ARNALDO POMODORO MODERNITÀ E TRADIZIONE

Nota all’edizione
ARNALDO POMODORO
MODERNITÀ E TRADIZIONE
… ero un grande ammiratore di Brancusi, e lo sono ancora. In Brancusi la perfezione della forma era così bella, così misteriosa. Cosa si può fare dopo Brancusi, o dopo
Arp? Allora, a un certo punto, mi sono detto che davvero questa perfezione della forma
era inadatta al nostro tempo e che doveva essere distrutta.
Arnaldo Pomodoro (1974)
Arnaldo Pomodoro si presenta oggi, per il rigore e la coerenza formali di una ricerca ormai più che cinquantennale, come un
protagonista imprescindibile di un’epoca che ha segnato una svolta
all’interno della storia della scultura della seconda metà del Novecento. Sensibile sin da giovane all’arte di Paul Klee e tra i primi in
Italia a riconoscere la portata storica dell’Espressionismo astratto,
Pomodoro partecipa all’importante mostra organizzata da Giovanni
Carandente a Spoleto nel 1962, in cui viene esposta, in particolare,
un’eccezionale serie di 26 sculture create da David Smith a Voltri.
Milano, prima, e New York, poi, costituiscono, insieme al suo
Montefeltro, i luoghi d’origine della scultura di Pomodoro, che compie proprio intorno al 1962 quella radicale rivoluzione a livello plastico che lo porta dalla bidimensionalità alla tridimensionalità, dalla
dimensione di «scrittura» tipica degli anni Cinquanta alla «scultura
volumetrica». È infatti a Spoleto che l’artista presenta La colonna del
viaggiatore, un’opera cilindrica in ferro alta più di cinque metri realizzata nelle acciaierie Italsider di Lovere.
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Ma è con la Sfera grande del 1966-1967 che si compie il passaggio
alla «grande dimensione», alla cosiddetta «scultura monumentale», in
cui le opere vengono esposte o installate in luoghi pubblici e in contesti naturali. Risale a quegli stessi anni il periodo di insegnamento
presso l’Università di Berkeley, epicentro statunitense del Sessantotto e della rivoluzione in atto nel mondo occidentale: «La grande
dimensione ha un poco dell’elementare, un poco della volontà deteriore “all’americana” di far grande, e un poco – un poco più – del
nuovo spazio e della forma scatenata e del fare come fa la natura e
del fare un tutto da sé».
L’esperienza americana rappresenta così l’esordio di una fase che
si estende sino ai nostri giorni e che ha permesso a Pomodoro di
approfondire la questione della grande dimensione e dello spazio
anche attraverso il dialogo con due arti affini allo spirito dell’artista sin dagli anni Cinquanta: il teatro e l’architettura. «Il teatro – ha
scritto Pomodoro di recente – è stato davvero per me una fonte di
rivelazioni in termini di ideologia, mito e forma. Soprattutto nelle
sculture di grandi dimensioni mi ha incoraggiato e persino ispirato
a sperimentare nuovi approcci e nuove idee per le opere progettate
per luoghi specifici, in cui giocano un ruolo importante le relazioni
con l’ambiente fisico circostante, i paradigmi culturali e le funzioni
pratiche.»
Ancora: «Credo che nella mia scultura ci sia sempre stata una
possibile e “impossibile” architettura, o un’evoluzione verso la grande dimensione e anche verso un vivere dentro l’opera… Ormai fa
parte intrinseca del mio lavoro e del mio operare il prendere in esame la relazione dell’opera con lo spazio in cui viene collocata».
Per questo motivo è sembrato opportuno raccogliere i più significativi scritti e dichiarazioni del Maestro, fornendo agli studiosi e
ai giovani artisti alcuni documenti che permetteranno di ripensare
le esigenze scultoree ed esistenziali che informano l’intera parabola
creativa di Pomodoro, figlia com’è di un genio antico di cui egli
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stesso si vede interprete nella continuità. Gli scritti, rivisti dall’artista
per la presente edizione e accompagnati da un congruo numero di
disegni, hanno pertanto il merito di presentare la riflessione teoricotecnica che sostiene l’opera di Pomodoro, da cui traspare quell’inesausto dialogo con la tradizione che solo può fondare la possibilità
che l’arte instauri anche oggi, in forme e linguaggi nuovi, uno spazio
per il soggiorno dell’uomo contemporaneo nel mondo.
Desidero ringraziare, in conclusione, Bitta Leonetti e Dialmo
Ferrari dello Studio Pomodoro per la collaborazione nelle decisioni riguardanti l’impostazione del lavoro e nel reperimento dei testi
e delle immagini con cui si è voluto corredare il libro.
L’ultimo ringraziamento va ad Arnaldo Pomodoro, che ha condiviso la necessità di promuovere in Italia, con questo suo libro e
soprattutto con le attività della Fondazione che porta il suo nome,
la conoscenza e lo studio dell’arte italiana e internazionale del XX e
del XXI secolo.
Stefano Esengrini
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