ESTREMI: Corte di Cassazione Prima civile Data: 13.06.2014 Numero: 13508 La banca che abbia pagato un assegno con clausola di non trasferibilità a soggetto diverso dal prenditore non è responsabile, qualora lo stesso prenditore abbia manifestato di voler derogare alla predetta clausola, autorizzando il pagamento REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CECCHERINI Aldo - Presidente Dott. DIDONE Antonio - Consigliere Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere Dott. ACIERNO Maria - Consigliere Dott. NAZZICONE Loredana - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 20276/2007 proposto da: B.V., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO D'ITALIA 102, presso l'avvocato MOSCA Pasquale, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato BOVA ALBERTO, giusta procura speciale per Notaio Dott. ANDREA ZECCHI di FERRARA - Rep. n. 23006 del 700 21.10.2013; - ricorrente contro BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso l'avvocato DE ANGELIS Lucio, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Dott. MARIO LIGUORI di ROMA - Rep. n. 150463 del 24.7.2007; - controricorrente avverso la sentenza n. 899/2006 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 22/08/2006; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/03/2014 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE; udito, per il ricorrente, l'Avvocato MOSCA PASQUALE che si riporta; udito, per la controricorrente, l'Avvocato GARONE GIANFRANCO, con delega, che si riporta; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l'inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso. Svolgimento del processo Con sentenza del 22 agosto 2006, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado, che ha respinto la domanda di risarcimento del danno proposta da B.V. contro la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., cui il medesimo imputava di avere accreditato l'importo di assegni circolari non trasferibili su conto corrente intestato a soggetto diverso dal prenditore e di aver lasciato sussistere una situazione di apparenza del rapporto di mandato con riguardo al promotore finanziario C.G. P., il quale si era appropriato dell'intera somma. La corte territoriale ha ritenuto che gli assegni circolari, emessi da altre banche all'ordine del B. con clausola di non trasferibilità, risultavano girati per l'incasso alla filiale di ____ della BNL e l'importo accreditato sul conto corrente intestato al promotore finanziario, previo ordine in tal senso del prenditore-beneficiario, il quale aveva così manifestato la propria volontà di derogare alla clausola di non trasferibilità, con conseguente esclusione di ogni antigiuridicità della condotta della banca per presunta violazione del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 43, applicabile all'assegno circolare in virtù del richiamo di cui all'art. 86, comma 1, R.D. citato; nè era stata provata la situazione di apparenza dedotta dal B., ben potendo questi essersi appropriato illecitamente dei moduli bancari, peraltro grossolanamente contraffatti. Propone ricorso per cassazione B.V., fondato su cinque motivi. Resiste la banca con controricorso, depositando altresì la memoria di cui all'art. 378 c.p.c. Motivazione 1. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, per non avere ritenuto la banca responsabile, nei confronti dell'intestatario, dell'accreditamento di assegno circolare intrasferibile su conto corrente di persona diversa dal prenditore, pur se da questi richiesto. Con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 1176 e 1398 c.c. e R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, nonchè il vizio di insufficiente motivazione, per non avere la sentenza impugnata considerato che l'inosservanza di tali norme ha permesso la creazione dell'apparenza, in quanto il promotore si presentava come funzionario della banca, utilizzando moduli da questa non diligentemente custoditi. Con il terzo motivo, lamenta la motivazione insufficiente con riguardo alla situazione che ha permesso al C. di entrare in possesso di moduli in questione. Con il quarto motivo, deduce il vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria, per non avere chiarito come potesse, nel contempo, il B. credere il promotore un dipendente della banca e tuttavia disporre l'accredito a favore dello stesso in proprio. Con il quinto motivo, denunzia l'omessa motivazione sulla particolare diligenza richiesta alla banca, in quanto era obbligo della stessa avvertire il B. del pericolo, dopo avere riscontrato l'anomalia delle otto operazioni, effettuate sempre con le stesse modalità. 2. - Il primo motivo è infondato. La tesi propugnata dal ricorrente, secondo cui la banca dovrebbe rispondere per avere eseguito in modo puntuale la richiesta dal legittimo portatore dell'assegno, non ha pregio, trattandosi nella specie di un diritto patrimoniale disponibile. Secondo l'orientamento di questa Corte, dal quale non sussistono ragioni per discostarsi, la banca che abbia pagato un assegno con clausola di non trasferibilità a soggetto diverso dal prenditore non è responsabile, qualora lo stesso prenditore abbia manifestato di voler derogare alla predetta clausola, autorizzando il pagamento (Cass., sez. 1, 13 settembre 2000, n. 12055; 2 maggio 1997, n. 3804; 13 ottobre 1993, n. 10111; l'orientamento è richiamato pure da Cass., sez. un., 26 giugno 2007, n. 14712). Nella specie, la corte d'appello ha accertato, con valutazione di merito insindacabile in questa sede ed immune da vizi logici, che risultava la prova dell'esistenza di una tale manifestazione di volontà da parte del prenditore, onde ha fatto corretta applicazione del principio suddetto. 3. - Il secondo motivo è inammissibile per violazione dell'art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis alla fattispecie, sebbene abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47). Invero, non è ammissibile la congiunta proposizione di doglianze ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, salvo che non sia accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto, e, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo, in forza della duplice previsione di cui all'art. 366 bis c.p.c. (Cass., sez. 3, 20 maggio 2013, n. 12248). Nella specie, pur denunziando il motivo la violazione di legge (art. 1176, 1398 c.c.; R.D. n. 1736 del 1933, art. 43) ed il vizio di motivazione, tuttavia il ricorso non contiene idonea formulazione del relativo quesito ed il momento di sintesi. 4. - Il terzo motivo è inammissibile. Esso è articolato parimenti in violazione dell'art. 366 bis c.p.c., dal momento che enuncia il vizio di motivazione "con riferimento ai fatti che hanno consentito al C. di entrare in possesso dei moduli riservati alla banca": e, tuttavia, tale mero "riferimento" non assolve la funzione della sintesi richiesta dalla norma. Come da questa Corte costantemente ritenuto (e multis, Cass., sez. trib., 18 novembre 2011, n. 24255), è inammissibile, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, anche quando l'indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla suprema corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l'errore commesso dal giudice di merito. 5. - Il quarto motivo è inammissibile, in quanto, deducendo il vizio di motivazione - circa la contraddizione tra l'affermazione secondo cui il B. credeva C. dipendente della banca e l'accredito a favore del C. - intende, in verità, sottoporre alla corte di legittimità una rivalutazione del merito della controversia. E' invece principio pacifico (fra le altre, Cass., sez. 6-5, ord. 28 marzo 2012, n. 5024) che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. 6. - ll quinto motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, ai sensi dell'art. 366 c.p.c., n. 6, perchè denunziando l'omessa motivazione sulla particolare diligenza richiesta alla banca, che nell'assunto del ricorrente, avrebbe avuto l'obbligo di avvertire il medesimo del pericolo - formula una deduzione nuova, senza precisare in quale luogo e momento essa abbia già formato oggetto dei giudizi di merito. 7. - Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. PQM La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese di lite, nella misura di Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori, come per legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 marzo 2014. Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2014
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