Il bastone bianco: amico inseparabile Sono nato nel 1965 a San Paolo Albanese, un piccolo comune della Basilicata: un paese che in quegli anni non aveva ancora avuto esperienza di bambini ciechi, ma che sapeva offrire tanta solidarietà. La mia infanzia l’ho vissuta fra oculisti e ospedali del meridione d'Italia. I miei genitori non potevano fare di più e ce l’hanno davvero messa tutta pur di avere una speranza. Purtroppo ogni sacrificio è stato vano. Da bambino ho frequentato la scuola materna del paese: ci conoscevamo tutti, ma quello è stato per me il periodo più difficile da superare. Sentivo pressante il disagio causato dal non vedere e dalle forti differenze fra me e gli altri bambini: non potevo fare i giochi di tutti, ad esempio giocare a pallone o correre, venivo messo da parte e per di più discriminato da alcuni insegnanti che avrebbero preferito non avermi in classe. La determinazione dei miei genitori ebbe la meglio. All’età di 6 anni fui ammesso all'Istituto Domenico Martuscelli di Napoli, una scuola speciale per ciechi nella quale imparai ad essere un po’ più autonomo. Ricordo che venivo stimolato molto a fare da solo quelle azioni quotidiane, come rifare il letto o riordinare i vestiti, che fino ad allora avevo svolto solo con l’aiuto dei miei genitori. Certo in Istituto non erano tutte rose e fiori, soprattutto nei primi mesi di permanenza quando ho avvertito fortemente il distacco dalla famiglia, sperando che arrivassero presto le vacanze per riabbracciare i miei cari. Ma ogni volta che tornavo a casa e facevo sfoggio delle mie nuove abilità con gli altri bambini, la loro considerazione nei miei confronti cresceva sempre di più ed io ero contento al punto da superare al ritorno in Istituto la tristezza della lontananza dai miei cari. Questa esperienza è servita a me ed è servita anche ai miei familiari che difficilmente avrebbero potuto altrimenti conoscere non vedenti adulti o scoprire le mie potenzialità. D’altra parte, come avrebbero potuto imparare da soli a interagire con me, a favorire quell’autonomia che mi ha reso oggi sereno, libero e soddisfatto del mio vivere quotidiano? I miei hanno avuto la lungimiranza di non essere iperprotettivi e di farmi sentire parte integrante della famiglia coinvolgendomi anche nei lavori stagionali come la vendemmia. Certo, il mio raccolto non poteva essere uguale a quello degli altri, ma la sera mi sentivo soddisfatto perché ero stato parte di un gruppo che aveva lavorato per il raggiungimento di un obiettivo comune. Anche quando si uccideva il maiale ero con loro: mi assegnavano il compito di tenere ferma la coda dell’animale, un compito che naturalmente prendevo molto sul serio. Povero maiale, non bastava la sofferenza causatagli dalla lama doveva sopportare anche me! L’essere considerato parte attiva di un contesto ha contribuito a non farmi sentire diverso dagli altri. La vera svolta della mia vita o comunque ciò che ha fatto davvero la differenza per me, è stato il trasferimento all’Istituto Professionale di Stato per ciechi "Aurelio Nicolodi" di Firenze: ho frequentato il corso di fisioterapia ed ho acquisito l'autonomia a 360 gradi. Sono sempre stato molto curioso e mi è sempre piaciuto scoprire cose nuove. Da bambino lo facevo con i vicoli del paese: ogni giorno da solo esploravo una zona e costruivo, pezzo dopo pezzo, la mia mappa mentale e quando l’avevo interiorizzata andavo avanti. Certo prendevo tante capocciate e tante cadute. Avevo le gambe continuamente sbucciate. Nessuno mi aveva spiegato, infatti, che potevo utilizzare un bastone bianco per orientarmi e per individuare gli ostacoli: a Firenze me ne insegnarono l'uso e da allora per me è diventato un compagno inseparabile. Ho imparato a muovermi in città autonomamente, a prendere i mezzi pubblici e a viaggiare da solo. Proprio qualche tempo fa, parlando con mia sorella, mi sono ricordato del suo stupore nel constatare che una volta, proprio a Firenze, feci da guida ad una sua amica che studiava all’università. Tutto questo ha accresciuto la mia autostima ed ha stimolato la mia innata curiosità, tanto da indurmi a fare viaggi all’estero, a sperimentare sport estremi e insoliti per un cieco, come il lancio in tandem con il paracadute, e molto altro ancora. Più le attività sembrano spericolate e inafferrabili, più mi attraggono all'inverosimile. Oggi sono un professionista affermato, ho ricoperto importanti incarichi in associazioni di volontariato e di rappresentanza: sono felice. Per tutto questo devo ringraziare dal profondo del cuore i miei genitori e tutti coloro che hanno contribuito alla mia formazione, alla mia autonomia, rendendomi una persona libera e capace di autodeterminarsi. Sulla base della mia personale esperienza mi sento di consigliare ai genitori di bambini ciechi di non aver paura di far crescere i loro figli, di non proteggerli eccessivamente o, comunque, in maniera differente dagli altri figli. Anzi, li esorto a far vivere loro quante più esperienze possibili. Ai non vedenti, invece, consiglio di non stancarsi mai di mettersi in gioco anche quando si sentono scoraggiati, perché è vero che le esperienze negative fortificano, servono a trovare nuove strategie e aiutano a relazionarsi meglio con gli altri. In conclusione invito tutti a "conquistare l’autonomia, perché solo così si diventa liberi”.
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