L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 85 (46.923)
Città del Vaticano
mercoledì 15 aprile 2015
.
Papa Francesco ricorda che la vocazione cristiana è un esodo da se stessi
Per educare alla pace
In cerca della via d’uscita
Quei bambini
di Tangeri
La vocazione cristiana è un’esperienza di esodo, di uscita da se stessi e
di cammino alla sequela di Cristo e
al servizio dei fratelli. Lo afferma
Papa Francesco nel messaggio per la
cinquantaduesima giornata mondiale
di preghiera per le vocazioni, che si
celebra il prossimo 26 aprile, quarta
domenica di Pasqua.
«Credere — ricorda in proposito il
Pontefice — vuol dire lasciare se stessi, uscire dalla comodità e rigidità
del proprio io per centrare la nostra
vita in Gesù». Il modello è Abramo,
il quale abbandona «la propria terra
mettendosi in cammino con fiducia,
sapendo che Dio indicherà la strada
verso la nuova terra». Questa “uscita”, puntualizza il Papa, «non è da
intendersi come un disprezzo della
propria vita, del proprio sentire, della propria umanità»; al contrario,
«chi si mette in cammino alla sequela di Cristo trova la vita in abbondanza, mettendo tutto se stesso a disposizione di Dio e del suo regno».
L’itinerario vocazionale «ha la sua
radice nell’amore». Infatti, spiega
Francesco, «la vocazione cristiana è
anzitutto una chiamata d’amore che
attrae e rimanda oltre se stessi, decentra la persona, innesca un esodo
permanente». Essa resta sempre
«quell’azione di Dio che ci fa uscire
dalla nostra situazione iniziale, ci libera da ogni forma di schiavitù, ci
strappa dall’abitudine e dall’indifferenza e ci proietta verso la gioia della comunione con Dio e con i fratelli». Ecco perché la Chiesa «è davve-
di ZOUHIR LOUASSINI
E
Marc Chagall, «L’esodo» (1952)
ro fedele al suo Maestro nella misura
in cui è una Chiesa in uscita, non
preoccupata di se stessa, delle proprie strutture e delle proprie conquiste, quanto piuttosto capace di anda-
re, di muoversi, di incontrare i figli
di Dio nella loro situazione reale e
di com-patire per le loro ferite». Chi
segue Cristo, infatti, non fugge «dalla vita e dal mondo», ma trova nuo-
ve motivazioni «all’impegno solidale
a favore della liberazione dei fratelli,
soprattutto dei più poveri».
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Ancora oltre ottocento milioni di affamati nel mondo
Obiettivi mancati
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ROMA, 14. Oltre ottocento milioni di
persone nel mondo non hanno cibo
a sufficienza. Lo conferma la «Mappa della fame 2014», il rapporto annuale pubblicato dal Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite. Sembra dunque ormai
destinato al fallimento il primo degli
obiettivi del millennio proclamati a
suo tempo dall’Onu, quello di almeno dimezzare entro il 2015 il numero
degli affamati.
Particolarmente dolorosa è la condizione dell’infanzia, per la quale la
fame resta la principale causa di
mortalità. Un dato ancora più inaccettabile se si pensa, come ricorda il
rapporto del Pam, che nutrire un
bambino affamato costa appena
l’equivalente di un quarto di dollaro
al giorno.
In termini assoluti, il maggior numero di affamati, 526 milioni, si trovano in Asia, dove vive oltre la metà
della popolazione del mondo e dove
i progressi negli ultimi anni, sono
stati molto lenti. Qui il Pam registra
le situazioni peggiori in Tadjikistan
e Corea del Nord.
I progressi più consistenti per garantire la cosiddetta sovranità alimentare sono stati raggiunti dai Paesi dell’Amerca latina e dei Caraibi.
Fa eccezione Haiti, dove soffre la fame il 35 per cento di una popolazione stremata da instabilità politica,
conflitti interni, e malattie come il
colera a cinque anni dal terrificante
sisma del gennaio 2010 che provocò
centinaia di migliaia di morti e oltre
tre milioni di sfollati.
Se Haiti è l’unico Paese latinoamericano in una situazione disastrosa, sempre in quell’area del mondo,
figurano nella mappa del Pam con
penuria alimentare moderatamente
alta — fra il 45 e il 24,9 per cento —
anche Bolivia e Nicaragua. È invece
ritenuta moderatamente bassa — fra
il 5 e il 14,9 per cento — quella in
Perú, Paraguay, Ecuador, Colombia,
Suriname, Repubblica Dominicana,
Honduras, Costa Rica, Panamá,
Giamaica, Guatemala, El Salvador e
Belize. Nel resto del subcontinente
la tendenza è molto bassa, inferiore
al 5 per cento. In questa situazione
si trovano Cuba, Venezuela, Argentina, Brasile, Uruguay e Messico.
Il continente dove la fame uccide
di più, in termini percentuali, resta
comunque l’Africa, in particolare
quella subshariana, dove più di una
persona su quattro è cronicamente
sottoalimentata. Oltre appunto ad
Haiti, infatti, ai primi cinque posti
sulla mappa del Pam spiccano Mala-
wi, Zambia, Etiopia e Repubblica
Centroafricana. E la grande maggioranza degli altri Paesi africani sono
classificati a penuria alimentare alta
o moderatamente alta.
La mappa dell’agenzia dell’O nu
fa riferimento in generale a situazioni strutturali che ancora non si è riu-
sciti a sanare, dai sistemi economici
e politici che favoriscono o comunque perpetuano le ingiustizie sociali,
ai mancati investimenti in sviluppo
agricolo. Tuttavia, nel 2014 ad aggravare la situazione hanno contribuito
anche i conflitti in diverse zone del
mondo, a partire dal Vicino oriente.
PAGINA 3
cristianesimo e delle altre religioni
quello che sanno della teoria della
relatività. Ossia nulla». Ma questo
non ha loro impedito «di dirci che
i cristiani sono degli infedeli e noi
gli abbiamo creduto. Ci hanno detto che i cristiani sono il popolo
dell’inferno, che il paradiso è monopolio nostro e noi li abbiamo assecondati. Ci hanno detto che i cristiani sono i nemici di Allah e
dell’islam e noi abbiamo detto:
“Che Dio li maledica”». Più chiaro
di così!
È vero anche che qualche Paese
arabo musulmano ha avviato alcune riforme. I risultati però ci dimostrano che si è trattato di tentativi
del tutto fallimentari. Il coraggio,
oggi, sta nell’ammetterlo e nel cercare di affrontare subito le cause di
tali fallimenti. Ed è ovvio che bisogna iniziare proprio dalla scuola,
cambiando i programmi esistenti
con altri che insegnino rispetto e
stima verso le altre religioni. Bisogna farlo per il bene d’una grande
fede come l’islam, che deve liberarsi dalle vere e proprie catene rappresentate da interpretazioni appartenenti ad altre epoche.
Il poeta siriano Adonis, all’ultima Fiera del libro al Cairo, nel
febbraio scorso, ha detto: «Non c’è
un islam vero e un islam falso: ci
sono soltanto musulmani moderati
e musulmani estremisti, a seconda
delle loro letture e interpretazioni
del testo sacro. Ma l’islam è uno
solo». Si parva licet componere magnis: anche in nome di quel bambino di Tangeri e dei suoi piccoli
amici, tocca a noi, adesso, decidere
con chi parlare e con chi costruire
il futuro.
Nuovi spunti
per un giallo mai risolto
Chi tradì
Anne Frank?
ANNA FOA
A PAGINA
5
Appello dell’Unhcr a intensificare i soccorsi in Mediterraneo
Sos migranti
GINEVRA, 14. L’alto commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati
(Unhcr) esprime profondo dolore
per l’ennesima tragedia nel Mediterraneo che ieri ha causato la morte di almeno nove persone, un numero purtroppo ancora provvisorio
e che potrebbe rivelarsi ancora
maggiore. L’Unhcr elogia l’impegno dimostrato dalle autorità italiane, che durante gli ultimi tre giorni
hanno soccorso in Mediterraneo
cinquemilacinquecento migranti e
profughi, ma rinnova l’appello urgente affinché il soccorso in mare
venga rafforzato e diventi di gestione europea.
I morti nel Mediterraneo dall’inizio del 2015, sottolinea ancora
l’Unhcr, sono già ben oltre cinquecento, un numero trenta volte più
alto rispetto allo stesso periodo del
2014. Questi dati, secondo l’agenzia
dell’Onu, dimostrano come le attuali forze in campo non siano sufficienti ad affrontare i flussi attuali
e come senza adeguate operazioni
di monitoraggio, ricerca e soccorso
in mare, sarà inevitabile che molte
altre persone perderanno la vita nel
tentativo di raggiungere la salvezza
in Europa.
L’Unhcr incoraggia infine ad aumentare gli sforzi per garantire alternative legali e sicure per coloro
che fuggono da conflitti e persecuzioni, in modo che queste persone
non siano costrette a intraprendere
pericolose traversate via mare.
Nel frattempo, l’organizzazione
umanitaria Terre des Hommes ha
diffuso ieri un rapporto nel quale
sostiene che con la ripresa degli
sbarchi in Sicilia e i nuovi afflussi
di migranti nei Centri di primo soccorso e accoglienza «rischiano di
peggiorare le condizioni di moltissimi minori stranieri non accompagnati lì, accolti e ancora in attesa di
collocamento in comunità protette».
Secondo Terre des Hommes, «questa prolungata incertezza, che può
durare anche dieci mesi in palese
contrasto con il concetto di pronto
collocamento previsto dalla legge
ha gravi ripercussioni sulla psiche
di questi ragazzi, i quali aggiungono frustrazione e senso di solitudine
ai traumi vissuti nel viaggio per raggiungere l’Italia».
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale
dell’Arcieparchia di Petra e Filadelfia dei Greco-Melkiti (Giordania), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor
Yasser Rasmi Hanna Al-Ayyash, in conformità al canone 210 § 1
del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
La violenza
sulle donne
strategia
di guerra jihadista
Bambino malnutrito in Kenya (Ap)
rano gli inizi degli anni Settanta in una Tangeri piena di
vita e di speranza. Non avevo compiuto ancora otto anni. I ricordi di quel periodo mi arrivano
annebbiati e confusi. Qualcosa, però, è tuttora chiarissima: le mie
paure, che erano tante. Mi spaventava il buio, per esempio. Più tardi
ho capito che non era certo, quella,
una paura originale. E non era
niente, se la paragono all’ansia che
sentivo, allora, ogni volta che passavo vicino alla cattedrale.
Mi toccava farlo quasi tutti i
giorni perché si trovava sulla strada
che mi portava a scuola. Lì i maestri di “educazione religiosa” mi insegnavano che i cristiani, in quanto
infedeli, erano condannati all’inferno. La loro colpa? Aver “falsificato” le parole di Dio. Ricordo quanto fossi triste per il destino che
aspettava i miei amici Jesús e Miguel, amichetti cristiani che vivevano vicino a casa mia, compagni
quasi quotidiani dei miei giochi.
Certo, mi consolavo con l’illusione
che, crescendo, i due fratelli spagnoli sarebbero giunti anche loro —
magari col mio aiuto — a conoscere
la “verità”.
Tutti questi ricordi si sono ripresentati, vivissimi, davanti a un articolo di Hani Naqshabandi, pubblicato su «Elaph» il 7 aprile scorso.
Le sue sono accuse chiarissime nei
confronti di chi insegna l’odio nelle scuole usando la religione. Era
ora! Quello che abbiamo visto a
Garissa, in Kenya, dove centocinquanta ragazzi sono stati uccisi solo perché cristiani, è anche la conseguenza dell’educazione fornita
nelle scuole.
Basta leggere i programmi scolastici in quasi tutti i Paesi musulmani per rendersi conto che siamo davanti a un problema serio che bisogna affrontare, subito e con coraggio. Già da bambini i musulmani
conoscono il cristianesimo solo dal
punto di vista degli fuqaha, interpreti del Corano; e questi, come
scrive Naqshabandi, «sanno del
Operazione di soccorso nel Canale di Sicilia (Afp/Guardia costiera italiana)
Il Santo Padre ha nominato Segretario della Sezione Amministrativa della Segreteria per l’Economia il Reverendo Monsignore
Luigi Mistò, finora Segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.
In pari tempo, Sua Santità ha nominato Segretario della medesima Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica il
Reverendo Monsignore Mauro Rivella.
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mercoledì 15 aprile 2015
Alcuni dei partecipanti
all’incontro a Barcellona (Ap)
Raggiunta da Berlino, Parigi, Mosca e Kiev
Intesa di basso profilo
per il Donbass
BERLINO, 14. I ministri degli Esteri
di Germania, Francia, Russia e
Ucraina hanno concordato sulla necessità di «procedere con il ritiro
non solo delle armi pesanti ma di
includere anche altre categorie di armi», quali i carri armati, dalle regioni separatiste di Donetsk e Lugansk.
I carri armati erano infatti rimasti
fuori, in questa fase, dall’accordo di
cessate il fuoco raggiunto a Minsk
in febbraio. Lo ha reso noto il capo
della diplomazia tedesca, Frank-Walter Steinmeier, al termine del summit nel cosiddetto “formato Normandia”, aggiungendo che «nulla è
facile nella crisi ucraina ma questa
non è una novità. Anche in questi
colloqui le divergenze d’opinione tra
Kiev e Mosca sono emerse in tutta
la loro nitidezza».
Questo l’esito, sulla carta, del
summit, mentre sul terreno si assiste
al riacutizzarsi della tensione. Ieri
Kiev ha accusato i separatisti filorussi di aver usato quelle armi pesanti, che sarebbero già dovuto essere ritirate dall’area, per uccidere un
soldato ucraino e ferirne altri sei. I
Ribelli filorussi nei pressi di Donetsk (Ansa)
Devastanti
incendi
nella Siberia
meridionale
ATENE, 14. Sono ripresi ieri sera ad
Atene e a Bruxelles — prima della
riunione dell’Eurogruppo, in programma il 24 aprile prossimo — i
colloqui tecnici tra i rappresentanti
del Governo greco e quelli dei creditori internazionali per garantire la
base per un accordo. Lo riferisce
l’edizione online del quotidiano
«Kathimerini». Secondo il giornale,
le trattative sono riprese sulla base
di una prima intesa raggiunta con
Atene al termine della precedente
riunione dell’Eurogruppo, quella
tenuta mercoledì scorso.
In base alle richieste dei Paesi
creditori, le proposte di riforma del
Governo di Alexis Tsipras dovranno coprire questioni riguardanti i
settori del fisco, delle pensioni, del
lavoro e delle privatizzazioni. Fonti
a Bruxelles hanno riferito che durante la riunione di mercoledì scorso il rappresentante ellenico, il segretario generale del ministero delle
Finanze, Nikos Theocharakis, aveva
detto ai colleghi che Atene potrebbe non avere abbastanza denaro
dopo il 24 aprile.
I creditori, tuttavia, non sembrano esserne convinti, in quanto ritengono che Atene stia cercando di
utilizzare la mancanza di liquidità
come scusa per fare pressione sulle
istituzioni affinché eroghino almeno una parte dei restanti 7,2 miliardi di aiuti dei fondi di salvataggio.
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Da parte sua, il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, sembra certo che un’intesa sarà raggiunta a breve.
«Sono molto fiducioso», ha detto a Bloomberg Tv. «I negoziati
stanno procedendo abbastanza bene. È nell’interesse reciproco trova-
BARCELLONA, 14. Si è aperta ieri al
Palazzo di Pedralbes di Barcellona
la conferenza dei ministri degli
Esteri della Ue e della sponda sud
del Mediterraneo, che vede al centro dei colloqui la politica di vicinato, il rafforzamento della cooperazione nella lotta al terrorismo
islamico, alla immigrazione illegale
e nel settore dell’energia.
Al vertice, inaugurato nella sede
dell’Unione per il Mediterraneo
Gaetano Vallini
verno è pronto ad accettare ragionevoli compromessi, ma che non
cederà su tutte le richieste degli interlocutori.
Nel frattempo, è stata subito
smentita l’eventualità di fare ricorso
alle elezioni anticipate, prospettata
ieri da un quotidiano tedesco.
dal presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, e da quello
della Generalitat catalana, Artur
Mas, partecipano i responsabili degli Esteri di molti Paesi dell’Ue, di
Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto,
Palestina, Israele, Giordania e Libano e l’Alto rappresentante
dell’Unione europea per gli Affari
esteri e la Politica di sicurezza, Federica Mogherini.
A causa della situazione di instabilità, sono assenti da Barcellona i
capi della diplomazia di Siria e Libia, oltre a quelli di Israele, Grecia,
Gran Bretagna, Irlanda, Bulgaria,
Finlandia e Lituania.
La conferenza, informano fonti
diplomatiche, punta a un cambio
della politica della Commissione
europea sulla Siria, per renderla
più efficace, con la possibilità di
includere alleanze locali per fronteggiare l’avanzata del cosiddetto
Stato islamico (Is), contro la quale
l’Unione europea non intenderebbe
intervenire sul terreno a causa degli
alti costi umani ed economici che
comporterebbe.
Al vertice ci sono i responsabili
diplomatici di Israele e Palestina,
sebbene su tavoli diversi. Il dibattito sarà articolato su due sessioni di
lavoro parallele, una presieduta da
Mogherini, l’altra dal ministro spagnolo degli Esteri, José Manuel
García-Margallo. L’incontro di
Barcellona è il primo dal lancio nel
2008 dell’Unione per il Mediterraneo, che riunisce quarantatré Paesi.
«Non dobbiamo aspettare altri sette anni per una riunione del genere», ha detto Mogherini. Un prossimo incontro a livello regionale è
previsto per giugno in Libano.
Ventidue generali
indagati
in Colombia
Il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis (Reuters)
PECHINO, 14. La Cina accoglie con
favore il disgelo dei rapporti tra
Stati Uniti e Cuba, dopo la storica
stretta di mano, sabato scorso, tra il
presidente
statunitense,
Barack
Obama, e il leader cubano, Raúl
Castro, a Panamá, durante il vertice
delle Americhe.
«Il miglioramento delle relazioni
tra Cuba e Stati Uniti è nell’interesse dei due Paesi e dei rispettivi popoli — ha dichiarato ieri il portavoce del ministero degli Esteri cinese,
Hong Lei — e servirà anche alla pace e allo sviluppo nella regione».
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segretario di redazione
re un accordo entro il 24 aprile e
sono sicuro che lo faremo», ha aggiunto.
Da Parigi, intervenendo a una
conferenza sull’economia organizzata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico,
Varoufakis ha detto che il suo Go-
Pechino sostiene il disgelo
tra Stati Uniti e Cuba
Paese», ha dichiarato nel corso di
una affollata riunione con i suoi finanziatori a Miami.
Intanto, Hillary Clinton ha intrapreso il suo primo viaggio da candidata alla presidenza a bordo di
un pulmino. Partita dalla sua residenza di Chappaqua, nello Stato di
New York, l’ex segretario di Stato
si è diretta nello Iowa, da dove tradizionalmente parte la battaglia
delle primarie dei democratici.
La seconda tappa della campagna elettorale di Clinton dovrebbe
essere il New Hampshire.
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Non praevalebunt
Per rafforzare
la politica di vicinato
Ripresi i colloqui tra Grecia
e creditori internazionali
Sfida ispanica
per Hillary Clinton
GIORNALE QUOTIDIANO
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Vertice dei ministri degli Esteri Ue e della sponda sud mediterranea
Il Governo esclude il ricorso alle elezioni anticipate
MOSCA, 14. È salito a 23 il numero
delle persone morte nei devastanti
incendi che hanno colpito da domenica scorsa la Khakassia, nella Siberia meridionale. Lo ha riferito oggi
Vladimir Markin, portavoce della
commissione investigativa russa.
Secondo la portavoce locale del
ministero della Sanità, Anna Borodina, «in tutto sono state 613 le persone bisognose di assistenza medica,
di cui 533 hanno già ricevuto cure e
sono tornate a casa». Almeno 80
persone sono ricoverate in ospedale,
11 delle quali in gravi condizioni.
Gli incendi che si sono sviluppati
in 20 città e villaggi sono stati solo
in parte domati, e nella regione è
ancora in vigore lo stato d’emergenza. Secondo le autorità, 1.205 case
sono andate a fuoco, in 38 diverse
località, mentre oltre 2000 persone
sono rimaste senza tetto.
«Le misure adottate in Khakassia
hanno impedito che le fiamme arrivassero ad altre 60.000 abitazioni di
più di 350.000 persone», ha fatto sapere Boris Borzov, dirigente dei vigili del fuoco. Oltre 200 pompieri e
centinaia di volontari sono impegnati nello spegnere le fiamme. Le autorità hanno affermato che i vasti incendi sono stati causati da erba secca che bruciava senza controllo e si
sono rapidamente diffusi nelle foreste a causa dei forti venti nella zona.
WASHINGTON, 14. «Hillary Clinton
è il passato, io il futuro». Il giovane senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, di origini cubane, rompe gli indugi e lancia la sfida alla ex first lady, annunciando la
sua volontà di correre per la presidenza degli Stati Uniti.
Il quarantatreenne Rubio, figlio
di immigrati cubani, diventa così il
terzo esponente del Grand Old
Party a scendere in campo, dopo
Rand Paul, del Kentucky, e Ted
Cruz, del Texas. «Mi sento particolarmente qualificato per guidare il
separatisti accusano invece le truppe
di Kiev di aver usato carri armati
per colpire le loro posizioni.
Steinmeier ha riconosciuto che
l’esito della riunione di ieri sera, la
terza dalla firma dell’intesa di
Minsk, è stata deludente. Sia lui che
l’omologo francese, Laurent Fabius,
puntavano all’avvio della fase politica dell’accordo, ossia alle trattative
per effettuare elezioni accuratamente
monitorate nelle due regioni separatiste. «Perché — ha ricordato il capo
della diplomazia tedesca — se questo
processo politico finisse in stallo allora l’intesa di Misk rischierebbe di
deragliare e tutte le parti vogliono
impedire questo esito».
Germania e Francia si sono invece
dovute accontentare dell’impegno —
minimo ma indispensabile — di Russia e Ucraina alla prosecuzione della
fase del disimpegno militare dal
Donbass e dello scambio di prigionieri. Steinmeier ha riconosciuto che
la priorità al momento è «assicurarsi
che il cessate il fuoco sia rispettato il
più decisamente e completamente
possibile».
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Hong ha poi sottolineato che «la
stabilità dell’emisfero occidentale è
nell’interesse di tutti» e che la Cina
è a favore dello sviluppo delle relazioni tra i due Paesi «sulla base del
rispetto reciproco, dell’uguaglianza
e della non interferenza negli affari
interni dell’altra parte». Il riavvicinamento tra Cuba e Stati Uniti è
stato oggetto anche di un editoriale
del Global Times pubblicato oggi,
in cui il tabloid edito dal «Quotidiano del Popolo» analizza l’incontro tra Obama e Castro alla luce
della politica interna americana.
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Casco blu
ucciso
ad Haiti
PORT-AU-PRINCE, 14. L’Onu ha
fatto sapere che uno dei suoi caschi blu, di nazionalità cilena, è
stato ucciso oggi ad Haiti in un
attacco. Il Consiglio di sicurezza
ha precisato in una nota la nazionalità del militare, senza rivelare i
dettagli dell’incidente. Si sa solo
che qualcuno ha attaccato un veicolo delle forze di stabilizzazione
delle Nazioni Unite che stava vigilando sul regolare svolgimento
di una manifestazione.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
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BO GOTÁ, 14. La Procura colombiana ha annunciato l’avvio di un’inchiesta a carico di ventidue generali dell’esercito per sospette responsabilità in esecuzioni arbitrarie di
civili, i cosiddetti “falsi positivi”.
Lo ha reso noto il procuratore
Eduardo Montealegre, che nei
giorni scorsi ha incontrato un
gruppo di parenti delle vittime di
questa pratica, dilagata soprattutto
nella seconda metà del Duemila e
fomentata dalla necessità di presentare risultati positivi nella lotta ai
gruppi armati illegali da parte delle
forse di sicurezza nazionali. Montealegre ha ricordato che per lo
scandalo dei “falsi positivi” — civili
assassinati e camuffati da guerriglieri morti in combattimento —
dal 2008 sono state pronunciate oltre 817 sentenze di condanna contro esponenti delle forze di sicurezza e che gli indagati sono circa
duemila. Di questi, 1.573 sono
membri dell’esercito, cinquecento
dei quali ufficiali.
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mercoledì 15 aprile 2015
pagina 3
Donne yazide appena liberate
dopo essere state prigioniere dell’Is (Ap)
Mosca
vende un sistema
antimissile
all’Iran
Successo nelle elezioni locali del partito del nuovo presidente
In Nigeria
si consolida la svolta
ABUJA, 14. Il voto di sabato per i
governatori e le Assemblee di gran
parte degli Stati della Federazione
nigeriana — 29 su 37, comprendendovi il distretto della capitale Abuja
— ha confermato la svolta registrata
con le elezioni per la presidenza e il
Parlamento federale. L’All Progressive Congress (Apc), il partito del
nuovo presidente, Muhammadu
Buhari, ormai maggioritario in Parlamento, ha visto infatti eleggere
governatori diciannove suoi rappresentanti.
Tra l’altro, l’Apc ha mantenuto la
maggioranza dei consensi elettorali
nello Stato di Lagos, dove si trova
l’omonima principale metropoli del
Paese. Questo significa che quando
il mese prossimo Buhari subentrerà
ufficialmente al presidente uscente,
Goodluck Jonathan, per la prima
volta il partito del capo dello Stato
controllerà Lagos. L’Apc ha anche
conquistato, per la prima volta, i
due Stati settentrionali di Kaduna e
Katsina. L’ex opposizione si è affermata con ampio margine anche nel
Borno, nello Yobe e nell’Adamawa,
i tre Stati nordorientali dove è in
corso un’offensiva militare contro il
gruppo islamista Boko Haram.
Per il Partito democratico popolare (Pdp), quello di Jonathan, si
tratta della maggiore sconfitta dalla
fine della dittatura militare nel
1999. Il Pdp si è infatti aggiudicato
solo nove governatori, mentre il voto nello Stato di Imo è stato dichiarato inconcludente per l’elevato numero di schede nulle.
Il Pdp ha comunque vinto ancora in diversi Stati meridionali, a
partire da quello di Rivers, nel delta del Niger, dove si concentra la
maggior parte dei giacimenti petroliferi che rappresentano la maggiore
fonte di ricchezza del Paese. Il voto
nel Rivers è stato accompagnato da
episodi di violenza e da accuse di
brogli mosse dall’Apc al Pdp. Prima c’è stato l’assalto all’abitazione
di un politico del partito di Buhari,
con un bilancio di nove morti. Poi
si è registrato un attentato dinamitardo contro un oleodotto, rivendicato da un gruppo armato legato
alla comunità degli urhobo.
Proprio alla situazione in quest’area è legata una delle questioni
sulle quali si sta concentrando l’attenzione degli osservatori nigeriani
e internazionali, cioè il programma
di amnistia avviato nel 2009 per
mettere fine agli attacchi del Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend), da decenni in
lotta contro le multinazionali del
petrolio e contro le autorità centrali
nigeriane. Alcune frange dell’Apc
chiedono l’abolizione del programma di amnistia, oltre che dei particolari sussidi dei quali godono le
popolazioni del delta del Niger.
Tuttavia, la gran parte degli osservatori giudica improbabile che
Buhari voglia far apparire il suo
Governo come nemico degli ex ribelli del Mend, considerati da gran
parte dell’opinione pubblica interna, ma anche internazionale, come
protagonisti di una lotta a un sistema economico che ha lasciato al
popolo solo le briciole dell’immane
ricchezza del sottosuolo. L’esportazione di greggio ha infatti continuato ad arricchire le compagnie
multinazionali e alcune oligarchie
locali e non è stata capace di portare né lavoro né benessere a una popolazione che in stragrande maggioranza vive sotto la soglia di povertà.
In ogni caso, il nuovo presidente
ha più volte dichiarato come sua
priorità ricostituire la pace sociale
nel Paese, non solo con lo sforzo di
sconfiggere Boko Haram, ma anche
con il superamento delle tradizionali divisioni tra il nord e il sud. Inoltre, è consapevole che un ritorno
all’insicurezza nella regione del delta del Niger condizionerebbe la
produzione petrolifera e danneggerebbe l’economia nazionale.
La violenza sulle donne
strategia di guerra jihadista
NEW YORK, 14. Nelle sistematiche
violenze perpetrate dal cosiddetto
Stato islamico (Is) in Iraq e in Siria
— ma anche da Boko Haram in Nigeria e da altri gruppi jihadisti in
Mali e in Somalia — quelle sessuali
contro le donne e persino le bambine rappresentano ormai una mirata
strategia. Lo afferma un rapporto
delle Nazioni Unite, stilato da una
commissione d’inchiesta guidata
dalla sierraleonese Zainab Hawa
Bangura, responsabile del dipartimento contro la violenza sessuale.
Nel rapporto, che sarà portato
domani all’esame del Consiglio di
sicurezza, ma che è già stato anticipato alla stampa, si legge che il 2014
«è stato caratterizzato da notizie
profondamente angoscianti su stupri, matrimoni forzati e schiavitù
sessuale». Gli esperti dell’Onu spiegano che la violenza sessuale «è
parte della tattica applicata dall’Is e
altri gruppi per diffondere il terrore,
perseguitare le minoranze etniche e
religiose e cancellare intere popola-
Riprende il dialogo
tra le fazioni libiche
duecento studentesse di un liceo di
Chibok, nello Stato nigeriano del
Borno, che del gruppo jihadista è
considerato la roccaforte. Delle ragazze non si hanno notizie certe.
In queste ore si stanno tenendo,
oltre a manifestazioni civili, incontri
di preghiera nelle moschee e nelle
chiese del Paese, per testimoniare
vicinanza alle famiglie tanto duramente colpite e chiedere un rinnovato impegno alla liberazione delle
ragazze sequestrate. Un appello in
questo senso è venuto ieri anche dal
premio Nobel per la pace Malala
Yousafzai, la giovane attivista pakistana colpita a suo tempo dai talebani.
In questi dodici mesi, secondo
rapporti internazionali, sono state
almeno duemila le donne e le bambine rapite da Boko Haram. In
molti casi, secondo fonti concordi,
la loro sorte è stata appunto quella
di essere destinate a matrimoni forzati o alla schiavitù sessuale.
Conflitto yemenita
al Consiglio di sicurezza
NEW YORK, 14. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite voterà
oggi una bozza di risoluzione sulla
crisi nello Yemen in cui si chiede il
ritiro dei ribelli sciiti huthi (contro i
quali è iniziata il 26 marzo un’offensiva aerea di una coalizione di
dieci Stati sunniti guidati dall’Arabia Saudita) dalla loro avanzata
sulla città portuale di Aden, l’adozione di sanzioni e un embargo alla
vendita di armi. Ma il testo, presentato dalla Giordania e dai Paesi del
Consiglio di cooperazione del Golfo persico sarà con ogni probabilità
bloccato dal veto della Russia.
Ultimo processo
per il genocidio
in Rwanda
D OD OMA, 14. Incomincia oggi ad
Arusha, in Tanzania, l’ultimo processo del Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir). Si
tratta dell’appello del procedimento
tra i cui imputati figura Pauline
Nyiramasuhuko, ex ministro della
Famiglia e la prima donna riconosciuta colpevole di genocidio da
una corte internazionale. Nyiramasuhuko fu ritenuta responsabile delle violenze commesse dai miliziani
interahamwe nella prefettura di Butare. Fu condannata all’ergastolo al
termine del processo di primo grado, nel 2011, insieme a suo figlio,
Arsène Shalom Ntahobali e all’ex
sindaco di Muganza, Elie Ndayambaje. Ad altri tre funzionari furono
inflitte pene tra i 25 e i 35 anni. Per
tutti gli imputati, il verdetto d’appello arriverà non più tardi di agosto.
Istituito nel 1994, con sede appunto ad Arusha, il Tpir avrebbe
dovuto cessare le sue attività lo
scorso anno. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu però ne ha prolungato il mandato proprio per permettere la conclusione del processo
a Nyiramasuhuko e ai suoi coimputati.
zioni che si oppongono alla loro
ideologia».
Tra i tanti esempi riportati nel
rapporto, c’è la promessa dell’Is, come strategia di reclutamento, di dare “in premio” a quanti si arruolano
sotto le sue bandiere una donna
della comunità yazida tra i 18 e i 35
anni. Secondo le stime dell’O nu,
circa millecinquecento donne irachene sono state costrette l’anno scorso
dall’Is alla schiavitù sessuale. Anche
in Siria l’Onu ha registrato un significativo aumento dei casi segnalati di violenza sessuale commessi
da gruppi armati e soprattutto
dall’Is dalla metà del 2014.
Di simili delitti si è macchiato anche Boko Haram, il gruppo responsabile da oltre un quinquennio di sistematiche stragi nel nord-est della
Nigeria, con attacchi armati alle popolazioni civili e con attentati terroristici. Il rapporto dell’Onu arriva
proprio alla vigilia del primo anniversario del sequestro, nella notte
tra il 14 e il 15 aprile 2014, di oltre
Nel frattempo, il primo ministro
pakistano, Nawaz Sharif, ha rivelato ieri di aver chiesto all’Iran «di
usare tutta la sua influenza affinché
i ribelli huthi che hanno rovesciato
un Governo legittimo nello Yemen
accettino di sedersi a un tavolo negoziale». Dopo un incontro con i
vertici militari, il premier ha ribadito di considerare l’Arabia Saudita
come un «alleato strategico», confermando però la posizione di
«neutralità» nel conflitto yemenita
e sostenendo che esso «deve essere
risolto attraverso la via negoziale e
il dialogo».
WASHINGTON, 14. La Russia ha
dato il via libera alla vendita di
un sistema antimissile S-300
all’Iran. L’iniziativa preoccupa la
Casa Bianca che, dopo la firma
del decreto da parte del presidente russo Vladimir Putin, ha evidenziato il rischio che si creino divisioni all’interno del gruppo cinque più uno (Stati Uniti, Gran
Bretagna, Francia, Russia e Cina,
Paesi membri permanenti del
Consiglio di sicurezza dell’O nu,
più la Germania) fino a ora unito
nei colloqui sul programma nucleare di Teheran. Il segretario di
Stato, Kerry, ha avuto una telefonata con il ministro degli Esteri
russo, Lavrov, esprimendo la posizione degli Stati Uniti. Lo ha reso
noto il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest, che ha parlato di
«profonda preoccupazione» anche
per l’accordo «petrolio contro beni» fra Mosca e Teheran.
Missione
in Russia
per il presidente
palestinese
MOSCA, 14. Il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, è a Mosca, dove ieri ha firmato numerosi
accordi commerciali con il presidente russo, Vladimir Putin. Oltre
al capo dello Stato, Abbas ha incontrato il primo ministro, Dmitri
Medvedev, il patriarca ortodosso
Kirill e il capo del consiglio dei
mufti russi, Ravil Gainutdin.
Con loro ha discusso della situazione e delle prospettive del
conflitto israelo-palestinese e altre
questioni riguardanti l’Africa settentrionale e il Vicino Oriente,
con particolare attenzione a Siria,
Iraq e Yemen. «La situazione nella regione si è aggravata. È molto
importante mantenere i contatti su
questi argomenti», ha detto Putin,
che ha poi elogiato il presidente
palestinese, affermando che «ha
fatto molto per stabilizzare la situazione». Oggi Abbas — che si è
recato in Russia per la prima volta
nel 2005 — è atteso a Sochi, dove
sarà accolto dai dirigenti della regione di Krasnodar e visiterà gli
impianti olimpici realizzati per i
giochi invernali dell’anno scorso.
Nelle sue precedenti visite,
Abbas aveva visitato le Repubbliche russe a maggioranza musulmana di Cecenia, Daghestan, Tatarstan, Bashkortostan.
È il terzo anno consecutivo
Calano le spese per le armi
Fazioni rivali libiche al tavolo delle trattative ad Algeri (Afp)
RABAT, 14. Sotto una forte pressione delle potenze occidentali ma anche
di nuovi attentati a Tripoli riparte il negoziato sotto l’egida dell’Onu per
dare alla Libia un cessate il fuoco e un Governo di unità nazionale. L’appuntamento è fissato per domani in Marocco ma già ieri è iniziato ad Algeri un incontro di due giorni fra esponenti politici libici.
D’altra parte, ad avvantaggiarsi della spaccatura della Libia fra il Governo di Tobruk riconosciuto internazionalmente e quello filo-islamico di
Tripoli sono chiaramente i trafficanti di esseri umani e i jihadisti affiliati
al cosiddetto Stato islamico che hanno rivendicato due attentati con
obiettivi altamente simbolici — la residenza dell’ambasciatore del Marocco e la sede diplomatica della Corea del Sud — anche se abbandonati da
mesi come altre rappresentanze diplomatiche a Tripoli.
In Algeria, invece, per la prima volta, leader politici si incontrano «per
discutere una bozza di accordo», ha segnalato Bernardino León, l’inviato
speciale dell’Onu per la Libia e mediatore dei negoziati che riprendono
domani a Skhirat, nei pressi di Rabat, in Marocco.
STO CCOLMA, 14. Per il terzo anno consecutivo, le spese
militari in tutto il mondo sono calate, seppur di poco.
Nel 2014 la contrazione è stata del meno 0,4 per cento,
pari a 1.776 miliardi di dollari (il 2,3 per cento del pil
globale). Spese militari in aumento, invece, in Cina,
Russia e Arabia Saudita. È quanto emerge dal rapporto
annuale dell’istituto svedese Stockholm International
Peace Research Institute, che ogni anno analizza i bilanci militari in tutto il mondo.
Rapporto che per l’Italia registra un ulteriore contrazione per il 2014 pari all’8,8 per cento, (30,9 miliardi di
dollari). Gli Stati Uniti, con 610 miliardi di dollari, restano di gran lunga i maggiori acquirenti di armi in termini
assoluti, anche se hanno ridotto le spese del 6,5 per
cento.
Al secondo posto rimane la Cina, che ha invece speso
216 miliardi di dollari, con un aumento del 9,7 per cento
(bilancio che nel 2015 crescerà, secondo i dati forniti da
Pechino, di un ulteriore 10,3 per cento). Terza, ma molto
indietro, la Russia con 84,5 miliardi di dollari (più 8,1
per cento). Ma nel 2015, indica il Cremlino, il bilancio
della Difesa salirà di un’ulteriore 15 per cento, per un totale di 150,5 miliardi di dollari.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 15 aprile 2015
Per il mondo
l’America è niente più che gli Stati Uniti
— scriveva negli anni Settanta —
Noi abitiamo una sub-America inafferrabile
come una nebulosa
Addio allo scrittore uruguayano Eduardo Galeano
L’America
vista da sud
di SILVIA GUIDI
ome tutti gli uruguayani, avrei voluto essere un calciatore», amava dire
Eduardo Galeano.
Lo scrittore, morto ieri, 13 aprile, a 74 anni, era uno degli autori più letti e amati
della letteratura sudamericana moderna.
«Giocavo benissimo, ero un fenomeno
ma soltanto di notte mentre dormivo —
precisava poi Galeano con un sorriso —
durante il giorno ero il peggior scarpone
che abbia mai calcato i campetti del mio
Paese». L’amore non corrisposto per il
pallone avrebbe comunque dato vita a un
gran numero di articoli, reportage e saggi
come Splendori e miserie del gioco del calcio, rendendolo uno dei più amati e conosciuti cantori del fútbol.
Nato nel 1940 in una famiglia alto borghese di Montevideo — il suo vero cognome era Hughes — Galeano debuttò nel
giornalismo a quattordici anni, come disegnatore satirico, ma siccome «c’era un
«C
abisso fra quello che immaginavo e quello che tracciavo» si orientò poi verso la
scrittura.
Poco più che ventenne, diventò una
delle firme principali, e poi il caporedattore, di Marcha, un settimanale politico e
culturale di sinistra, punto di riferimento
ben al di là dei confini del suo Paese —
tra i collaboratori c’era anche Mario Vargas Llosa — e cominciò a interessarsi di
politica anche come giornalista.
Dopo una serie di libri dedicati a reportage e analisi della situazione in Cina,
Guatemala e altri Paesi, nel 1971 pubblicò
Le vene aperte dell’America Latina in cui ricostruiva il saccheggio delle ricchezze del
subcontinente da parte delle potenze coloniali — dall’oro al cacao, dal cotone al
petrolio — e il suo proseguimento attraverso le strutture di un capitalismo sfrenato. Tradotto in più di venti lingue, best
seller internazionale, Le vene aperte diventò un’opera di riferimento e un manuale
di storia per i movimenti rivoluzionari
nati in Sudamerica — ma anche in altri
continenti — sulla scia della vittoria dei
barbudos castristi all’Avana.
«Ora l’America è per il mondo niente
più che gli Stati Uniti — scriveva negli
anni Settanta introducendo il suo reportage dedicato a oltre cinque secoli di storia — noi abitiamo una sub-America,
un’America di seconda classe, inafferrabile come una nebulosa. È l’America Latina, la regione dalle vene aperte».
In tempi recenti, Galeano prese una
certa distanza dal suo libro più noto.
«Non mi pento di averlo scritto, ma non
lo rileggerei: volevo scrivere un saggio di
economia politica e non avevo la formazione necessaria», disse nel 2014, aggiungendo che considerava superata «una certa prosa di sinistra, che ora trovo pesantissima».
Lungo gli anni della sua carriera letteraria, proseguita in Spagna dopo la fuga
dalle dittature militari — con il golpe del
1973 fu imprigionato e successivamente
costretto a espatriare in Argentina per poi
finire nel mirino del regime di Videla ed essere costretto a fuggire di nuovo
— Eduardo Galeano creò
un stile personale, a cavallo fra la documentazione storica e la riflessione poetica, che portò al
successo internazionale di
Memoria del fuoco, una trilogia, pubblicata dal 1982
al 1986, in cui la storia
dell’America latina è ripercorsa dalla parte dei
poveri, degli indigeni e di
tutti quelli che la storia
non hanno mai potuto
scrivere. L’opera, segnata
da forte lirismo, fu molto
lodata dalla critica, soprattutto americana e divenne un nuovo best seller globale. Il
«Times Literary Supplement» la paragonò ai libri di Dos Passos e Gabriel Garcia
Marquez.
Difensore dei governi di sinistra
dell’America Latina, Galeano mantenne
un rapporto cordiale ma critico con la
Cuba castrista. Dopo aver denunciato,
nel 2003, la «decadenza di un modello di
potere popolare» e la «rigidità burocratica», tornò nell’isola nel 2012, sottolineando che «un vero amico ti critica in faccia
e ti elogia dietro le tue spalle».
Quando, nel 2009, l’allora presidente
del Venezuela Hugo Chávez regalò Le
vene aperte dell’America Latina a Obama,
il libro schizzò in un giorno dalla 60280ª
posizione alla decima nella classifica dei
titoli più venduti da Amazon. Ma il suo
autore non si lasciò impressionare più di
tanto: «Nessuno dei due lo avrà capito —
commentò con amara ironia — Chávez ha
regalato a Obama l’edizione spagnola».
Lo scempio
del palazzo di Nimrud
«Era il Partenone dell’Assiria, oggi è polvere
dispersa dal vento» scrive Paolo Matthiae su
«la Repubblica» del 13 aprile descrivendo lo
scempio del palazzo di Nimrud, nel nord
dell’Iraq. Un video pubblicato online dall’Is
mostra la distruzione del sito archeologico: i
miliziani demoliscono statue e bassorilievi a
colpi di piccone e frese, poi entrano in azione
bulldozer ed esplosivo. La notizia, diffusa il 6
marzo, non aveva ancora trovato conferme.
«Ciò che serve, oggi e subito — scrive
Matthiae — è che il mondo islamico levi la
sua voce alta e chiara, per il tramite delle
massime autorità religiose di ogni Paese, in
una ferma e inequivoca condanna di azioni
sulle quali ogni silenzio non può che apparire
complice. Una voce alta e chiara di civiltà
che dichiari con fermezza e sdegno che
distruzioni siffatte non possono essere
compiute nel nome dell’islam».
Il «Compianto sul Cristo morto» del Beato Angelico esposto a Torino
Quella scala silenziosa
di ALFRED O TRADIGO
a scena del Compianto sul Cristo morto, tempera su tavola dipinta dal Beato Angelico tra il
1436 e il 1441, viene esposta al
Museo Diocesano di Torino
dal 16 aprile al 30 giugno, in corrispondenza con l’ostensione della sacra Sindone. La scena è dominata da una grande
croce ben levigata che pare appena uscita
dalla bottega di un falegname fiorentino.
Sotto questo albero spoglio, una forca
trasformata da simbolo d’infamia in ancora di salvezza, un popolo di santi e beati,
con grande prevalenza femminile, si raccoglie a pregare davanti al Figlio di Dio
deposto dalla croce. Quel Dio che prima
del peccato comunicava con Adamo ed
Eva sotto l’albero della conoscenza del
L
La Compagnia della Santa Croce
accompagnava al patibolo
i condannati a morte
Il dipinto era l’ultima immagine
che guardavano prima del supplizio
bene e del male.
Dopo la disobbedienza quel dialogo si
è interrotto. E oggi si ricompone davanti
al Figlio di Dio che ha dato tutto per noi
fino alla morte. Due icone dunque dominano il pellegrinaggio torinese. Il misterioso volto dell’uomo della Sindone, prima di tutto. E poi il corpo luminosissimo
e il volto silenzioso e ricco di fede del
Cristo deposto dipinto dall’Angelico. La
comunione con Dio si è ricomposta. Volto e corpo “dato per tutti”, oggi come
ieri.
Offerto anche ai condannati a morte
che nel Quattrocento uscivano dalle mura
di Firenze all’alba e, dopo aver ricevuto
l’eucarestia, venivano accompagnati al patibolo. Il Compianto è stato infatti dipinto
dall’Angelico su incarico della Compagnia della Santa Croce, una delle tante
confraternite laicali che accompagnavano
i condannati a morte con il conforto dei
sacramenti e della carità cristiana. E questa tavola dell’Angelico era l’ultima immagine che essi guardavano prima del supplizio.
Dietro la croce, appoggiata al braccio
orizzontale (patibulum), Angelico dipinge
in ombra e con precisione una scala e,
dietro di essa, lo scorcio delle mura di Firenze con la porta della giustizia da cui
uscivano appunto i condannati. La scala è
stata lasciata lì dal pittore, silenziosa, a ricordare il momento della deposizione,
quando Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo calarono a terra il corpo inerte di Gesù. Ai lati del braccio orizzontale i chiodi
sono stati meticolosamente rimessi al loro
posto, esposti, mentre da essi sgorgano
piccoli rivoli di sangue vivo sul legno.
L’insieme fa pensare al clima metafisico
della pittura di certi autori moderni come
Giorgio De Chirico: per esempio le sue
Piazze d’Italia. Ma soprattutto ai silenzi
della grande pittura di Piero della Francesca, che una decina d’anni dopo il Compianto dell’Angelico dipingerà, ad Arezzo,
le Storie della Vera Croce, utilizzando una
tipologia di croce simile a questa dell’Angelico. L’insieme di croce, chiodi, scala e
fondo di mura cittadine infine costituisce
un perfetto still-life religioso, in cui il pit-
tore ci invita a contemplare gli “strumenti
della Passione”.
Rispetto alla drammaticità della Deposizione dipinta qualche anno prima dallo
stesso Angelico per la chiesa della Trinità,
nel suo Compianto esposto a Torino il
dramma sacro — affrontato con toni più
accesi da pittori come Giotto e Duccio da
Buoninsegna — trova qui un suo equilibrio emotivo, si stempera e si trasforma in
una sacra rappresentazione dominata
dall’immobilità e dal silenzio dei presenti
che non gridano ma pregano con le mani
aperte, chiuse sul petto, oppure unite in
preghiera.
Il tutto trasfigurato nella luce del Tabor. Forse nessun altro artista al pari
dell’Angelico ha osato tanto: trasformare
il triste Compianto in un evento radioso,
fuori città, un primaverile inno alla vita,
tra quinte d’alberi in fiore e un esteso
prato, così che quel luogo, da landa deserta, diventi hortus conclusus, nuova creazione, giardino dove il Risorto incontra
l’umanità ferita.
L’uso dei colori, portati al massimo
grado di purezza, esaltati dalla luce radente e impreziositi dall’oro delle aureole
e delle vesti, si stempera nella trasparenza
dei veli e dei capelli femminili sciolti che
scorrono come acqua sulle spalle e tra le
pieghe delle vesti. Attraverso questa luce
l’Angelico trasfigura la scenografia cimiteriale in una santa e gioiosa celebrazione
pasquale. La grande assente, infine, risulta essere paradossalmente proprio lei: la
morte. Sconfitta dalla fede di quei quattordici fedeli radunati in un cenacolo
d’amore intorno a Cristo. Di fronte a
quell’amore umano semplice ma fedele la
morte è fuggita via spaventata. E con essa
il grande tentatore, il demonio.
Se attraverso il miracolo della pittura
dell’Angelico il corpo di Cristo si trasforma sotto i nostri occhi in pane vivo e il
telo funebre si trasforma in tovaglia d’altare che irradia luce, tutto ciò fa pensare
alla misteriosa luce che nella notte di Pasqua sprigionò dal Risorto e avrebbe potuto impressionare il telo della Sindone,
ricco di sostanze organiche, così da lasciare l’impronta, il negativo, la traccia,
dell’evento prodigioso della resurrezione.
Al lato sinistro della tavola in piedi
l’Angelico dipinge il fondatore del suo ordine, san Domenico di Guzman, in atteggiamento orante; davanti a lui, in primissimo piano Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea commentano tra loro l’accaduto come due comuni cittadini di Firenze.
D all’altro lato Maria di Magdala, solitamente china, qui osa alzare gli occhi ver-
so Gesù quasi a voler partecipare più consapevolmente all’avvenimento. Tra lei e la
Madre di Gesù due figure: la prima, una
donna dalla chioma color grano e di spalle che tiene tra le mani il polso destro di
Gesù quasi ad auscultarne i battiti; la seconda è l’evangelista Giovanni, intento a
sostenere il braccio sinistro di Gesù.
D all’altra parte della composizione appare la beata Villana con le braccia incrociate sul petto e una raggiera intorno al
capo che la indicano come beata mentre
una scritta le esce di bocca: «Cristo Gesù,
l’amor mio crocifisso». I santi dell’Angelico si distinguono dai beati perché al posto del nimbo hanno una raggiera sottile
a incorniciare il capo. Di fianco alla beata
Villana, in primo piano, santa Caterina
d’Egitto con corona, palma del martirio e
nimbo dorato.
Nel Compianto i presenti radunati intorno a Cristo — con grande prevalenza femminile, dieci su quattordici — rappresentano i sentimenti di un popolo intero, piccolo gregge, resto d’Israele che, fuori dalla mura della città (Firenze-Gerusalemme), si raccoglie per fare memoria di
quell’unico amore che dà senso alla loro
esistenza. Quell’amore che faceva dire
all’Angelico, a proposito dell’impegno vocazionale della pittura, che «chi faceva
quest’arte aveva bisogno di quiete e di vi-
Rispetto alla “Deposizione”
in quest’opera
il dramma sacro si trasforma
in una rappresentazione
dominata dall’immobilità
I presenti non gridano
ma pregano
vere senza pensieri; e chi fa le cose di Cristo, con Cristo deve stare sempre».
Per questo, già priore, l’Angelico rinunciò a diventare vescovo di Firenze e rinunciò anche a dipingere un ciclo per
una cappella di Prato. Giovanni Paolo II
lo ha proclamato beato il 3 ottobre 1982.
E oggi nel museo diocesano di Torino la
sua opera Compianto sul Cristo morto, a
confronto con la santa reliquia della Sindone, ci dà una lezione di amore all’unica
bellezza che salva: la bellezza crocifissa di
Gesù.
Sindone e don Bosco
In occasione dell’ostensione della sacra Sindone e delle celebrazioni per il
bicentenario della nascita di Giovanni Bosco, l’arcidiocesi di Torino
presenta alla città la tavola del Beato Angelico Compianto sul Cristo morto,
proveniente dal museo San Marco di Firenze, esposta dal 16 aprile al 30
giugno nel museo diocesano. L’iniziativa è promossa e realizzata dal
museo stesso, dalla Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e
culturali di Torino e dall’Associazione Sant’Anselmo - Imago Veritatis che
l’ha ideata. Con il nostro giornale, collaborano «24Ore Cultura»,
«Avvenire», «Luoghi dell’Infinito» e «La Stampa» che è media partner
insieme all’«Agenzia Giornali Diocesani». Hanno contribuito Banca C.R.
Asti, Gruppo Bancario Credito Valtellinese e Reale Mutua. Curatore è
monsignor Timothy Verdon, il quale sottolinea che per capire l’Angelico
occorre entrare in un linguaggio che esprime, nello stesso tempo, «intimità
e universalità, mitezza e grandezza».
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 15 aprile 2015
pagina 5
Rischi e falle legati ai sistemi di memorizzazione
Il buio
oltre il digitale
di MAURO MILITA
l grido d’allarme è stato lanciato da Vinton Cerf, vicepresidente di Google e inventore del protocollo TcpIp che è alla base del funzionamento delle reti informatiche.
Nel suo recente intervento alla
American Association for Advancement of Science, Cerf ha brutalmente domandato: «Cosa succederà
quando gli attuali sistemi di memorizzazione diventeranno come il
floppy disk di domani? I nostri
tempi potranno diventare i secoli
bui digitali?».
Per la verità la questione non è
nuova e molti di noi si sono già imbattuti nel problema dell’adeguamento dei formati di memorizzazione tentando di preservare, ad
esempio, alcuni ricordi personali o
di famiglia. Senza un trasporto di
formato, infatti, è sempre più difficile rivedere una pellicola super 8 o
riascoltare un’audiocassetta a nastro.
Ma la cattiva notizia è che senza
una soluzione “sistemica” il problema della conservazione documentale nell’era digitale può diventare
davvero complesso. Chi credeva
di aver messo al sicuro il documento
convertendolo
da super 8 a videocassetta si è trovato dopo pochi anni a doverlo nuovamente migrare in un formato digitale, magari su cd.
Ebbene, la digitalizzazione non
solo non ha risolto il problema della conservazione ma lo ha reso, se
possibile, ancora più complesso.
All’obsolescenza del supporto di
memorizzazione, infatti, si è aggiunta quella del software utilizzato
per il suo trattamento digitale. Per-
I
Si potrebbe giungere
alla paradossale situazione
di leggere il supporto
ma di non essere in grado
di decodificarne il contenuto
tanto, pur impegnandosi a inseguire la frenetica evoluzione dei supporti che ha visto in pochi anni nascere e talvolta morire precocemente molti standard — cd, dvd,
minidisk, blu-ray, pendrive, hard
disk, ssd — si potrebbe giungere alla paradossale situazione di poter
leggere il supporto ma non essere
in grado di decodificarne il contenuto.
Trasportando il problema della
persona comune su scala globale,
non è difficile vedere come l’ammonimento lanciato da Cerf sia molto
opportuno. I documenti prodotti ai
nostri giorni, nella maggior parte
dei casi, non provengono da una
loro versione materiale ma nascono
già in modalità digitale, vengono
trattati mediante i software informatici più comuni nel momento storico in cui sono generati e quindi
memorizzati nei supporti disponibili in quello stesso momento.
Insomma, l’enorme numero di
documenti — mail, fotografie, filmati, lettere, giornali, libri — che la cosiddetta società dell’informazione
produce, potrebbe non essere più
leggibile in un futuro non troppo
remoto.
Nel tentativo di arginare le conseguenze di questo problema, già
nel 2006 il dipartimento dell’energia statunitense ha destinato ben
undici milioni di dollari a tre università e cinque laboratori nazionali
affinché sia trovata una soluzione
per gestire l’immensa mole di dati
che raddoppia a ogni nuova generazione di supercomputer. In funzione di ciò sono nate e operano efficacemente alcune società specializzate che si incaricano di adeguare
periodicamente collezioni importanti di documenti e dati digitali
garantendone la leggibilità nel corso del tempo.
Evidentemente un trattamento
così costoso non può essere esteso
in modo generalizzato e la quasi totalità delle nostre comunicazioni e
documenti, senza una soluzione sistemica, è destinato ad andare irrimediabilmente perduto.
Cerf cita come esempio il lavoro
di Doris Kearns Goodwin, autore e
storico presidenziale, che per realizzare il suo libro intitolato Il genio
politico di Abramo Lincoln (2005), ha
studiato approfonditamente alcune
lettere scambiate tra Lincoln e i
suoi contemporanei, giunte fino a
noi in originale cartaceo e ritenute,
fino a quel momento, non molto
importanti. «Non sarebbe possibile
in futuro scrivere un libro simile su
persone che vivono oggi — ha affermato Cerf —. Il contenuto delle loro mail, infatti, sarà “evaporato”
perché nessuno le
avrà salvate oppure
i loro documenti saranno
illeggibili
perché scritti utilizzando un software
ormai vecchio di
cento anni».
Insomma non resta che augurarci
che alcune delle soluzioni che il mondo scientifico sta proponendo, come ad esempio il digital snapshot
siano presto adottate per evitare il
paradosso che l’era della cosiddetta
società dell’informazione sia considerata, negli anni a venire, come il
periodo in cui l’umanità è stata incapace di conservare e trasmettere i
propri documenti alle future generazioni.
Nuovi spunti per un giallo mai risolto
Chi tradì Anne Frank?
di ANNA FOA
a questione di chi abbia
tradito
Anne
Frank, di chi abbia
mandato la Gestapo
ad arrestare gli otto
ebrei nascosti dietro lo scaffale
della casa di Prinsengracht 263
ad Amsterdam quel 4 agosto
1944, continua ad appassionare il
pubblico e i media. Di questi
giorni la notizia di un libro appena apparso in Olanda che accusa
della delazione Nelly Voskujil, la
sorella di Elisabeth, Bep nel Diario, uno dei quattro “angeli” soccorritori di Anne, due uomini e
due donne che aiutarono gli otto
ebrei nei due anni in cui restarono nascosti.
L’interesse del libro sta anche
nel fatto che a scriverlo è stato,
assieme al giornalista Jeroen de
Bruyn, il figlio di Bep, Joop Van
Wijk, il nipote quindi della presunta delatrice. Basta con i silenzi, vi dice, la spia fu mia zia. Il
libro non porta prove certe di
questa tesi, ma si riferisce a corrispondenze scomparse e a conoscenze di famiglia. Sembra che
Nelly Voskujil, che era stata
un’impiegata di Otto Frank, fosse
divenuta dopo l’occupazione collaboratrice della Gestapo e che
fosse a conoscenza dell’aiuto che
sua sorella prestava ai Frank.
L’Olanda fu il paese occidentale più colpito dalla persecuzione
nazista degli ebrei. Quando le armate naziste l’occuparono, nel
1940, gli ebrei che vi vivevano
erano 140 mila. Ben 107 mila di
essi furono deportati, e solo 5 mila fecero ritorno. Numeri ben più
alti di quelli della Francia e dello
stesso Belgio, che pure ha pagato
un tributo pesantissimo, che si
avvicinano a quelli della Polonia,
dove gli ebrei furono quasi tutti
sterminati. Ventimila di questi
ebrei olandesi erano profughi dalla Germania, avevano cioè lasciato il territorio tedesco dopo il
1933, all’avvento di Hitler al potere. Fra loro, appunto, i Frank.
Prima che la Germania ne calpestasse la neutralità e la occupasse
per cinque anni, l’Olanda sem-
L
brava un sicuro rifugio per gli
ebrei, che vi vivevano integrati e
accettati.
Che cosa successe durante l’occupazione da rendere tanto alto il
numero delle vittime ebree, e
quale fu l’atteggiamento degli
olandesi di fronte ai nazisti occupanti e alla deportazione dei loro
ebrei? Perché, e la storia dell’occupazione nazista in Europa ce lo
dimostra, l’atteggiamento dei non
ebrei verso la persecuzione antisemita, l’esistenza di una resistenza,
armata o meno, al nazismo, sono
stati fattori determinanti della
riuscita o meno del progetto nazista di deportazione.
A partire dall’occupazione, gli
ebrei olandesi furono sottoposti a
un numero crescente di proibizioni e vessazioni. Nel settembre
1941, tutti gli ebrei presenti in
Olanda furono schedati e un contrassegno fu apposto sulle loro
le deportazioni. Nel 1943, gli
ebrei ancora presenti in Olanda
erano trentamila, quelli che erano
riusciti a nascondersi con l’aiuto
dei non ebrei. Un terzo di essi finiranno in deportazione grazie
all’opera dei delatori, che per
ogni ebreo catturato ricevevano una taglia ingente.
Fu nel luglio del 1942,
dopo che la sorella di Anne, Margot, aveva ricevuto
la convocazione per la deportazione, che i Frank decisero di nascondersi. Della
deportazione non si sapeva
certo tutto, ma i Frank erano profughi tedeschi e non
si fidavano delle menzogne
dei nazisti. È una storia ben nota,
e l’alloggio segreto dove si rifugiarono, la cui porta interna agli
uffici già diretti da Otto Frank
era coperta da uno scaffale rotante, è ora sede di un museo visita-
L’interno del rifugio
carte di identità. Come per la
schedatura degli ebrei italiani realizzata dal fascismo nel 1938, così
questa schedatura fu uno strumento primario per l’individuazione e la deportazione degli
ebrei. Nel maggio 1942 venne loro imposto l’obbligo di portare la
stella gialla. Nel luglio, iniziarono
to da un gran numero di persone
da tutto il mondo.
Se qualcuno non avesse avvisato la Gestapo della loro presenza,
se una spia non li avesse denunciati, è assai probabile che avrebbero potuto sopravvivere ancora
quei dieci mesi che mancavano
per giungere alla liberazione, nel
maggio 1945, o almeno quei pochi mesi, da agosto a novembre,
prima che gli invii in deportazione fossero fermati. Il convoglio
che portò Anne e i suoi nel campo fu infatti l’ultimo che lasciò il
campo di raccolta di Westerbork
per Auschwitz, nel settembre
1944. Ma qualcuno avvisò la Gestapo della presenza di otto ebrei
nell’alloggio segreto.
Nell’Europa occupata, non erano poche le spie che denunciavano ai nazisti gli ebrei. Dall’altra
parte, come sappiamo, molti furono i soccorritori, molti i giusti.
In Italia le spie furono numerose,
alcune di esse anche ebree, come
la celebre Celeste Di Porto, che
fece arrestare e deportare tanti
ebrei nella Roma occupata.
Ovunque, le spie agivano soprattutto per denaro, ma altre potevano essere le motivazioni, il senso
di potere provocato dal fatto di
tenere delle vite nelle proprie mani o anche l’antisemitismo puro e
semplice.
Quanto
forte
fu
nell’Olanda occupata l’antisemitismo, prima dell’occupazione un
fenomeno molto marginale?
Ora emerge l’ipotesi
che la delazione si sia annidata
nel cuore della famiglia
di uno degli angeli soccorritori
Ma prove certe ancora mancano
Nel maggio 1944 Anne lamentava nel Diario che l’antisemitismo si era infiltrato in ambienti
inaspettati, che molte persone
avevano cambiato atteggiamento
nei confronti degli ebrei. E il fatto che i nazisti considerassero gli
olandesi come loro simili, “ariani”
come loro, può avere influito sul
consenso di tanti olandesi alla
politica antisemita? Sappiamo
dell’esistenza di una squadra speciale di poliziotti olandesi, i “cacciatori di ebrei”, che collaboravano con la Gestapo. Ma c’erano
atti di delazione fra la gente comune, fra i vicini, fra gli amici e i
compagni di lavoro.
Il Diario di Anne è pieno di riferimenti al rischio di una delazione. Nel dopoguerra, numerose
persone furono sospettate di aver
tradito i Frank: i ladri che si erano introdotti negli uffici dove si
apriva la porta dell’alloggio segreto, il magazziniere William
Van Maaren, un ex socio di Otto
Frank divenuto fervente nazista,
Anton Ahlers, e altri. Ma nulla si
è potuto provare. Ora siamo di
fronte all’ipotesi che il tradimento
si annidasse nel cuore della famiglia di Bep, uno degli “angeli”
soccorritori di Anne, che fosse
stata proprio la sorella di uno dei
giusti a compiere l’ingiustizia più
grande. Sarà possibile provarlo
senza incertezze o resteremo ancora nel campo dei sospetti e delle ipotesi?
Presentato il padiglione della Santa Sede all’Expo 2015
Solo trecentosessanta metri quadrati di
superficie calpestabile, investimenti limitati al massimo: sarà una partecipazione
che mira all’essenziale quella della Santa
Sede all’Expo 2015. Più che promuovere
iniziative o prodotti commerciali «proporrà un messaggio». Lo ha sottolineato il
cardinale Gianfranco Ravasi, presidente
del Pontificio Consiglio della cultura e
commissario generale del padiglione, nel
corso della conferenza che si è tenuta
Tintoretto, «Ultima cena» (1562, particolare)
Una spina nel fianco
martedì 14 aprile nella Sala stampa della
Santa Sede per illustrare la partecipazione
all’evento internazionale programmato a
Milano dal 1° maggio al 31 ottobre.
La nostra, ha spiegato il porporato,
«vuole essere quasi una “spina nel fianco”
dell’Expo, sicuramente una “presenza di
eccezione”»: prendendo spunto da due
frasi bibliche — «Non di solo pane» e
«Dacci oggi il nostro pane» — il padiglione vuole richiamare l’attenzione sulla rilevanza simbolica del nutrire e proporre
una visione ampia e integrale dei bisogni
umani. Attraverso il linguaggio universale
dell’arte (architettura e pittura, ma anche
fotografia e cinema) saranno evidenziate
quattro dimensioni fondamentali: «Giardino da custodire» (ecologica), «Cibo da
condividere» (economica-solidale), «Un
pasto che educa» (educativa) e «Un pane
che rende presente Dio nel mondo» (spirituale, legata al tema dell’Eucaristia).
L’organizzazione è stata affidata al
Pontificio consiglio della Cultura, in collaborazione con la Conferenza episcopale
italiana (Cei) e l’arcidiocesi di Milano.
A spiegare il coinvolgimento della Cei
è intervenuto il sottosegretario monsignor
Domenico Pompili: «È il riflesso dell’impegno quotidiano della Chiesa italiana
nei confronti di quanti a vario titolo soffrono il problema dell’alimentazione», un
problema che oggi coinvolge oltre quattro
milioni di persone. La diocesi di Milano
dal canto suo — ha spiegato il vicario episcopale monsignor Luca Bressan — nel
suo legame con il territorio che ospita
l’Expo si impegnerà a diffondere il messaggio che la Chiesa intende portare in
questa occasione. Lo farà anche organizzando alcuni appuntamenti cittadini come
l’incontro inaugurale del 18 maggio, in
piazza Duomo, dove si cercherà di far riflettere sulle «grandi iniquità che affliggono il pianeta e che sono continuamente
denunciate anche da Papa Francesco», o
come l’incontro finale del 27 ottobre, un
appuntamento interreligioso che vorrà
sottolineare il ruolo delle «religioni come
cibo dello spirito».
Il padiglione — realizzato dagli architetti dello studio Quattroassociati — apparirà all’esterno nell’essenzialità di un mas-
so, animato solo dalle due “frasi guida”
scelte dalla Bibbia. All’interno, un tavolo
interattivo permetterà ai visitatori di lasciarsi coinvolgere in un cammino di approfondimento del messaggio proposto.
Due pareti sono state affidate alla cura
del Pontificio consiglio Cor Unum. Come
ha spiegato il segretario, monsignor Gian
Pietro Dal Toso, una accoglierà una mostra fotografica a rappresentare «la fame
dell’uomo intesa nel suo senso più ampio»; su quella opposta, invece, scorreranno tre cortometraggi della regista Lia Beltrami per raccontare, attraverso immagini
raccolte in Burkina Faso, Ecuador e Iraq,
il valore della carità cristiana.
Il padiglione ospiterà anche, in due periodi successivi, l’Ultima cena del Tintoretto (dalla chiesa veneziana di San Trovaso) e L’istituzione dell’Eucaristia di Rubens (dal Museo diocesano di Ancona).
A queste suggestioni si aggiungeranno
quelle che il cardinale Ravasi, rimandando al sito in rete (www.expoholysee.org),
ha definito del «padiglione mobile», legate cioè a una catena molteplice di eventi
che vedranno protagonisti, tra gli altri,
l’Università Cattolica del Sacro Cuore e
l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù.
(maurizio fontana)
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 15 aprile 2015
Preparativi a Losanna per l’intervento
del ministro degli Esteri iraniano (Afp)
Dichiarazione dei leader religiosi dei due Paesi e del Wcc
Riconciliazione possibile
fra Stati Uniti e Cuba
I vescovi statunitensi e il recente accordo di Losanna sul nucleare iraniano
È tempo
di costruire ponti di pace
WASHINGTON, 14. La recente intesa
di Losanna per giungere a un accordo quadro sul nucleare iraniano costituisce un «passo importante» sulla strada di una «risoluzione pacifica» delle gravi questioni che sono
sorte in questi anni e che costituiscono motivo di grande preoccupazione per la pace mondiale e la stabilità del Medio oriente. È quanto
sostiene il vescovo di Las Cruces,
Oscar Cantú, presidente del Committee on International Justice and
Peace dell’episcopato statunitense,
in due distinte lettere inviate, la prima, l’8 aprile scorso, al segretario di
Stato, John Kerry, e successivamente, lunedì 13, ai membri del Congresso. Documenti resi pubblici e
diffusi integralmente sul sito in rete
della Conferenza episcopale degli
Stati Uniti.
Per il presule, che cita le parole di
incoraggiamento espresse da Papa
Francesco in occasione del messaggio Urbi et orbi del 5 aprile scorso,
la strada alternativa all’accordo sul
nucleare «conduce verso il conflitto
armato», soluzione che ovviamente
è guardata con profonda preoccupazione da parte della Chiesa. In questo senso, a nome della commissione episcopale statunitense, monsignor Cantú ha assicurato di accogliere «con favore» il recente passo
compiuto a Losanna dagli Stati
Uniti e dai suoi partner internazionali: «Incoraggiamo la nostra nazione a continuare su questa strada.
Questo è il momento del dialogo e
Una primavera
di libertà religiosa
BALTIMORA, 14. Si apre una fase
cruciale nel dibattito in atto negli
Stati Uniti sulla libertà religiosa.
Le aspre polemiche sul Religious
Freedom Restoration Act, (Rfra),
approvato nei giorni scorsi dal
governatore dell’Indiana con robuste modifiche rispetto alla sua
versione originaria, sono solo un
esempio di come la questione sia
articolata e piuttosto complessa.
A confermarlo è l’arcivescovo di
Baltimora, monsignor William
Edward Lori, già presidente della
Commissione episcopale sulla
dottrina e membro della Commissione episcopale ad hoc per la
difesa del matrimonio. Intervistato dal quotidiano «National Catholic Register», il presule ha
detto che quanto accaduto in Indiana non è una sorpresa e non è
certo l’unica questione aperta.
Il prossimo 28 aprile, la Corte
Suprema degli Stati Uniti ascolterà le testimonianze sul caso
Obergefell vs Hodges e altri tre casi
analoghi che potrebbero avere effetto sulla legalizzazione o meno
del “matrimonio” tra persone dello stesso sesso in tutto il Paese.
Secondo
l’arcivescovo
Lori
occorre difendere «la nostra libertà come un atto di solidarietà
con coloro che sono perseguitati.
Papa Francesco ci ha dato gli
strumenti per farlo, non solo in
quello che dice in merito alla
persecuzione dei cristiani in
Medio oriente e in Africa, ma
anche nel suo discorso pronunciato di recente al Parlamento europeo, quando ha parlato di connessione tra libertà religiosa e democrazia».
In una memoria depositata
presso la Corte Suprema degli
Stati Uniti, la Conferenza episcopale si è unita ad altri leader religiosi affermando «che l’istituzione del matrimonio tradizionale è
indispensabile per il benessere
della famiglia e della società
americana. Siamo anche uniti
nella convinzione che l’imposizione agli Stati di permettere e
riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso genererebbe conflitti tra Stato e Chiesa e
metterebbe in pericolo le libertà
religiose fondamentali». L’arcivescovo di Louisville e presidente
della Conferenza episcopale degli
Stati Uniti, monsignor Joseph
Edward Kurtz, nei giorni scorsi
ha assicurato che un confronto su
come presentare al meglio il messaggio su libertà religiosa, matri-
monio e altre importanti questioni avverrà nella prossima assemblea episcopale di giugno.
L’arcivescovo Kurtz ha anche
espresso la speranza che il viaggio di Papa Francesco negli Stati
Uniti, a settembre, possa essere
un’occasione, per i fedeli, per
esporre, con civiltà e con passione, l’insegnamento della Chiesa
su questi difficili temi.
della costruzione di ponti che promuovano la pace e una maggiore
comprensione». Tra i punti dell’intesa, la cancellazione graduale delle
sanzioni contro l’Iran, la riduzione
di due terzi dell’arricchimento
dell’uranio da parte di quest’ultimo,
il controllo di ispettori internazionali sull’effettiva sospensione del programma nucleare.
Come accennato, nelle due missive vengono citate le parole pronunciate nel giorno di Pasqua dal Pontefice, il quale con «speranza» ha
affidato al Signore misericordioso
«l’intesa raggiunta in questi giorni a
Losanna, affinché sia un passo definitivo verso un mondo più sicuro e
fraterno». Come pure viene ricordato che l’episcopato statunitense sin
dal 2007, riflettendo peraltro la storica posizione della Santa Sede, «ha
esortato la nostra nazione a perseguire la diplomazia per garantire il
rispetto degli obblighi di non proliferazione nucleare dell’Iran». Infatti, «per anni abbiamo sostenuto il
dialogo e una risoluzione negoziata
del conflitto, in collaborazione con
partner internazionali».
Non è dunque un piccolo passo,
sottolineano i presuli statunitensi,
quello compiuto a Losanna insieme
con l’Iran dai cinque Paesi membri
permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania. Si
tratta, invece, di un’altra pietra miliare nel processo dei negoziati con
l’Iran, che «mira a frenare l’inaccettabile prospettiva di sviluppare armi
nucleari». In sostanza, l’accordo
rappresenta un primo importante
passo per favorire «maggiore stabilità e dialogo in Medio oriente».
L’AVANA, 14. Gratitudine, apprezzamento e incoraggiamento per i
negoziati in corso tra i Governi di
Cuba e degli Stati Uniti. È quanto
hanno espresso diversi leader religiosi americani e rappresentanti
ecumenici in occasione di un incontro organizzato all’Avana nei
giorni scorsi dal World Council of
Churches. All’evento hanno preso
parte il Consiglio delle Chiese di
Cuba (Cuban Council of Churches, Cic), il Consiglio latinoamericano delle Chiese (Latin American
Council of Churches, Clai), il Consiglio nazionale delle Chiese degli
Stati Uniti (National Council of
Churches Usa, Nccusa).
I recenti sviluppi dei rapporti fra
Usa e Cuba, suggellati dall’incontro in occasione del Vertice delle
Americhe a Panamá fra il presidente statunitense, Barack Obama, e
quello cubano, Rául Castro, hanno
portato ulteriori elementi di speranza nel corso dei lavori. «Li esortiamo — ha detto, riferendosi ai
due leader politici, Delmar Bueno
de Faria, rappresentante del World
Council of Churches presso le Nazioni Unite a New York — a spezzare il pane insieme e a dialogare
in un clima sereno e in uno spirito
di rispetto reciproco e di uguaglianza che possa accelerare il processo di normalizzazione».
Giovani religiosi
in missione
per la causa
dell’Amazzonia
Convegno ecumenico a Bogotá
Memoria comune per edificare il futuro
«Riconciliazione e testimonianza
evangelica»: sono queste le parole
chiave dell’incontro ecumenico internazionale per la pace in Colombia, che si è tenuto a Bogotá dall’8
all’11 aprile, con la partecipazione
di delegati di dieci Chiese e comunità cristiane, diciassette organizzazioni ecclesiali nazionali e quindici
organismi ecumenici provenienti
da tre continenti. L’incontro è stato promosso dal Consejo Latinoamericano de Iglesias (Clai), con
l’intento di rafforzare l’impegno
ecumenico in Colombia nella ricerca di una pace reale in grado di
mettere fine al conflitto armato che
ha causato decine di migliaia di
morti e la fuga di oltre cinque milioni di persone costrette a lasciare
le loro case. Come è stato ricordato a Bogotá, in numerosi interventi, le comunità cristiane in Colombia sono da anni profondamente
unite nella testimonianza evangelica, nella condanna della violenza e
nella ricerca del dialogo. Ne è testimonianza anche l’Assemblea generale del Clai all’Avana del maggio 2013, quando era stato lanciato
un appello per la pace e per superare il clima di ostilità e di diffidenza che rallentava il dialogo.
L’incontro di Bogotá è stato così
l’occasione non solo per fare il
punto dell’impegno ecumenico per
la pacificazione ma soprattutto per
progettare nuove iniziative con le
quali contribuire alla costruzione
di una cultura della riconciliazione.
Si è dunque discusso dello stato
del dialogo e delle prospettive
dell’accordo tra il Governo e le
Farc, si è approfondita la dimensione biblica e teologica della pace
e della riconciliazione in una prospettiva ecumenica, si sono condivise le esperienze di altre realtà,
dove si cominciano a vedere i primi frutti della pace grazie anche
alla costruzione di percorsi di riconciliazione delle memorie.
Nel documento finale si è voluto, tra l’altro, ringraziare i cristiani
che nel mondo hanno pregato, sostenendo spiritualmente e materialmente le iniziative ecumeniche in
Colombia: a loro è stato chiesto di
continuare la loro opera in un momento nel quale si cominciano a
intravedere i segnali di una pace
fragile che deve essere sostenuta.
Per rendere più stabile questo processo è fondamentale sostenere le
iniziative per la conoscenza della
memoria storica del Paese; contestualmente, i cristiani devono favorire un ripensamento della struttura della società, in particolare per
una distribuzione più equilibrata
dei beni, in modo da contrastare la
violenza che nasce dalle sperequazioni economiche. Secondo le organizzazioni cristiane, non si deve
alimentare l’illusione che il conflitto armato sia finito con la firma di
un accordo: sono infatti necessari,
è stato sottolineato, passi specifici
con le comunità che costruiscono
la pace nel proprio territorio, anche trasformando il processo di pace in opportunità di lavoro, al fine
di sconfiggere la povertà. Si tratta
così di sostenere i percorsi avviati
nella ricerca della verità storica e
per la smilitarizzazione in Colom-
I rappresentanti religiosi hanno
redatto un documento comune, che
porta la firma del reverendo Joel
Ortega Dopico, presidente del Cic,
del reverendo Jim Winkler, segretario generale della Nccusa, del reverendo Felipe Adolf, presidente della Clai e di Rudelmar Bueno de
Faria. «Siamo perfettamente consapevoli che ci sono molti dettagli
che devono essere affrontati — viene sottolineato nella dichiarazione
— e che è della massima importanza che i progressi continuino e che
i due presidenti siano personalmente coinvolti nelle discussioni».
Soddisfazione è stata espressa
anche dal segretario generale del
World Council of Churches, reverendo Olav Fykse Tveit. «Questo
riavvicinamento tra Cuba e Stati
Uniti — ha commentato — è un segno tangibile del nostro pellegrinaggio di giustizia e di pace: un
segno che, nonostante le lunghe e
aspre divisioni, la pace e la riconciliazione sono sempre possibili».
Secondo Fykse Tveit, questo storico incontro dimostra, ancora una
volta, «che il cammino verso la pace giusta è l’unica strada percorribile nella quale le persone si trovano gli uni con gli altri come compagni di pellegrinaggio».
Nella dichiarazione è stato anche
ribadito l’impegno delle Chiese a
lavorare congiuntamente per favorire un dialogo costruttivo. «Ci impegniamo — si legge nella nota — a
continuare a riunire i membri delle
nostre Chiese e dei nostri consigli e
i cittadini di tutte le nazioni per
promuovere la riconciliazione. Ci
impegniamo, infine, a proseguire il
nostro lavoro per incoraggiare gli
Stati Uniti d’America a cancellare
Cuba dalla lista delle nazioni che
sponsorizzano il terrorismo, e a
porre fine al più presto all’embargo
che ha provocato tanta sofferenza
al popolo cubano».
bia, con la realizzazione di reti
ecumeniche che consentano di promuovere la conoscenza dei passi
compiuti e progettati per la pace. I
cristiani poi devono anche lavorare
per la definizione di una adeguata
proposta educativa. Per questo, nel
documento, si riafferma il sostegno
al progetto per la creazione di una
«Comisión de la Verdad» che sarebbe auspicabile si potesse avvalere della collaborazione di organizzazioni e di esperti internazionali
nel difficile compito di ricostruire
decenni di violenze. I cristiani potrebbero così contribuire a far luce
sul passato a partire dalla conoscenza «delle possibili responsabilità per le azioni e per le omissioni
delle nostre Chiese nella violenza
in Colombia». (riccardo burigana)
Trigesimo
Il Ministro generale OFM Conv., fra
Marco Tasca, nel trigesimo della
morte di
P. LANFRANCO SERRINI
OFM Conv.
già Ministro generale dell’O rdine
(1983-1995), deceduto in Osimo l’11
marzo 2015, annuncia che sarà celebrata l’Eucaristia, in suffragio del
confratello, presso la basilica dei
Santi Apostoli, Roma, mercoledì 15
aprile 2015.
Quanti lo conobbero e lo stimarono sono cordialmente invitati.
BRASILIA, 14. Prima esperienza missionaria di cinquanta giovani religiosi e religiose di dieci Stati brasiliani che si sono dati appuntamento, presso la diocesi di Obidos,
nella prelatura di Itaituba, in Brasile, per la «Prima missione della vita religiosa giovane». «La nostra
aspettativa — ha detto suor Maria
Irene Lopes dos Santos, membro
della Commissione episcopale per
l’Amazzonia — è che, attraverso
questa esperienza, i giovani riescano a vivere con passione la causa
dell’Amazzonia e, di conseguenza,
le rispettive congregazioni religiose
possano inviare missionari nella
realtà amazzonica, che ha così bisogno della presenza della Chiesa».
L’evento è stato promosso dalla
Commissione
episcopale
per
l’Amazzonia, unitamente a quelle
per la Gioventù e per l’Azione
Missionaria.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 15 aprile 2015
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Lanciato dal Comune un piano quinquennale di restauri che coinvolge Stato e fondazioni
Cento milioni
per le chiese di Parigi
PARIGI, 14. Il Comune di Parigi lo
ha definito «uno sforzo collettivo
senza precedenti»: municipalità,
Stato, responsabili dei culti, mecenati, insieme per salvaguardare, restaurare e valorizzare chiese e altri
edifici religiosi, oltre alle opere d’arte in essi contenute. Agli ottanta milioni di euro investiti dal Comune
per il periodo 2015-2020 se ne aggiungeranno altri undici di finanziamenti pubblici, oltre a contributi di
fondazioni e donazioni di cittadini.
Il piano è stato presentato venerdì
scorso dal sindaco, Anne Hidalgo, e
dal vicesindaco incaricato della cultura, Bruno Julliard. La municipalità — si legge in un comunicato — è
riuscita a imbastire un dialogo trasparente con l’insieme degli attori
istituzionali e associativi impegnati
nella preservazione del patrimonio
cultuale. Per accelerare la realizzazione del progetto è stata data priorità al meccanismo del finanziamento partecipativo. Nel settembre 2014,
per esempio, è stata lanciata una
sottoscrizione che consentirà di restaurare tre capolavori del pittore
Eugène Delacroix nella chiesa di
Saint-Sulpice. Nel febbraio scorso,
poi, è stato creato un fondo di dotazione che permetterà di ricevere finanziamenti privati e di rispondere
nel modo migliore alle proposte di
mecenati e altri soggetti.
I principali edifici interessati dal
piano di recupero sono Saint-Jean
de Montmartre, La Trinité, Synagogue de la Victoire, Notre-Dame de
Lorette, Saint-Augustin, Saint-Vincent de Paul, Saint-Philippe du
Roule, La Madeleine, Saint-Eustache, Saint-Joseph des Nations,
Saint-Germain de Charonne, SaintMerri, Saint-Germain des Prés,
Saint-Louis en l’Île, Saint-Sulpice,
Saint-Médard, Notre-Dame d’Auteuil, Saint-Esprit, Saint-Pierre de
Montrouge e Sainte-Anne de la
Butte aux Cailles.
Molte chiese di Parigi non se la
passano bene. Il quotidiano spagnolo «Abc», in un servizio pubblicato
domenica 12, afferma che sarebbero
almeno trenta quelle in pericoloso
stato di abbandono. Alla vigilia della Domenica delle palme un pezzo
L’iniziativa della diocesi spagnola di Zamora
Vocazioni in rete
ZAMORA, 14. Si chiama Twelve’s
ed è la rete sociale creata dalla
diocesi spagnola di Zamora per
orientare adolescenti e giovani
nelle loro scelte di vita. Sottolineando come i ragazzi, e non solo, utilizzino sempre di più le reti
sociali per contattare altre persone e confrontarsi, il direttore del
segretariato diocesano della pastorale per la vocazione e rettore
del seminario maggiore e minore
di Zamora, Florentino Pérez, ha
parlato all’agenzia Sir della «necessità di creare uno spazio pro-
priamente cristiano nel quale si
incrementi una cultura vocazionale offrendo un primo orientamento a giovani e adolescenti
che stanno cercando di comprendere la volontà di Dio nella loro
vita, senza però sostituirsi ai processi personali di accompagnamento vocazionale. Twelve's — ha
chiarito Pérez — vuole diventare
uno strumento educativo per potenziare una visione della vita cristiana, utilizzando un ambiente e
un linguaggio abituale tra i ragazzi» di oggi.
della croce della chiesa di Saint-Louis en l’Île, in pieno centro storico,
è caduto sul marciapiede, a pochi
metri dal parroco che aveva appena
celebrato la messa. Una settimana
prima è stato necessario chiudere
con urgenza la chiesa di Saint-Roch
per consentire di mettere in sicurezza le vetrate, a rischio crolli. Sempre
secondo quanto riferisce «Abc»,
una ventina di chiese catalogate come monumento storico sono oggi
oscurate da reti metalliche per proteggere cittadini e turisti dall’eventuale caduta di pietre e parti di sculture dalle malandate facciate.
Il Comune di Parigi è proprietario di novantasei edifici religiosi (ottantacinque chiese cristiane, nove
templi protestanti e due sinagoghe)
costruiti prima della legge del 1905
che ha sancito la separazione fra le
Chiese e lo Stato. Al loro interno
quarantamila opere d’arte e centotrenta organi a canne. Questi edifici,
i più antichi dei quali risalgono al
XII secolo, sono — ricorda la nota
dell’Hôtel de Ville — «pietre miliari
della storia dell’architettura, riferimenti emblematici dei quartieri che
spesso hanno contribuito a far nascere. In gran parte aperti al pubblico hanno rappresentato, per la ricchezza e l’abbondanza delle opere
d’arte in essi contenute, una prima
forma di museo gratuito». Tale patrimonio è ovviamente fonte di
grande attrazione turistica: basti
pensare che nel 2013, nella sola basilica del Sacro Cuore, sono transitati
dieci milioni e mezzo di visitatori
(secondo sito turistico più visto della città); e che nel 2014 circa centomila persone si sono recate negli
edifici di culto in occasione della
«Notte Bianca».
Secondo il sindaco di Parigi, il
piano, considerando il numero di
imprese che vi saranno impegnate
(fra restauratori, scultori, tagliatori
di pietre, falegnami, maestri vetrai,
copritetti), costituisce una straordinaria opportunità per rilanciare
l’economia locale dopo la crisi, anche attraverso l’assunzione di persone che hanno perso il lavoro.
A Łódź congresso sulla pastorale universitaria in Europa
Responsabilità
e senso della vita
ŁÓDŹ, 14. Il tema della vita, declinato sotto varie prospettive da docenti ed esperti di pastorale universitaria, sarà al centro del Congresso
sulla pastorale universitaria in Europa organizzato dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa
(Ccee) a Łódź, in Polonia, dal 16
al 19 aprile. Vi parteciperanno una
cinquantina di delegati, tra responsabili degli uffici nazionali per la
pastorale universitaria e cappellani
universitari di diciotto Paesi europei, che si incontreranno assieme a
gruppi di studenti provenienti da
tutta la Polonia su invito dell’arcivescovo di Łódź, Marek Jędraszewski, presidente della Commissione
del Ccee per la catechesi, la scuola
e l’università.
L’evento ha come titolo «Essere
e diventare responsabili nella vita».
Quello di aiutare gli studenti a scoprire e ad assumere responsabilità
per la vita — spiega don Michel
Remery, vice segretario generale
del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa e co-responsabile
dell’incontro — è «un compito imprescindibile per quanti operano
nella pastorale universitaria. Questo vuol dire aiutarli a vivere amando se stessi, gli altri e Dio. Nella
pastorale universitaria si vede
quanto numerosi siano i giovani in
cammino alla ricerca del senso della vita, e noi abbiamo il compito di
aiutarli in questa ricerca, proponendo loro le vere ragioni della vita, ossia quelle cristiane. Allo stesso
tempo ci sono tanti altri giovani
che, di fronte alle difficoltà e alle
sfide quotidiane, si smarriscono e
non trovano più una ragione valida
che dia senso al loro studio, al loro
futuro, insomma alla loro vita. A
Łódź — conclude don Remery —
intendiamo riflettere su questo tema e scambiare metodi ed esperienze che possano rivelarsi utili
per lo studente e lo stesso cappellano universitario».
Fra i relatori, si segnala la presenza del cardinale Zenon Grocholewski, già prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica,
che parteciperà all’incontro con un
contributo su «La pastorale universitaria nella prospettiva del progresso dell’umanità».
Nei mesi di aprile, maggio e giugno
Calendario delle celebrazioni
presiedute
da Papa Francesco
Aprile
26 IV D OMENICA
DI
PASQUA
Basilica Vaticana, ore 9.30, Ordinazioni presbiterali, Santa Messa
In una conferenza a Bangkok le commissioni episcopali illustrano i conflitti nel continente e l’impegno dei cattolici
L’Asia ha bisogno di giustizia e pace
BANGKOK, 14. La lotta al terrorismo
islamico, la difesa delle minoranze religiose, la condizione femminile in
una società complessivamente patriarcale, i conflitti interni legati a interessi economici e allo sfruttamento delle
risorse, i movimenti a favore di una
vera democrazia e contro l’uso strumentale della polizia e dell’esercito,
l’estrema povertà di alcune fasce della popolazione, il traffico dei migranti: sono alcuni degli argomenti affrontati nei giorni scorsi al centro pastorale dei Camilliani a Bangkok, in
Thailandia, durante la conferenza in-
ternazionale intitolata «Pace e riconciliazione nel contesto dell’Asia» alla
quale hanno partecipato, come riporta AsiaNews, anche rappresentanti
delle commissioni di Giustizia e Pace
di varie conferenze episcopali del
continente.
Una delle situazioni più preoccupanti riguarda l’India, ha detto padre
Charles Irudayam, segretario esecutivo dell’Ufficio per la giustizia, la pace e lo sviluppo della Catholic Bishops’ Conference of India. Il Paese,
dopo le elezioni generali della primavera 2014, sta attraversando una crisi
a livello nazionale «a causa della propensione del partito di governo, il
Bharatiya Janata Party, a portare
avanti tumulti sociali che hanno come obiettivo le minoranze religiose.
Vi è un’azione crescente, diffusa e
ben pianificata che mira a stroncare e
a sopprimere la libertà di culto nel
Paese. L’agenda di induizzazione dei
programmi scolastici, per esempio, lo
dimostra, assieme ai violenti attacchi
contro cristiani e musulmani, le loro
chiese e le loro moschee». Irudayam
auspica un potenziamento del suo ufficio, impegnato da decenni a soste-
gno delle fasce sociali più deboli,
dell’ambiente, dell’emancipazione della donna, della giustizia per le vittime di persecuzione religiosa: «Le sole aspirazioni non bastano, occorre
accompagnarle con sforzi concreti. Ci
si può ribellare alla situazione ed essere testimoni profetici e agenti attivi
del Regno di Dio».
Della condizione femminile nelle
zone rurali dell’India e del contributo alla pace e alla riconciliazione ha
invece parlato suor Daphne Sequeira,
direttrice del Centro per lo sviluppo
delle donne a Torpa, nello Stato di
Jharkhand. Oppresse dalla famiglia,
dallo status sociale, dalla povertà, vittime di violenze e del traffico di esseri umani, le donne non mancano di
essere protagoniste anche in contesti
difficilissimi. Ne è testimonianza il
movimento dei Gruppi di auto-aiuto
(dove la presenza femminile è preponderante) che ha contribuito ad
abolire lo sfruttamento del lavoro
forzato nella maggior parte degli Stati indiani e a liberare molte famiglie
dalle catene dell’usura. In Pakistan le
questioni principali che minacciano
la pace e la giustizia sono la situazione dello stato di diritto, l’influenza
dei circoli religiosi musulmani, le leggi sulla blasfemia, l’estremismo. In
particolare «sta crescendo l’estremismo religioso e settario, lo scontro fra
i sostenitori di uno Stato teocratico e
i moderati, desiderosi che il Paese
imbocchi la strada del dialogo». Anche in Thailandia, dove la stragrande
maggioranza della popolazione è
buddista, non mancano i conflitti etnico-religiosi fonte di violenza e morte, mentre a Hong Kong, ha spiegato
Lina Chan, segretario esecutivo della
commissione Giustizia e Pace della
diocesi, si lavora a favore di una piena democrazia.
Maggio
3 V D OMENICA
DI
PASQUA
Visita pastorale alla Parrocchia Santa Maria Regina Pacis (Ostia),
ore 16
12 MARTEDÌ
Basilica Vaticana, Altare della Cattedra, ore 17.30, Santa Messa per
l’apertura dell’Assemblea Generale della Caritas Internationalis
17 VII D OMENICA
DI
PASQUA
Piazza San Pietro, ore 10, Cappella Papale, Santa Messa e Canonizzazione delle Beate:
— Giovanna Emilia De Villeneuve
— Maria Cristina dell’Immacolata Concezione Brando
— Maria Alfonsina Danil Ghattas
— Maria di Gesù Crocifisso Baouardy
24 D OMENICA
DI
PENTECOSTE
Basilica Vaticana, ore 10, Cappella Papale, Santa Messa
Giugno
SOLENNITÀ
DEL
4 GIOVEDÌ
SANTISSIMO CORPO
E
SANGUE
DI
CRISTO
Piazza San Giovanni in Laterano, ore 19, Cappella Papale, Santa
Messa, Processione a Santa Maria Maggiore e Benedizione Eucaristica
6 SABATO
Viaggio Apostolico a Sarajevo (Bosnia)
21 D OMENICA - 22 LUNEDÌ
Visita pastorale a Torino
27 SABATO
Sala del Concistoro, ore 10, Concistoro per alcune Cause di Canonizzazione
SOLENNITÀ
29 LUNEDÌ
SANTI PIETRO
DEI
E
PAOLO
Basilica Vaticana, ore 9.30, Cappella Papale, Santa Messa e benedizione dei Palli per i nuovi Metropoliti
Città del Vaticano, 14 aprile 2015
MONSIGNOR GUID O MARINI
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
mercoledì 15 aprile 2015
Nadia Blarasin
«Esodo» (2008)
Papa Francesco ricorda che la vocazione cristiana è un esodo da se stessi
In cerca
della via d’uscita
La vocazione cristiana è un’esperienza di esodo, di uscita da se stessi
e di cammino alla sequela di Cristo e al servizio dei fratelli.
Lo afferma Papa Francesco nel messaggio per la cinquantaduesima
giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che si celebra il prossimo
25 aprile, quarta domenica di Pasqua.
L’esodo
esperienza fondamentale della vocazione
Cari fratelli e sorelle!
La quarta Domenica di Pasqua ci
presenta l’icona del Buon Pastore
che conosce le sue pecore, le chiama,
le nutre e le conduce. In questa Domenica, da oltre 50 anni, viviamo la
Giornata Mondiale di Preghiera per
le Vocazioni. Ogni volta essa ci richiama l’importanza di pregare perché, come disse Gesù ai suoi disce-
poli, «il signore della messe... mandi
operai nella sua messe» (Lc 10, 2).
Gesù esprime questo comando nel
contesto di un invio missionario: ha
chiamato, oltre ai dodici apostoli, altri settantadue discepoli e li invia a
due a due per la missione (Lc 10, 116). In effetti, se la Chiesa «è per
sua natura missionaria» (Conc.
Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2), la
vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di
missione. Così, ascoltare e seguire la
voce di Cristo Buon Pastore, lasciandosi attrarre e condurre da Lui e
consacrando a Lui la propria vita, significa permettere che lo Spirito
Santo ci introduca in questo dinamismo missionario, suscitando in noi il
desiderio e il coraggio gioioso di offrire la nostra vita e di spenderla per
la causa del Regno di Dio.
L’offerta della propria vita in questo atteggiamento missionario è possibile solo se siamo capaci di uscire
da noi stessi. Perciò, in questa 52ª
Giornata Mondiale di Preghiera per
le Vocazioni, vorrei riflettere proprio
su quel particolare “esodo” che è la
vocazione, o, meglio, la nostra risposta alla vocazione che Dio ci dona.
Quando sentiamo la parola “esodo”,
il nostro pensiero va subito agli inizi
della meravigliosa storia d’amore tra
Dio e il popolo dei suoi figli, una
storia che passa attraverso i giorni
drammatici della schiavitù in Egitto,
la chiamata di Mosè, la liberazione e
il cammino verso la terra promessa.
Il libro dell’Esodo — il secondo libro
della Bibbia —, che narra questa storia, rappresenta una parabola di tutta la storia della salvezza, e anche
della dinamica fondamentale della
fede cristiana. Infatti, passare dalla
schiavitù dell’uomo vecchio alla vita
nuova in Cristo è l’opera redentrice
che avviene in noi per mezzo della
fede (Ef 4, 22-24). Questo passaggio
è un vero e proprio “esodo”, è il
cammino dell’anima cristiana e della
Chiesa intera, l’orientamento decisivo dell’esistenza rivolta al Padre.
Alla radice di ogni vocazione cristiana c’è questo movimento fondamentale dell’esperienza di fede: credere vuol dire lasciare sé stessi, uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in
Gesù Cristo; abbandonare come
Abramo la propria terra mettendosi
in cammino con fiducia, sapendo
che Dio indicherà la strada verso la
nuova terra. Questa “uscita” non è
da intendersi come un disprezzo della propria vita, del proprio sentire,
della propria umanità; al contrario,
chi si mette in cammino alla sequela
del Cristo trova la vita in abbondanza, mettendo tutto sé stesso a disposizione di Dio e del suo Regno. Dice Gesù: «Chiunque avrà lasciato
case, o fratelli, o sorelle, o padre, o
madre, o figli, o campi per il mio
nome, riceverà cento volte tanto e
avrà in eredità la vita eterna» (Mt
19, 29). Tutto ciò ha la sua radice
profonda nell’amore. Infatti, la vocazione cristiana è anzitutto una chiamata d’amore che attrae e rimanda
oltre sé stessi, decentra la persona,
innesca «un esodo permanente
dall’io chiuso in sé stesso verso la
Messa a Santa Marta
Armonia, povertà, pazienza
Henry Ossawa Tanner, «Studio per Gesù e Nicodemo» (1899)
Tre grazie da chiedere per le comunità cristiane: l’armonia, la povertà e la pazienza. Continuando
la riflessione sul racconto del colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo — al centro della liturgia
della parola — Papa Francesco ha
dedicato l’omelia della messa celebrata a Santa Marta martedì 14
aprile al tema della «rinascita»,
che per la Chiesa significa «rinascere nello Spirito».
Il vescovo di Roma si è riallacciato alle letture del giorno precedente, ricordando che esse invitavano a «riflettere su una delle tante trasformazioni» che lo Spirito
opera: quella di dare «coraggio»,
trasformando l’uomo «da codardo
e timoroso» a «coraggioso, con un
coraggio forte per annunciare Gesù, senza paura». Dalla singola
persona il Papa è passato a considerare «cosa fa lo Spirito in una
comunità».
Rileggendo il brano degli Atti
degli apostoli (4, 32-37) che descrive le prime comunità cristiane,
sembra quasi di trovarsi di fronte
a una descrizione di un mondo
ideale: «Tutti erano amici, tutti
mettevano tutto in comune, nessuno litigava». Un racconto, ha spiegato Francesco, che «è come un
riassunto, come se la vita si fermasse un po’ e lo Spirito di Dio ci
facesse intravedere cosa potrebbe
fare in una comunità, come si potrebbe trasformare una comunità:
una comunità diocesana, una comunità parrocchiale, religiosa, una
comunità famigliare».
In questa descrizione il Pontefice ha evidenziato due segni caratteristici della «rinascita in una comunità». Innanzitutto l’armonia:
«La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un
cuore solo e un’anima sola». Chi
rinasce dallo Spirito, cioè, ha la
«grazia dell’unità, dell’armonia».
Lo Spirito Santo, infatti, è «l’unico che può darci l’armonia» perché «lui anche è l’armonia fra il
Padre e il Figlio». C’è poi un secondo segno, ed è quello del «bene comune». Si legge nella scrittura: «Nessuno infatti tra loro era
bisognoso, nessuno considerava
sua proprietà quello che gli apparteneva».
A questo punto il Papa ha sottolineato come questi due aspetti
siano solo «un passo» nel cammino della comunità rinata. Questa
infatti comincia a vivere anche dei
«problemi». Ad esempio c’è il caso «del matrimonio di Anania e
Saffira», i quali, entrati nella comunità, «hanno cercato di truffare
la comunità». Un’esperienza negativa che si può ricondurre ai nostri
giorni: è simile, ha spiegato Francesco, ai «padroni dei benefattori
che si avvicinano alla Chiesa, entrano per aiutarla e usare la Chiesa per i propri affari». Vi sono,
poi, anche «le persecuzioni» che,
del resto, erano state «annunciate
da Gesù»: a questo riguardo il
Pontefice ha richiamato «l’ultima
delle beatitudini di Matteo: “Beati
quando vi insulteranno, vi perseguiteranno a causa di me... Rallegratevi”». E ha ricordato anche
che Gesù «promette tante cose
belle, la pace, l’abbondanza:
“Avrete cento volte in più con le
persecuzioni”».
Tutto questo si ritrova «nella
prima comunità rinata dallo Spirito Santo», alla quale Pietro spiega: «Fratelli non meravigliatevi di
queste persecuzioni, questo incendio che è scoppiato fra voi».
Nell’«immagine dell’incendio», ha
chiosato il Pontefice, ritroviamo
quella del «fuoco che purifica
l’oro», ovvero: l’«oro di una comunità rinata dallo Spirito Santo
viene purificato delle difficoltà,
delle persecuzioni».
È a questo punto che il Papa ha
introdotto un terzo elemento importante, ricordando il «consiglio
di Gesù» dato a chi si trova «in
mezzo alle difficoltà, alle persecuzioni: “Abbiate pazienza, perché
con la pazienza salverete le vostre
vite, le vostre anime”». Occorre
cioè «la pazienza nel sopportare:
sopportare i problemi, sopportare
le difficoltà, sopportare le maldicenze, le calunnie, sopportare le
malattie, sopportare il dolore della
perdita di un figlio di una moglie,
di un marito, di una mamma, di
un papà... la pazienza».
Ecco quindi i tre elementi: una
comunità cristiana «fa vedere che
è rinata nello Spirito Santo, quando è una comunità che cerca l’armonia» e non la divisione interna,
«quando cerca la povertà», e «non
l’accumulo di ricchezze — le ricchezze, infatti, «sono per il servizio» — e quando ha pazienza, cioè
quando «non si arrabbia subito
davanti alle difficoltà e si sente offesa», perché «il servo di Jahvè,
Gesù, è paziente».
Alla luce di quanto detto, il Papa ha concluso la sua riflessione
esortando tutti, «in questa seconda settimana di Pasqua» durante
la quale si celebrano i misteri pasquali, a «pensare alle nostre comunità», siano esse diocesane,
parrocchiali, famigliari o di altro
tipo, per chiedere tre grazie: quella «dell’armonia, che è più
dell’unità», quella «della povertà»
— che non significa «della miseria»: infatti, ha specificato Francesco, chi ha qualche possesso «devo gestirlo bene per il bene comune e con generosità» — e infine
quella «della pazienza». Dobbiamo infatti capire che non soltanto
«ognuno di noi» ha ricevuto la
grazia di «rinascere nello Spirito»,
ma che questa grazia è anche per
«le nostre comunità».
sua liberazione nel dono di sé, e
proprio così verso il ritrovamento di
sé, anzi verso la scoperta di Dio»
(Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus Caritas est, 6).
L’esperienza dell’esodo è paradigma della vita cristiana, in particolare
di chi abbraccia una vocazione di
speciale dedizione al servizio del
Vangelo. Consiste in un atteggiamento sempre rinnovato di conversione e trasformazione, in un restare
sempre in cammino, in un passare
dalla morte alla vita così come celebriamo in tutta la liturgia: è il dinamismo pasquale. In fondo, dalla
chiamata di Abramo a quella di Mosè, dal cammino peregrinante di
Israele nel deserto alla conversione
predicata dai profeti, fino al viaggio
missionario di Gesù che culmina
nella sua morte e risurrezione, la vocazione è sempre quell’azione di Dio
che ci fa uscire dalla nostra situazione iniziale, ci libera da ogni forma
di schiavitù, ci strappa dall’abitudine
e dall’indifferenza e ci proietta verso
la gioia della comunione con Dio e
con i fratelli. Rispondere alla chiamata di Dio, dunque, è lasciare che
Egli ci faccia uscire dalla nostra falsa
stabilità per metterci in cammino
verso Gesù Cristo, termine primo e
ultimo della nostra vita e della nostra felicità.
Questa dinamica dell’esodo non
riguarda solo il singolo chiamato,
ma l’azione missionaria ed evangelizzatrice di tutta la Chiesa. La Chiesa
è davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa “in
uscita”, non preoccupata di sé stessa,
delle proprie strutture e delle proprie
conquiste, quanto piuttosto capace
di andare, di muoversi, di incontrare
i figli di Dio nella loro situazione
reale e di com-patire per le loro ferite. Dio esce da sé stesso in una dinamica trinitaria di amore, ascolta la
miseria del suo popolo e interviene
per liberarlo (Es 3, 7). A questo modo di essere e di agire è chiamata
anche la Chiesa: la Chiesa che evangelizza esce incontro all’uomo, annuncia la parola liberante del Vangelo, cura con la grazia di Dio le ferite
delle anime e dei corpi, solleva i poveri e i bisognosi.
Cari fratelli e sorelle, questo esodo
liberante verso Cristo e verso i fratelli rappresenta anche la via per la
piena comprensione dell’uomo e per
la crescita umana e sociale nella storia. Ascoltare e accogliere la chiamata del Signore non è una questione
privata e intimista che possa confondersi con l’emozione del momento; è
un impegno concreto, reale e totale
che abbraccia la nostra esistenza e la
pone al servizio della costruzione del
Regno di Dio sulla terra. Perciò la
vocazione cristiana, radicata nella
contemplazione del cuore del Padre,
spinge al tempo stesso all’impegno
solidale a favore della liberazione
dei fratelli, soprattutto dei più poveri. Il discepolo di Gesù ha il cuore
aperto al suo orizzonte sconfinato, e
la sua intimità con il Signore non è
mai una fuga dalla vita e dal mondo
ma, al contrario, «si configura essenzialmente come comunione missionaria» (Esort. ap. Evangelii gaudium,
23).
Questa dinamica esodale, verso
Dio e verso l’uomo, riempie la vita
di gioia e di significato. Vorrei dirlo
soprattutto ai più giovani che, anche
per la loro età e per la visione del
futuro che si spalanca davanti ai loro
occhi, sanno essere disponibili e generosi. A volte le incognite e le
preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità
rischiano di paralizzare questi loro
slanci, di frenare i loro sogni, fino al
punto di pensare che non valga la
pena impegnarsi e che il Dio della
fede cristiana limiti la loro libertà.
Invece, cari giovani, non ci sia in voi
la paura di uscire da voi stessi e di
mettervi in cammino! Il Vangelo è la
Parola che libera, trasforma e rende
più bella la nostra vita. Quanto è
bello lasciarsi sorprendere dalla chiamata di Dio, accogliere la sua Parola, mettere i passi della vostra esistenza sulle orme di Gesù, nell’adorazione del mistero divino e nella
dedizione generosa agli altri! La vostra vita diventerà ogni giorno più
ricca e più gioiosa!
La Vergine Maria, modello di
ogni vocazione, non ha temuto di
pronunciare il proprio “fiat” alla
chiamata del Signore. Lei ci accompagna e ci guida. Con il coraggio
generoso della fede, Maria ha cantato la gioia di uscire da sé stessa e affidare a Dio i suoi progetti di vita. A
lei ci rivolgiamo per essere pienamente disponibili al disegno che Dio
ha su ciascuno di noi; perché cresca
in noi il desiderio di uscire e di andare, con sollecitudine, verso gli altri
(cfr. Lc 1, 39). La Vergine Madre ci
protegga e interceda per tutti noi.
Dal Vaticano, 29 marzo 2015
Domenica delle Palme
Presentato il programma della visita del 6 giugno
Il Pontefice a Sarajevo
La celebrazione della messa e una lunga serie di incontri scandiranno la visita di Papa Francesco a Sarajevo del prossimo 6 giugno. Il programma
dell’ottavo viaggio internazionale del pontificato è stato reso noto stamane,
martedì 14 aprile, dalla Sala stampa della Santa Sede e in contemporanea
nel corso di una conferenza svoltasi nella capitale bosniaca.
La partenza del volo papale è prevista verso le 7.30 dall’aeroporto di Roma-Fiumicino. Un’ora e mezza dopo il velivolo con a bordo il Pontefice atterrerà allo scalo internazionale di Sarajevo, dove avverrà l’accoglienza ufficiale. Quindi il corteo si trasferirà al palazzo presidenziale per la cerimonia
di benvenuto nel piazzale antistante, seguirà la visita di cortesia alla presidenza della Repubblica e l’incontro con le autorità, durante il quale Francesco pronuncerà il primo dei cinque discorsi in agenda.
Verso le 11 il Pontefice celebrerà la messa nello stadio Koševo con la comunità cattolica. La mattina terminerà con il pranzo con i vescovi della Bosnia ed Erzegovina e il seguito papale nella sede della nunziatura apostolica.
Nel pomeriggio Francesco parlerà in cattedrale a sacerdoti, religiose, religiosi e seminaristi, poi presiederà un incontro ecumenico e interreligioso nel
Centro internazionale studentesco francescano, infine saluterà le nuove generazioni nel Centro diocesano giovanile Giovanni Paolo II, prima della cerimonia di congedo all’aeroporto di Sarajevo. Il rientro è in programma in serata a Ciampino.