno solidale a favore della liberazione dei fratelli, soprattutto dei più poveri». PAGINA 8 Ancora oltre ottocento milioni di affamati nel mondo Obiettivi mancati y(7HA3J1*QSSKKM( +\!"![!#!,! ROMA, 14. Oltre ottocento milioni di persone nel mondo non hanno cibo a sufficienza. Lo conferma la «Mappa della fame 2014», il rapporto annuale pubblicato dal Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite. Sembra dunque ormai destinato al fallimento il primo degli obiettivi del millennio proclamati a suo tempo dall’Onu, quello di almeno dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati. Particolarmente dolorosa è la condizione dell’infanzia, per la quale la fame resta la principale causa di mortalità. Un dato ancora più inaccettabile se si pensa, come ricorda il rapporto del Pam, che nutrire un bambino affamato costa appena l’equivalente di un quarto di dollaro al giorno. In termini assoluti, il maggior numero di affamati, 526 milioni, si trovano in Asia, dove vive oltre la metà della popolazione del mondo e dove i progressi negli ultimi anni, sono stati molto lenti. Qui il Pam registra le situazioni peggiori in Tadjikistan e Corea del Nord. I progressi più consistenti per garantire la cosiddetta sovranità alimentare sono stati raggiunti dai Paesi dell’Amerca latina e dei Caraibi. Fa eccezione Haiti, dove soffre la fame il 35 per cento di una popolazione stremata da instabilità politica, conflitti interni, e malattie come il colera a cinque anni dal terrificante sisma del gennaio 2010 che provocò centinaia di migliaia di morti e oltre tre milioni di sfollati. Se Haiti è l’unico Paese latinoamericano in una situazione disastrosa, sempre in quell’area del mondo, figurano nella mappa del Pam con penuria alimentare moderatamente alta — fra il 45 e il 24,9 per cento — anche Bolivia e Nicaragua. È invece ritenuta moderatamente bassa — fra il 5 e il 14,9 per cento — quella in Perú, Paraguay, Ecuador, Colombia, Suriname, Repubblica Dominicana, Honduras, Costa Rica, Panamá, Giamaica, Guatemala, El Salvador e Belize. Nel resto del subcontinente la tendenza è molto bassa, inferiore al 5 per cento. In questa situazione si trovano Cuba, Venezuela, Argentina, Brasile, Uruguay e Messico. Il continente dove la fame uccide di più, in termini percentuali, resta comunque l’Africa, in particolare quella subshariana, dove più di una persona su quattro è cronicamente sottoalimentata. Oltre appunto ad Haiti, infatti, ai primi cinque posti sulla mappa del Pam spiccano Mala- wi, Zambia, Etiopia e Repubblica Centroafricana. E la grande maggioranza degli altri Paesi africani sono classificati a penuria alimentare alta o moderatamente alta. La mappa dell’agenzia dell’O nu fa riferimento in generale a situazioni strutturali che ancora non si è riu- sciti a sanare, dai sistemi economici e politici che favoriscono o comunque perpetuano le ingiustizie sociali, ai mancati investimenti in sviluppo agricolo. Tuttavia, nel 2014 ad aggravare la situazione hanno contribuito anche i conflitti in diverse zone del mondo, a partire dal Vicino oriente. PAGINA 3 cristianesimo e delle altre religioni quello che sanno della teoria della relatività. Ossia nulla». Ma questo non ha loro impedito «di dirci che i cristiani sono degli infedeli e noi gli abbiamo creduto. Ci hanno detto che i cristiani sono il popolo dell’inferno, che il paradiso è monopolio nostro e noi li abbiamo assecondati. Ci hanno detto che i cristiani sono i nemici di Allah e dell’islam e noi abbiamo detto: “Che Dio li maledica”». Più chiaro di così! È vero anche che qualche Paese arabo musulmano ha avviato alcune riforme. I risultati però ci dimostrano che si è trattato di tentativi del tutto fallimentari. Il coraggio, oggi, sta nell’ammetterlo e nel cercare di affrontare subito le cause di tali fallimenti. Ed è ovvio che bisogna iniziare proprio dalla scuola, cambiando i programmi esistenti con altri che insegnino rispetto e stima verso le altre religioni. Bisogna farlo per il bene d’una grande fede come l’islam, che deve liberarsi dalle vere e proprie catene rappresentate da interpretazioni appartenenti ad altre epoche. Il poeta siriano Adonis, all’ultima Fiera del libro al Cairo, nel febbraio scorso, ha detto: «Non c’è un islam vero e un islam falso: ci sono soltanto musulmani moderati e musulmani estremisti, a seconda delle loro letture e interpretazioni del testo sacro. Ma l’islam è uno solo». Si parva licet componere magnis: anche in nome di quel bambino di Tangeri e dei suoi piccoli amici, tocca a noi, adesso, decidere con chi parlare e con chi costruire il futuro. Nuovi spunti per un giallo mai risolto Chi tradì Anne Frank? ANNA FOA A PAGINA 5 Appello dell’Unhcr a intensificare i soccorsi in Mediterraneo Sos migranti GINEVRA, 14. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) esprime profondo dolore per l’ennesima tragedia nel Mediterraneo che ieri ha causato la morte di almeno nove persone, un numero purtroppo ancora provvisorio e che potrebbe rivelarsi ancora maggiore. L’Unhcr elogia l’impegno dimostrato dalle autorità italiane, che durante gli ultimi tre giorni hanno soccorso in Mediterraneo cinquemilacinquecento migranti e profughi, ma rinnova l’appello urgente affinché il soccorso in mare venga rafforzato e diventi di gestione europea. I morti nel Mediterraneo dall’inizio del 2015, sottolinea ancora l’Unhcr, sono già ben oltre cinquecento, un numero trenta volte più alto rispetto allo stesso periodo del 2014. Questi dati, secondo l’agenzia dell’Onu, dimostrano come le attuali forze in campo non siano sufficienti ad affrontare i flussi attuali e come senza adeguate operazioni di monitoraggio, ricerca e soccorso in mare, sarà inevitabile che molte altre persone perderanno la vita nel tentativo di raggiungere la salvezza in Europa. L’Unhcr incoraggia infine ad aumentare gli sforzi per garantire alternative legali e sicure per coloro che fuggono da conflitti e persecuzioni, in modo che queste persone non siano costrette a intraprendere pericolose traversate via mare. Nel frattempo, l’organizzazione umanitaria Terre des Hommes ha diffuso ieri un rapporto nel quale sostiene che con la ripresa degli sbarchi in Sicilia e i nuovi afflussi di migranti nei Centri di primo soccorso e accoglienza «rischiano di peggiorare le condizioni di moltissimi minori stranieri non accompagnati lì, accolti e ancora in attesa di collocamento in comunità protette». Secondo Terre des Hommes, «questa prolungata incertezza, che può durare anche dieci mesi in palese contrasto con il concetto di pronto collocamento previsto dalla legge ha gravi ripercussioni sulla psiche di questi ragazzi, i quali aggiungono frustrazione e senso di solitudine ai traumi vissuti nel viaggio per raggiungere l’Italia». NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcieparchia di Petra e Filadelfia dei Greco-Melkiti (Giordania), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Yasser Rasmi Hanna Al-Ayyash, in conformità al canone 210 § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. La violenza sulle donne strategia di guerra jihadista Bambino malnutrito in Kenya (Ap) rano gli inizi degli anni Settanta in una Tangeri piena di vita e di speranza. Non avevo compiuto ancora otto anni. I ricordi di quel periodo mi arrivano annebbiati e confusi. Qualcosa, però, è tuttora chiarissima: le mie paure, che erano tante. Mi spaventava il buio, per esempio. Più tardi ho capito che non era certo, quella, una paura originale. E non era niente, se la paragono all’ansia che sentivo, allora, ogni volta che passavo vicino alla cattedrale. Mi toccava farlo quasi tutti i giorni perché si trovava sulla strada che mi portava a scuola. Lì i maestri di “educazione religiosa” mi insegnavano che i cristiani, in quanto infedeli, erano condannati all’inferno. La loro colpa? Aver “falsificato” le parole di Dio. Ricordo quanto fossi triste per il destino che aspettava i miei amici Jesús e Miguel, amichetti cristiani che vivevano vicino a casa mia, compagni quasi quotidiani dei miei giochi. Certo, mi consolavo con l’illusione che, crescendo, i due fratelli spagnoli sarebbero giunti anche loro — magari col mio aiuto — a conoscere la “verità”. Tutti questi ricordi si sono ripresentati, vivissimi, davanti a un articolo di Hani Naqshabandi, pubblicato su «Elaph» il 7 aprile scorso. Le sue sono accuse chiarissime nei confronti di chi insegna l’odio nelle scuole usando la religione. Era ora! Quello che abbiamo visto a Garissa, in Kenya, dove centocinquanta ragazzi sono stati uccisi solo perché cristiani, è anche la conseguenza dell’educazione fornita nelle scuole. Basta leggere i programmi scolastici in quasi tutti i Paesi musulmani per rendersi conto che siamo davanti a un problema serio che bisogna affrontare, subito e con coraggio. Già da bambini i musulmani conoscono il cristianesimo solo dal punto di vista degli fuqaha, interpreti del Corano; e questi, come scrive Naqshabandi, «sanno del Operazione di soccorso nel Canale di Sicilia (Afp/Guardia costiera italiana) Il Santo Padre ha nominato Segretario della Sezione Amministrativa della Segreteria per l’Economia il Reverendo Monsignore Luigi Mistò, finora Segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. In pari tempo, Sua Santità ha nominato Segretario della medesima Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica il Reverendo Monsignore Mauro Rivella. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 15 aprile 2015 Alcuni dei partecipanti all’incontro a Barcellona (Ap) Raggiunta da Berlino, Parigi, Mosca e Kiev Intesa di basso profilo per il Donbass BERLINO, 14. I ministri degli Esteri di Germania, Francia, Russia e Ucraina hanno concordato sulla necessità di «procedere con il ritiro non solo delle armi pesanti ma di includere anche altre categorie di armi», quali i carri armati, dalle regioni separatiste di Donetsk e Lugansk. I carri armati erano infatti rimasti fuori, in questa fase, dall’accordo di cessate il fuoco raggiunto a Minsk in febbraio. Lo ha reso noto il capo della diplomazia tedesca, Frank-Walter Steinmeier, al termine del summit nel cosiddetto “formato Normandia”, aggiungendo che «nulla è facile nella crisi ucraina ma questa non è una novità. Anche in questi colloqui le divergenze d’opinione tra Kiev e Mosca sono emerse in tutta la loro nitidezza». Questo l’esito, sulla carta, del summit, mentre sul terreno si assiste al riacutizzarsi della tensione. Ieri Kiev ha accusato i separatisti filorussi di aver usato quelle armi pesanti, che sarebbero già dovuto essere ritirate dall’area, per uccidere un soldato ucraino e ferirne altri sei. I Ribelli filorussi nei pressi di Donetsk (Ansa) Devastanti incendi nella Siberia meridionale ATENE, 14. Sono ripresi ieri sera ad Atene e a Bruxelles — prima della riunione dell’Eurogruppo, in programma il 24 aprile prossimo — i colloqui tecnici tra i rappresentanti del Governo greco e quelli dei creditori internazionali per garantire la base per un accordo. Lo riferisce l’edizione online del quotidiano «Kathimerini». Secondo il giornale, le trattative sono riprese sulla base di una prima intesa raggiunta con Atene al termine della precedente riunione dell’Eurogruppo, quella tenuta mercoledì scorso. In base alle richieste dei Paesi creditori, le proposte di riforma del Governo di Alexis Tsipras dovranno coprire questioni riguardanti i settori del fisco, delle pensioni, del lavoro e delle privatizzazioni. Fonti a Bruxelles hanno riferito che durante la riunione di mercoledì scorso il rappresentante ellenico, il segretario generale del ministero delle Finanze, Nikos Theocharakis, aveva detto ai colleghi che Atene potrebbe non avere abbastanza denaro dopo il 24 aprile. I creditori, tuttavia, non sembrano esserne convinti, in quanto ritengono che Atene stia cercando di utilizzare la mancanza di liquidità come scusa per fare pressione sulle istituzioni affinché eroghino almeno una parte dei restanti 7,2 miliardi di aiuti dei fondi di salvataggio. Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Da parte sua, il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, sembra certo che un’intesa sarà raggiunta a breve. «Sono molto fiducioso», ha detto a Bloomberg Tv. «I negoziati stanno procedendo abbastanza bene. È nell’interesse reciproco trova- BARCELLONA, 14. Si è aperta ieri al Palazzo di Pedralbes di Barcellona la conferenza dei ministri degli Esteri della Ue e della sponda sud del Mediterraneo, che vede al centro dei colloqui la politica di vicinato, il rafforzamento della cooperazione nella lotta al terrorismo islamico, alla immigrazione illegale e nel settore dell’energia. Al vertice, inaugurato nella sede dell’Unione per il Mediterraneo Gaetano Vallini verno è pronto ad accettare ragionevoli compromessi, ma che non cederà su tutte le richieste degli interlocutori. Nel frattempo, è stata subito smentita l’eventualità di fare ricorso alle elezioni anticipate, prospettata ieri da un quotidiano tedesco. dal presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, e da quello della Generalitat catalana, Artur Mas, partecipano i responsabili degli Esteri di molti Paesi dell’Ue, di Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Palestina, Israele, Giordania e Libano e l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Federica Mogherini. A causa della situazione di instabilità, sono assenti da Barcellona i capi della diplomazia di Siria e Libia, oltre a quelli di Israele, Grecia, Gran Bretagna, Irlanda, Bulgaria, Finlandia e Lituania. La conferenza, informano fonti diplomatiche, punta a un cambio della politica della Commissione europea sulla Siria, per renderla più efficace, con la possibilità di includere alleanze locali per fronteggiare l’avanzata del cosiddetto Stato islamico (Is), contro la quale l’Unione europea non intenderebbe intervenire sul terreno a causa degli alti costi umani ed economici che comporterebbe. Al vertice ci sono i responsabili diplomatici di Israele e Palestina, sebbene su tavoli diversi. Il dibattito sarà articolato su due sessioni di lavoro parallele, una presieduta da Mogherini, l’altra dal ministro spagnolo degli Esteri, José Manuel García-Margallo. L’incontro di Barcellona è il primo dal lancio nel 2008 dell’Unione per il Mediterraneo, che riunisce quarantatré Paesi. «Non dobbiamo aspettare altri sette anni per una riunione del genere», ha detto Mogherini. Un prossimo incontro a livello regionale è previsto per giugno in Libano. Ventidue generali indagati in Colombia Il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis (Reuters) PECHINO, 14. La Cina accoglie con favore il disgelo dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba, dopo la storica stretta di mano, sabato scorso, tra il presidente statunitense, Barack Obama, e il leader cubano, Raúl Castro, a Panamá, durante il vertice delle Americhe. «Il miglioramento delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti è nell’interesse dei due Paesi e dei rispettivi popoli — ha dichiarato ieri il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hong Lei — e servirà anche alla pace e allo sviluppo nella regione». Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione re un accordo entro il 24 aprile e sono sicuro che lo faremo», ha aggiunto. Da Parigi, intervenendo a una conferenza sull’economia organizzata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Varoufakis ha detto che il suo Go- Pechino sostiene il disgelo tra Stati Uniti e Cuba Paese», ha dichiarato nel corso di una affollata riunione con i suoi finanziatori a Miami. Intanto, Hillary Clinton ha intrapreso il suo primo viaggio da candidata alla presidenza a bordo di un pulmino. Partita dalla sua residenza di Chappaqua, nello Stato di New York, l’ex segretario di Stato si è diretta nello Iowa, da dove tradizionalmente parte la battaglia delle primarie dei democratici. La seconda tappa della campagna elettorale di Clinton dovrebbe essere il New Hampshire. L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Per rafforzare la politica di vicinato Ripresi i colloqui tra Grecia e creditori internazionali Sfida ispanica per Hillary Clinton GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Vertice dei ministri degli Esteri Ue e della sponda sud mediterranea Il Governo esclude il ricorso alle elezioni anticipate MOSCA, 14. È salito a 23 il numero delle persone morte nei devastanti incendi che hanno colpito da domenica scorsa la Khakassia, nella Siberia meridionale. Lo ha riferito oggi Vladimir Markin, portavoce della commissione investigativa russa. Secondo la portavoce locale del ministero della Sanità, Anna Borodina, «in tutto sono state 613 le persone bisognose di assistenza medica, di cui 533 hanno già ricevuto cure e sono tornate a casa». Almeno 80 persone sono ricoverate in ospedale, 11 delle quali in gravi condizioni. Gli incendi che si sono sviluppati in 20 città e villaggi sono stati solo in parte domati, e nella regione è ancora in vigore lo stato d’emergenza. Secondo le autorità, 1.205 case sono andate a fuoco, in 38 diverse località, mentre oltre 2000 persone sono rimaste senza tetto. «Le misure adottate in Khakassia hanno impedito che le fiamme arrivassero ad altre 60.000 abitazioni di più di 350.000 persone», ha fatto sapere Boris Borzov, dirigente dei vigili del fuoco. Oltre 200 pompieri e centinaia di volontari sono impegnati nello spegnere le fiamme. Le autorità hanno affermato che i vasti incendi sono stati causati da erba secca che bruciava senza controllo e si sono rapidamente diffusi nelle foreste a causa dei forti venti nella zona. WASHINGTON, 14. «Hillary Clinton è il passato, io il futuro». Il giovane senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, di origini cubane, rompe gli indugi e lancia la sfida alla ex first lady, annunciando la sua volontà di correre per la presidenza degli Stati Uniti. Il quarantatreenne Rubio, figlio di immigrati cubani, diventa così il terzo esponente del Grand Old Party a scendere in campo, dopo Rand Paul, del Kentucky, e Ted Cruz, del Texas. «Mi sento particolarmente qualificato per guidare il separatisti accusano invece le truppe di Kiev di aver usato carri armati per colpire le loro posizioni. Steinmeier ha riconosciuto che l’esito della riunione di ieri sera, la terza dalla firma dell’intesa di Minsk, è stata deludente. Sia lui che l’omologo francese, Laurent Fabius, puntavano all’avvio della fase politica dell’accordo, ossia alle trattative per effettuare elezioni accuratamente monitorate nelle due regioni separatiste. «Perché — ha ricordato il capo della diplomazia tedesca — se questo processo politico finisse in stallo allora l’intesa di Misk rischierebbe di deragliare e tutte le parti vogliono impedire questo esito». Germania e Francia si sono invece dovute accontentare dell’impegno — minimo ma indispensabile — di Russia e Ucraina alla prosecuzione della fase del disimpegno militare dal Donbass e dello scambio di prigionieri. Steinmeier ha riconosciuto che la priorità al momento è «assicurarsi che il cessate il fuoco sia rispettato il più decisamente e completamente possibile». Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Hong ha poi sottolineato che «la stabilità dell’emisfero occidentale è nell’interesse di tutti» e che la Cina è a favore dello sviluppo delle relazioni tra i due Paesi «sulla base del rispetto reciproco, dell’uguaglianza e della non interferenza negli affari interni dell’altra parte». Il riavvicinamento tra Cuba e Stati Uniti è stato oggetto anche di un editoriale del Global Times pubblicato oggi, in cui il tabloid edito dal «Quotidiano del Popolo» analizza l’incontro tra Obama e Castro alla luce della politica interna americana. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Casco blu ucciso ad Haiti PORT-AU-PRINCE, 14. L’Onu ha fatto sapere che uno dei suoi caschi blu, di nazionalità cilena, è stato ucciso oggi ad Haiti in un attacco. Il Consiglio di sicurezza ha precisato in una nota la nazionalità del militare, senza rivelare i dettagli dell’incidente. Si sa solo che qualcuno ha attaccato un veicolo delle forze di stabilizzazione delle Nazioni Unite che stava vigilando sul regolare svolgimento di una manifestazione. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 BO GOTÁ, 14. La Procura colombiana ha annunciato l’avvio di un’inchiesta a carico di ventidue generali dell’esercito per sospette responsabilità in esecuzioni arbitrarie di civili, i cosiddetti “falsi positivi”. Lo ha reso noto il procuratore Eduardo Montealegre, che nei giorni scorsi ha incontrato un gruppo di parenti delle vittime di questa pratica, dilagata soprattutto nella seconda metà del Duemila e fomentata dalla necessità di presentare risultati positivi nella lotta ai gruppi armati illegali da parte delle forse di sicurezza nazionali. Montealegre ha ricordato che per lo scandalo dei “falsi positivi” — civili assassinati e camuffati da guerriglieri morti in combattimento — dal 2008 sono state pronunciate oltre 817 sentenze di condanna contro esponenti delle forze di sicurezza e che gli indagati sono circa duemila. Di questi, 1.573 sono membri dell’esercito, cinquecento dei quali ufficiali. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 15 aprile 2015 pagina 3 Donne yazide appena liberate dopo essere state prigioniere dell’Is (Ap) Mosca vende un sistema antimissile all’Iran Successo nelle elezioni locali del partito del nuovo presidente In Nigeria si consolida la svolta ABUJA, 14. Il voto di sabato per i governatori e le Assemblee di gran parte degli Stati della Federazione nigeriana — 29 su 37, comprendendovi il distretto della capitale Abuja — ha confermato la svolta registrata con le elezioni per la presidenza e il Parlamento federale. L’All Progressive Congress (Apc), il partito del nuovo presidente, Muhammadu Buhari, ormai maggioritario in Parlamento, ha visto infatti eleggere governatori diciannove suoi rappresentanti. Tra l’altro, l’Apc ha mantenuto la maggioranza dei consensi elettorali nello Stato di Lagos, dove si trova l’omonima principale metropoli del Paese. Questo significa che quando il mese prossimo Buhari subentrerà ufficialmente al presidente uscente, Goodluck Jonathan, per la prima volta il partito del capo dello Stato controllerà Lagos. L’Apc ha anche conquistato, per la prima volta, i due Stati settentrionali di Kaduna e Katsina. L’ex opposizione si è affermata con ampio margine anche nel Borno, nello Yobe e nell’Adamawa, i tre Stati nordorientali dove è in corso un’offensiva militare contro il gruppo islamista Boko Haram. Per il Partito democratico popolare (Pdp), quello di Jonathan, si tratta della maggiore sconfitta dalla fine della dittatura militare nel 1999. Il Pdp si è infatti aggiudicato solo nove governatori, mentre il voto nello Stato di Imo è stato dichiarato inconcludente per l’elevato numero di schede nulle. Il Pdp ha comunque vinto ancora in diversi Stati meridionali, a partire da quello di Rivers, nel delta del Niger, dove si concentra la maggior parte dei giacimenti petroliferi che rappresentano la maggiore fonte di ricchezza del Paese. Il voto nel Rivers è stato accompagnato da episodi di violenza e da accuse di brogli mosse dall’Apc al Pdp. Prima c’è stato l’assalto all’abitazione di un politico del partito di Buhari, con un bilancio di nove morti. Poi si è registrato un attentato dinamitardo contro un oleodotto, rivendicato da un gruppo armato legato alla comunità degli urhobo. Proprio alla situazione in quest’area è legata una delle questioni sulle quali si sta concentrando l’attenzione degli osservatori nigeriani e internazionali, cioè il programma di amnistia avviato nel 2009 per mettere fine agli attacchi del Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend), da decenni in lotta contro le multinazionali del petrolio e contro le autorità centrali nigeriane. Alcune frange dell’Apc chiedono l’abolizione del programma di amnistia, oltre che dei particolari sussidi dei quali godono le popolazioni del delta del Niger. Tuttavia, la gran parte degli osservatori giudica improbabile che Buhari voglia far apparire il suo Governo come nemico degli ex ribelli del Mend, considerati da gran parte dell’opinione pubblica interna, ma anche internazionale, come protagonisti di una lotta a un sistema economico che ha lasciato al popolo solo le briciole dell’immane ricchezza del sottosuolo. L’esportazione di greggio ha infatti continuato ad arricchire le compagnie multinazionali e alcune oligarchie locali e non è stata capace di portare né lavoro né benessere a una popolazione che in stragrande maggioranza vive sotto la soglia di povertà. In ogni caso, il nuovo presidente ha più volte dichiarato come sua priorità ricostituire la pace sociale nel Paese, non solo con lo sforzo di sconfiggere Boko Haram, ma anche con il superamento delle tradizionali divisioni tra il nord e il sud. Inoltre, è consapevole che un ritorno all’insicurezza nella regione del delta del Niger condizionerebbe la produzione petrolifera e danneggerebbe l’economia nazionale. La violenza sulle donne strategia di guerra jihadista NEW YORK, 14. Nelle sistematiche violenze perpetrate dal cosiddetto Stato islamico (Is) in Iraq e in Siria — ma anche da Boko Haram in Nigeria e da altri gruppi jihadisti in Mali e in Somalia — quelle sessuali contro le donne e persino le bambine rappresentano ormai una mirata strategia. Lo afferma un rapporto delle Nazioni Unite, stilato da una commissione d’inchiesta guidata dalla sierraleonese Zainab Hawa Bangura, responsabile del dipartimento contro la violenza sessuale. Nel rapporto, che sarà portato domani all’esame del Consiglio di sicurezza, ma che è già stato anticipato alla stampa, si legge che il 2014 «è stato caratterizzato da notizie profondamente angoscianti su stupri, matrimoni forzati e schiavitù sessuale». Gli esperti dell’Onu spiegano che la violenza sessuale «è parte della tattica applicata dall’Is e altri gruppi per diffondere il terrore, perseguitare le minoranze etniche e religiose e cancellare intere popola- Riprende il dialogo tra le fazioni libiche duecento studentesse di un liceo di Chibok, nello Stato nigeriano del Borno, che del gruppo jihadista è considerato la roccaforte. Delle ragazze non si hanno notizie certe. In queste ore si stanno tenendo, oltre a manifestazioni civili, incontri di preghiera nelle moschee e nelle chiese del Paese, per testimoniare vicinanza alle famiglie tanto duramente colpite e chiedere un rinnovato impegno alla liberazione delle ragazze sequestrate. Un appello in questo senso è venuto ieri anche dal premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, la giovane attivista pakistana colpita a suo tempo dai talebani. In questi dodici mesi, secondo rapporti internazionali, sono state almeno duemila le donne e le bambine rapite da Boko Haram. In molti casi, secondo fonti concordi, la loro sorte è stata appunto quella di essere destinate a matrimoni forzati o alla schiavitù sessuale. Conflitto yemenita al Consiglio di sicurezza NEW YORK, 14. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite voterà oggi una bozza di risoluzione sulla crisi nello Yemen in cui si chiede il ritiro dei ribelli sciiti huthi (contro i quali è iniziata il 26 marzo un’offensiva aerea di una coalizione di dieci Stati sunniti guidati dall’Arabia Saudita) dalla loro avanzata sulla città portuale di Aden, l’adozione di sanzioni e un embargo alla vendita di armi. Ma il testo, presentato dalla Giordania e dai Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo persico sarà con ogni probabilità bloccato dal veto della Russia. Ultimo processo per il genocidio in Rwanda D OD OMA, 14. Incomincia oggi ad Arusha, in Tanzania, l’ultimo processo del Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir). Si tratta dell’appello del procedimento tra i cui imputati figura Pauline Nyiramasuhuko, ex ministro della Famiglia e la prima donna riconosciuta colpevole di genocidio da una corte internazionale. Nyiramasuhuko fu ritenuta responsabile delle violenze commesse dai miliziani interahamwe nella prefettura di Butare. Fu condannata all’ergastolo al termine del processo di primo grado, nel 2011, insieme a suo figlio, Arsène Shalom Ntahobali e all’ex sindaco di Muganza, Elie Ndayambaje. Ad altri tre funzionari furono inflitte pene tra i 25 e i 35 anni. Per tutti gli imputati, il verdetto d’appello arriverà non più tardi di agosto. Istituito nel 1994, con sede appunto ad Arusha, il Tpir avrebbe dovuto cessare le sue attività lo scorso anno. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu però ne ha prolungato il mandato proprio per permettere la conclusione del processo a Nyiramasuhuko e ai suoi coimputati. zioni che si oppongono alla loro ideologia». Tra i tanti esempi riportati nel rapporto, c’è la promessa dell’Is, come strategia di reclutamento, di dare “in premio” a quanti si arruolano sotto le sue bandiere una donna della comunità yazida tra i 18 e i 35 anni. Secondo le stime dell’O nu, circa millecinquecento donne irachene sono state costrette l’anno scorso dall’Is alla schiavitù sessuale. Anche in Siria l’Onu ha registrato un significativo aumento dei casi segnalati di violenza sessuale commessi da gruppi armati e soprattutto dall’Is dalla metà del 2014. Di simili delitti si è macchiato anche Boko Haram, il gruppo responsabile da oltre un quinquennio di sistematiche stragi nel nord-est della Nigeria, con attacchi armati alle popolazioni civili e con attentati terroristici. Il rapporto dell’Onu arriva proprio alla vigilia del primo anniversario del sequestro, nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2014, di oltre Nel frattempo, il primo ministro pakistano, Nawaz Sharif, ha rivelato ieri di aver chiesto all’Iran «di usare tutta la sua influenza affinché i ribelli huthi che hanno rovesciato un Governo legittimo nello Yemen accettino di sedersi a un tavolo negoziale». Dopo un incontro con i vertici militari, il premier ha ribadito di considerare l’Arabia Saudita come un «alleato strategico», confermando però la posizione di «neutralità» nel conflitto yemenita e sostenendo che esso «deve essere risolto attraverso la via negoziale e il dialogo». WASHINGTON, 14. La Russia ha dato il via libera alla vendita di un sistema antimissile S-300 all’Iran. L’iniziativa preoccupa la Casa Bianca che, dopo la firma del decreto da parte del presidente russo Vladimir Putin, ha evidenziato il rischio che si creino divisioni all’interno del gruppo cinque più uno (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’O nu, più la Germania) fino a ora unito nei colloqui sul programma nucleare di Teheran. Il segretario di Stato, Kerry, ha avuto una telefonata con il ministro degli Esteri russo, Lavrov, esprimendo la posizione degli Stati Uniti. Lo ha reso noto il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest, che ha parlato di «profonda preoccupazione» anche per l’accordo «petrolio contro beni» fra Mosca e Teheran. Missione in Russia per il presidente palestinese MOSCA, 14. Il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, è a Mosca, dove ieri ha firmato numerosi accordi commerciali con il presidente russo, Vladimir Putin. Oltre al capo dello Stato, Abbas ha incontrato il primo ministro, Dmitri Medvedev, il patriarca ortodosso Kirill e il capo del consiglio dei mufti russi, Ravil Gainutdin. Con loro ha discusso della situazione e delle prospettive del conflitto israelo-palestinese e altre questioni riguardanti l’Africa settentrionale e il Vicino Oriente, con particolare attenzione a Siria, Iraq e Yemen. «La situazione nella regione si è aggravata. È molto importante mantenere i contatti su questi argomenti», ha detto Putin, che ha poi elogiato il presidente palestinese, affermando che «ha fatto molto per stabilizzare la situazione». Oggi Abbas — che si è recato in Russia per la prima volta nel 2005 — è atteso a Sochi, dove sarà accolto dai dirigenti della regione di Krasnodar e visiterà gli impianti olimpici realizzati per i giochi invernali dell’anno scorso. Nelle sue precedenti visite, Abbas aveva visitato le Repubbliche russe a maggioranza musulmana di Cecenia, Daghestan, Tatarstan, Bashkortostan. È il terzo anno consecutivo Calano le spese per le armi Fazioni rivali libiche al tavolo delle trattative ad Algeri (Afp) RABAT, 14. Sotto una forte pressione delle potenze occidentali ma anche di nuovi attentati a Tripoli riparte il negoziato sotto l’egida dell’Onu per dare alla Libia un cessate il fuoco e un Governo di unità nazionale. L’appuntamento è fissato per domani in Marocco ma già ieri è iniziato ad Algeri un incontro di due giorni fra esponenti politici libici. D’altra parte, ad avvantaggiarsi della spaccatura della Libia fra il Governo di Tobruk riconosciuto internazionalmente e quello filo-islamico di Tripoli sono chiaramente i trafficanti di esseri umani e i jihadisti affiliati al cosiddetto Stato islamico che hanno rivendicato due attentati con obiettivi altamente simbolici — la residenza dell’ambasciatore del Marocco e la sede diplomatica della Corea del Sud — anche se abbandonati da mesi come altre rappresentanze diplomatiche a Tripoli. In Algeria, invece, per la prima volta, leader politici si incontrano «per discutere una bozza di accordo», ha segnalato Bernardino León, l’inviato speciale dell’Onu per la Libia e mediatore dei negoziati che riprendono domani a Skhirat, nei pressi di Rabat, in Marocco. STO CCOLMA, 14. Per il terzo anno consecutivo, le spese militari in tutto il mondo sono calate, seppur di poco. Nel 2014 la contrazione è stata del meno 0,4 per cento, pari a 1.776 miliardi di dollari (il 2,3 per cento del pil globale). Spese militari in aumento, invece, in Cina, Russia e Arabia Saudita. È quanto emerge dal rapporto annuale dell’istituto svedese Stockholm International Peace Research Institute, che ogni anno analizza i bilanci militari in tutto il mondo. Rapporto che per l’Italia registra un ulteriore contrazione per il 2014 pari all’8,8 per cento, (30,9 miliardi di dollari). Gli Stati Uniti, con 610 miliardi di dollari, restano di gran lunga i maggiori acquirenti di armi in termini assoluti, anche se hanno ridotto le spese del 6,5 per cento. Al secondo posto rimane la Cina, che ha invece speso 216 miliardi di dollari, con un aumento del 9,7 per cento (bilancio che nel 2015 crescerà, secondo i dati forniti da Pechino, di un ulteriore 10,3 per cento). Terza, ma molto indietro, la Russia con 84,5 miliardi di dollari (più 8,1 per cento). Ma nel 2015, indica il Cremlino, il bilancio della Difesa salirà di un’ulteriore 15 per cento, per un totale di 150,5 miliardi di dollari. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 15 aprile 2015 Per il mondo l’America è niente più che gli Stati Uniti — scriveva negli anni Settanta — Noi abitiamo una sub-America inafferrabile come una nebulosa Addio allo scrittore uruguayano Eduardo Galeano L’America vista da sud di SILVIA GUIDI ome tutti gli uruguayani, avrei voluto essere un calciatore», amava dire Eduardo Galeano. Lo scrittore, morto ieri, 13 aprile, a 74 anni, era uno degli autori più letti e amati della letteratura sudamericana moderna. «Giocavo benissimo, ero un fenomeno ma soltanto di notte mentre dormivo — precisava poi Galeano con un sorriso — durante il giorno ero il peggior scarpone che abbia mai calcato i campetti del mio Paese». L’amore non corrisposto per il pallone avrebbe comunque dato vita a un gran numero di articoli, reportage e saggi come Splendori e miserie del gioco del calcio, rendendolo uno dei più amati e conosciuti cantori del fútbol. Nato nel 1940 in una famiglia alto borghese di Montevideo — il suo vero cognome era Hughes — Galeano debuttò nel giornalismo a quattordici anni, come disegnatore satirico, ma siccome «c’era un «C abisso fra quello che immaginavo e quello che tracciavo» si orientò poi verso la scrittura. Poco più che ventenne, diventò una delle firme principali, e poi il caporedattore, di Marcha, un settimanale politico e culturale di sinistra, punto di riferimento ben al di là dei confini del suo Paese — tra i collaboratori c’era anche Mario Vargas Llosa — e cominciò a interessarsi di politica anche come giornalista. Dopo una serie di libri dedicati a reportage e analisi della situazione in Cina, Guatemala e altri Paesi, nel 1971 pubblicò Le vene aperte dell’America Latina in cui ricostruiva il saccheggio delle ricchezze del subcontinente da parte delle potenze coloniali — dall’oro al cacao, dal cotone al petrolio — e il suo proseguimento attraverso le strutture di un capitalismo sfrenato. Tradotto in più di venti lingue, best seller internazionale, Le vene aperte diventò un’opera di riferimento e un manuale di storia per i movimenti rivoluzionari nati in Sudamerica — ma anche in altri continenti — sulla scia della vittoria dei barbudos castristi all’Avana. «Ora l’America è per il mondo niente più che gli Stati Uniti — scriveva negli anni Settanta introducendo il suo reportage dedicato a oltre cinque secoli di storia — noi abitiamo una sub-America, un’America di seconda classe, inafferrabile come una nebulosa. È l’America Latina, la regione dalle vene aperte». In tempi recenti, Galeano prese una certa distanza dal suo libro più noto. «Non mi pento di averlo scritto, ma non lo rileggerei: volevo scrivere un saggio di economia politica e non avevo la formazione necessaria», disse nel 2014, aggiungendo che considerava superata «una certa prosa di sinistra, che ora trovo pesantissima». Lungo gli anni della sua carriera letteraria, proseguita in Spagna dopo la fuga dalle dittature militari — con il golpe del 1973 fu imprigionato e successivamente costretto a espatriare in Argentina per poi finire nel mirino del regime di Videla ed essere costretto a fuggire di nuovo — Eduardo Galeano creò un stile personale, a cavallo fra la documentazione storica e la riflessione poetica, che portò al successo internazionale di Memoria del fuoco, una trilogia, pubblicata dal 1982 al 1986, in cui la storia dell’America latina è ripercorsa dalla parte dei poveri, degli indigeni e di tutti quelli che la storia non hanno mai potuto scrivere. L’opera, segnata da forte lirismo, fu molto lodata dalla critica, soprattutto americana e divenne un nuovo best seller globale. Il «Times Literary Supplement» la paragonò ai libri di Dos Passos e Gabriel Garcia Marquez. Difensore dei governi di sinistra dell’America Latina, Galeano mantenne un rapporto cordiale ma critico con la Cuba castrista. Dopo aver denunciato, nel 2003, la «decadenza di un modello di potere popolare» e la «rigidità burocratica», tornò nell’isola nel 2012, sottolineando che «un vero amico ti critica in faccia e ti elogia dietro le tue spalle». Quando, nel 2009, l’allora presidente del Venezuela Hugo Chávez regalò Le vene aperte dell’America Latina a Obama, il libro schizzò in un giorno dalla 60280ª posizione alla decima nella classifica dei titoli più venduti da Amazon. Ma il suo autore non si lasciò impressionare più di tanto: «Nessuno dei due lo avrà capito — commentò con amara ironia — Chávez ha regalato a Obama l’edizione spagnola». Lo scempio del palazzo di Nimrud «Era il Partenone dell’Assiria, oggi è polvere dispersa dal vento» scrive Paolo Matthiae su «la Repubblica» del 13 aprile descrivendo lo scempio del palazzo di Nimrud, nel nord dell’Iraq. Un video pubblicato online dall’Is mostra la distruzione del sito archeologico: i miliziani demoliscono statue e bassorilievi a colpi di piccone e frese, poi entrano in azione bulldozer ed esplosivo. La notizia, diffusa il 6 marzo, non aveva ancora trovato conferme. «Ciò che serve, oggi e subito — scrive Matthiae — è che il mondo islamico levi la sua voce alta e chiara, per il tramite delle massime autorità religiose di ogni Paese, in una ferma e inequivoca condanna di azioni sulle quali ogni silenzio non può che apparire complice. Una voce alta e chiara di civiltà che dichiari con fermezza e sdegno che distruzioni siffatte non possono essere compiute nel nome dell’islam». Il «Compianto sul Cristo morto» del Beato Angelico esposto a Torino Quella scala silenziosa di ALFRED O TRADIGO a scena del Compianto sul Cristo morto, tempera su tavola dipinta dal Beato Angelico tra il 1436 e il 1441, viene esposta al Museo Diocesano di Torino dal 16 aprile al 30 giugno, in corrispondenza con l’ostensione della sacra Sindone. La scena è dominata da una grande croce ben levigata che pare appena uscita dalla bottega di un falegname fiorentino. Sotto questo albero spoglio, una forca trasformata da simbolo d’infamia in ancora di salvezza, un popolo di santi e beati, con grande prevalenza femminile, si raccoglie a pregare davanti al Figlio di Dio deposto dalla croce. Quel Dio che prima del peccato comunicava con Adamo ed Eva sotto l’albero della conoscenza del L La Compagnia della Santa Croce accompagnava al patibolo i condannati a morte Il dipinto era l’ultima immagine che guardavano prima del supplizio bene e del male. Dopo la disobbedienza quel dialogo si è interrotto. E oggi si ricompone davanti al Figlio di Dio che ha dato tutto per noi fino alla morte. Due icone dunque dominano il pellegrinaggio torinese. Il misterioso volto dell’uomo della Sindone, prima di tutto. E poi il corpo luminosissimo e il volto silenzioso e ricco di fede del Cristo deposto dipinto dall’Angelico. La comunione con Dio si è ricomposta. Volto e corpo “dato per tutti”, oggi come ieri. Offerto anche ai condannati a morte che nel Quattrocento uscivano dalle mura di Firenze all’alba e, dopo aver ricevuto l’eucarestia, venivano accompagnati al patibolo. Il Compianto è stato infatti dipinto dall’Angelico su incarico della Compagnia della Santa Croce, una delle tante confraternite laicali che accompagnavano i condannati a morte con il conforto dei sacramenti e della carità cristiana. E questa tavola dell’Angelico era l’ultima immagine che essi guardavano prima del supplizio. Dietro la croce, appoggiata al braccio orizzontale (patibulum), Angelico dipinge in ombra e con precisione una scala e, dietro di essa, lo scorcio delle mura di Firenze con la porta della giustizia da cui uscivano appunto i condannati. La scala è stata lasciata lì dal pittore, silenziosa, a ricordare il momento della deposizione, quando Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo calarono a terra il corpo inerte di Gesù. Ai lati del braccio orizzontale i chiodi sono stati meticolosamente rimessi al loro posto, esposti, mentre da essi sgorgano piccoli rivoli di sangue vivo sul legno. L’insieme fa pensare al clima metafisico della pittura di certi autori moderni come Giorgio De Chirico: per esempio le sue Piazze d’Italia. Ma soprattutto ai silenzi della grande pittura di Piero della Francesca, che una decina d’anni dopo il Compianto dell’Angelico dipingerà, ad Arezzo, le Storie della Vera Croce, utilizzando una tipologia di croce simile a questa dell’Angelico. L’insieme di croce, chiodi, scala e fondo di mura cittadine infine costituisce un perfetto still-life religioso, in cui il pit- tore ci invita a contemplare gli “strumenti della Passione”. Rispetto alla drammaticità della Deposizione dipinta qualche anno prima dallo stesso Angelico per la chiesa della Trinità, nel suo Compianto esposto a Torino il dramma sacro — affrontato con toni più accesi da pittori come Giotto e Duccio da Buoninsegna — trova qui un suo equilibrio emotivo, si stempera e si trasforma in una sacra rappresentazione dominata dall’immobilità e dal silenzio dei presenti che non gridano ma pregano con le mani aperte, chiuse sul petto, oppure unite in preghiera. Il tutto trasfigurato nella luce del Tabor. Forse nessun altro artista al pari dell’Angelico ha osato tanto: trasformare il triste Compianto in un evento radioso, fuori città, un primaverile inno alla vita, tra quinte d’alberi in fiore e un esteso prato, così che quel luogo, da landa deserta, diventi hortus conclusus, nuova creazione, giardino dove il Risorto incontra l’umanità ferita. L’uso dei colori, portati al massimo grado di purezza, esaltati dalla luce radente e impreziositi dall’oro delle aureole e delle vesti, si stempera nella trasparenza dei veli e dei capelli femminili sciolti che scorrono come acqua sulle spalle e tra le pieghe delle vesti. Attraverso questa luce l’Angelico trasfigura la scenografia cimiteriale in una santa e gioiosa celebrazione pasquale. La grande assente, infine, risulta essere paradossalmente proprio lei: la morte. Sconfitta dalla fede di quei quattordici fedeli radunati in un cenacolo d’amore intorno a Cristo. Di fronte a quell’amore umano semplice ma fedele la morte è fuggita via spaventata. E con essa il grande tentatore, il demonio. Se attraverso il miracolo della pittura dell’Angelico il corpo di Cristo si trasforma sotto i nostri occhi in pane vivo e il telo funebre si trasforma in tovaglia d’altare che irradia luce, tutto ciò fa pensare alla misteriosa luce che nella notte di Pasqua sprigionò dal Risorto e avrebbe potuto impressionare il telo della Sindone, ricco di sostanze organiche, così da lasciare l’impronta, il negativo, la traccia, dell’evento prodigioso della resurrezione. Al lato sinistro della tavola in piedi l’Angelico dipinge il fondatore del suo ordine, san Domenico di Guzman, in atteggiamento orante; davanti a lui, in primissimo piano Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea commentano tra loro l’accaduto come due comuni cittadini di Firenze. D all’altro lato Maria di Magdala, solitamente china, qui osa alzare gli occhi ver- so Gesù quasi a voler partecipare più consapevolmente all’avvenimento. Tra lei e la Madre di Gesù due figure: la prima, una donna dalla chioma color grano e di spalle che tiene tra le mani il polso destro di Gesù quasi ad auscultarne i battiti; la seconda è l’evangelista Giovanni, intento a sostenere il braccio sinistro di Gesù. D all’altra parte della composizione appare la beata Villana con le braccia incrociate sul petto e una raggiera intorno al capo che la indicano come beata mentre una scritta le esce di bocca: «Cristo Gesù, l’amor mio crocifisso». I santi dell’Angelico si distinguono dai beati perché al posto del nimbo hanno una raggiera sottile a incorniciare il capo. Di fianco alla beata Villana, in primo piano, santa Caterina d’Egitto con corona, palma del martirio e nimbo dorato. Nel Compianto i presenti radunati intorno a Cristo — con grande prevalenza femminile, dieci su quattordici — rappresentano i sentimenti di un popolo intero, piccolo gregge, resto d’Israele che, fuori dalla mura della città (Firenze-Gerusalemme), si raccoglie per fare memoria di quell’unico amore che dà senso alla loro esistenza. Quell’amore che faceva dire all’Angelico, a proposito dell’impegno vocazionale della pittura, che «chi faceva quest’arte aveva bisogno di quiete e di vi- Rispetto alla “Deposizione” in quest’opera il dramma sacro si trasforma in una rappresentazione dominata dall’immobilità I presenti non gridano ma pregano vere senza pensieri; e chi fa le cose di Cristo, con Cristo deve stare sempre». Per questo, già priore, l’Angelico rinunciò a diventare vescovo di Firenze e rinunciò anche a dipingere un ciclo per una cappella di Prato. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 3 ottobre 1982. E oggi nel museo diocesano di Torino la sua opera Compianto sul Cristo morto, a confronto con la santa reliquia della Sindone, ci dà una lezione di amore all’unica bellezza che salva: la bellezza crocifissa di Gesù. Sindone e don Bosco In occasione dell’ostensione della sacra Sindone e delle celebrazioni per il bicentenario della nascita di Giovanni Bosco, l’arcidiocesi di Torino presenta alla città la tavola del Beato Angelico Compianto sul Cristo morto, proveniente dal museo San Marco di Firenze, esposta dal 16 aprile al 30 giugno nel museo diocesano. L’iniziativa è promossa e realizzata dal museo stesso, dalla Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino e dall’Associazione Sant’Anselmo - Imago Veritatis che l’ha ideata. Con il nostro giornale, collaborano «24Ore Cultura», «Avvenire», «Luoghi dell’Infinito» e «La Stampa» che è media partner insieme all’«Agenzia Giornali Diocesani». Hanno contribuito Banca C.R. Asti, Gruppo Bancario Credito Valtellinese e Reale Mutua. Curatore è monsignor Timothy Verdon, il quale sottolinea che per capire l’Angelico occorre entrare in un linguaggio che esprime, nello stesso tempo, «intimità e universalità, mitezza e grandezza». L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 15 aprile 2015 pagina 5 Rischi e falle legati ai sistemi di memorizzazione Il buio oltre il digitale di MAURO MILITA l grido d’allarme è stato lanciato da Vinton Cerf, vicepresidente di Google e inventore del protocollo TcpIp che è alla base del funzionamento delle reti informatiche. Nel suo recente intervento alla American Association for Advancement of Science, Cerf ha brutalmente domandato: «Cosa succederà quando gli attuali sistemi di memorizzazione diventeranno come il floppy disk di domani? I nostri tempi potranno diventare i secoli bui digitali?». Per la verità la questione non è nuova e molti di noi si sono già imbattuti nel problema dell’adeguamento dei formati di memorizzazione tentando di preservare, ad esempio, alcuni ricordi personali o di famiglia. Senza un trasporto di formato, infatti, è sempre più difficile rivedere una pellicola super 8 o riascoltare un’audiocassetta a nastro. Ma la cattiva notizia è che senza una soluzione “sistemica” il problema della conservazione documentale nell’era digitale può diventare davvero complesso. Chi credeva di aver messo al sicuro il documento convertendolo da super 8 a videocassetta si è trovato dopo pochi anni a doverlo nuovamente migrare in un formato digitale, magari su cd. Ebbene, la digitalizzazione non solo non ha risolto il problema della conservazione ma lo ha reso, se possibile, ancora più complesso. All’obsolescenza del supporto di memorizzazione, infatti, si è aggiunta quella del software utilizzato per il suo trattamento digitale. Per- I Si potrebbe giungere alla paradossale situazione di leggere il supporto ma di non essere in grado di decodificarne il contenuto tanto, pur impegnandosi a inseguire la frenetica evoluzione dei supporti che ha visto in pochi anni nascere e talvolta morire precocemente molti standard — cd, dvd, minidisk, blu-ray, pendrive, hard disk, ssd — si potrebbe giungere alla paradossale situazione di poter leggere il supporto ma non essere in grado di decodificarne il contenuto. Trasportando il problema della persona comune su scala globale, non è difficile vedere come l’ammonimento lanciato da Cerf sia molto opportuno. I documenti prodotti ai nostri giorni, nella maggior parte dei casi, non provengono da una loro versione materiale ma nascono già in modalità digitale, vengono trattati mediante i software informatici più comuni nel momento storico in cui sono generati e quindi memorizzati nei supporti disponibili in quello stesso momento. Insomma, l’enorme numero di documenti — mail, fotografie, filmati, lettere, giornali, libri — che la cosiddetta società dell’informazione produce, potrebbe non essere più leggibile in un futuro non troppo remoto. Nel tentativo di arginare le conseguenze di questo problema, già nel 2006 il dipartimento dell’energia statunitense ha destinato ben undici milioni di dollari a tre università e cinque laboratori nazionali affinché sia trovata una soluzione per gestire l’immensa mole di dati che raddoppia a ogni nuova generazione di supercomputer. In funzione di ciò sono nate e operano efficacemente alcune società specializzate che si incaricano di adeguare periodicamente collezioni importanti di documenti e dati digitali garantendone la leggibilità nel corso del tempo. Evidentemente un trattamento così costoso non può essere esteso in modo generalizzato e la quasi totalità delle nostre comunicazioni e documenti, senza una soluzione sistemica, è destinato ad andare irrimediabilmente perduto. Cerf cita come esempio il lavoro di Doris Kearns Goodwin, autore e storico presidenziale, che per realizzare il suo libro intitolato Il genio politico di Abramo Lincoln (2005), ha studiato approfonditamente alcune lettere scambiate tra Lincoln e i suoi contemporanei, giunte fino a noi in originale cartaceo e ritenute, fino a quel momento, non molto importanti. «Non sarebbe possibile in futuro scrivere un libro simile su persone che vivono oggi — ha affermato Cerf —. Il contenuto delle loro mail, infatti, sarà “evaporato” perché nessuno le avrà salvate oppure i loro documenti saranno illeggibili perché scritti utilizzando un software ormai vecchio di cento anni». Insomma non resta che augurarci che alcune delle soluzioni che il mondo scientifico sta proponendo, come ad esempio il digital snapshot siano presto adottate per evitare il paradosso che l’era della cosiddetta società dell’informazione sia considerata, negli anni a venire, come il periodo in cui l’umanità è stata incapace di conservare e trasmettere i propri documenti alle future generazioni. Nuovi spunti per un giallo mai risolto Chi tradì Anne Frank? di ANNA FOA a questione di chi abbia tradito Anne Frank, di chi abbia mandato la Gestapo ad arrestare gli otto ebrei nascosti dietro lo scaffale della casa di Prinsengracht 263 ad Amsterdam quel 4 agosto 1944, continua ad appassionare il pubblico e i media. Di questi giorni la notizia di un libro appena apparso in Olanda che accusa della delazione Nelly Voskujil, la sorella di Elisabeth, Bep nel Diario, uno dei quattro “angeli” soccorritori di Anne, due uomini e due donne che aiutarono gli otto ebrei nei due anni in cui restarono nascosti. L’interesse del libro sta anche nel fatto che a scriverlo è stato, assieme al giornalista Jeroen de Bruyn, il figlio di Bep, Joop Van Wijk, il nipote quindi della presunta delatrice. Basta con i silenzi, vi dice, la spia fu mia zia. Il libro non porta prove certe di questa tesi, ma si riferisce a corrispondenze scomparse e a conoscenze di famiglia. Sembra che Nelly Voskujil, che era stata un’impiegata di Otto Frank, fosse divenuta dopo l’occupazione collaboratrice della Gestapo e che fosse a conoscenza dell’aiuto che sua sorella prestava ai Frank. L’Olanda fu il paese occidentale più colpito dalla persecuzione nazista degli ebrei. Quando le armate naziste l’occuparono, nel 1940, gli ebrei che vi vivevano erano 140 mila. Ben 107 mila di essi furono deportati, e solo 5 mila fecero ritorno. Numeri ben più alti di quelli della Francia e dello stesso Belgio, che pure ha pagato un tributo pesantissimo, che si avvicinano a quelli della Polonia, dove gli ebrei furono quasi tutti sterminati. Ventimila di questi ebrei olandesi erano profughi dalla Germania, avevano cioè lasciato il territorio tedesco dopo il 1933, all’avvento di Hitler al potere. Fra loro, appunto, i Frank. Prima che la Germania ne calpestasse la neutralità e la occupasse per cinque anni, l’Olanda sem- L brava un sicuro rifugio per gli ebrei, che vi vivevano integrati e accettati. Che cosa successe durante l’occupazione da rendere tanto alto il numero delle vittime ebree, e quale fu l’atteggiamento degli olandesi di fronte ai nazisti occupanti e alla deportazione dei loro ebrei? Perché, e la storia dell’occupazione nazista in Europa ce lo dimostra, l’atteggiamento dei non ebrei verso la persecuzione antisemita, l’esistenza di una resistenza, armata o meno, al nazismo, sono stati fattori determinanti della riuscita o meno del progetto nazista di deportazione. A partire dall’occupazione, gli ebrei olandesi furono sottoposti a un numero crescente di proibizioni e vessazioni. Nel settembre 1941, tutti gli ebrei presenti in Olanda furono schedati e un contrassegno fu apposto sulle loro le deportazioni. Nel 1943, gli ebrei ancora presenti in Olanda erano trentamila, quelli che erano riusciti a nascondersi con l’aiuto dei non ebrei. Un terzo di essi finiranno in deportazione grazie all’opera dei delatori, che per ogni ebreo catturato ricevevano una taglia ingente. Fu nel luglio del 1942, dopo che la sorella di Anne, Margot, aveva ricevuto la convocazione per la deportazione, che i Frank decisero di nascondersi. Della deportazione non si sapeva certo tutto, ma i Frank erano profughi tedeschi e non si fidavano delle menzogne dei nazisti. È una storia ben nota, e l’alloggio segreto dove si rifugiarono, la cui porta interna agli uffici già diretti da Otto Frank era coperta da uno scaffale rotante, è ora sede di un museo visita- L’interno del rifugio carte di identità. Come per la schedatura degli ebrei italiani realizzata dal fascismo nel 1938, così questa schedatura fu uno strumento primario per l’individuazione e la deportazione degli ebrei. Nel maggio 1942 venne loro imposto l’obbligo di portare la stella gialla. Nel luglio, iniziarono to da un gran numero di persone da tutto il mondo. Se qualcuno non avesse avvisato la Gestapo della loro presenza, se una spia non li avesse denunciati, è assai probabile che avrebbero potuto sopravvivere ancora quei dieci mesi che mancavano per giungere alla liberazione, nel maggio 1945, o almeno quei pochi mesi, da agosto a novembre, prima che gli invii in deportazione fossero fermati. Il convoglio che portò Anne e i suoi nel campo fu infatti l’ultimo che lasciò il campo di raccolta di Westerbork per Auschwitz, nel settembre 1944. Ma qualcuno avvisò la Gestapo della presenza di otto ebrei nell’alloggio segreto. Nell’Europa occupata, non erano poche le spie che denunciavano ai nazisti gli ebrei. Dall’altra parte, come sappiamo, molti furono i soccorritori, molti i giusti. In Italia le spie furono numerose, alcune di esse anche ebree, come la celebre Celeste Di Porto, che fece arrestare e deportare tanti ebrei nella Roma occupata. Ovunque, le spie agivano soprattutto per denaro, ma altre potevano essere le motivazioni, il senso di potere provocato dal fatto di tenere delle vite nelle proprie mani o anche l’antisemitismo puro e semplice. Quanto forte fu nell’Olanda occupata l’antisemitismo, prima dell’occupazione un fenomeno molto marginale? Ora emerge l’ipotesi che la delazione si sia annidata nel cuore della famiglia di uno degli angeli soccorritori Ma prove certe ancora mancano Nel maggio 1944 Anne lamentava nel Diario che l’antisemitismo si era infiltrato in ambienti inaspettati, che molte persone avevano cambiato atteggiamento nei confronti degli ebrei. E il fatto che i nazisti considerassero gli olandesi come loro simili, “ariani” come loro, può avere influito sul consenso di tanti olandesi alla politica antisemita? Sappiamo dell’esistenza di una squadra speciale di poliziotti olandesi, i “cacciatori di ebrei”, che collaboravano con la Gestapo. Ma c’erano atti di delazione fra la gente comune, fra i vicini, fra gli amici e i compagni di lavoro. Il Diario di Anne è pieno di riferimenti al rischio di una delazione. Nel dopoguerra, numerose persone furono sospettate di aver tradito i Frank: i ladri che si erano introdotti negli uffici dove si apriva la porta dell’alloggio segreto, il magazziniere William Van Maaren, un ex socio di Otto Frank divenuto fervente nazista, Anton Ahlers, e altri. Ma nulla si è potuto provare. Ora siamo di fronte all’ipotesi che il tradimento si annidasse nel cuore della famiglia di Bep, uno degli “angeli” soccorritori di Anne, che fosse stata proprio la sorella di uno dei giusti a compiere l’ingiustizia più grande. Sarà possibile provarlo senza incertezze o resteremo ancora nel campo dei sospetti e delle ipotesi? Presentato il padiglione della Santa Sede all’Expo 2015 Solo trecentosessanta metri quadrati di superficie calpestabile, investimenti limitati al massimo: sarà una partecipazione che mira all’essenziale quella della Santa Sede all’Expo 2015. Più che promuovere iniziative o prodotti commerciali «proporrà un messaggio». Lo ha sottolineato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura e commissario generale del padiglione, nel corso della conferenza che si è tenuta Tintoretto, «Ultima cena» (1562, particolare) Una spina nel fianco martedì 14 aprile nella Sala stampa della Santa Sede per illustrare la partecipazione all’evento internazionale programmato a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre. La nostra, ha spiegato il porporato, «vuole essere quasi una “spina nel fianco” dell’Expo, sicuramente una “presenza di eccezione”»: prendendo spunto da due frasi bibliche — «Non di solo pane» e «Dacci oggi il nostro pane» — il padiglione vuole richiamare l’attenzione sulla rilevanza simbolica del nutrire e proporre una visione ampia e integrale dei bisogni umani. Attraverso il linguaggio universale dell’arte (architettura e pittura, ma anche fotografia e cinema) saranno evidenziate quattro dimensioni fondamentali: «Giardino da custodire» (ecologica), «Cibo da condividere» (economica-solidale), «Un pasto che educa» (educativa) e «Un pane che rende presente Dio nel mondo» (spirituale, legata al tema dell’Eucaristia). L’organizzazione è stata affidata al Pontificio consiglio della Cultura, in collaborazione con la Conferenza episcopale italiana (Cei) e l’arcidiocesi di Milano. A spiegare il coinvolgimento della Cei è intervenuto il sottosegretario monsignor Domenico Pompili: «È il riflesso dell’impegno quotidiano della Chiesa italiana nei confronti di quanti a vario titolo soffrono il problema dell’alimentazione», un problema che oggi coinvolge oltre quattro milioni di persone. La diocesi di Milano dal canto suo — ha spiegato il vicario episcopale monsignor Luca Bressan — nel suo legame con il territorio che ospita l’Expo si impegnerà a diffondere il messaggio che la Chiesa intende portare in questa occasione. Lo farà anche organizzando alcuni appuntamenti cittadini come l’incontro inaugurale del 18 maggio, in piazza Duomo, dove si cercherà di far riflettere sulle «grandi iniquità che affliggono il pianeta e che sono continuamente denunciate anche da Papa Francesco», o come l’incontro finale del 27 ottobre, un appuntamento interreligioso che vorrà sottolineare il ruolo delle «religioni come cibo dello spirito». Il padiglione — realizzato dagli architetti dello studio Quattroassociati — apparirà all’esterno nell’essenzialità di un mas- so, animato solo dalle due “frasi guida” scelte dalla Bibbia. All’interno, un tavolo interattivo permetterà ai visitatori di lasciarsi coinvolgere in un cammino di approfondimento del messaggio proposto. Due pareti sono state affidate alla cura del Pontificio consiglio Cor Unum. Come ha spiegato il segretario, monsignor Gian Pietro Dal Toso, una accoglierà una mostra fotografica a rappresentare «la fame dell’uomo intesa nel suo senso più ampio»; su quella opposta, invece, scorreranno tre cortometraggi della regista Lia Beltrami per raccontare, attraverso immagini raccolte in Burkina Faso, Ecuador e Iraq, il valore della carità cristiana. Il padiglione ospiterà anche, in due periodi successivi, l’Ultima cena del Tintoretto (dalla chiesa veneziana di San Trovaso) e L’istituzione dell’Eucaristia di Rubens (dal Museo diocesano di Ancona). A queste suggestioni si aggiungeranno quelle che il cardinale Ravasi, rimandando al sito in rete (www.expoholysee.org), ha definito del «padiglione mobile», legate cioè a una catena molteplice di eventi che vedranno protagonisti, tra gli altri, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù. (maurizio fontana) L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 15 aprile 2015 Preparativi a Losanna per l’intervento del ministro degli Esteri iraniano (Afp) Dichiarazione dei leader religiosi dei due Paesi e del Wcc Riconciliazione possibile fra Stati Uniti e Cuba I vescovi statunitensi e il recente accordo di Losanna sul nucleare iraniano È tempo di costruire ponti di pace WASHINGTON, 14. La recente intesa di Losanna per giungere a un accordo quadro sul nucleare iraniano costituisce un «passo importante» sulla strada di una «risoluzione pacifica» delle gravi questioni che sono sorte in questi anni e che costituiscono motivo di grande preoccupazione per la pace mondiale e la stabilità del Medio oriente. È quanto sostiene il vescovo di Las Cruces, Oscar Cantú, presidente del Committee on International Justice and Peace dell’episcopato statunitense, in due distinte lettere inviate, la prima, l’8 aprile scorso, al segretario di Stato, John Kerry, e successivamente, lunedì 13, ai membri del Congresso. Documenti resi pubblici e diffusi integralmente sul sito in rete della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Per il presule, che cita le parole di incoraggiamento espresse da Papa Francesco in occasione del messaggio Urbi et orbi del 5 aprile scorso, la strada alternativa all’accordo sul nucleare «conduce verso il conflitto armato», soluzione che ovviamente è guardata con profonda preoccupazione da parte della Chiesa. In questo senso, a nome della commissione episcopale statunitense, monsignor Cantú ha assicurato di accogliere «con favore» il recente passo compiuto a Losanna dagli Stati Uniti e dai suoi partner internazionali: «Incoraggiamo la nostra nazione a continuare su questa strada. Questo è il momento del dialogo e Una primavera di libertà religiosa BALTIMORA, 14. Si apre una fase cruciale nel dibattito in atto negli Stati Uniti sulla libertà religiosa. Le aspre polemiche sul Religious Freedom Restoration Act, (Rfra), approvato nei giorni scorsi dal governatore dell’Indiana con robuste modifiche rispetto alla sua versione originaria, sono solo un esempio di come la questione sia articolata e piuttosto complessa. A confermarlo è l’arcivescovo di Baltimora, monsignor William Edward Lori, già presidente della Commissione episcopale sulla dottrina e membro della Commissione episcopale ad hoc per la difesa del matrimonio. Intervistato dal quotidiano «National Catholic Register», il presule ha detto che quanto accaduto in Indiana non è una sorpresa e non è certo l’unica questione aperta. Il prossimo 28 aprile, la Corte Suprema degli Stati Uniti ascolterà le testimonianze sul caso Obergefell vs Hodges e altri tre casi analoghi che potrebbero avere effetto sulla legalizzazione o meno del “matrimonio” tra persone dello stesso sesso in tutto il Paese. Secondo l’arcivescovo Lori occorre difendere «la nostra libertà come un atto di solidarietà con coloro che sono perseguitati. Papa Francesco ci ha dato gli strumenti per farlo, non solo in quello che dice in merito alla persecuzione dei cristiani in Medio oriente e in Africa, ma anche nel suo discorso pronunciato di recente al Parlamento europeo, quando ha parlato di connessione tra libertà religiosa e democrazia». In una memoria depositata presso la Corte Suprema degli Stati Uniti, la Conferenza episcopale si è unita ad altri leader religiosi affermando «che l’istituzione del matrimonio tradizionale è indispensabile per il benessere della famiglia e della società americana. Siamo anche uniti nella convinzione che l’imposizione agli Stati di permettere e riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso genererebbe conflitti tra Stato e Chiesa e metterebbe in pericolo le libertà religiose fondamentali». L’arcivescovo di Louisville e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, monsignor Joseph Edward Kurtz, nei giorni scorsi ha assicurato che un confronto su come presentare al meglio il messaggio su libertà religiosa, matri- monio e altre importanti questioni avverrà nella prossima assemblea episcopale di giugno. L’arcivescovo Kurtz ha anche espresso la speranza che il viaggio di Papa Francesco negli Stati Uniti, a settembre, possa essere un’occasione, per i fedeli, per esporre, con civiltà e con passione, l’insegnamento della Chiesa su questi difficili temi. della costruzione di ponti che promuovano la pace e una maggiore comprensione». Tra i punti dell’intesa, la cancellazione graduale delle sanzioni contro l’Iran, la riduzione di due terzi dell’arricchimento dell’uranio da parte di quest’ultimo, il controllo di ispettori internazionali sull’effettiva sospensione del programma nucleare. Come accennato, nelle due missive vengono citate le parole pronunciate nel giorno di Pasqua dal Pontefice, il quale con «speranza» ha affidato al Signore misericordioso «l’intesa raggiunta in questi giorni a Losanna, affinché sia un passo definitivo verso un mondo più sicuro e fraterno». Come pure viene ricordato che l’episcopato statunitense sin dal 2007, riflettendo peraltro la storica posizione della Santa Sede, «ha esortato la nostra nazione a perseguire la diplomazia per garantire il rispetto degli obblighi di non proliferazione nucleare dell’Iran». Infatti, «per anni abbiamo sostenuto il dialogo e una risoluzione negoziata del conflitto, in collaborazione con partner internazionali». Non è dunque un piccolo passo, sottolineano i presuli statunitensi, quello compiuto a Losanna insieme con l’Iran dai cinque Paesi membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania. Si tratta, invece, di un’altra pietra miliare nel processo dei negoziati con l’Iran, che «mira a frenare l’inaccettabile prospettiva di sviluppare armi nucleari». In sostanza, l’accordo rappresenta un primo importante passo per favorire «maggiore stabilità e dialogo in Medio oriente». L’AVANA, 14. Gratitudine, apprezzamento e incoraggiamento per i negoziati in corso tra i Governi di Cuba e degli Stati Uniti. È quanto hanno espresso diversi leader religiosi americani e rappresentanti ecumenici in occasione di un incontro organizzato all’Avana nei giorni scorsi dal World Council of Churches. All’evento hanno preso parte il Consiglio delle Chiese di Cuba (Cuban Council of Churches, Cic), il Consiglio latinoamericano delle Chiese (Latin American Council of Churches, Clai), il Consiglio nazionale delle Chiese degli Stati Uniti (National Council of Churches Usa, Nccusa). I recenti sviluppi dei rapporti fra Usa e Cuba, suggellati dall’incontro in occasione del Vertice delle Americhe a Panamá fra il presidente statunitense, Barack Obama, e quello cubano, Rául Castro, hanno portato ulteriori elementi di speranza nel corso dei lavori. «Li esortiamo — ha detto, riferendosi ai due leader politici, Delmar Bueno de Faria, rappresentante del World Council of Churches presso le Nazioni Unite a New York — a spezzare il pane insieme e a dialogare in un clima sereno e in uno spirito di rispetto reciproco e di uguaglianza che possa accelerare il processo di normalizzazione». Giovani religiosi in missione per la causa dell’Amazzonia Convegno ecumenico a Bogotá Memoria comune per edificare il futuro «Riconciliazione e testimonianza evangelica»: sono queste le parole chiave dell’incontro ecumenico internazionale per la pace in Colombia, che si è tenuto a Bogotá dall’8 all’11 aprile, con la partecipazione di delegati di dieci Chiese e comunità cristiane, diciassette organizzazioni ecclesiali nazionali e quindici organismi ecumenici provenienti da tre continenti. L’incontro è stato promosso dal Consejo Latinoamericano de Iglesias (Clai), con l’intento di rafforzare l’impegno ecumenico in Colombia nella ricerca di una pace reale in grado di mettere fine al conflitto armato che ha causato decine di migliaia di morti e la fuga di oltre cinque milioni di persone costrette a lasciare le loro case. Come è stato ricordato a Bogotá, in numerosi interventi, le comunità cristiane in Colombia sono da anni profondamente unite nella testimonianza evangelica, nella condanna della violenza e nella ricerca del dialogo. Ne è testimonianza anche l’Assemblea generale del Clai all’Avana del maggio 2013, quando era stato lanciato un appello per la pace e per superare il clima di ostilità e di diffidenza che rallentava il dialogo. L’incontro di Bogotá è stato così l’occasione non solo per fare il punto dell’impegno ecumenico per la pacificazione ma soprattutto per progettare nuove iniziative con le quali contribuire alla costruzione di una cultura della riconciliazione. Si è dunque discusso dello stato del dialogo e delle prospettive dell’accordo tra il Governo e le Farc, si è approfondita la dimensione biblica e teologica della pace e della riconciliazione in una prospettiva ecumenica, si sono condivise le esperienze di altre realtà, dove si cominciano a vedere i primi frutti della pace grazie anche alla costruzione di percorsi di riconciliazione delle memorie. Nel documento finale si è voluto, tra l’altro, ringraziare i cristiani che nel mondo hanno pregato, sostenendo spiritualmente e materialmente le iniziative ecumeniche in Colombia: a loro è stato chiesto di continuare la loro opera in un momento nel quale si cominciano a intravedere i segnali di una pace fragile che deve essere sostenuta. Per rendere più stabile questo processo è fondamentale sostenere le iniziative per la conoscenza della memoria storica del Paese; contestualmente, i cristiani devono favorire un ripensamento della struttura della società, in particolare per una distribuzione più equilibrata dei beni, in modo da contrastare la violenza che nasce dalle sperequazioni economiche. Secondo le organizzazioni cristiane, non si deve alimentare l’illusione che il conflitto armato sia finito con la firma di un accordo: sono infatti necessari, è stato sottolineato, passi specifici con le comunità che costruiscono la pace nel proprio territorio, anche trasformando il processo di pace in opportunità di lavoro, al fine di sconfiggere la povertà. Si tratta così di sostenere i percorsi avviati nella ricerca della verità storica e per la smilitarizzazione in Colom- I rappresentanti religiosi hanno redatto un documento comune, che porta la firma del reverendo Joel Ortega Dopico, presidente del Cic, del reverendo Jim Winkler, segretario generale della Nccusa, del reverendo Felipe Adolf, presidente della Clai e di Rudelmar Bueno de Faria. «Siamo perfettamente consapevoli che ci sono molti dettagli che devono essere affrontati — viene sottolineato nella dichiarazione — e che è della massima importanza che i progressi continuino e che i due presidenti siano personalmente coinvolti nelle discussioni». Soddisfazione è stata espressa anche dal segretario generale del World Council of Churches, reverendo Olav Fykse Tveit. «Questo riavvicinamento tra Cuba e Stati Uniti — ha commentato — è un segno tangibile del nostro pellegrinaggio di giustizia e di pace: un segno che, nonostante le lunghe e aspre divisioni, la pace e la riconciliazione sono sempre possibili». Secondo Fykse Tveit, questo storico incontro dimostra, ancora una volta, «che il cammino verso la pace giusta è l’unica strada percorribile nella quale le persone si trovano gli uni con gli altri come compagni di pellegrinaggio». Nella dichiarazione è stato anche ribadito l’impegno delle Chiese a lavorare congiuntamente per favorire un dialogo costruttivo. «Ci impegniamo — si legge nella nota — a continuare a riunire i membri delle nostre Chiese e dei nostri consigli e i cittadini di tutte le nazioni per promuovere la riconciliazione. Ci impegniamo, infine, a proseguire il nostro lavoro per incoraggiare gli Stati Uniti d’America a cancellare Cuba dalla lista delle nazioni che sponsorizzano il terrorismo, e a porre fine al più presto all’embargo che ha provocato tanta sofferenza al popolo cubano». bia, con la realizzazione di reti ecumeniche che consentano di promuovere la conoscenza dei passi compiuti e progettati per la pace. I cristiani poi devono anche lavorare per la definizione di una adeguata proposta educativa. Per questo, nel documento, si riafferma il sostegno al progetto per la creazione di una «Comisión de la Verdad» che sarebbe auspicabile si potesse avvalere della collaborazione di organizzazioni e di esperti internazionali nel difficile compito di ricostruire decenni di violenze. I cristiani potrebbero così contribuire a far luce sul passato a partire dalla conoscenza «delle possibili responsabilità per le azioni e per le omissioni delle nostre Chiese nella violenza in Colombia». (riccardo burigana) Trigesimo Il Ministro generale OFM Conv., fra Marco Tasca, nel trigesimo della morte di P. LANFRANCO SERRINI OFM Conv. già Ministro generale dell’O rdine (1983-1995), deceduto in Osimo l’11 marzo 2015, annuncia che sarà celebrata l’Eucaristia, in suffragio del confratello, presso la basilica dei Santi Apostoli, Roma, mercoledì 15 aprile 2015. Quanti lo conobbero e lo stimarono sono cordialmente invitati. BRASILIA, 14. Prima esperienza missionaria di cinquanta giovani religiosi e religiose di dieci Stati brasiliani che si sono dati appuntamento, presso la diocesi di Obidos, nella prelatura di Itaituba, in Brasile, per la «Prima missione della vita religiosa giovane». «La nostra aspettativa — ha detto suor Maria Irene Lopes dos Santos, membro della Commissione episcopale per l’Amazzonia — è che, attraverso questa esperienza, i giovani riescano a vivere con passione la causa dell’Amazzonia e, di conseguenza, le rispettive congregazioni religiose possano inviare missionari nella realtà amazzonica, che ha così bisogno della presenza della Chiesa». L’evento è stato promosso dalla Commissione episcopale per l’Amazzonia, unitamente a quelle per la Gioventù e per l’Azione Missionaria. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 15 aprile 2015 pagina 7 Lanciato dal Comune un piano quinquennale di restauri che coinvolge Stato e fondazioni Cento milioni per le chiese di Parigi PARIGI, 14. Il Comune di Parigi lo ha definito «uno sforzo collettivo senza precedenti»: municipalità, Stato, responsabili dei culti, mecenati, insieme per salvaguardare, restaurare e valorizzare chiese e altri edifici religiosi, oltre alle opere d’arte in essi contenute. Agli ottanta milioni di euro investiti dal Comune per il periodo 2015-2020 se ne aggiungeranno altri undici di finanziamenti pubblici, oltre a contributi di fondazioni e donazioni di cittadini. Il piano è stato presentato venerdì scorso dal sindaco, Anne Hidalgo, e dal vicesindaco incaricato della cultura, Bruno Julliard. La municipalità — si legge in un comunicato — è riuscita a imbastire un dialogo trasparente con l’insieme degli attori istituzionali e associativi impegnati nella preservazione del patrimonio cultuale. Per accelerare la realizzazione del progetto è stata data priorità al meccanismo del finanziamento partecipativo. Nel settembre 2014, per esempio, è stata lanciata una sottoscrizione che consentirà di restaurare tre capolavori del pittore Eugène Delacroix nella chiesa di Saint-Sulpice. Nel febbraio scorso, poi, è stato creato un fondo di dotazione che permetterà di ricevere finanziamenti privati e di rispondere nel modo migliore alle proposte di mecenati e altri soggetti. I principali edifici interessati dal piano di recupero sono Saint-Jean de Montmartre, La Trinité, Synagogue de la Victoire, Notre-Dame de Lorette, Saint-Augustin, Saint-Vincent de Paul, Saint-Philippe du Roule, La Madeleine, Saint-Eustache, Saint-Joseph des Nations, Saint-Germain de Charonne, SaintMerri, Saint-Germain des Prés, Saint-Louis en l’Île, Saint-Sulpice, Saint-Médard, Notre-Dame d’Auteuil, Saint-Esprit, Saint-Pierre de Montrouge e Sainte-Anne de la Butte aux Cailles. Molte chiese di Parigi non se la passano bene. Il quotidiano spagnolo «Abc», in un servizio pubblicato domenica 12, afferma che sarebbero almeno trenta quelle in pericoloso stato di abbandono. Alla vigilia della Domenica delle palme un pezzo L’iniziativa della diocesi spagnola di Zamora Vocazioni in rete ZAMORA, 14. Si chiama Twelve’s ed è la rete sociale creata dalla diocesi spagnola di Zamora per orientare adolescenti e giovani nelle loro scelte di vita. Sottolineando come i ragazzi, e non solo, utilizzino sempre di più le reti sociali per contattare altre persone e confrontarsi, il direttore del segretariato diocesano della pastorale per la vocazione e rettore del seminario maggiore e minore di Zamora, Florentino Pérez, ha parlato all’agenzia Sir della «necessità di creare uno spazio pro- priamente cristiano nel quale si incrementi una cultura vocazionale offrendo un primo orientamento a giovani e adolescenti che stanno cercando di comprendere la volontà di Dio nella loro vita, senza però sostituirsi ai processi personali di accompagnamento vocazionale. Twelve's — ha chiarito Pérez — vuole diventare uno strumento educativo per potenziare una visione della vita cristiana, utilizzando un ambiente e un linguaggio abituale tra i ragazzi» di oggi. della croce della chiesa di Saint-Louis en l’Île, in pieno centro storico, è caduto sul marciapiede, a pochi metri dal parroco che aveva appena celebrato la messa. Una settimana prima è stato necessario chiudere con urgenza la chiesa di Saint-Roch per consentire di mettere in sicurezza le vetrate, a rischio crolli. Sempre secondo quanto riferisce «Abc», una ventina di chiese catalogate come monumento storico sono oggi oscurate da reti metalliche per proteggere cittadini e turisti dall’eventuale caduta di pietre e parti di sculture dalle malandate facciate. Il Comune di Parigi è proprietario di novantasei edifici religiosi (ottantacinque chiese cristiane, nove templi protestanti e due sinagoghe) costruiti prima della legge del 1905 che ha sancito la separazione fra le Chiese e lo Stato. Al loro interno quarantamila opere d’arte e centotrenta organi a canne. Questi edifici, i più antichi dei quali risalgono al XII secolo, sono — ricorda la nota dell’Hôtel de Ville — «pietre miliari della storia dell’architettura, riferimenti emblematici dei quartieri che spesso hanno contribuito a far nascere. In gran parte aperti al pubblico hanno rappresentato, per la ricchezza e l’abbondanza delle opere d’arte in essi contenute, una prima forma di museo gratuito». Tale patrimonio è ovviamente fonte di grande attrazione turistica: basti pensare che nel 2013, nella sola basilica del Sacro Cuore, sono transitati dieci milioni e mezzo di visitatori (secondo sito turistico più visto della città); e che nel 2014 circa centomila persone si sono recate negli edifici di culto in occasione della «Notte Bianca». Secondo il sindaco di Parigi, il piano, considerando il numero di imprese che vi saranno impegnate (fra restauratori, scultori, tagliatori di pietre, falegnami, maestri vetrai, copritetti), costituisce una straordinaria opportunità per rilanciare l’economia locale dopo la crisi, anche attraverso l’assunzione di persone che hanno perso il lavoro. A Łódź congresso sulla pastorale universitaria in Europa Responsabilità e senso della vita ŁÓDŹ, 14. Il tema della vita, declinato sotto varie prospettive da docenti ed esperti di pastorale universitaria, sarà al centro del Congresso sulla pastorale universitaria in Europa organizzato dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee) a Łódź, in Polonia, dal 16 al 19 aprile. Vi parteciperanno una cinquantina di delegati, tra responsabili degli uffici nazionali per la pastorale universitaria e cappellani universitari di diciotto Paesi europei, che si incontreranno assieme a gruppi di studenti provenienti da tutta la Polonia su invito dell’arcivescovo di Łódź, Marek Jędraszewski, presidente della Commissione del Ccee per la catechesi, la scuola e l’università. L’evento ha come titolo «Essere e diventare responsabili nella vita». Quello di aiutare gli studenti a scoprire e ad assumere responsabilità per la vita — spiega don Michel Remery, vice segretario generale del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa e co-responsabile dell’incontro — è «un compito imprescindibile per quanti operano nella pastorale universitaria. Questo vuol dire aiutarli a vivere amando se stessi, gli altri e Dio. Nella pastorale universitaria si vede quanto numerosi siano i giovani in cammino alla ricerca del senso della vita, e noi abbiamo il compito di aiutarli in questa ricerca, proponendo loro le vere ragioni della vita, ossia quelle cristiane. Allo stesso tempo ci sono tanti altri giovani che, di fronte alle difficoltà e alle sfide quotidiane, si smarriscono e non trovano più una ragione valida che dia senso al loro studio, al loro futuro, insomma alla loro vita. A Łódź — conclude don Remery — intendiamo riflettere su questo tema e scambiare metodi ed esperienze che possano rivelarsi utili per lo studente e lo stesso cappellano universitario». Fra i relatori, si segnala la presenza del cardinale Zenon Grocholewski, già prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, che parteciperà all’incontro con un contributo su «La pastorale universitaria nella prospettiva del progresso dell’umanità». Nei mesi di aprile, maggio e giugno Calendario delle celebrazioni presiedute da Papa Francesco Aprile 26 IV D OMENICA DI PASQUA Basilica Vaticana, ore 9.30, Ordinazioni presbiterali, Santa Messa In una conferenza a Bangkok le commissioni episcopali illustrano i conflitti nel continente e l’impegno dei cattolici L’Asia ha bisogno di giustizia e pace BANGKOK, 14. La lotta al terrorismo islamico, la difesa delle minoranze religiose, la condizione femminile in una società complessivamente patriarcale, i conflitti interni legati a interessi economici e allo sfruttamento delle risorse, i movimenti a favore di una vera democrazia e contro l’uso strumentale della polizia e dell’esercito, l’estrema povertà di alcune fasce della popolazione, il traffico dei migranti: sono alcuni degli argomenti affrontati nei giorni scorsi al centro pastorale dei Camilliani a Bangkok, in Thailandia, durante la conferenza in- ternazionale intitolata «Pace e riconciliazione nel contesto dell’Asia» alla quale hanno partecipato, come riporta AsiaNews, anche rappresentanti delle commissioni di Giustizia e Pace di varie conferenze episcopali del continente. Una delle situazioni più preoccupanti riguarda l’India, ha detto padre Charles Irudayam, segretario esecutivo dell’Ufficio per la giustizia, la pace e lo sviluppo della Catholic Bishops’ Conference of India. Il Paese, dopo le elezioni generali della primavera 2014, sta attraversando una crisi a livello nazionale «a causa della propensione del partito di governo, il Bharatiya Janata Party, a portare avanti tumulti sociali che hanno come obiettivo le minoranze religiose. Vi è un’azione crescente, diffusa e ben pianificata che mira a stroncare e a sopprimere la libertà di culto nel Paese. L’agenda di induizzazione dei programmi scolastici, per esempio, lo dimostra, assieme ai violenti attacchi contro cristiani e musulmani, le loro chiese e le loro moschee». Irudayam auspica un potenziamento del suo ufficio, impegnato da decenni a soste- gno delle fasce sociali più deboli, dell’ambiente, dell’emancipazione della donna, della giustizia per le vittime di persecuzione religiosa: «Le sole aspirazioni non bastano, occorre accompagnarle con sforzi concreti. Ci si può ribellare alla situazione ed essere testimoni profetici e agenti attivi del Regno di Dio». Della condizione femminile nelle zone rurali dell’India e del contributo alla pace e alla riconciliazione ha invece parlato suor Daphne Sequeira, direttrice del Centro per lo sviluppo delle donne a Torpa, nello Stato di Jharkhand. Oppresse dalla famiglia, dallo status sociale, dalla povertà, vittime di violenze e del traffico di esseri umani, le donne non mancano di essere protagoniste anche in contesti difficilissimi. Ne è testimonianza il movimento dei Gruppi di auto-aiuto (dove la presenza femminile è preponderante) che ha contribuito ad abolire lo sfruttamento del lavoro forzato nella maggior parte degli Stati indiani e a liberare molte famiglie dalle catene dell’usura. In Pakistan le questioni principali che minacciano la pace e la giustizia sono la situazione dello stato di diritto, l’influenza dei circoli religiosi musulmani, le leggi sulla blasfemia, l’estremismo. In particolare «sta crescendo l’estremismo religioso e settario, lo scontro fra i sostenitori di uno Stato teocratico e i moderati, desiderosi che il Paese imbocchi la strada del dialogo». Anche in Thailandia, dove la stragrande maggioranza della popolazione è buddista, non mancano i conflitti etnico-religiosi fonte di violenza e morte, mentre a Hong Kong, ha spiegato Lina Chan, segretario esecutivo della commissione Giustizia e Pace della diocesi, si lavora a favore di una piena democrazia. Maggio 3 V D OMENICA DI PASQUA Visita pastorale alla Parrocchia Santa Maria Regina Pacis (Ostia), ore 16 12 MARTEDÌ Basilica Vaticana, Altare della Cattedra, ore 17.30, Santa Messa per l’apertura dell’Assemblea Generale della Caritas Internationalis 17 VII D OMENICA DI PASQUA Piazza San Pietro, ore 10, Cappella Papale, Santa Messa e Canonizzazione delle Beate: — Giovanna Emilia De Villeneuve — Maria Cristina dell’Immacolata Concezione Brando — Maria Alfonsina Danil Ghattas — Maria di Gesù Crocifisso Baouardy 24 D OMENICA DI PENTECOSTE Basilica Vaticana, ore 10, Cappella Papale, Santa Messa Giugno SOLENNITÀ DEL 4 GIOVEDÌ SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO Piazza San Giovanni in Laterano, ore 19, Cappella Papale, Santa Messa, Processione a Santa Maria Maggiore e Benedizione Eucaristica 6 SABATO Viaggio Apostolico a Sarajevo (Bosnia) 21 D OMENICA - 22 LUNEDÌ Visita pastorale a Torino 27 SABATO Sala del Concistoro, ore 10, Concistoro per alcune Cause di Canonizzazione SOLENNITÀ 29 LUNEDÌ SANTI PIETRO DEI E PAOLO Basilica Vaticana, ore 9.30, Cappella Papale, Santa Messa e benedizione dei Palli per i nuovi Metropoliti Città del Vaticano, 14 aprile 2015 MONSIGNOR GUID O MARINI Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 mercoledì 15 aprile 2015 Nadia Blarasin «Esodo» (2008) Papa Francesco ricorda che la vocazione cristiana è un esodo da se stessi In cerca della via d’uscita La vocazione cristiana è un’esperienza di esodo, di uscita da se stessi e di cammino alla sequela di Cristo e al servizio dei fratelli. Lo afferma Papa Francesco nel messaggio per la cinquantaduesima giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che si celebra il prossimo 25 aprile, quarta domenica di Pasqua. L’esodo esperienza fondamentale della vocazione Cari fratelli e sorelle! La quarta Domenica di Pasqua ci presenta l’icona del Buon Pastore che conosce le sue pecore, le chiama, le nutre e le conduce. In questa Domenica, da oltre 50 anni, viviamo la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Ogni volta essa ci richiama l’importanza di pregare perché, come disse Gesù ai suoi disce- poli, «il signore della messe... mandi operai nella sua messe» (Lc 10, 2). Gesù esprime questo comando nel contesto di un invio missionario: ha chiamato, oltre ai dodici apostoli, altri settantadue discepoli e li invia a due a due per la missione (Lc 10, 116). In effetti, se la Chiesa «è per sua natura missionaria» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2), la vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di missione. Così, ascoltare e seguire la voce di Cristo Buon Pastore, lasciandosi attrarre e condurre da Lui e consacrando a Lui la propria vita, significa permettere che lo Spirito Santo ci introduca in questo dinamismo missionario, suscitando in noi il desiderio e il coraggio gioioso di offrire la nostra vita e di spenderla per la causa del Regno di Dio. L’offerta della propria vita in questo atteggiamento missionario è possibile solo se siamo capaci di uscire da noi stessi. Perciò, in questa 52ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, vorrei riflettere proprio su quel particolare “esodo” che è la vocazione, o, meglio, la nostra risposta alla vocazione che Dio ci dona. Quando sentiamo la parola “esodo”, il nostro pensiero va subito agli inizi della meravigliosa storia d’amore tra Dio e il popolo dei suoi figli, una storia che passa attraverso i giorni drammatici della schiavitù in Egitto, la chiamata di Mosè, la liberazione e il cammino verso la terra promessa. Il libro dell’Esodo — il secondo libro della Bibbia —, che narra questa storia, rappresenta una parabola di tutta la storia della salvezza, e anche della dinamica fondamentale della fede cristiana. Infatti, passare dalla schiavitù dell’uomo vecchio alla vita nuova in Cristo è l’opera redentrice che avviene in noi per mezzo della fede (Ef 4, 22-24). Questo passaggio è un vero e proprio “esodo”, è il cammino dell’anima cristiana e della Chiesa intera, l’orientamento decisivo dell’esistenza rivolta al Padre. Alla radice di ogni vocazione cristiana c’è questo movimento fondamentale dell’esperienza di fede: credere vuol dire lasciare sé stessi, uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in Gesù Cristo; abbandonare come Abramo la propria terra mettendosi in cammino con fiducia, sapendo che Dio indicherà la strada verso la nuova terra. Questa “uscita” non è da intendersi come un disprezzo della propria vita, del proprio sentire, della propria umanità; al contrario, chi si mette in cammino alla sequela del Cristo trova la vita in abbondanza, mettendo tutto sé stesso a disposizione di Dio e del suo Regno. Dice Gesù: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19, 29). Tutto ciò ha la sua radice profonda nell’amore. Infatti, la vocazione cristiana è anzitutto una chiamata d’amore che attrae e rimanda oltre sé stessi, decentra la persona, innesca «un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la Messa a Santa Marta Armonia, povertà, pazienza Henry Ossawa Tanner, «Studio per Gesù e Nicodemo» (1899) Tre grazie da chiedere per le comunità cristiane: l’armonia, la povertà e la pazienza. Continuando la riflessione sul racconto del colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo — al centro della liturgia della parola — Papa Francesco ha dedicato l’omelia della messa celebrata a Santa Marta martedì 14 aprile al tema della «rinascita», che per la Chiesa significa «rinascere nello Spirito». Il vescovo di Roma si è riallacciato alle letture del giorno precedente, ricordando che esse invitavano a «riflettere su una delle tante trasformazioni» che lo Spirito opera: quella di dare «coraggio», trasformando l’uomo «da codardo e timoroso» a «coraggioso, con un coraggio forte per annunciare Gesù, senza paura». Dalla singola persona il Papa è passato a considerare «cosa fa lo Spirito in una comunità». Rileggendo il brano degli Atti degli apostoli (4, 32-37) che descrive le prime comunità cristiane, sembra quasi di trovarsi di fronte a una descrizione di un mondo ideale: «Tutti erano amici, tutti mettevano tutto in comune, nessuno litigava». Un racconto, ha spiegato Francesco, che «è come un riassunto, come se la vita si fermasse un po’ e lo Spirito di Dio ci facesse intravedere cosa potrebbe fare in una comunità, come si potrebbe trasformare una comunità: una comunità diocesana, una comunità parrocchiale, religiosa, una comunità famigliare». In questa descrizione il Pontefice ha evidenziato due segni caratteristici della «rinascita in una comunità». Innanzitutto l’armonia: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola». Chi rinasce dallo Spirito, cioè, ha la «grazia dell’unità, dell’armonia». Lo Spirito Santo, infatti, è «l’unico che può darci l’armonia» perché «lui anche è l’armonia fra il Padre e il Figlio». C’è poi un secondo segno, ed è quello del «bene comune». Si legge nella scrittura: «Nessuno infatti tra loro era bisognoso, nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva». A questo punto il Papa ha sottolineato come questi due aspetti siano solo «un passo» nel cammino della comunità rinata. Questa infatti comincia a vivere anche dei «problemi». Ad esempio c’è il caso «del matrimonio di Anania e Saffira», i quali, entrati nella comunità, «hanno cercato di truffare la comunità». Un’esperienza negativa che si può ricondurre ai nostri giorni: è simile, ha spiegato Francesco, ai «padroni dei benefattori che si avvicinano alla Chiesa, entrano per aiutarla e usare la Chiesa per i propri affari». Vi sono, poi, anche «le persecuzioni» che, del resto, erano state «annunciate da Gesù»: a questo riguardo il Pontefice ha richiamato «l’ultima delle beatitudini di Matteo: “Beati quando vi insulteranno, vi perseguiteranno a causa di me... Rallegratevi”». E ha ricordato anche che Gesù «promette tante cose belle, la pace, l’abbondanza: “Avrete cento volte in più con le persecuzioni”». Tutto questo si ritrova «nella prima comunità rinata dallo Spirito Santo», alla quale Pietro spiega: «Fratelli non meravigliatevi di queste persecuzioni, questo incendio che è scoppiato fra voi». Nell’«immagine dell’incendio», ha chiosato il Pontefice, ritroviamo quella del «fuoco che purifica l’oro», ovvero: l’«oro di una comunità rinata dallo Spirito Santo viene purificato delle difficoltà, delle persecuzioni». È a questo punto che il Papa ha introdotto un terzo elemento importante, ricordando il «consiglio di Gesù» dato a chi si trova «in mezzo alle difficoltà, alle persecuzioni: “Abbiate pazienza, perché con la pazienza salverete le vostre vite, le vostre anime”». Occorre cioè «la pazienza nel sopportare: sopportare i problemi, sopportare le difficoltà, sopportare le maldicenze, le calunnie, sopportare le malattie, sopportare il dolore della perdita di un figlio di una moglie, di un marito, di una mamma, di un papà... la pazienza». Ecco quindi i tre elementi: una comunità cristiana «fa vedere che è rinata nello Spirito Santo, quando è una comunità che cerca l’armonia» e non la divisione interna, «quando cerca la povertà», e «non l’accumulo di ricchezze — le ricchezze, infatti, «sono per il servizio» — e quando ha pazienza, cioè quando «non si arrabbia subito davanti alle difficoltà e si sente offesa», perché «il servo di Jahvè, Gesù, è paziente». Alla luce di quanto detto, il Papa ha concluso la sua riflessione esortando tutti, «in questa seconda settimana di Pasqua» durante la quale si celebrano i misteri pasquali, a «pensare alle nostre comunità», siano esse diocesane, parrocchiali, famigliari o di altro tipo, per chiedere tre grazie: quella «dell’armonia, che è più dell’unità», quella «della povertà» — che non significa «della miseria»: infatti, ha specificato Francesco, chi ha qualche possesso «devo gestirlo bene per il bene comune e con generosità» — e infine quella «della pazienza». Dobbiamo infatti capire che non soltanto «ognuno di noi» ha ricevuto la grazia di «rinascere nello Spirito», ma che questa grazia è anche per «le nostre comunità». sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio» (Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus Caritas est, 6). L’esperienza dell’esodo è paradigma della vita cristiana, in particolare di chi abbraccia una vocazione di speciale dedizione al servizio del Vangelo. Consiste in un atteggiamento sempre rinnovato di conversione e trasformazione, in un restare sempre in cammino, in un passare dalla morte alla vita così come celebriamo in tutta la liturgia: è il dinamismo pasquale. In fondo, dalla chiamata di Abramo a quella di Mosè, dal cammino peregrinante di Israele nel deserto alla conversione predicata dai profeti, fino al viaggio missionario di Gesù che culmina nella sua morte e risurrezione, la vocazione è sempre quell’azione di Dio che ci fa uscire dalla nostra situazione iniziale, ci libera da ogni forma di schiavitù, ci strappa dall’abitudine e dall’indifferenza e ci proietta verso la gioia della comunione con Dio e con i fratelli. Rispondere alla chiamata di Dio, dunque, è lasciare che Egli ci faccia uscire dalla nostra falsa stabilità per metterci in cammino verso Gesù Cristo, termine primo e ultimo della nostra vita e della nostra felicità. Questa dinamica dell’esodo non riguarda solo il singolo chiamato, ma l’azione missionaria ed evangelizzatrice di tutta la Chiesa. La Chiesa è davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa “in uscita”, non preoccupata di sé stessa, delle proprie strutture e delle proprie conquiste, quanto piuttosto capace di andare, di muoversi, di incontrare i figli di Dio nella loro situazione reale e di com-patire per le loro ferite. Dio esce da sé stesso in una dinamica trinitaria di amore, ascolta la miseria del suo popolo e interviene per liberarlo (Es 3, 7). A questo modo di essere e di agire è chiamata anche la Chiesa: la Chiesa che evangelizza esce incontro all’uomo, annuncia la parola liberante del Vangelo, cura con la grazia di Dio le ferite delle anime e dei corpi, solleva i poveri e i bisognosi. Cari fratelli e sorelle, questo esodo liberante verso Cristo e verso i fratelli rappresenta anche la via per la piena comprensione dell’uomo e per la crescita umana e sociale nella storia. Ascoltare e accogliere la chiamata del Signore non è una questione privata e intimista che possa confondersi con l’emozione del momento; è un impegno concreto, reale e totale che abbraccia la nostra esistenza e la pone al servizio della costruzione del Regno di Dio sulla terra. Perciò la vocazione cristiana, radicata nella contemplazione del cuore del Padre, spinge al tempo stesso all’impegno solidale a favore della liberazione dei fratelli, soprattutto dei più poveri. Il discepolo di Gesù ha il cuore aperto al suo orizzonte sconfinato, e la sua intimità con il Signore non è mai una fuga dalla vita e dal mondo ma, al contrario, «si configura essenzialmente come comunione missionaria» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 23). Questa dinamica esodale, verso Dio e verso l’uomo, riempie la vita di gioia e di significato. Vorrei dirlo soprattutto ai più giovani che, anche per la loro età e per la visione del futuro che si spalanca davanti ai loro occhi, sanno essere disponibili e generosi. A volte le incognite e le preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità rischiano di paralizzare questi loro slanci, di frenare i loro sogni, fino al punto di pensare che non valga la pena impegnarsi e che il Dio della fede cristiana limiti la loro libertà. Invece, cari giovani, non ci sia in voi la paura di uscire da voi stessi e di mettervi in cammino! Il Vangelo è la Parola che libera, trasforma e rende più bella la nostra vita. Quanto è bello lasciarsi sorprendere dalla chiamata di Dio, accogliere la sua Parola, mettere i passi della vostra esistenza sulle orme di Gesù, nell’adorazione del mistero divino e nella dedizione generosa agli altri! La vostra vita diventerà ogni giorno più ricca e più gioiosa! La Vergine Maria, modello di ogni vocazione, non ha temuto di pronunciare il proprio “fiat” alla chiamata del Signore. Lei ci accompagna e ci guida. Con il coraggio generoso della fede, Maria ha cantato la gioia di uscire da sé stessa e affidare a Dio i suoi progetti di vita. A lei ci rivolgiamo per essere pienamente disponibili al disegno che Dio ha su ciascuno di noi; perché cresca in noi il desiderio di uscire e di andare, con sollecitudine, verso gli altri (cfr. Lc 1, 39). La Vergine Madre ci protegga e interceda per tutti noi. Dal Vaticano, 29 marzo 2015 Domenica delle Palme Presentato il programma della visita del 6 giugno Il Pontefice a Sarajevo La celebrazione della messa e una lunga serie di incontri scandiranno la visita di Papa Francesco a Sarajevo del prossimo 6 giugno. Il programma dell’ottavo viaggio internazionale del pontificato è stato reso noto stamane, martedì 14 aprile, dalla Sala stampa della Santa Sede e in contemporanea nel corso di una conferenza svoltasi nella capitale bosniaca. La partenza del volo papale è prevista verso le 7.30 dall’aeroporto di Roma-Fiumicino. Un’ora e mezza dopo il velivolo con a bordo il Pontefice atterrerà allo scalo internazionale di Sarajevo, dove avverrà l’accoglienza ufficiale. Quindi il corteo si trasferirà al palazzo presidenziale per la cerimonia di benvenuto nel piazzale antistante, seguirà la visita di cortesia alla presidenza della Repubblica e l’incontro con le autorità, durante il quale Francesco pronuncerà il primo dei cinque discorsi in agenda. Verso le 11 il Pontefice celebrerà la messa nello stadio Koševo con la comunità cattolica. La mattina terminerà con il pranzo con i vescovi della Bosnia ed Erzegovina e il seguito papale nella sede della nunziatura apostolica. Nel pomeriggio Francesco parlerà in cattedrale a sacerdoti, religiose, religiosi e seminaristi, poi presiederà un incontro ecumenico e interreligioso nel Centro internazionale studentesco francescano, infine saluterà le nuove generazioni nel Centro diocesano giovanile Giovanni Paolo II, prima della cerimonia di congedo all’aeroporto di Sarajevo. Il rientro è in programma in serata a Ciampino.
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