SGR e performance fee: una polemica nata male

ASSET
FUND REVOLUTION
di Nunzia Melaccio
SGR e performance fee:
una polemica nata male
D
ito puntato verso le società di gestione e le modalità
con cui applicano le commissioni di performance
(dette anche di incentivo). La polemica è trasversale e, a dir la verità, anche dai toni un po’ confusi.
In primo luogo, si critica il principio per cui un
investitore, può trovarsi nella condizione di pagare
il gestore per una performance infraperiodale (es. nel
trimestre o semestre di riferimento del calcolo) poi non
confermata su base annua o rispetto alla data di avvio
della gestione. A poco vale l’obiezione che quanto fatto
dai gestori nazionali sia assolutamente conforme alle regole di vigilanza emanate al fine di salvaguardare l’interesse generale dei risparmiatori. L’impressione è che il
risparmiatore, anche quello meno avvezzo in materia finanziaria, dispone ormai di una pluralità di strumenti
informativi, anche semplificati, che gli dovrebbero consentire di selezionare un investimento potendone ricostruire senza difficoltà i costi correlati. Inoltre, ove il
risparmiatore non ritenesse di essere dotato delle competenze necessarie (o decidesse, più banalmente, di non
volersene occupare) esistono figure professionali dedicate di supporto che possono ottemperare a tali valutazioni. Da non trascurare, poi, che la remunerazione del
gestore nell’esclusivo presupposto che venga generato
un incremento di valore dell’investimento iniziale e che
su tale differenza di valore esso sia remunerato resterebbe
parzialmente realizzata da un meccanismo unico applicato a livello di fondo comune, a meno che non si im-
La focalizzazione sul particolare
rischia di rendere l’analisi del settore
del risparmio gestito limitata
ponga un meccanismo di liquidazione delle
commissioni di performance a livello di singolo partecipante, che tenga dunque conto del periodo di effettiva
permanenza del cliente nel fondo, con evidente innalzamento della complessità operativa in capo al gestore.
In secondo luogo, la discussione sulle commissioni di incentivo è diventato il pretesto per evidenziare l’assenza
di una politica unitaria a livello europeo finalizzata a det-
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tare per tutti i gestori (europei) analoghe regole - basate
sull’ormai ben noto obiettivo ispiratore di creare un level
playing field - che riducano lo spazio per un arbitraggio
regolamentare di cui, secondo i commentatori, si sarebbero già avvantaggiati i maggiori gestori italiani espatriando parte dei propri prodotti in localizzazioni (ancor)
più magnanime in materia di applicazione delle performance fee. Ovviamente l’intervento europeo, per essere
efficace, dovrebbe essere risolutivo anche delle lamentate
distorsioni che le metodologie di calcolo delle commissioni di performance possono determinare rispetto all’investitore e all’effettivo valore che il gestore è stato in
grado di generare per lui. La sensazione finale è che la
discussione sulle performance fee rischi di divenire l’ennesimo sintomo su cui si richiede al consesso delle Autorità
di Vigilanza europee - l’ESMA - di intervenire per curare un’Italia del risparmio gestito malata di non competitività ma anche, paradossalmente, un’accusa di
aggravamento del malato stesso. In un momento storico
in cui i profili fiscali, giuslavoristi, regolamentari e anche
di posizionamento strategico rappresentano unitariamente gli effettivi driver di scelta per un’attività imprenditoriale, senza esclusione alcuna per il settore
finanziario, la focalizzazione sul particolare rischia di rendere l’analisi del settore del risparmio gestito limitata.
Con questo non si intende sminuire l’importanza e l’utilità di una riflessione allargata che porti a proposte concrete che possano contribuire a migliorare la relazione
risparmiatore - gestore, ma si vuole evidenziare l’indipendenza da un singolo fattore, in questo caso le performance fee, del ridotto ruolo competitivo che il nostro
paese si è progressivamente ritagliato nel settore del risparmio gestito. La scelta della localizzazione, come già
più volte evidenziato, è per un gestore il risultato di una
pluralità di fattori. L’affermazione della competitività, in
conclusione, non può essere affidata solo a nuove regole
e al loro allineamento a livello europeo. Così come l’assenza di competitività non può essere ricondotta ad un
solo fattore. Bisogna avere la consapevolezza di essere
parte di un mercato ben più ampio di quello nazionale
e la determinazione nel pretendere interventi nel settore
finanziario a sostegno dei gestori nazionali e del loro
sviluppo, seppur nel puntuale rispetto delle regole.