IL LINGUAGGIO QUOTIDIANO E LE RADICI CONTADINE

IL LINGUAGGIO QUOTIDIANO E LE RADICI CONTADINE
La lingua italiana è farcita di espressioni che provengono dal linguaggio contadino e che
testimoniano le radici della nostra cultura. Molto spesso utilizziamo modi di dire come “darsi la
zappa sui piedi, mettere il carro davanti ai buoi” ma anche, più semplicemente, “mietere successi,
seminare dubbi, maturare decisioni”.
Anche l’etimologia di alcune parole dà conto del fatto che una volta la società aveva un forte
carattere rurale: per esempio la parola di derivazione latina “pecunia”, denaro, deriva da pecus –
gregge, bestiame, perché anticamente il bestiame rappresentava la ricchezza posseduta che
poteva essere scambiata tramite il baratto. Come dire che le pecore, le capre, le mucche erano le
monete di un tempo!
Provate a riconoscere le espressioni di origine contadina nel seguente testo. Quante sono?
Spigolature scolastiche
Diciamo la verità, andare a scuola non è proprio come andare in brodo di giuggiole.
Tanto per cominciare, per essere puntuali e riuscire a svegliarsi al canto del gallo, la sera prima
bisogna andare a letto con le galline e poi, una volta a scuola, lavorare come muli.
Col sistema del bastone e della carota i professori non ti lasciano in pace un momento: prima ti
permettono di coltivare i tuoi interessi e poi ti fanno macinare pagine e pagine di libri perché
qualcosa vegeti nella tua mente. Se uno è interrogato, non sopportano che si meni il can per l’aia
ma vogliono che tu vada diritto come un fuso al tema da sviscerare; a volte, con le loro domande,
sembrano cercare l’ago nel pagliaio. Dopo una spiegazione, non perdono tempo e per battere il
ferro finché è caldo ti piazzano subito una verifica, in genere una mazzata, ma è meglio buttarsi e
buona notte al secchio, vada come vada. Altre volte aspettano che quanto studiato metta salde
radici nei nostri cervelli e poi ci passano al setaccio per vedere se abbiamo messo il fieno in
cascina o se l’abbiamo buttato al vento.
Ogni tanto, in mezzo ai miei compagni che si pavoneggiano dichiarando di capire tutto e subito, mi
sento l’ultima ruota del carro, la pecora nera della classe; ho l’impressione di non valere un fico
secco e con i miei sforzi di non riuscire a far altro che pestare l’acqua nel mortaio. Altre volte, mi
ringalluzzisco e decido di prendere il toro per le corna, di impegnarmi senza scuse e rinvii.
L’altro giorno durante un’interrogazione, davanti a una domanda mi sono sentito mancare la terra
sotto i piedi e ho cominciato a uscire dal seminato saltando di palo in frasca; rendendomi conto
della figura da somaro che stavo facendo ho cominciato a portare l’acqua al mio mulino con
ragionamenti assai poco convincenti; peggio che mai; allora per salvare capra e cavoli - cioè la
sufficienza e l’onore - ho deciso di tagliare la testa al toro e di ammettere la mia confusione. La
prof - devo proprio dirlo - è stata comprensiva e col suo aiuto ho ripreso il filo del ragionamento e
alla fine ho raccolto un discreto successo.
I miei compagni sono abbastanza simpatici, ma per non fare di tutte le erbe un fascio, è meglio
distinguere: alcuni sono gentili e affidabili, altri li becchi a fare il galletto nel gruppo pronti però a
fare terra bruciata intorno a te appena possono, altri ancora si inventano di sana pianta improbabili
avventure, ma si capisce che è solo un fuoco di paglia. Io cerco di andare d’accordo con tutti e di
non essere villano con nessuno, insomma un colpo al cerchio e uno alla botte.
Ogni tanto la nostra prof ci dice che è convinta che col tempo e con la paglia maturano le nespole;
allora io penso “campa cavallo che l’erba cresce!”
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