SENT. 224/2014 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME

6/6/2014
Rizzo Mauro
SENT. 224/2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
nella persona del Consigliere Pina M. A. LA CAVA, ha pronunciato, nella pubblica udienza del
22 gennaio 2014,
S E NTE NZA
nel giudizio pensionistico iscritto al n. 71847/PM del registro di Segreteria, promosso in
data 27 marzo 2012 dal sig. RIZZO Mauro, nato il 3 gennaio 1943 ed elettivamente domiciliato
presso lo studio Crucianelli Fernando, sito a Viterbo in via G. Matteotti, n. 73,
avverso
il Ministero della Difesa e per il riconoscimento del diritto alla liquidazione pensionistica
con i benefici di cui alla legge n. 336/1970;
udito, nella odierna pubblica udienza, il dott. Umberto Nucci per l’Amministrazione
convenuta, non rappresentata parte attrice;
esaminati gli atti e i documenti di causa;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A TTO
Con il ricorso in epigrafe il ricorrente, già militare cessato dal servizio con decorrenza
dal 4 gennaio 2000, contesta la mancata liquidazione del trattamento pensionistico ordinario,
di cui al decreto ministeriale n. 506 del 20 settembre 2010, con i benefici di cui all’art. 2,
comma 1, della legge n. 336/1970, richiesti con istanza del 28 settembre 1999, in qualità di
profugo dalla Tunisia, rimpatriato in Italia il 18 ottobre 1961 in conseguenza degli avvenimenti
di cui all’art. 1 della legge n. 1306/1960, secondo le risultanze dell’attestato n. 3555/62 prodotto
al suddetto fine.
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Parte attrice -che ha prodotto in questa sede giudiziaria la certificazione, prot.
000799/2011 del 21 marzo 2011, con la quale la Prefettura di Roma-Ufficio Territoriale del
Governo attesta che il suddetto “….ha ottenuto il riconoscimento della qualifica di profugo ai
sensi della legge n. 763 del 26 /12/1981 e dell’art. 1 legge n. 7 del 4/1/1978”- rivendica
l’applicazione delle “disposizioni della legge 24 maggio 1970, n. 336” in quanto estese “ai
profughi per applicazione del trattato di pace e categorie equiparate” e, non avendo optato
per l’attribuzione della “qualifica o classe di stipendio paga o retribuzione superiore a quella
posseduta”,
chiede
il
riconoscimento
del
diritto
all’altro
beneficio,
rappresentato
dall’attribuzione di tre scatti stipendiali, quale alternativa prevista dalla norma de qua.
Il Ministero della Difesa, che ha prodotto memoria di costituzione depositata in data del
25 ottobre 2012, nel trasmettere i suddetti provvedimenti ha, in sostanza, contraddetto la
pretesa attorea non rientrando il ricorrente tra le categorie equiparate volute dalla normativa,
intendendosi solo “…i profughi che siano stati costretti a stabilirsi in Italia a seguito di eventi
provocati direttamente dalla guerra e dal trattato di pace e in virtù di equiparazioni disposte
da appositi provvedimenti normativi”. Nel rinviare, pertanto, sullo specifico punto alla
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione e a quella di questa Corte intervenuta
negativamente in casi del tutto analoghi, ha chiesto il rigetto del gravame e, in via del tutto
subordinata, ha eccepito la prescrizione quinquennale.
Alla odierna trattazione il rappresentante dell’Amministrazione convenuta ha ribadito le
richieste e le argomentazioni già esposte in atti sulla infondatezza della pretesa attorea,
precisando, tra l’altro, che il ricorrente non può appartenere alle categorie equiparate volute
dalla legge perché andato via dal paese straniero volontariamente e ribadendo che non esiste
nessuna equiparazione normativa riferita alla categoria cui il ricorrente appartiene.
D IR ITTO
Il thema decidendum del presente giudizio attiene al diniego dei benefici di cui alla
legge n. 336 del 1970, che l’Amministrazione sostiene non riferibili al ricorrente per mancanza
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della equiparazione normativamente richiesta al suddetto fine.
La pretesa attorea è infondata in quanto il ricorrente non rientra, in effetti, tra le
categorie “equiparate” nel senso voluto dalla legge.
Sul punto, premesso che la legge n. 824/1971 ha stabilito, all’art. 5, che “Le disposizioni
della legge 24 maggio 1970, n. 336, sono estese…. ai profughi per applicazione del trattato
di pace e categorie equiparate”, la equiparazione secondo la normativa in materia di profughi è
riferita ai cittadini italiani che si trovavano in Libia, rimpatriati per motivi inerenti allo stato di
guerra o “…in conseguenza di situazioni determinatesi in quei territori in dipendenza della
guerra o di avvenimenti politici”.
Sul punto basti qui ricordare che è pacifica la giurisprudenza di questa Corte dei conti,
intervenuta anche in sede di controllo, circa il fatto che le “categorie equiparate” sono solo i
profughi che siano stati costretti a stabilirsi in Italia a seguito di eventi provocati direttamente
dalla guerra e dal trattato di pace e in virtù di equiparazioni disposte da appositi provvedimenti
normativi. Peraltro, anche secondo la consolidata giurisprudenza della Cassazione civile (cfr.,
tra tutte, Sez. Lav. n. 1830/1986, n. 1672/1984 e n. 3761/1982) l’indicazione dei destinatari di
tale estensione di applicazione dei benefici è assolutamente tassativa, né è possibile una
interpretazione analogica della norma, per cui qualsiasi altra operatività in questo senso deve
essere oggetto di altra espressa disposizione di legge. Al ricorrente non possono, quindi,
applicarsi i benefici relativi agli ex combattenti e categorie assimilate di cui alla l. n. 336/1970
(in assenza di una specifica estensione normativa), bensì i “….benefici che la legislazione
speciale vigente prevede per i profughi (cfr., in particolare, L 137/1952”).
A giustificare il trattamento di maggior favore introdotto soltanto per alcune categorie di
persone dalla legge n. 336/1970 vale la peculiarità della condizione propria degli ex
combattenti e dei profughi di guerra che risulta ben delineata dalla norma e che non può essere
assimilata a quella dei profughi per situazioni diverse, la cui disciplina è rinvenibile nei singoli
interventi normativi che hanno riconosciuto tale stato e istituito le relative provvidenze. Questa è
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la ragione che non consente di ritenere che il rinvio contenuto nell’art. 1 della legge n.
1306/1960 alle provvidenze di cui alla legge n. 137/1952 e successive norme possa intendersi
come rinvio dinamico esteso ad ogni beneficio concernente i profughi.
Sulla base di tali considerazioni giudica questo Giudice che la posizione del ricorrente,
rimpatriato in Italia nel novembre 1960 in conseguenza degli avvenimenti indicati nell’art. 1 della
legge 25/10/1960, n. 1306, non sia riconducibile alla previsione di cui alla legge n. 336/1970, in
mancanza di una norma che espressamente equipari i profughi di cui alla citata legge n.
1306/1960 a quelli considerati dalla legge n. 336/1970.
In tal senso, peraltro, è la giurisprudenza di questa Sezione (Sez. Lazio n. 178 del 16
febbraio 2009 e n. 556 del 4 aprile 2011 ) intervenuta in casi del tutto analoghi, come ricordato
anche dall’Amministrazione convenuta.
Per le considerazioni dianzi esposte il gravame non si appalesa fondato e deve essere
rigettato.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare le spese del giudizio tra le parti.
P. Q. M.
la Corte dei Conti-Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, in composizione
monocratica, definitivamente pronunciando,
RIGETTA
il ricorso in epigrafe. Spese compensate.
Così deciso, in Roma, il 22 gennaio 2014.
IL GIUDICE
(f.TO Pina M. A. LA CAVA)
Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 18/03/2014
PER IL DIRIGENTE
F.to Domenica LAGANA’
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