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nonni bancomat
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di Gino Falleri*
Una cosa è certa, inequivocabile. Romano Bartoloni, giornalista e presidente del Sindacato cronisti romano, è un vulcano. Come il mitico Vulcano che forgiava i metalli, incontrato
nella Mitologia e in Omero, ha sempre qualcosa di nuovo da
proporre, da realizzare. Ieri ha dato alle stampe Guida all’universo della comunicazione, oggi ha preso di petto un problema
di grande caratura sociale, che interessa buona parte dei governi del pianeta: gli anziani. La cosiddetta Terza età.
La vita, sia per via dell’arte medica e della ricerca, dell’alimentazione, delle vitamine, della palestra e dello studio - Aristotele lo considerava la migliore previdenza per gli anziani - si
è allungata di non poco e alla longevità sono collegati problemi di assistenza e di previdenza e di conseguenza di risorse.
Non poche. Secondo le stime impegnano circa il 26,6 per cento del prodotto interno lordo.
Problemi che la classe politica presente nelle istituzioni elettive non sembra abbia valutato nei giusti termini e sovente, si
guardino i provvedimenti adottati dagli ultimi governi, è contro gli anziani, omettendo di ricordare che sono sempre dei cittadini votanti e quindi se ben organizzati potrebbero mutare
gli attuali scenari. Al riguardo qualcosa si sta concretizzando.
La Dirstat si è mossa con il suo segretario generale Arcangelo
d’Ambrosio, e a Milano è nata l’Unione nazionale pensionati
d’Italia guidata da Franco Abruzzo.
La premessa consente di formulare una pluralità di domande che hanno aspetti sociali e politici. Di porre dei punti inter-
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rogativi. Nel secondo decennio del Terzo Millennio come è
considerata la senescenza ovvero gli anziani in genere? Un peso o un arricchimento? Sono più tolleranti rispetto ai giovani
o più litigiosi? Hanno la capacità di farsi rispettare nella tutela dei loro diritti e accompagnare a casa chi è contro di loro?
Qual è il giudizio dei politici e dei giovani, che domani per legge di natura si troveranno al loro posto?
Le risposte non sono per niente semplici, comunque nemmeno impossibili. Si potrebbe innanzitutto affermare, affidandosi alla storia dell’umanità, che un tempo essere anziani, avere i capelli bianchi, significava rispetto, autorevolezza e prestigio. Tanto che calza a pennello una frase di Ovidio tratta dai
Fasti: “grande era un tempo la riverenza per una testa canuta”.
Si può affermare la stessa cosa oggi? Non sembra proprio.
Oggi la vecchiaia, come tutte le cose umane, non sempre viene considerata e valutata positivamente. Non poche volte è ritenuta un peso e assistiamo così al fenomeno del parcheggio.
Nel linguaggio politico sono entrate espressioni come “sei vecchio”, “sei da rottamare”, “non servi più”, espressioni che si incominciano a sentire pure nel mondo giornalistico che, per
presunta maggiore cultura, dovrebbe essere un gradino più in
alto rispetto agli altri.
Come se la canizie fosse un qualcosa di cui ci si dovrebbe
vergognare. Invece costituisce esperienza e l’esperienza ha il
suo peso. Chi ricorda Brenno, il Gallo Senone, che nel 360
a.C. ha messo a sacco Roma? C’è una leggenda al riguardo, che
non trova riscontro nella Storia di Roma Antica di Theodor
Mommsen, considerato il più autorevole classicista del XIX secolo.
La leggenda vuole che allorché le sue soldataglie sono arrivate nel Senato hanno trovato tutti i senatori romani, con tanto di capelli e barba bianca, seduti ai loro scranni. Immobili,
tanto da sembrare tante statue. Questo aveva impressionato i
barbari e li aveva immobilizzati. Uno di questi, meno impressionabile dall’austerità della scena, ha tirato la barba di un senatore provocando la sua reazione. La storia, quella vera, aggiunge che i Galli Senoni non hanno risparmiato nessuno.
Per dare una risposta agli interrogativi posti cominciamo a
guardare innanzitutto il comportamento dei giovani. Di colo-
ro che domani dovrebbero essere i timonieri del Paese. Buona
parte di loro sono demotivati, non vedono niente di positivo
all’orizzonte, vivono alla giornata. E questo perché siamo nelle spire di una crisi economica che, nonostante le edulcorate
parole dei governanti, non è stata ancora superata. Anzi, per
via delle continue imposizioni fiscali nazionali e locali, quest’ultime per i servizi che dovrebbero erogarci e non si vedono,
si impoverisce il ceto medio e si mira, anche se non lo si dice
apertamente, a sovietizzare il Paese. Tutti uguali.
Lo stato di disagio si riflette sul loro comportamento nei
confronti degli anziani. Sono indifferenti, anche se i Nonni costituiscono il loro bancomat. La cartina di tornasole è quanto
accade all’interno dei mezzi pubblici di trasporto, almeno nella Capitale che è in pieno degrado. La maggioranza occupa i
posti, anche quelli riservati, alla barba di chi ne ha invece diritto. La medaglia ha come sempre un suo rovescio. Altri, una
minoranza comunque, hanno rispetto e attestano così l’attenzione delle famiglie nei loro confronti.
Dei politici è stato già accennato qualcosa. Hanno non poche responsabilità e non rispondono sul piano elettorale, inoltre siedono negli organi elettivi senza vincolo di mandato. Per
loro aumenti e vitalizi di tutto rispetto. Il problema degli anziani, della senescenza non costituisce per loro una priorità, se
non altro perché li ritengono ai margini della multiforme e
multietnica società contemporanea. Costituiscono un gravame per la legge di stabilità. Pensioni e sanità costano. La conclusione al di là delle belle parole su i vecchi, su i pensionati,
quelli che un tempo andato si sedevano sulle panchine dei giardini a leggere il giornale, è che il grado di considerazione è alquanto basso.
La grandezza della democrazia sta nella pluralità delle idee
e nessuno viene perseguito per il dissenso, per le critiche. Fanno eccezione i giornalisti. I nostri politici, quelli che ci impone la legge elettorale, sovente non ricordano l’atteggiamento
degli studenti medioevali, quelli che le frequentavano.
All’inizio di ogni anno accademico, si fa per dire, cantavano una canzone di autore ignoto, ma successivamente musicata da Johannes Brahms, che dava molto risalto alla gioventù, al
vigore, e poco alla vecchiaia, ma con una morale uguale per
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tutti. “Gaudeamus igitur, post iucundam iuventutem, post molestam senectutem...” e i puntini di sospensione sono per non riportare la parte finale della quartina. Dopo la giovinezza e la
vecchiaia c’è un altro traguardo, che tutti, nessuno escluso, anche Matusalemme, devono tagliare.
Il canto medioevale per gli anziani, quelli della generazione
mia e delle precedenti, che sono andati in montagna con tutti
i sacrifici connessi per gettare le basi di un Paese libero, democratico, rispettoso dei diritti, ricorda un film del 1952 di Richard Thorpe interpretato da Edmund Purdom, Il Principe
studente. Gli studenti dell’Università di Heidelberg cantavano
Gaudeamus igitur dinnanzi a un grande boccale di birra, chiara o scura che fosse, e nutrivano un grande rispetto per i loro
professori con tanto di barba e capelli bianchi.
È dunque l’ecletticità di Romano Bartoloni, cronista ricco
di grande sensibilità che percepisce in anticipo quali sono i
problemi di grande caratura su cui far soffermare l’attenzione,
a dare vigore a un tema di grande caratura sociale, e di innegabile ricchezza, che trova spazio nelle istituzioni elettive solo per
vedere quanto si può tagliare. Cosa togliere, senza nulla concedere. Sulla ribalta italiana sono transitati giovani poi diventati anziani come Rita Levi Montalcini, Cesare Frugoni (Vittore Manili, giornalista, ha più volte ricordato che il celebre
medico era solito dire studiate, «studiate poi è questione di cromosomi»), Filippo Vassalli, Augusto Pino, Pietro Valdoni, Riz
Ortolani, Mariangela Melato, Luigi Spaventa, Giuliano Zincone, Anna Proclemer e Giulio Andreotti. Sono tutti passati
dalla gioventù alla senescenza e hanno contribuito nei loro rispettivi campi a da dare immagine e credito all’intero Paese.
Saranno emulati e superati dai giovani?
* Presidente Associazione europea degli uffici stampa e della comunicazione istituzionale (classe 1926, personaggio storico del giornalismo italiano)