Gelaterie, a Bergamo una crescita senza sosta

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Supplemento al n. 20 de “La Rassegna” del 22 maggio 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
maggio 2014
Gelaterie,
a Bergamo
una crescita
senza sosta
La scuoLa di cucina per ecceLLenza
www.ascomformazione.it
maggio
SOMMARIO
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Poste Italiane al n. 20 de “La Rassegn
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art. 1, commaRassegna S.r.l. via Borgo
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Bergamo
MAGGIO 2014
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PENNA ALL’ARRABBIATA
Cari sindaci, prendetevi
a cuore le sorti della nostra enogastronomia
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APROFONDIMENTO
Aspiranti chef, uno su dieci ce la fa
10 STORIA E TRADIZIONI
L’epopea del casoncello
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12 TENDENZE
Salumi, se al rilancio ci pensa lo chef
18 IL PRODOTTO
22
Gelato, un piacere che si rinnova
20 IL RISTORANTE
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Locatelli, Michela Brivio, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi,
Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani,
Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
Ristorante Miralago,
nei piatti i profumi dell’altopiano
22 IL CASO
Formaggi, i ribelli del Silter
24 SCENARI
Latte, l’incertezza prende “quota”
28 FACECOOK
A Singapore casoncelli protagonisti
del Capodanno cinese
Gelateri
a Bergame,
una cresc o
senza so ita
sta
2014
Cari sindaci, prendetevi
a cuore le sorti della nostra
enogastronomia
di Pier Carlo Capozzi
A
quest’ora avranno già svuotato le urne e le schede
avranno emesso le prime sentenze. Ma, elezione diretta o rimando ai ballottaggi, resta fermo il desiderio
di precise richieste a chi sarà chiamato ad amministrare il
capoluogo e svariati paesi per i prossimi anni.
Si, ci sembra giusto buttarli giù adesso, i nostri desideri, adesso che i giochi si stanno concludendo e concretizzando e,
soprattutto, adesso che gli interlocutori sono ben individuati
e non possono più nascondersi nella nebbia delle promesse.
Cari Sindaci, adesso non scappate più. Fino a settimana
scorsa potevate incantare serpenti e imbracciare il piffero
magico. Ora, dopo i brindisi di rito, siete chiamati a rispondere
in prima persona e gli alibi sono terminati.
Cosa si possa chiedere ai nuovi amministratori dalle pagine
di questa nostra rivista è abbastanza semplice e, tra l’altro,
è proprio il frutto di qualche dibattito che su queste colonne
ha trovato spazio e di qualche desiderio
che s’è fatto strada.
La filosofia portante di tutto il discorso,
crediamo, verte sull’importanza che ha
assunto il comparto dell’enogastronomia in questi ultimi tempi di riconversione economica e che, se leggiamo bene
il futuro, è destinato a recitare un ruolo
sempre più da protagonista.
E parlare di enogastronomia, attenzione, vuol dire spaziare in un terreno
veramente immenso.
Pensiamo agli agricoltori, ai vignaioli, agli allevatori, a tutti
quanti chiedono una particolare attenzione per la terra, che
non ne può più di essere mangiata dal cemento e dall’asfalto.
Poche province come la nostra hanno bisogno di infrastrutture, avendone patito la mancanza per troppo tempo a causa
della cecità di alcuni amministratori, anche potenti o presunti
tali.
Però ci sembra che si stia perdendo il senso della misura e
che un po’ più di attenzione non guasterebbe, giusto per non
lasciare ai nostri figli un panorama intersecato da autostrade
e tangenziali, ma senza più stalle e cascine. Non possiamo
permettercelo.
Quindi, cari nuovi Sindaci, attenzione al vostro territorio: vanno bene altre rotatorie, ma non distribuite a pioggia. Vanno
preservate le aree verdi e agricole, fino al massimo consentito. Vanno incoraggiati tutti coloro che si battono per le specifi-
cità locali, quelle che Veronelli siglava De.Co. (Denominazioni
Comunali), ma che preferiva battezzare “giacimenti gastronomici”. Il suo pensiero, al proposito, era noto: “Riprendiamo
a vivere, senza violenza alcuna, con la sola accettazione di
concetti elementari e proprio per ciò indiscutibili. L’uomo ha
solo dalla terra ciascuna delle reali possibilità. Averne rispetto, chiederle di darci l’acqua e il pane, l’olio d’oliva e il vino,
quant’altro è necessario per una vita serena, è l’unica via.”
Non ti rimpiangeremo mai abbastanza, caro grande Gino.
E, subito dopo, vanno aiutati gli imprenditori dell’accoglienza,
magari detassandoli un po’o, più semplicemente, evitando
di crocifiggerli con balzelli illogici (tassa sui rifiuti, tanto per
gradire).
Penso a quegli impavidi che portano avanti i loro locali in
paesi arrampicati sulle montagne, locali che sono molto
spesso uno dei pochi centri aggreganti per giovani e anziani:
bar, trattorie, alberghi con ristorante e
caffè. E quando qualcuno di loro non
ce la fa più, e abbassa la serranda, è
un’insegna che si spegne. Ma con lei si
spegne un pezzo di paese, come se in
cielo ci fosse una stella di meno.
Compito di un amministratore sarà
anche trovare un equilibrio (che adesso
pare non esserci) tra diversi ma coincidenti interessi in campo: è l’annosa
questione delle sagre, con contrapposizioni antipatiche tra organizzatori ed
esercenti stanziali. Un intelligente compromesso, basato
su regole dalle quali sia impossibile sgarrare, potrà accontentare le esigenze di tutti. Così come non dovrebbe essere
proibitivo mettere d’accordo la volontà di divertirsi fino a
tardi e il legittimo diritto al riposo notturno: con un briciolo di
comprensione da ambo gli schieramenti, si dovrebbe riuscire
a centrare la soluzione.
Non è un compito facile fare il Sindaco, soprattutto se ci si
mette impegno e passione e non si vorrebbe scontentare
nessuno. Ma è anche un posto di responsabilità dove si è
chiamati a prendere delle decisioni, per dolorose che possano essere. Un grande in bocca al lupo a tutte le novelle fasce
tricolori.
Quello che avevamo da dirvi l’abbiamo scritto. Ricordatevi
sempre che cinque anni passano alla svelta.
[email protected]
PENNA ALL’ARRABBIATA
maggio 2014
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L’APPROFONDIMENTO
di Laura Bernardi Locatelli
N
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Aspiranti chef,
uno su dieci ce la fa
on ci sono più le mezze stagioni e
forse nemmeno quelle intere. L’alternanza scuola-lavoro imposta durante il periodo scolastico ha minato la
prassi ormai consolidata di mandare
i ragazzi a “fare stagione” su e giù per
l’Italia e magari anche all’estero. Molti non vogliono rinunciare alle vacanze
estive, ma chi è a caccia di un’occupazione non sempre trova posto, dato
che, come evidenzia un’indagine Fipe
dello scorso anno, le imprese del turismo e della ristorazione avevano ritenuto di poter fare a meno di 21 mila
lavoratori stagionali rispetto al 2012.
A poche settimane dall’addio ai banchi di scuola i ragazzi degli Istituti Alberghieri e dei centri professionali
bergamaschi si preparano all’estate
tra sogni, incubi da esame e ricerca
di un lavoro. I più fortunati l’hanno già
trovato, altri hanno la valigia pronta
davanti alla porta e mandano curriculum a destra e a manca. Ci hanno raccontato le loro esperienze collezionate durante l’anno scolastico e svelato
le loro aspirazioni.
I dirigenti e i professori. “La Riforma
Gelmini ha rovinato tutto - spiega Raffaele Di Martino che da quarant’anni
Le scuole Alberghiere stanno terminando
i corsi. Ed è tempo di bilanci. Di Martino
(S. Pellegrino): “La sala non attira più.
Tutti vogliono diventare cuochi, ma poi
di fronte alla realtà le cose cambiano”.
“Pochi i ragazzi disposti ad andare all’estero”.
Maraviglia (Nembro): “Gli stage restano
parte integrante del percorso curriculare”
insegna Ricevimento all’Alberghiero
di San Pellegrino e dagli inizi degli anni Ottanta ha accompagnato migliaia
di ragazzi avviando i primi stage, ai
tempi del Grand Hotel di Zingonia -.
Adesso il tirocinio è ridotto a due settimane durante il periodo scolastico.
Purtroppo oggi tanti vogliono fare le
vacanze e solo pochi sono disposti a
fare davvero sacrifici. La tv distorce la
realtà: tutti vogliono fare gli chef ma
quando capiscono che bisogna stare
12 ore in cucina gli passa la poesia.
Non hanno poi le idee chiare: un tempo chi si iscriveva all’Alberghiero vo-
leva crearsi una professione in sala,
in hotel o in cucina, ora invece i fine
settimana non vogliono lavorare, il sabato c’è la discoteca, la domenica la
partita allo stadio o in tv”. A peggiorare la situazione, l’introduzione dell’obbligo scolastico: “Abbiamo ragazzi nei
primi due anni per cui l’unico obiettivo è perdere tempo in classe fino ad
assolvere i dieci anni d’istruzione minima stabiliti dalla legge. Il risultato
è un grande caos”. Il rammarico del
professor Di Martino è per l’abbandono da parte di molti del sogno di
lavorare come receptionist o in sala:
maggio 2014
“Il corso sta quasi sparendo. Riusciamo a malapena a creare una classe al
terzo anno. Tutti vogliono fare lo chef,
ma solo il 10% riuscirà a farlo davvero. Molti scelgono altre strade e lavori con orari ridotti. Tantissimi ragazzi
optano per la grande distribuzione: li
troviamo ai banchi di gastronomia e a
lavorare nei supermercati”. Tramonta
la voglia di fare le valigie: “Dai ragazzi
ti aspetteresti tanta voglia di andare a
girare il mondo e invece sono pochissimi a voler andare all’estero. Manca
la passione, l’entusiasmo e la voglia
di fare. Tanti figli d’arte, con l’opportunità di avere un lavoro bell’e pronto che li aspetta già dopo la scuola,
non vogliono proseguire l’attività. Per
fortuna non mancano le eccezioni e
abbiamo allievi che faranno strada”.
Il preside dell’Istituto Alberghiero
Sonzogni di Nembro, Antonio Savoldelli allarga quasi ogni giorno le convenzioni con le imprese pronte ad
ospitare i ragazzi, ma non tutti optano per l’inserimento in hotel, risto-
tout per il mondo del lavoro: “Quando
incontro gli ex allievi la maggior parte
di loro ha già un lavoro, anche se flessibile - afferma con orgoglio Savoldelli
-. Solo una minoranza sta con le mani
in mano”. Il professor Enzo Maraviglia che segue all’Istituto di Nembro
gli stage fa il punto sulle destinazioni che superano i confini provinciali:
“Per buona parte dei ragazzi la meta è
l’Adriatico: le località balneari, grazie
ad un’offerta spa e fitness, attirano
turisti anche in inverno. Grazie a buoni contatti con le grandi catene alberghiere indirizziamo molti ragazzi negli
hotel, vocati soprattutto al turismo
congressuale e business, del nordest, da Vicenza a Padova, da Mestre
a Verona e a Rho, polo privilegiato per
chi visita la nuova Fiera. Gli aspiranti chef effettuano esperienze in tutta
la Lombardia, ma anche in Veneto e
in Piemonte. Non mancano ristoranti
blasonati come il ristorante da Candida a Campione d’Italia, dove abbiamo
mandato diversi alunni in stage. Per
ge personalmente, andando a visitare i nostri allievi nei vari locali e nelle
aziende che li ospitano - spiegano Luca Bergamelli e Sergio Belotti, chef
e docenti dei corsi organizzati da Abf
Bergamo - . I tirocini sono parte integrante del percorso che costruiamo
in base alle inclinazioni di ognuno.
Qualcuno si presta meglio ad una lavorazione standard e continuativa in
mensa o gastronomia, altri hanno più
idee e grande manualità, altri optano
per nuove formule della ristorazione.
Gli stage vanno dal grande ristorante
stellato alla trattoria a gestione familiare”. Diversa la prospettiva per chi
cerca di reinventarsi: “I corsi serali
sono multietnici e la crisi ha portato
molti a cercare una chance nella ristorazione. Ma non è solo un ripiego:
molti sono animati da un’autentica
passione”. Le difficoltà non mancano neanche per chi aspira a diventare
barman o a lavorare in sala: “La crisi
ha cambiato molte cose e a ciò si aggiungono le aperture di locali da par-
ranti ed altre strutture: “Da quando lo
stage non è obbligatorio 250 alunni
su 700 scelgono il tirocinio curriculare nel corso dell’anno scolastico. Il
vecchio ordinamento prevedeva invece 132 ore di stage obbligatorio per
i ragazzi del quinto anno. Da sempre
collaboriamo con le famiglie per la segnalazione di strutture che possano
ospitare vicino a casa i ragazzi con
l’obiettivo di costruire esperienze in
grado di agevolare la ricerca del posto
migliore”. Per molti ragazzi l’esperienza di stage rappresenta il passe-par-
alcuni ragazzi la scelta invece è per i
nuovi tipi di ristorazione dai pub ai bar,
ai piccoli locali specializzati nella preparazione di piatti tipici. Il corso di pasticceria, avviato lo scorso anno, ha
permesso ai ragazzi di spaziare dalla
pasticceria industriale a quella artigianale grazie a percorsi studiati ad
hoc”. Gli stage sono parte integrante
del percorso curriculare dei corsi di
formazione professionale organizzati
dall’Azienda Bergamasca Formazione
che ai corsi diurni affianca il biennio
intensivo serale: “Seguiamo ogni sta-
te di chi non ha una vera professione
in tasca - spiega il professor Roberto
Bortolotti, maitre di sala e docente
dei corsi Abf di Bergamo -. Gli stage
sono esperienze fondamentali per
ogni allievo e portano sempre ad una
crescita personale e professionale.
Purtroppo se fino a qualche anno fa
rappresentavano l’occasione per avviare un percorso di inserimento lavorativo ora non è più così. Siamo arrivati al punto in cui avere un contratto
di 15 ore settimanali o poco più è diventato quasi un lusso”.
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L’APPROFONDIMENTO
LUCA
“Così ho imparato
a gestire lo stress
in cucina”
Luca Mariani, 18 anni al IV anno
dell’Abf ha da poco terminato lo
stage a “La Braseria” sotto la guida dello chef Luca Brasi. “Un’esperienza che mi ha dato l’occasione di vivere la professionalità
e l’organizzazione di una grande
cucina”. In curriculum Luca ha
anche uno stage lo scorso anno alla Taverna del Colleoni oltre
che a Cucina Cereda a Ponte San
Pietro, nel 2011, e al bistrot Olfà
di Osio Sotto: “Tutte scuole che
mi hanno permesso di imparare
sul campo il rispetto dei tempi
e la velocità nella preparazione,
la precisione nel servizio e l’uso
dei coltelli. Ho sfilettato branzini
a lenza, pesci spada e salmoni e
ho avuto l’occasione di lavorare
grandi materie prime dal tartufo
bianco al foie gras. Le esperienze, molto diverse tra loro, mi hanno permesso di imparare a gestire lo stress di tanti coperti e della banchettistica e di apprendere
molti segreti su lievitati e pasticceria”. Ora l’obiettivo è l’alta ristorazione, ma quest’estate Luca
ha trovato lavoro in un bar a Trezzo d’Adda. “Un mese solo, anche
perché prima lavoro come muratore”, alla faccia dei bamboccioni
e dei “choosy” della Fornero.
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Gli allievi si raccontano
ANDREA
“Il mio obiettivo? Aprire un ristorante”
Per Andrea Costa, 19 anni di Pognano, al V anno dell’Alberghiero a
San Pellegrino, la destinazione estiva è la Valle Imagna: “Torno anche
quest’anno all’Hotel Spa Miramonti
di Rota Imagna. Lavorando a fianco
della chef Adelia Gritti ho avuto modo di scoprire il lato salutista della
cucina della tradizione a partire dalle tecniche di cottura, oltre ad im-
parare ricette vegane, vegetariane
e a prova di intolleranza. Una bella
palestra anche per le paste fatte in
casa, per le focacce e per la famosa
torta Quarenghi in omaggio al celebre architetto”. In curriculum Andrea
ha un’esperienza al Posta di Sant’Omobono: “Una lezione per la ricerca
di materie prime di qualità, dal merluzzo black-cod ai calamaretti spillo,
unita ad una grande cucina gestita
con passione”. La prima esperienza
è stata sul Lago di Garda al Du Lac
et Du Parc Grand Resort: “Un’occasione di far parte di una brigata di
25 persone e di imparare il significato di un grande lavoro di squadra,
passando dalla partita del gardemanger a quella dei primi e dei dolci”. Il sogno è di aprire un ristorante:
“Magari non in Italia, ma nei Paesi
di nuovo sviluppo all’Est, anche se
il richiamo degli Usa è sempre forte.
Al momento sto organizzandomi per
partire per Londra quest’autunno”.
ELISABETTA
“Sogno di lavorare
sulle navi da crociera”
Elisabetta Talò, 19 anni di Boltiere si sta preparando ad affrontare l’esame di quarta all’Abf di
Bergamo con una millefoglie di
pesce di gamberetti e mozzarella di bufala avvolta in pasta fillo
e accompagnata da empanadas
de platano verde con gianchetti ai
tre sapori (lime e zenzero, peperoncino piccante e pesto di semi
di girasole).”Per l’estate sogno di
poter lavorare per tutta la stagione o comunque di poter partire a
settembre magari trovando un posto sulle navi da crociera” spiega
l’aspirante chef che comunque
non disdegna la sala se capita.
Il tirocinio in alternanza scuolalavoro le ha permesso quest’anno di lavorare come commis nella
cucina del ristorante Rosa Camuna all’interno di Villa Zoia, hotel 4
stelle e location per cerimonie, a
due passi da casa: “Sto imparando tanto lavorando gomito a gomito con lo chef Pierangelo Agazzi ed è stato molto importante
vedere come si gestiscono tanti
coperti”.
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LUCREZIA
ELEONORA
“Pronta per un un’esperienza
in Spagna”
“La valigia è pronta,
destinazione
Porto Cervo”
Lucrezia Caserta, 19 anni, al quarto anno dell’Abf sta mettendo a
punto la ricetta per l’esame che mette d’accordo anche macrobiotici e vegani. Gli stage in questi due ultimi anni scolastici l’hanno
portata all’Osteria della Brughiera d’Almè, alla corte dello chef Paolo Benigni, e all’Osteria degli Assonica di Sorisole: “Alla Brughiera
ho avuto modo di vedere come sia organizzata una grande cucina,
dalla professionalità all’ordine, dall’organizzazione alla pulizia, dalla scelta delle materie prime alla presentazione dei piatti. Una cucina in cui tutto, dal pane
ai grissini alla pasta, viene realizzato rigorosamente in casa. All’Osteria degli Assonica ho
fatto un po’ fatica all’inizio ad inserirmi dato
che ero l’unica donna in una cucina dominata
da sette uomini, ma alla fine sono riuscita a farmi valere e a migliorare nella preparazione del
pesce”. Ora per l’estate sogna un lavoro vicino
a casa, ma la valigia è sempre pronta: “Spero
di trovare un lavoro appena finita la scuola: sto
mandando curriculum e ho già fatto alcune prove, ma a settembre o quando potrò voglio andare all’estero. Dove? Mi piacerebbe la Spagna”.
Eleonora Scaini, 17 anni al IV anno a San
Pellegrino ha già la valigia pronta per l’estate: destinazione Costa Smeralda. “A luglio
sarò a Porto Cervo, all’Hotel Le Palme, dove dovrei dividermi tra sala e albergo. Spero
che questa esperienza possa permettermi
di crescere professionalmente “. Quest’anno lo stage l’ha portata al Breve Respiro,
antica trattoria di Zogno, vicino a casa: “In
sala ho imparato a rapportarmi ai clienti, a presentare
i piatti in menù e le ricette
della nostra cucina del territorio”. L’anno scorso invece
aveva servito ai tavoli della
Grotta Azzurra: “E’ stata una
bella esperienza, anche se i
coperti da gestire erano tanti
e come primo test sul campo
è stato impegnativo”.
SARA
ERIKA
MICHELA
“Immagino
il mio futuro
in una grande
cucina”
“Bello sarebbe fare
la receptionist in
un hotel di lusso”
“Che emozione
i primi
servizi in sala”
Erika Rota, 19 anni al IV anno a
San Pellegrino sogna un posto da
receptionist in un grande hotel. In
curriculum ha uno stage in alternanza scuola-lavoro terminato ad aprile
all’Hotel Continental di Osio Sotto, 4
stelle. “In quel periodo, con il Salone
del Mobile, l’hotel
era al completo e
mi sono divisa tra
ricevimento e sala,
ho seguito check-in e prenotazioni
via mail. Ho avuto modo di vedere
ogni aspetto della gestione di un albergo e di avere la conferma che è
esattamente il lavoro che voglio fare”. Nel cassetto c’è il sogno di lavorare in un 5 stelle lusso, “se non in
Italia in Spagna o in Inghilterra finita
la scuola. Al momento, però, ho affidato il mio curriculum ad un’agenzia
di lavoro interinale”.
Michela Farina, 16 anni, al terzo
anno dell’Abf sogna un lavoro a
contatto con la gente per cui la
sala è stata sin da subito una
scelta naturale. Quest’anno ha
fatto tappa “Da
Frosio”, ad Almè:
cinque settimane di alternanza
scuola-lavoro dal
27 gennaio al 1°
marzo. “E’ stata un’esperienza
straordinaria lavorare sotto la
guida dei fratelli Frosio, in un clima stimolante, in un ristorante
curatissimo. A scuola ci insegnano tante cose, ma la prova sul
campo è diversa. Non mi sarei
mai aspettata di imparare tanto addirittura in trasferta: grazie
ai fratelli Frosio ho visitato cantine in Piemonte e sono stata al
Vinitaly”.
La motivazione è alta anche tra i più giovani. Sara
Agazzi, 17 anni al III anno a San Pellegrino, sogna un’esperienza a tutto
campo in cucina, pasticceria inclusa: “Quest’anno al Ristorante Angolo di
Trezzo sull’Adda ho fatto
una bella esperienza in
cucina, che sarebbe stato bello prolungare. Ho
imparato tantissimo nella lavorazione del pesce e
ho avuto modo di vedere
come si organizza il lavoro quando i coperti da gestire sono molti. Ora sto
cercando un lavoro per
l’estate. Mi piace immaginare il mio futuro in una
grande cucina”.
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STORIA E TRADIZIONI
di Leonardo Bloch
L’ origine del piatto
non si esaurisce nella disputa
tra bresciani e bergamaschi.
“Cascioncelli” e “cassatelli”
si ritrovano anche nelle corti
aragonese ed estense.
Tra gli ingredienti del ripieno
protagonista è il formaggio,
la carne appare solo in tempi
più recenti
L’epopea del casoncello
N
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ella secolare tenzone che li contrappone ai bergamaschi
per rivendicare la paternità dei casoncelli, i bresciani
possono chiamare a deporre a loro favore nientemeno
che un sedicente teste oculare del controverso parto gastronomico. Il resoconto di Ortensio Lando, frate spretato autore del cinquecentesco Commentario delle più notabili e mostruose cose d’Italia ed altri luoghi, è lapidariamente circostanziato: la genitrice dei tanto contesi ravioli risponderebbe al nome di Melibea da Manerbio la quale, non paga dei propri conseguimenti culinari, si sarebbe
vieppiù guadagnata la menzione negli
annali abbattendo a nude mani un orso di grandezza mostruosa. Ad onore
del vero, le pagine dell’eccentrico cronista milanese, compilatore tra l’altro
di un audace Cathalogo delle più notabili meretrici del suo tempo, prestano
il fianco a ben più di un sospetto di
partigianeria: ancora ad una gentildonna della bassa bresciana, Marina
da Offlaga, viene elargito il credito per
l’invenzione dei fiadoni - pietanza affine al tortello che godette di vasta popolarità nel tardo medioevo. E in tema
di vini il sagace Ortensio soggiunge
che «hanno i bresciani, oltre la vernaccia di Celatica, moscatelli superiori alli
bergamaschi».
A riequilibrare i giochi interviene Antonio Tiraboschi, autorevole filologo
ottocentesco del nostro vernacolo, che cita la ben più
antica comparsa dei casonzellorum tra le imbandigioni
dei festeggiamenti tenuti in Città Alta il 13 maggio 1386
in onore di Gian Galeazzo Visconti. E Silvia Tropea Montagnosi, puntuale storiografa della cucina bergamasca,
liquida indulgentemente le congetture del Lando come
«fantasiose, certo, ma che ci indicano la presenza e la diffusione di questa pasta ripiena in una zona ben determinata». In realtà, più approfonditi riscontri storici consentono di reperire pietanze strettamente imparentate con
i casoncelli anche in bacini gastronomici oggidì affatto impensabili, recando ulteriore scompiglio nel dibattito
circa le loro origini. Un anonimo trattato del tardo Quattrocento redatto a
Napoli nei circoli culinari della corte
aragonese riporta infatti la ricetta dei
cascioncelli - ravioli ripieni di ricotta la
cui preparazione trovava compimento
in frittura. Sempre in tema di tortelli
farciti di formaggio, il manoscritto propone i cassatelli, che saranno ripresi
a distanza di qualche decennio dallo
scalco ferrarese Cristoforo di Messisbugo sotto la dizione di casatelle.
Si deve del resto tener in conto che
la profonda segmentazione regionale che caratterizza la gastronomia del
nostro paese risale a non più di un paio di secoli fa, e che la cucina medie-
Ortensio Lando, eccentrico autore cinquecentesco,
si dice testimone oculare della nascita
dei casoncelli, ad opera di Melibea da Manerbio
maggio 2014
L’indagine
vale era invece contraddistinta da relativa uniformità
su base nazionale. Non sorprende dunque che agli
albori dell’era moderna i fratellastri del raviolo bergamasco potessero essere in voga tanto alle pendici del
Vesuvio quanto presso la corte Estense o che i fiadoni
siano stati tramandati sino a noi non già tra le vivande
tipiche del circondario di Brescia - come pretenderebbe Ortensio Lando - bensì tra quelle della tradizione
abruzzese. Indipendentemente dalla questione delle
loro ascendenze, emerge con chiarezza che tra gli ingredienti di queste preparazioni una posizione di assoluta preminenza in origine spettasse al cacio, il quale
con ogni evidenza ne ha contrassegnato anche la denominazione. Da questa prospettiva gli scarpinòcc di
Parre, ancorché ormai scissi dall’antico etimo, con il
loro ripieno a base di formaggio sono tra le paste ripiene della nostra tradizione quella che si mantiene più
strettamente aderente al modello arcaico.
Non v’è peraltro da scordare che in età medievale i derivati del latte rappresentassero l’alimento per eccellenza delle classi meno abbienti se è vero che, come
annota laconicamente Pantaleone da Confienza nella
sua Summa lacticiniorum del 1477, «i poveri sono costretti a mangiar formaggio all’inizio, a metà e alla fine
del pasto».
Data la loro chiara connotazione di piatto delle feste,
era dunque inevitabile che, assecondando l’evoluzione del gusto, i casoncelli fossero oggetto di plurime revisioni volte a renderne più opulenta la farcia.
Ecco dunque che, con ogni verosimiglianza tra il XVI ed
il XVII secolo, forse proprio in forza della loro proverbiale affinità con il cacio fanno comparsa nel ripieno
le pere spadone. Una volta conquistato un posto nella
lista degli ingredienti, queste ultime finiscono per acquisire un ruolo di primo piano che manterranno a lungo, come attestato dalla ricetta che ancora nel 1829
riporta Giovanni Felice Luraschi nel “Nuovo cuoco milanese economico”.
Altre fonti ottocentesche – e segnatamente i glossari
vernacolari del bresciano Melchiori e del bergamasco
Tiraboschi – sono invece per una volta concordi nell’individuare in «erbe, uova, cacio ed altro» il contenuto
dello scrigno di pasta.
La farcia a base di carni cui siamo avvezzi ai nostri
giorni pare dunque essere un’innovazione relativamente recente, assai probabilmente poco più che centenaria. A Melibea da Manerbio, si fosse costei figurata una siffatta piega, non sarebbe forse spiaciuto utilizzare nel ripieno la polpa dell’orso che aveva stecchito, dato che a quei tempi il plantigrado era considerato
un’autentica prelibatezza.
Ma alla gentildonna bresciana ed al suo pigmalione
Ortensio Lando sarebbe sicuramente aggradata meno
la conclusione cui ci conduce l’epopea del casoncello
nelle sue cangianti declinazioni: la storia della cucina,
come scrive il grande filologo Pietro Camporesi, è fondamentalmente storia della morfologia delle pietanze,
e per essa è irrilevante ogni attribuzione di paternità.
Made in Italy in cucina,
«le nonne sono
le vere paladine»
Un italiano su tre (33%) vuole rigorosamente le ricette della tradizione mentre il 24% va alla ricerca di
prodotti sani e di qualità. Solo il 17% dice di gradire
sperimentare e il 20% di volere pietanze ricercate ed
elaborate. E chi può soddisfare al meglio questo bisogno di tipicità e genuinità? La nonna, vera paladina del made in Italy. È quanto emerge da uno studio
promosso dal Polli Cooking Lab - l’Osservatorio sulle
tendenze alimentari dell’azienda toscana - in occasione del Cibus, condotto su circa 1.200 italiani tra i
20 e i 55 anni attraverso un monitoraggio online sui
principali social network, blog, forum e community. La
cucina della nonna è preferita dalla metà degli italiani e la motivazione principale (39%) è perché “da lei
si mangia meglio”. Per il 21% degli intervistati perché
ai suoi piatti non si può dire di no mentre per il 18%
perché sa esaltare al massimo la qualità dei prodotti
made in Italy. Un altro 18% preferisce la cucina della
nonna perché incarna in pieno i sapori di una volta.
Mamme, mogli e fidanzate sono invece bocciate. Per
le prime la preferenza raggiunge il 17%, per le compagne e la cucina di casa propria la percentuale di gradimento è al 13%. Giù anche ristoranti rinomati (8%)
e trattorie di provincia (10%). Cosa non piace della
cucina della mamma? Per un italiano su due (53%)
gli stessi piatti non hanno il sapore autentico di quelli
fatti dalla nonna, il 27% accusa un po’ di approssimazione nella preparazione e il 21% lamenta che a volte
le mamme non dosano bene i sapori. E della cucina
del partner? Ben il 36% afferma che il proprio partner
ha poca inventiva, il 23% lamenta l’utilizzo di troppi
cibi preconfezionati mentre per il 20% trasmette addirittura ansia quando si mette ai fornelli. Anche per
questo le visite dalla nonna sono frequenti. Il 35%
del campione dichiara di andare a pranzo ogni domenica, il 37% almeno due domeniche al mese, il 15%
almeno una volta al mese e non manca chi afferma di
passare ogni volta che riesce a ricavarsi qualche ora
di tempo a pranzo (11%). Merito delle nonne è anche
quello di riuscire a far mangiare prodotti “poco graditi” come verdure, legumi ma anche alcuni carni meno
consuete come agnello e coniglio.
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TENDENZE
Al declino di produzioni personalizzate
e originali di salami e insaccati, un tempo
tradizionale in tante famiglie, rispondono
professionisti dei fornelli, decisi a dare nuovi
stimoli all’arte della norcineria con il proprio
contributo di ricerca, tecnica e gusto
di Lara Abrati
Salumi,
se al rilancio
ci pensa lo chef
S
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ono molte le arti e i mestieri che man mano si stanno perdendo. Ognuno sta scomparendo per un motivo
specifico e diverso ed anche la norcineria, così importante per l’economia agricola locale e famigliare dei
decenni passati, non si sottrae alla tendenza.
«La lavorazione delle carni in casa – dice Giuseppe
Pezzotta, maestro norcino - ormai non la fa quasi più
nessuno. Sono rimasti solo pochi anziani che acquistano il maiale e ce lo fanno lavorare per la produzione dei loro salumi. Il problema vero è che le cascine,
con le attività agricole connesse, sono sempre meno». Che la figura del norcino sia a rischio estinzione
non è una novità. Si è mossa qualche anno fa infatti l’Associazione Norcini Bergamaschi che ha iniziato
con l’organizzare corsi e iniziative per la sopravvivenza della norcineria, così come anche il maestro Pezzotta la concepisce: «per permettere a chi lo vuole di
autoprodurre il proprio salame e i propri salumi, in
modo esclusivo e consci che un salame non sarà mai
uguale ad un altro».
Non solo le associazioni legate al mondo della norcineria si sono messe in gioco, ma anche molti cuochi
professionisti. Anche Slow Food Lombardia ha messo
in campo un progetto «che mira – spiega Lorenzo Berlendis – a tutelare e promuovere saperi e conoscenze di grande valore, nell’ambito sia dell’allevamento
suinicolo che nella lavorazione delle carni». Si chiama Tredicilune ed è un progetto che può essere sottoscritto dai vari attori della filiera: agricoltori, norcini,
chef e ristoratori. L’obbiettivo è proporre un decalogo
che si riferisca alle tecniche di allevamento e trasformazione, ma che stimoli anche ad un nuovo approccio complessivo all’agricoltura. I primi sottoscrittori,
in data 26 febbraio 2014, sono stati gli chef Vittorio
Fusari della Dispensa Pani e Vini di Adro e l’abruzzese Peppino Tinari, che da tempo praticano l’arte della
norcineria per la propria attività ristorativa. Ecco nata
la nuova figura, quella dello chef – norcino, ben accolta dai norcini in quanto la direzione e gli intenti sono
i medesimi.
maggio 2014
Il maestro norcino - Giuseppe Pezzotta
«Un prodotto esclusivo
dà valore alla ristorazione»
Giuseppe Pezzotta è maestro norcino e insegna
durante i corsi organizzati dall’Associazione Norcini Bergamaschi. La sua storia professionale ruota
tutta attorno al mondo dei salumi. «Ho lavorato in
importanti salumifici come operaio, praticamente
faccio il norcino da quasi cinquant’anni – afferma
orgoglioso -. Con l’Associazione cerchiamo di tutelare e promuovere l’arte della norcineria che si fonda sull’insegnare una certa manualità, ad esempio
nel disosso o nella mondatura, ma anche una maggiore conoscenza della carne e dei tagli. La nostra
attività prosegue anche dopo la lavorazione, infatti
i prodotti trasformati vanno curati nella loro fase di
asciugatura e stagionatura. Assolutamente da non
sottovalutare è la maturità dei suini che verranno
macellati – rimarca -, che devono avere un’età superiore ai 13 mesi. Questo determina una maggiore qualità delle carni e, di conseguenza, dei salumi». Da dati sui corsi dell’Associazione emerge
che molti partecipanti sono i cuochi professionisti che, nelle varie edizioni, hanno scelto di approfondire l’arte della norcineria. Molti come semplici appassionati, altri per introdurre salumi propri
nell’attività ristorativa. In Bergamasca, comunque,
la maggior parte dei cuochi–norcini è rappresentata da operatori di attività agrituristiche. Secondo il
maestro norcino, questa tendenza è data dal fatto
che i cuochi professionisti «hanno capito il valore
aggiunto che può dare l’avere un prodotto esclusivo e fatto da sé alla propria attività di ristorazione».
Gli chef
Vittorio Fusari - Franciacorta
Allo studio la riscoperta della “Ret”
«Per quanto riguarda il mondo della cucina e della sua
storia, esistono due grandi aree: quella della cucina professionale e quella della cucina domestica. La prima è
sopravvissuta e sopravvive tutt’ora, si evolve, cambia e
si trasforma. L’ambito della cucina domestica sta invece
scomparendo, sempre meno persone cucinano in casa.
Analogamente sta succedendo per il mondo della norcineria», dice Vittorio Fusari, chef della Dispensa dei Pani
e dei Vini di Franciacorta, uno dei due primi sottoscrittori del progetto Tredicilune di Slow Food Lombardia. Fusari acquista i suini da allevatori che gli garantiscono l’attuazione di alcune buone pratiche orientate al benessere
animale. Ulteriore attenzione è riservata all’età dei capi
da macellare: «Le carni utilizzate provengono da esemplari che hanno compiuto le famose 13 lune ad agosto.
Questo vuol dire che se vengono macellati a novembre,
avranno sicuramente almeno 16 lune, quindi 16 mesi»,
evidenzia. La scelta di dedicarsi alla norcineria è data
dall’esigenza di salvaguardare questa professione, con
lo stimolo di incentivarla. Secondo lo chef infatti «il cuoco, alla sapienza del norcino, può aggiungere la scienza
e la tecnica di cucina». Fusari produce i classici salumi
Vittorio Fusari
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TENDENZE
della tradizione bresciana, come salami, coppe, pancette e i cotechini, senza l’utilizzo di conservanti e riponendo
una particolare attenzione all’utilizzo del sale, in linea anche con le esigenze del consumatore attuale. Rispetto a
decenni passati infatti la produzione salumiera ha subito
una notevole evoluzione in termini di quantità di sale utilizzato, abbassandone le dosi. Il salame, principe delle tavole dei bresciani, è prodotto utilizzando le parti nobili e
pregiate. La parte magra viene tagliata a punta di coltello,
l’aglio non viene aggiunto direttamente, ma lasciato in infusione. Attualmente Fusari sta sperimentando il recupero
di un prodotto locale, la Ret. Si prepara a partire dai ritagli
più importanti e le carni vengono aromatizzate con salvia,
rosmarino, buccia d’arancia e di limone, vino, in questo caso Franciacorta Docg. Il preparato viene poi insaccato nella
vescica di maiale. Era un salume molto grosso che veniva
consumato nelle feste o durante la mietitura o la vendemmia, periodo in cui le famiglie contadine si attorniavano di
tante “braccia” per l’aiuto nei campi. È in progetto di crearne un Presidio Slow Food.
Stefano Masanti - Valchiavenna
«La sfida è ridurre il contenuto
di sale per esaltare le carni»
«Nasco da una famiglia di albergatori che precedentemente avevano un’osteria sul lago di Como. Mio nonno lavorava le carni di maiale per produrre i salumi da
servire in albergo e al ristorante», racconta Stefano
Masanti, chef chiavennasco d’adozione, prulipremiato e multifuzionale. Cosa l’ha portato ad entrare al
mondo della norcineria? Il fatto che il suo approccio
alla cucina nel corso degli anni si è sviluppato in molte direzioni, dalla pasticceria alla cioccolateria fino,
appunto, ai salumi. «Se vuoi migliorare qualcosa – afferma – devi averne il controllo. Mi
sono avvicinato all’arte della norcineria anche per passione. Per anni la
produzione era limitata al consumo
del ristorante, ma poi ha preso un’altra strada e ora è attività a sé. Alle
produzioni che faceva mio nonno, ho
aggiunto la bresaola, anzi brisaola,
come viene chiamata in Val Chiavenna». Masanti collabora con molti altri
ristoratori per la produzione dei salumi. Per quanto riguarda le brisaole,
si deve sapere che tradizionalmente si impiegavano carni provenienti
da bovini vecchi, non per scelta, ma
per necessità. Il bovino produce lat-
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te e lavora, trarre nutrimento dalle sue carni era l’ultimo utilizzo. Le carni bovine venivano conservate con
l’ausilio del sale.
Anche per Masanti, «l’apporto dato dagli chef professionisti al mondo della norcineria potrebbe consistere nel dare un taglio moderno ad alcune lavorazioni,
attraverso l’utilizzo di tecniche di cucina innovative,
rimanendo comunque rigidi e ferrei nelle lavorazioni».
Come per gli altri, una delle battaglie è quella contro
il sale, per questo sta facendo delle prove applicando
il sottovuoto, precisando in ogni caso
che «le carni già sono molto poco salate, ma vorremmo salarle ancora meno, in modo da snaturare il meno possibile la carne in lavorazione».
Vogliamo sfatare una credenza? Masanti rivela che «non necessariamente le razze italiane, come la Piemontese, sono tra le più adatte per la produzione delle brisaole, a causa delle
scarse infiltrazioni di grasso. Una razza molto adatta è invece ad esempio
la bavarese, di origine tedesca e che
sviluppa carni molto più marezzate.
La convinzione che la bresaola sia
magra rimane quindi un mito!».
NEWS
maggio 2014
Appuntamento il 25 giugno
all’Osteria del Vino Buono, in Città Alta,
con l’iniziativa di Alessandro Bottelli.
I brani musicali calibrati sul menù
di Lelia Parisi
CibArs, a Bergamo
debutta la musica da tavola
U
n tempo si chiamava Tafelmusik (musica da tavola),
quando Telemann deliziava i convitati con la sua ritmica
vivace e spigliata, con i suoi aggraziati “fingerfood” musicali da afferrare a suon di timpano, leggeri e fugaci.
Ed è proprio a questo genere che si è ispirato il bergamasco Alessandro Bottelli, già autore di performance
che incrociano poesia, arte e musica (tra cui l’operina
musical-gastronomica “Pasticcio al Museo” allestita
nella scorsa edizione di BergamoScienza), con il suo CibArs, il progetto che ripropone in chiave moderna l’idea
della musica composta appositamente per i banchetti,
declinandola nella forma di serate gastronomiche con
musica e lettura di testi inediti di natura alimentare,
“serviti” in abbinamento con il cibo. Una decina di brani
per pianoforte, flauto e clarinetto affidati a una compositrice d’eccezione nel panorama della musica classica
italiana, Teresa Procaccini. Un organico minimo, concepito per essere facilmente esportabile in ristoranti e
case private. Rispetto alla Tafelmusik, Bottelli ha introdotto degli elementi di novità per stimolare l’ospite, un
po’ come lo stuzzichino che vuole titillare le papille. In
CibArs, alla musica da tavola si affianca la lettura di poesie e prose in versi sul tema del cibo e del vino, piacevoli
intermezzi tra una portata e l’altra che si alternano alle
composizioni musicali, talora ironici e scherzosi, come
leggeri sorbetti di metà pasto, talaltra nostalgici, come
vini da meditazione. Autori, Maurizio Cucchi, poeta e critico di poesia della Stampa, Maria Luisa Spaziani, decana dei poeti contemporanei e amica di Montale, il poeta
Valerio Magrelli, solo per citarne alcuni.
Ad ospitare in anteprima l’iniziativa, che punta all’Expo
2015, l’Osteria del Vino Buono in piazza Mercato delle
Scarpe in Città Alta, dove il 25 giugno, alle 20, al costo
di 45 euro tutto incluso, si svolgerà la “prima” di CibArs (prenotazione obbligatoria entro il 18 giugno allo
035.247993 / 348.5112090).
«Tutte le musiche da tavola e i testi sono inediti - precisa Bottelli -, composti per l’occasione da poeti e narratori che hanno aderito alla nostra iniziativa, accettando
di rendere fruibili le loro composizioni in un contesto diverso da quello canonico del teatro o dell’auditorium».
Il menù viene studiato in base alle poesie disponibili,
selezionate da un paniere in costante lievitazione, per
l’adesione via via al progetto di nuovi autori. I brani musicali sono a loro volta calibrati sul tipo di menù.
«Una componente essenziale di CibArs - spiega Bottelli - è dar risalto all’idea di convivialità e di complicità
intorno al cibo. A tale scopo abbiamo anche ideato la
vendita, per chi lo desidera, di simpatici copricapo artigianali ispirati a frutti e ortaggi da indossare durante
la serata».
Come negli antichi convivi piacere della tavola, della musica e della poesia si fondevano all’interno di un’unica
cornice, anche questo progetto si propone di coinvolgere tutti i sensi, palato, vista e udito, «suscitando un
godimento che avvicini la gente a un “cibo” non troppo
frequentato come è quello della poesia e della musica
classica».
CibArs è una produzione di “Come un fior di loto”. I testi
sono recitati dalla lettrice-attrice Federica Cavalli.
Alessandro Bottelli
15
L’ELEZIONE
Parla il nuovo presidente del Consorzio Tutela Valcalepio
Medolago Albani: «Ecco
i tre pilastri del mio mandato»
I
l nuovo presidente del Consorzio Tutela Valcalepio è Emanuele Medolago Albani, produttore storico di Trescore, proprietario dell’omonima azienda di 55 ettari, di cui 25 di vigneto, che appartiene alla storia del Valcalepio sin dalle sue
origini e che rappresenta pienamente l’intera filiera produttiva. Ad eleggerlo, all’unanimità, è stato il nuovo Cda, riunitosi lo scorso 13 maggio dopo aver preso atto della rinuncia
del presidente uscente, Enrico Rota. “Mi dispiace dover declinare la mia ricandidatura” - ha dichiarato l’ex presidente
- ma motivi personali mi hanno portato a questa non facile
decisione. Tuttavia, ciò non mi impedirà di continuare ad essere parte attiva del Consorzio, una realtà nella quale credo
molto e per la quale spero di poter fare ancora tanto in futuro”. Nel corso della riunione, il Cda ha rinnovato l’incarico
al vicepresidente uscente, Giovanni De Ferrari che si è detto
ben disposto a continuare nel suo compito di affiancamento
al ruolo presidenziale. La prima proposta ufficiale del nuovo
presidente è poi stata quella di nominare il Comitato esecutivo, il braccio operativo del Consorzio e del Consiglio di Amministrazione. I due nomi proposti da Medolago Albani per
affiancarlo in questo incarico decisionale e dirigenziale sono
stati Enrico Rota e Giovanni De Ferrari; nomi che il cda ha ratificato. Medolago Albani si è detto pronto a farsi carico “di
un ruolo così importante”. “Sono consapevole - ha aggiunto
- del bagaglio di responsabilità che questa carica porta con
sé. Sono certo che proseguiremo con forza e convinzione
sul percorso tracciato dal precedente consiglio nel corso del
triennio appena conclusosi. Lavoreremo insieme per un bene comune che è quello del nostro vino, il Valcalepio, e del
nostro territorio in un’ottica di grande collaborazione con le
istituzioni e gli enti di Bergamo e provincia”. Medolago Albani ha ringraziato il presidente uscente “per il prezioso lavoro
svolto nel corso dei suoi tre anni di governo del Consorzio”
e ha dato il “benvenuto ai 4 nuovi consiglieri, persone giovani e attive che simboleggiano la volontà e l’impegno del
Consorzio di muoversi verso il futuro nell’ottica di un rinnovamento generazionale”. “Nei prossimi tre anni - ha poi cocnluso - continueremo con entusiasmo a lavorare sul percorso
già intrapreso dal precedente consiglio di amministrazione.
Con la presidenza precedente condividiamo i valori fondamentali alla base del nostro lavoro di tutela e promozione
del vino di Bergamo, il Valcalepio. Tre saranno i pilastri fondamentali del nostro lavoro nel prossimo triennio di governo: l’importanza della comunicazione e dei nuovi media, la
collaborazione e la sinergia con gli enti e le istituzioni del territorio e la messa in pratica dell’Erga Omnes”.
Il nuovo presidente del Consorzio Tutela Valcalepio, Emanuele Medolago Albani (a destra) con Enrico Rota
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IL PRODOTTO
maggio 2014
Gelato,
un piacere
che si rinnova
di Anna Facci
A Bergamo le gelaterie sono in crescita trainate dalla città. Non è un settore
immune dalla crisi, che si fa sentire accelerando il ricambio delle gestioni
ed alzando il livello della competizione. Il prodotto è però versatile e si presta
a nuove ricette, comprese quelle per i cani
P
are che di gelato non ce ne sia mai abbastanza. I dati della Camera di commercio confermano la tendenza intuibile
passando mentalmente in rassegna le
nuove aperture in centro città: il numero
delle gelaterie è in costante crescita. Nel
giro di poco più di due anni, dalla fine del
2011 al marzo 2014, se ne contano ben
dieci in più. Sono passate da 33 a 43,
con un aumento del 30%, e solo nel primo scorcio d’anno il saldo è salito di due
unità. Il capoluogo è il principale artefice
dell’incremento delle attività in Berga-
masca, passate da 242 a 264 (+22, pari
al 9%, che significa 12 insegne in più in
provincia). La gelateria è quindi un settore capace di resistere alla crisi? Il presidente del Comitato Gelatieri dell’Ascom
Massimo Bosio preferisce andare più in
là dei numeri, evidenziando accanto alla crescita l’alto turn over delle imprese,
«che non è mai stato così rapido come in
questi tempi». «La gelateria è vista come
un’attività semplice da avviare e gestire – rileva – complici anche soggetti del
mercato che promettono un locale chiavi
in mano senza grossi investimenti iniziali, nemmeno in formazione! In realtà non
è così e anzi, proprio la crisi ha alzato il
livello della competizione rendendo ancor più importante fare bene il proprio
mestiere». Sgombrato il campo dall’improvvisazione, «che però danneggia tutto il settore», il gelato può continuare ad
essere fonte di ispirazione per i gelatieri
e regalare nuove suggestioni ai golosi di
tutte le età, come dimostrano le tre esperienze che vi raccontiamo, tutte tra l’altro
caratterizzate da un tocco femminile
Da Giò - Chiuduno
A tutte le intolleranze
ci ha pensato il farmacista
Non poteva che avere un taglio squisitamente salutistico la gelateria aperta a
Chiuduno da Giorgio Brunelli, farmacista
da oltre vent’anni, che accanto alla passione per le preparazioni galeniche coltiva
il piacere per l’enogastronomia e del fare
dolci. Al resto ci ha pensato la compagna
- e socia nell’attività - Francesca Gelmi,
esperta in marketing e comunicazione,
che ha avvalorato con le proprie competenze l’impostazione del locale, con l’aggiunta della personale attenzione al bioloFrancesca Gelmi
gico e agli animali. Inaugurato il primo giorno di primavera di quest’anno, “Da Giò”,
piccolo locale solo per l’asporto sulla strada provinciale, si presenta come “il gelato
che fa bene” per l’attenta selezione delle
materie prime, la messa al bando di ogni
additivo e l’offerta di prodotti per chi ha
precise esigenze alimentari. Tra i 22 gusti
sono infatti sempre presenti 6/7 opzioni,
tra quelle a base di riso o soia, pensate
per chi è intollerante al lattosio, dolcificate
con stevia per i diabetici e sorbetti con il
17
IL PRODOTTO
60% di frutta biologica, ideali per i vegani, oltre ai coni senza
glutine confezionati singolarmente, per i celiaci. «È il punto di
vista del farmacista – racconta Francesca Gelmi – che ci ha
portato ad individuare questo target, di certo una nicchia, ma
in crescita e soprattutto non ancora sufficientemente preso
in considerazione dall’industria dolciaria». La gelateria vuole
così offrire la possibilità anche a chi ha problemi di salute di
godersi un goloso momento di relax, ma pure chi non deve fare i conti con particolari prescrizioni dietetiche potrà trovare
attenzione alla salubrità del prodotto. «Tutto il nostro gelato –
spiega – è privo di emulsionanti, stabilizzanti di sintesi, grassi vegetali idrogenati, aromi artificiali e coloranti. Ciò è possibile
grazie all’utilizzo di uno speciale
micronizzatore e di un sistema
di refrigerazione ad hoc che consente di esaltare la naturalità
senza rinunciare alla cremosità
tipica del gelato. E poi c’è la scelta degli ingredienti. Usiamo, ad
esempio, solo zucchero di canna
e zucchero d’uva e andiamo alla
ricerca di materie prime di eccel-
lenza come i grandi cru di cacao, la frutta fresca biologica, le
nocciole del Piemonte e i pistacchi siciliani. Le ricette sono
messe a punto con la collaborazione di un maestro gelatiere
e realizzate dal nostro personale». Insomma, attenzione alla
salute non vuole dire meno gusto, anzi, «semmai sapori più
nitidi e minore pesantezza – sottolinea Francesca -, senza trascurare il lato gourmand, con creazioni golose, né l’aspetto
divertente e colorato di coni e coppette». I bambini possono
stare tranquilli, quindi, troveranno il gelato di Peppa Pig, rosa
per l’impiego di fragole bio. Da Giò ha pensato anche alla salute dei cani creando la speciale dog cup con un gelato senza
zucchero e altamente digeribile a base di latte di riso. «Una
proposta che qualcuno potrà considerare eccessiva – ammette la titolare -, ma i dati di fatto sono due, che il gelato tradizionale è dannoso per i cani, soprattutto perché provoca la carie,
e che la spesa per gli animali da compagnia, insieme a quella
per la cura di sé, è l’unica in aumento in un periodo di crisi generale come questo. Si potrà anche non essere d’accordo ma
è un segno inequivocabile dei cambiamenti sociali in atto».
Sono del resto gli stessi amici a quattro zampe a confermare
il gradimento. Alcuni di loro, infatti, hanno imparato la strada
e durante le passeggiate tirano con decisione verso la porta
della gelateria. Via Cesare Battisti 55
Latteria igienica La Vaniglia - Bergamo
Ogni cliente
può creare il suo gusto.
Anche con latte di asina
Un locale dedicato alle tante forme del latte. Vaccino,
di bufala, di capra e persino di asina, in veste di gelato artigianale, ma anche di latte sfuso, panna, yogurt,
burro, ricotta. Questo è la “Latteria igienica La Vaniglia”, l’insegna con cui fanno il bis Giuseppe Arcifa e
la moglie Valbona Collaku, che tre anni fa hanno aperto in via Pignolo a Bergamo la caffetteria torrefazione
“La Chicca”. Il nuovo progetto vede la luce proprio in
questi giorni nella stessa via, poco distante, al numero
50, al termine di una fase di studio e messa in opera
durato più di un anno e mezzo, che per il nome e l’idea di fondo ha tratto ispirazione da un’insegna storica
genovese, città d’origine di Arcifa. «Il gelato preparato
nel laboratorio a vista è il cuore dell’attività – racconta
Sonia Rota, la gelatiera -, ma nel punto vendita mettiamo a disposizione anche i prodotti dei nostri fornitori,
come la gamma dei latticini freschi e le uova da galline
allevate a terra, sottolineando la nostra scelta locale e
18
Sonia Rota
di qualità». Mentre il mondo del gelato si arrovella alla ricerca di ingredienti insoliti e abbinamenti innovativi, qui la differenza è fatta dal latte stesso. Bufala, capra ed asina, oltre ad essere più digeribili e quindi più
interessanti per chi ha problemi con il latte vaccino,
aprono nuovi orizzonti al palato. «La particolarità della
proposta ci impone di limitare i gusti, in modo da offrire prodotti sempre freschi – sottolinea Sonia Rota -. A
disposizione ce n’è una decina, ma la rotazione è continua e poi ci sono granite siciliane, yogurt e panna».
Solo il gelato con latte di asina viene preparato esclusivamente su prenotazione, visto l’alto costo del latte,
che è possibile anche acquistare sfuso. «Più che sul
passaggio – spiega – puntiamo a stringere un rapporto
diretto con i clienti offrendo la possibilità di creare per
ciascuno il gelato su misura. Prontissimi, ad esempio,
a preparare un gelato con la cassetta di frutta raccolta
dal cliente delle piante del proprio giardino o a realizzare
maggio 2014
un gusto su sua indicazione. Non ci
avvaliamo di semilavorati industriali,
facciamo tutto in proprio e questo ci
dà la possibilità di spaziare ampiamente. Il gelato, infatti, si può fare
con qualsiasi cosa se si hanno le
competenze adeguate», rimarca la
gelatiera, diplomata alla Scuola italiana di gelateria di Perugia. Per il
latte d’asina, ricercato perché il più
simile a quello materno e con notevoli proprietà nutritive, ma difficilissimo da ottenere, La Vaniglia fa riferimento a Mario Pucci, veterinario
e vero esperto in materia, che ha un
allevamento ad Albino. Anche per le
altre materie prime la priorità è per
prodotti vicini, stagionali e di qualità,
con “nomi e cognomi” delle aziende
che, all’insegna della trasparenza,
saranno segnalati nel locale.
Via Pignolo 50
*
Fonte: Camera di Commercio di Bergamo
* dati al 30 marzo
Il Bianconiglio – Bergamo
Stupire gli ospiti
con i gelati gastronomici in vasetto
Le idee non mancano a Silvia Lombardoni, 29 anni, laureata in Beni culturali
e guida turistica che di fronte alle prospettive poco stabili della professione
ha scelto di dedicarsi «a qualcosa di
più concreto». Al Villaggio degli Sposi,
a Bergamo, ha aperto tre anni fa la gelateria Il Bianconiglio, dove lei – dopo
l’Università del gelato della Carpigiani
e la gavetta in un laboratorio - è l’addetta alla produzione e il papà, in un
curioso scambio di ruoli rispetto alla
consuetudine, si occupa della vendita.
Lo scorso autunno, per vivacizzare la
stagione invernale, ha lanciato dei gelati gastronomici racchiusi in vasetti di
vetro a mo’ di conserva: “ceci e olio di
oliva aromatizzato al rosmarino” e “robiola e pepe rosa” le due ricette. Con
l’estate rinnova la curiosità proponendo “taleggio variegato con salsa alle
pere” e “zafferano con pistacchi tritati”. «Sono pensati per portare un tocco
di novità in tavola – afferma -, per l’aperitivo o in accompagnamento ad un
antipasto di salumi, ad esempio. Ne
può bastare qualche cucchiaino per
stupire gli ospiti». «Li abbiamo presentati nel corso di un evento e sono piaciuti – ricorda –, nella scelta del gelato
però prevalgono sempre e comunque
i sapori classici e i gelati gastronomici
restano per pochi». Più successo hanno i gusti che, pur innovando, si discostano poco da quelli tradizionali, come quello che ha chiamato Winnie the
Pooh, una stracciatella ma con gelato
al caramello, o Sweet Vanilla con biscottini speziati sciolti nella miscela.
Con la bella stagione riprende anche
la produzione del gelato per i cani, al
riso, con pochi grassi e solo fruttosio,
collegata ad un’iniziativa a sostegno
degli animali: parte del ricavato della vendita della coppette viene infatti
destinato all’associazione “Io cammino con fido”. Di “fresca” introduzione
il caffè shakerato, ossia un frappè di
gelato alla nocciola ed espresso lungo guarnito con cacao in polvere e topping al cioccolato, e le brioches che
arrivano direttamente da Catania da
farcire con il gelato. «Non sono per la
novità a tutti i costi, oltre all’idea deve
sempre esserci la sostanza di un prodotto fatto con gli ingredienti migliori
– precisa Silvia -. Inserire un gusto o
una proposta diversa dal solito serve
però ad incuriosire, è uno spunto per
raccontare ciò che facciamo». E con
realismo traccia un bilancio della svolta che ha dato alla sua carriera. Non
è la favola imprenditoriale che spesso
ci si immagina, in cui bastano buone
idee, competenze e voglia di fare per
afferrare il successo. «Le soddisfazioni non mancano – dice -, ma anche fatica, sacrifici e problemi, dal far quadrare i conti alla burocrazia, alla sicurezza». Via alle Cave, 3/5
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IL RISTORANTE
di Lelia Parisi
Il locale di Bossico, guidato
da Bruno Arrighetti e dalla sorella Federica,
punta sulla tradizione grazie agli ingredienti
originari della zona, dalla patata bianca
alle erbe selvatiche
Bruno Arrighetti con la figlia Chiara e la nipote Ornella
(a destra), figlia della sorella Federica
B
Ristorante Miralago,
nei piatti i profumi
dell’altopiano
ossico è così. Ti prende o non ti prende. Si impone, lo subisci, con la sua ruvidezza parlata, le sue rozze aspirate, gli altipiani che ti catapultano a bruciapelo in vertiginose vedute
aeree sul lago, le pinete che ti risucchiano nel silenzio immobile dei suoi colli. Paese ritroso e introverso, ma al tempo stesso generoso, di quella generosità un po’ tiranna dei
bambini che nega e concede, Bossico conserva un non so
che di arcaico, un margine d’ombra che resiste alle parole.
È come se l’esprimerlo lo violasse, allo stesso modo in cui il
portar fuori i prodotti dal recinto in cui son nati equivale per
un bossichese a toglier loro l’anima. Da qui una certa naturale reticenza, che ha fatto sì che i giacimenti gastronomici
di Bossico siano rimasti a lungo al riparo da occhi (e palati)
estranei. Forse anche perché mai effettivamente considerati come merce di scambio, ma cose dotate di vita propria,
“sedi distaccate” di chi vi ha lasciato dentro parte di sé, la
fatica delle braccia, le ore rubate al sonno. Oggi a sgretolare
questa reticenza ci ha pensato la Pro loco del paese con iniziative come il Borgo turistico diffuso, nate per valorizzare i
prodotti del territorio. Ma ancor prima, ci ha pensato uno dei
IL GIUDIZIO
AMBIENTE
Il Miralago nasce sulle fondamenta dell’iniziativa di papà Angelo, che
all’attività di affittacamere, avviata
nel 1948, affianca in seguito la ristorazione. Nei primi anni Ottanta il testimone passa ai figli Bruno e Federica, che avviano una serie di ristrutturazioni dotando l’hotel di comfort degni di un centro turistico altoatesino:
25 camere molto curate e un ultimo
piano multifunzionale dedicato a tutti gli ospiti, provvisto di solarium, con
vista aerea mozzafiato sul lago d’Iseo, uno specchio obliquo che si incunea tra le montagne, circumnavigando Montisola e puntando a sud. Racconta Bruno: «Il circuito di internet
con Trip Advisor ci ha portato molti
20
clienti. Mantenere elevati standard
di qualità a prezzi concorrenziali ci
ha consentito di attrarre i turisti, anche in una località periferica come la
nostra, facendo conoscere il nostro
territorio e i suoi prodotti». Nella bella stagione, in alternativa alla grande
sala ristorante interna, si può pranzare e cenare all’aperto, circondati
dal bel giardino fiorito con fontana,
dove vengono allestiti anche banchetti, per un totale di 120 coperti.
CUCINA
La cucina del Miralago è uno specchio del paesaggio che la circonda.
Un paesaggio caratterizzato da una
forte insolazione che ne esalta i prodotti e da una tradizione di alleva-
mento bovino e ovino favorita dall’isolamento geografico a cui il paese
è stato soggetto fino a non molti decenni fa, con produzioni casearie e
carni (soprattutto agnello) di ottimo
livello e con una loro particolare fisionomia. A dare al Miralago la sua
impronta sono anche i prodotti spontanei del territorio, come porcini ed
erbe selvatiche, le colture agricole e
orticole, come il mais della vicina Cerete, la rinomata patata di Bossico
utilizzata per impastare l’ottimo pane casereccio o servita come contorno di carni e salumi bolliti, o il paruk,
la santoreggia (usata nel risotto) e il
timo selvatico, erbe che Bruno raccoglie sugli altipiani o coltiva nell’orto.
Non mancano, a intervallare le spe-
maggio 2014
suoi abitanti più intraprendenti, Bruno Arrighetti dell’Hotel Ristorante Miralago insieme
con la sorella Federica,
sfruttando come viatico
per promuovere le specialità “a diffusione geografica limitata” di Bossico anche le
potenzialità di internet (tra cui il portale
Trip Advisor). Chef di esperienza solida (racimolata all’Alberghiera di Bellagio, all’Hotel Zingonia e al Ristorante Moro di
Bergamo), norcino per passione e tradizione familiare, è riuscito nella non facile impresa di conciliare il vecchio che
resiste e il nuovo che avanza. Basta entrare nella cucina del
Miralago per vedere come gli ingredienti base della sua tavola originino dagli altipiani di Bossico e ne mantengano integra tutta l’alchimia, potenziata dall’arte maturata da Bruno nei lunghi anni ai fornelli e nel costante confronto con gli
altri chef. Patata bianca di Bossico (usata nell’impasto del
pane casereccio cotto nel forno a legna), erbe selvatiche,
rape di Bossico, porcini di castagno, tartufo scorzone, carni
d’agnello di razza gigante bergamasca, l’introvabile salame
(inutile qualsiasi voto di scambio con i locali per cercare di
entrarne subdolamente in possesso), lardo, soppressa, salsicce, formaggelle e ricotte vaccine nostrane. «La forte insolazione dovuta all’esposizione a sud degli altipiani di Bossico - spiega Bruno - favorisce la crescita di una straordinaria
varietà di specie vegetali che spiegano la ricchezza di aromi
del latte delle nostre mucche di razza bruna alpina e quindi
dei prodotti caseari». Tradotto nel linguaggio mangereccio,
primi che ti guardano dritti negli occhi con i loro sapori pieni e senza compromessi. Risotto con formaggella di Bossico e porcini, tortelli con ripieno di spinaci selvatici e ricotta
vaccina, la tipica pasta con formaggella e salsiccia, il raviolo
aperto con porcini e crema al parmigiano, i casoncelli nella
cialità locali, piatti meno “ortodossi”, come le tagliate di fiorentina o
la paella.
CANTINA
Sono una sessantina le etichette in
carta, concentrate perlopiù nelle regioni del centro-nord, dal Piemonte
alla Valtellina, dalla Toscana al Friuli con discreta offerta di Valcalepio e
Franciacorta. Buoni i ricarichi.
SERVIZIO
Quella del Miralago è un’attività a
conduzione familiare, con Bruno ai
fornelli e la sorella Federica a dirigere la sala, ottimamente coadiuvata
dalla nipote Chiara, figlia di Bruno,
e dalla figlia Ornella, entrambe gio-
versione locale epurata dalle note dolci, con ripieno di carne e pasta di salame. Mentre tra gli antipasti da gustare è
il celebre salame bossichese, che Bruno, figlio e nipote di
norcini, continua a produrre, insieme a pancetta, soppressa e musetti, grazie alla staffetta generazionale. Speziato
con pepe, chiodi di garofano e cannella e aglio macerato nel
vino come faceva il nonno paterno, si presenta molto profumato all’olfatto e dolce al gusto, servito con funghi e polenta di farina integrale della confinante Cerete. Un’antica
specialità bossichese da non perdere per chi vuole avventurarsi in gusti d’antan è la bergna, la carne di pecora stesa
sui ballatoi di legno ad essiccare al sole che qui non tramonta mai (solo su ordinazione e secondo disponibilità). Tagliata sottile, viene condita con aceto aromatico per smussare
il lieve gusto selvatico. Altre specialità sono il coniglio alla
bergamasca, fatto macerare nel vino rosso con porri e cipolle, il tenerissimo agnello nostrano al forno con aromi misti dell’orto, la soppressa che Bruno prepara con impasto
di salame e lingua e guanciale nella parte centrale, servita
bollita con patate di Bossico, la guancia di vitello al Valcalepio, la porchetta e il cosciotto di vitello arrosto, musetto con
spinaci e polenta. Il capitolo dolci si apre su tentazioni tutte
fatte in casa, come le millefoglie di fragole con crema chantilly (consigliata all’intera tavolata per non doverla poi condividere con gli altri commensali), torte di mele, crostate di
frutta, crème brûlée al pistacchio e una curiosa zuppetta di
frutta e verdura con gelato. Onesti i prezzi, alla carta 30-35
euro, 20 euro il menù del pranzo domenicale, vini esclusi.
ALBERGO RISTORANTE MIRALAGO
via 4 Novembre 12 - Bossico (Bg)
tel. 035.968008
chiuso: lunedì sera
e martedì; in estate sempre aperto
vanissime. Cortese ed efficiente il
servizio.
ESPERIENZA
Dopo l’alberghiera a Bellagio, Bruno
colleziona alcune esperienze in ristoranti vari, ma ben presto il richiamo delle origini lo riporta a Bossico,
dove i tempi son maturi per rilevare,
insieme a Federica, l’attività di ristorazione e accoglienza avviata a suo
tempo dal padre. Benché la cucina
del Miralago sia prevalentemente incentrata sui piatti della tradizione locale, Bruno ama anche il confronto
con altre scuole di pensiero, aprendo alla rivisitazione e alleggerimento
di molti piatti che nella loro versione originale faticherebbero a trovare
oggi il favore di ogni
stomaco. E quindi
bando all’uso di grassi,
impiego di solo olio di oliva
biologico, cotture lente e rosolature
delle carni per eliminare i grassi in
eccesso, ampio uso di ortaggi.
Pane di patate, pasta fresca e dolci
fatti in casa completano l’impronta
casereccia del Miralago.
RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO
Buono il rapporto qualità/prezzo sia
alla carta sia, in particolare, nel menù del pranzo domenicale, a 20 euro, bevande escluse, che prevede un
primo a scelta tra due proposte della carta, un secondo, dolce e caffè.
Gradita la prenotazione.
21
IL CASO
di Leo Bartoli
Diversi produttori bergamaschi chiedevano l’inclusione nella Dop,
istituita nel marzo scorso, che resta un “affare camuno”.
Ai bresciani non è piaciuto il “coup de théâtre” orobico.
Ma in Val di Scalve non si arrendono
FOTO ANDREA BESANA
N
22
Formaggi, i ribelli del Silter
on si arrendono. Non ne
hanno nessuna intenzione
i produttori bergamaschi,
anche se i cugini bresciani
hanno chiuso loro le porte
in faccia. La Dop, per chi
conosce il Silter, particolarissimo formaggio a pasta semicotta, semigrasso, generalmente ottenuto
miscelando il latte parzialmente scremato delle due
mungiture giornaliere, per
ora resta solo un “affare
camuno”. Così ha deciso
il consorzio di Tutela, rigettando la domanda di alcuni produttori orobici della
Val di Scalve e di alcuni Co-
muni del Sebino (Rogno,
Costa Volpino, Songavazzo), fino a Castione della
Presolana, aiutati nell’iter
dalla Provincia di Bergamo.
E così si legge nella Gazzetta Ufficiale del 14 marzo, che dava il via libera al
marchio.
“Nessun problema, noi
continueremo a fare il nostro prodotto, come abbiamo sempre fatto, chiamandolo Nostrano”, spiegano
i produttori bergamaschi,
che ad oggi vedono svanire
per la Bergamasca la “Decima”, ovvero la Dop numero 10 sul fronte caseario,
che avrebbe rafforzato il
primato nazionale che già
detengono (sono a quota
9, con l’ingresso appena
ufficializzato anche a livello
europeo, dello Strachitunt).
Al di là della produzione casearia similare tra territori confinanti, in via Tasso
avevano anche pensato al
ricorso perché alcune superfici foraggere o anche
molti pascoli del territorio
scalvino vengono condotte
e gestite da allevatori camuni risiedenti nei comuni
confinanti, “pertanto parte del foraggio che entra
nell’alimentazione del be-
stiame per destinare il latte al Silter è di provenienza
della valle di Scalve”. Oltre
a questa componente non
trascurabile, c’è tutta una
storia che accomuna i due
territori, se si pensa che
anche nel dialetto scalvino
il termine “silter” abbia lo
stesso significato di quello
camuno, ovvero “cantina di
stagionatura”.
Ma c’è di più. A Schilpario
opera un’azienda agricola, quella dei Fratelli Spada, che nel suo caseificio
produce un formaggio con
le stesse caratteristiche
del Silter (unica differen-
maggio 2014
za: crea le sue forme grandi circa la metà rispetto a
quelle camune (anche se in
anni passati si realizzavano forme dalle dimensioni
previste oggi dal disciplinare del Silter). E’ poi fondamentale segnalare come
la lavorazione casearia di
latte totalmente spannato
per affioramento sia la caratteristica distintiva della produzione degli Spada:
esattamente come quella
che caratterizza ed identifica la produzione di “Silter”.
Evidentemente al Consorzio bresciano capitanato da
Andrea Bezzi non è piaciuto
il “coup de théâtre”, con cui
i produttori bergamaschi si
sono presentati, proprio in
zona Cesarini, all’audizione
di Breno per la presentazione pubblica del Disciplinare, un po’ come era avvenuto con il blitz (anch’esso
respinto con perdite) dei
produttori della Valsassina
quando tre anni fa a Taleg-
continuare a fare il Nostrano, anziché chiamarlo Silter, non cambia un granché
- afferma Fiorino Spada, che
con il fratello Tomaso è titolare dell’azienda di Schilpario -: però se si ragiona sulle
modalità di produzione, sui
foraggi utilizzati, sulla tradizione che risale ai miei nonni e persino sull’affinamento, vorrei proprio sapere
perché il nostro formaggio
non ha le carte in regola per
entrare nella zona prevista
dal Disciplinare”. Forse in
questa fase, ai fratelli Spada, per poter presentare il
ricorso è mancato l’appoggio della Latteria Sociale
della Val di Scalve, già nota
per la sua formaggella che
vinse anni fa la medaglia
alle Olimpiadi internazionali del Formaggio e che per
il momento in questa vicenda, preferisce restare alla
finestra. Luciano Bettoni,
figura storica della cooperativa scalvina, non esclu-
Da sinistra: i fratelli Fiorino e Tommaso Spada
gio venne presentato l’atto
pubblico dello Strachitunt.
Di sicuro, alla vigilia dell’Expo, il malcostume delle disfide casearie intestine è
un leit motiv sempre di moda tra Bergamasca e province confinanti: non solo per
lo Strachitunt tra produttori
di montagna (che poi hanno
incassato la Dop) e quelli
di pianura, ma anche per
il doppio marchio del Bitto,
o ancora per il doppio consorzio del Branzi. “Per noi
de però nulla per il futuro:
“Sappiamo tutti che i pascoli e i foraggi della Val di
Scalve sono legati a doppio
filo con il Silter. Vedremo
cosa accadrà in futuro. Magari una Dop piccola avrà
bisogno del sostegno anche dei territori confinanti
per fare massa critica, per
cui nei prossimi anni non si
può escludere che la zona
di produzione, prevista oggi
dal Disciplinare, possa anche venire allargata”.
DAL 24 MAGGIO ALL’8 GIUGNO
Torna “Erbe del casaro”,
testimonial Raspelli
È giunta ormai alla sua quinta edizione la rassegna gastronomica e culturale Erbe del Casaro che anima gli undici
paesi di Altobrembo: Averara, Cassiglio, Cusio, Mezzoldo,
Olmo al Brembo, Ornica, Piazza Brembana, Piazzatorre,
Piazzolo, Santa Brigida e Valtorta. Tre weekend consecutivi, dal 24 maggio all’8 giugno, saranno dedicati ai prodotti
e alle tradizioni gastronomiche della Valle Brembana con
un programma di iniziative e appuntamenti culinari mirati
alla valorizzazione di erbe spontanee, formaggi brembani
e vini della Bergamasca. Ristoranti, aziende agricole e vari
operatori di Altobrembo metteranno in mostra le ricchezze
gastronomiche della Valle, frutto di cultura, saperi e tradizioni del territorio e delle sue genti. Il primo fine settimana
presenta uno degli eventi di punta di Erbe del Casaro: il 24
maggio, ad Averara, si terrà “Formaggi di…vini”, un percorso di altissima qualità che permetterà ai visitatori di scoprire e degustare le eccellenze casearie della Valle Brembana
in abbinamento ai vini
della bergamasca, con
la presenza di aziende
agricole e consorzi di
produzione, il tutto in
una location di grande
fascino lungo la via Mercatorum. Il 31 maggio e
il 1° giugno, a Piazzolo,
sarà di scena “Erbolandia…e la Mostra di piante e erbe
spontanee della Valle Brembana”, mentre il giorno successivo toccherà ad “Abbinamenti in natura”, degustazione di
formaggi e birra alla Località Ponte dell’acqua di Mezzoldo.
L’ultimo weekend ospiterà il testimonial ufficiale, Edoardo
Raspelli, critico gastronomico e conduttore di Melaverde.
Il 7 giugno sarà presente a Piazza Brembana in occasione
della presentazione del libro di ricette “Altobrembo emozioni di sapori” e del percorso gastronomico “Alla scoperta
degli antichi sapori”, un itinerario di degustazione di ricette
e prodotti tradizionali lungo la via storica del paese. La sera dello stesso giorno, a Piazzatorre, Raspelli presenterà il
film “La mia Terra, la mia Gente” di Baldovino Midali, lavoro
che valorizza il territorio locale, la sua gente e le sue risorse. L’8 giugno presenzierà al “Salone dei Formaggi Brembani e dei Vini della Bergamasca” in cui la qualità dei formaggi
D.O.P. e i Presidi Slow Food della Valle Brembana incontra
la pregevolezza dei vini della bergamasca: un’occasione
esclusiva in cui scoprire i consorzi, le aziende di produzione
e le squisitezze della terra di Bergamo e partecipare all’appuntamento “Esperienze di vita e lavoro in montagna”. In
occasione di Erbe del Casaro sarà anche allestita una mostra fotografica “La vegetazione spontanea nella Bergamasca”, dal 31 maggio all’8 giugno, all’Infopoint di Olmo al
Brembo. Inoltre, i ristoranti di Altobrembo proporranno menu a tema a base di erbe spontanee e formaggi per esaltare i gusti e i sapori protagonisti di questa rassegna.
23
SCENARI
di Giordana Talamona
Latte,
l’incertezza
prende “quota”
N
Il primo aprile del 2015 cadranno le controverse soglie che hanno regolato
il mercato europeo negli ultimi trent’anni. Difficile per gli operatori
del comparto lattiero caseario fare previsioni,
tra il timore che il made in Italy soffra per l’arrivo di prodotti a prezzi
più bassi e le maggiori opportunità offerte dall’export
on solo non hanno accontentato nessuno, ma hanno anche
fallito nell’obiettivo di tenere stabile il prezzo del latte in Europa. Col primo aprile 2015 le quote latte andranno definitivamente in pensione, ma l’incerta reazione dei mercati a
questo cambiamento sta facendo tremare i polsi a più di
un produttore. Molto rumore per nulla, secondo Assolatte,
l’associazione che rappresenta le industrie attive in Italia:
con l’abolizione delle quote latte ci sarà un leggero aumento della produzione media europea che non dovrebbe sconvolgere gli equilibri esistenti. «I Paesi che aumenteranno la
produzione di latte saranno Polonia e Ungheria, mentre negli altri Stati europei non si registreranno degli incrementi
considerevoli rispetto alla situazione attuale – ci fanno sapere da Assolatte -. Sarà il mercato a regolare il prezzo, come di fatto è avvenuto in questi anni. Nonostante la regola-
mentazione delle quote latte, infatti, il prezzo ha continuato
a oscillare, condizionato spesso da necessità contingenti di
altri Continenti». Secondo le previsioni, in Italia la produzione salirà leggermente, ma senza alcuno stravolgimento per
le aziende e il mercato interno. «Al momento l’Italia copre
il 54% del fabbisogno lattiero interno. Con l’abolizione delle quote latte riusciremo a salire, forse, al 56-58%, ma non
oltre perché ci sono degli oggettivi limiti territoriali ed economici». I già numerosi allevamenti intensivi e la Direttiva
Nitrati (91/676/CEE), che regolamenta l’utilizzo agronomico dei reflui degli allevamenti limitandone le aree, faranno il
resto. «Non si può dire che tutto cambierà dal primo aprile
2015, né tantomeno come. La fluttuazione del prezzo sarà condizionata dal mercato globale, com’è già avvenuto in
questi anni», conclude Assolatte.
LE QUOTE LATTE
Sono state introdotte nel 1984 per
evitare che l’eccessiva produzione
di latte provocasse un conseguente
crollo dei prezzi, attraverso una regolamentazione annua di soglie non
superabili, pena multe salatissime.
Il nostro Paese in questi anni ha pagato multe per oltre 4 miliardi di euro. Nei primi anni della normativa l’Italia si è accollata sanzioni per 1,8
miliardi di euro, cancellando il corrispettivo ai produttori di latte. Nel
1996-97 a fronte di nuove multe, ri-
24
chieste questa volta direttamente ai
produttori, sono nati i Cobas del Latte che per protesta sono arrivati a
bloccare le strade di accesso all’aeroporto di Linate per una settimana.
Col primo aprile 2015 il regime delle
quote latte lascerà il posto al “Pacchetto Latte”, approvato nel marzo
scorso, con il Reg. 261/2012, dopo tre anni di discussione. Le novità
introdotte dal pacchetto latte sono
le relazioni contrattuali con contratti scritti tra produttori di latte e tra-
sformatori, la possibilità di negoziare collettivamente le condizioni contrattuali attraverso le organizzazioni
dei produttori, le norme specifiche
per la costituzione e il funzionamento delle organizzazioni interprofessionali e la programmazione dell’offerta dei formaggi Dop e Igp. Queste
misure rimarranno in vigore fino al
2020 per permettere ai produttori
lattieri di prepararsi all’abolizione
delle quote e migliorare la loro organizzazione.
maggio 2014
Confagricoltura Bergamo
«LE DOP CASEARIE
POSSONO SALVARE
I NOSTRI ALLEVATORI»
È pressoché impossibile sapere con certezza come reagirà
il mercato dopo l’abolizione delle quote latte. Gli analisti si
sperticano in previsioni che, di fatto, dopo due giorni entrano
in conflitto con nuove ipotesi. Tutto è vero, come il contrario.
D’altra parte la complessità del mercato globale non può che
aprire decine di finestre sul futuro del comparto lattiero caseario italiano ed europeo. La dipendenza sensibile alle condizioni iniziali rende vera l’ipotesi che «se una farfalla batte le ali»
in Australia, gli effetti si sentiranno anche in Italia. «Il rischio è
che, in assenza di un regime come quello delle quote latte, la
produzione europea aumenti sensibilmente portando a una
contrazione del prezzo del latte al litro – spiega Dario Vitali, vicepresidente di Confagricoltura Bergamo e responsabile del
comparto latte –. D’altra parte altri fattori contrasterebbero
con questa ipotesi, aprendo scenari diversi. In Italia e nel resto d’Europa, soprattutto nelle regioni a classica vocazione
lattiera come Germania, Francia e Olanda, il fattore ambientale gioca un ruolo determinante che contrasta sensibilmente con l’ipotesi di un aumento significativo della produzione,
per lo meno nel breve periodo». La Direttiva Nitrati (91/676/
CEE), che regolamenta l’utilizzo agronomico dei reflui zootecnici, limita di fatto i progetti di incremento produttivo. «Questi
limiti farebbero pensare che non sia poi così facile aumentare la produzione in modo indiscriminato, senza contare che
occorrerebbero importanti investimenti per poterlo fare – prosegue Vitali –. A livello italiano ed europeo, dunque, il fattore
economico inciderà enormemente, tenuto conto che negli ultimi anni il prezzo del latte è andato decisamente al ribasso,
salvo l’ultimo anno. In Italia e in Europa siamo su prezzi che,
facendo una media per periodi di sei mesi o un anno, sono
equiparabili a quelli di dieci, quindici anni fa». Anche per questo, a fronte di un’oscillazione negativa del prezzo del latte, le
aziende che avrebbero potuto investire capitali per aumentare
la produzione non l’hanno fatto. I dati inquadrano un’Europa
che negli ultimi anni, salvo alcuni Paesi in modo saltuario, non
ha mai raggiunto l’effettiva produzione totale prevista dalle
quote. Lo stesso vale per l’Italia, che negli ultimi tre anni non è
mai arrivata alla quota nazionale. L’unica cosa certa, dunque,
è che con la liberalizzazione il mercato lattiero diventerà indubbiamente più competitivo. Ma dal momento che una buona
parte delle aziende lattiere italiane sono realtà medio-piccole,
spesso a carattere famigliare, costrette a produrre con costi
mediamente più alti di quelli europei, vien da chiedersi come
impatterà la liberalizzazione su di loro. «La salvezza dei produttori di latte italiano sarà garantita, con ogni probabilità, dalla
tutela delle produzioni casearie. Se non ci fossero le Dop il
contraccolpo in Italia sarebbe pesantissimo. Sono convinto,
infatti, che l’industria casearia stia facendo i conti meglio di
chiunque altro. Il latte italiano viene riassorbito quasi completamente nei grandi bacini del Grana, del Parmigiano e delle Dop locali, quindi se l’industria casearia vorrà continuare
a produrli, sarà costretta a garantire un prezzo che permetta
ai conferenti di restare vivi». Senza contare che la produzione
delle Dop dà all’industria casearia una redditività più consistente rispetto ad altre produzione indistinte, siano essi formaggi, yogurt o altri prodotti per i quali è possibile utilizzare
latte proveniente dall’estero. Come a dire che produrre il Gorgongola Dop è meglio per l’industria che produrre gli yogurt.
Sul fronte delle piccole produzioni casearie di nicchia, tuttavia,
gli equilibri cambiano e diventano ancor più delicati. È questo
il caso delle Dop bergamasche. «Secondo le stime dovrebbe
aumentare la quantità di latte destinata a queste produzioni
di nicchia, ma molto dipenderà dalla capacità dei Consorzi di
saper stare sul mercato, trovando nuovi canali di vendita», fa
notare Vitali. Si stima che la produzione di latte nel territorio
bergamasco crescerà dell’1% nei prossimi cinque anni, passando da 3,5 milioni circa a poco più di 3,7 milioni (dati Confai
Academy). A parte le grandi produzioni casearie che, secondo
le ipotesi, saranno costrette a garantire prezzi sostenibili per
i conferenti, il mondo dei piccoli produttori ha qualche preoccupazione in più, costretti a rimanere in bilico tra la necessità
di espandersi, trovare nuovi mercati e contenere i costi. Ma
l’effetto farfalla, non lo dimentichiamo, apre nuovi scenari sia
in Italia, che in Europa. Tra le poche certezze del settore c’è la
consapevolezza che in questi anni il regime delle quote latte
abbia fatto perdere il treno asiatico all’Europa. Oggi l’Oriente,
e la Cina in particolare, sono tra i maggiori importatori di polvere di latte australiano e neozelandese. E la domanda è in continua espansione, tanto che in passato l’Asia si è già dovuta
rivolgere all’Europa per garantire il proprio fabbisogno interno,
a causa di problemi produttivi del continente australiano. La
nuova corsa all’oro asiatico, quindi, è cominciata. «L’Europa
si sta attrezzando per intercettare questi mercati. Le aziende tedesche e olandesi viaggiano a doppi, se non tripli, turni
di lavoro per produrre grosse quantità di polvere per i mercati
asiatici. Delle indiscrezioni indicano addirittura la costruzione
di nuovi impianti di polverizzazione in Francia, da imprese a capitale cinese». L’apertura di quote europee verso destinazioni
asiatiche non è di poco conto, perché garantirebbe una maggiore stabilità del prezzo del latte. «Le eventuali produzioni in
aumento che non uscissero dall’Europa rischierebbero di creare pressione sul mercato italiano. La verità è che l’Europa si
salva nella misura in cui riesce a mandare all’estero le produzione del latte in aumento», conclude Vitali.
25
SCENARI
Consorzio del Taleggio
TADDEI: «PER TUTELARE LATTE
E FORMAGGI ITALIANI SERVIRÀ
UN’INFORMAZIONE PIÙ MIRATA»
Soli non ci si salva. È questo, in una
battuta, il senso delle parole di Massimo Taddei, presidente del Consorzio
del Taleggio. «Con l’abolizione delle
quote latte occorrerà aprire un tavolo
tra produttori di latte e trasformatori di formaggio che non si risolva solo in uno scontro annuale sul prezzo,
ma che tenti un dialogo continuo per
promuovere il made in Italy», afferma.
Nell’ottica di un aumento della produzione di latte proveniente dall’Europa, il contraccolpo potrebbe sentirsi
pesantemente anche sui produttori
di formaggio Dop. Tutta la filiera è allertata, perché l’ipotetico aumento di
latte importato dal nord Europa, prodotto a costi più bassi, potrebbe con-
trarre non solo il valore di quello italiano, ma ripercuotersi anche sui trasformatori.
I formaggi Dop, ancorati per disciplinare e tradizione al latte italiano, rischiano quindi un contraccolpo economico e una competizione selvaggia
da parte di prodotti similari venduti a
basso prezzo. «Dovremo tutelare maggiormente il formaggio e il latte italiano, attraverso un’informazione più mirata sui consumatori – continua Taddei –. È già presente sul mercato tutta una serie di formaggi che strizzano
l’occhio al Taleggio Dop per nome, forma e marchi similari. Da questo punto
di vista dovremo lavorare anche con le
Istituzioni, in primis con la Forestale e
la Repressione Frodi, per vigilare con
maggiore rigore sulle Dop, difendendole dai tentativi di attacchi». C’è il rischio, dunque, che si assista a un’invasione di formaggi a basso prezzo
(più di quelli a cui siamo abituati!),
prodotti dall’industria dei trasformatori, spesso proprio italiani, con latte
proveniente dall’estero. La confusione è in agguato e i consumatori sono
avvisati. Vero è che con la crisi che
stiamo vivendo, la possibilità che una
famiglia italiana si indirizzi verso prodotti a basso costo esiste, eccome.
Alti Formaggi
«CINA E RUSSIA RESTANO MERCATI COMPLESSI»
Anche Alti Formaggi, l’associazione che unisce il Consorzio
del Taleggio, del Provolone Valpadana e del Salva Cremasco, mette in guardia il consumatore dalla confusione che
potrà nascere nel periodo post quote latte. «Il pericolo maggiore potrebbe correrlo il Taleggio perché le Dop minori della
provincia bergamasca hanno quantità talmente basse che
continueranno nella loro produzione senza troppi stravolgimenti – spiega Vittorio Emanuele Pisani, segretario di Alti
Vittorio Emanuele Pisani
26
Formaggi –. Per quanto riguarda i formaggi che, come il Taleggio, hanno storicità, qualità e quantità di rilievo, seppur
venduti a un prezzo non eccessivo, il problema potrà essere la competizione con gli altri formaggi generici che, immagino, aumenteranno la produzione a fronte di una crescita
del latte proveniente dall’estero». L’ipotetica compressione
del prezzo del latte verso il basso potrebbe pesare sui trasformatori di formaggio, quegli stessi che negli anni si sono
battuti per preservare la qualità, le tradizioni e la storicità
dei prodotti italiani. «Stiamo già lavorando da un paio d’anni per sensibilizzare i consumatori sull’importanza di conoscere e valorizzare le Dop italiane, che rappresentano i nostri territori, le tradizioni e le professionalità più alte di ogni
comparto», ricorda Pisani. Mentre sull’importanza di trovare altri mercati per l’export del made in Italy, mette in guardia dai miraggi dei mercati orientali. «Si parla spesso di Cina e Russia come mercati potenzialmente interessanti per
i nostri prodotti, perché hanno dimostrato espansione economica e grandi capacità ricettive. Questo aspetto rilevante
non deve far trascurare la complessità di quei mercati e il
tipo di politica commerciale che stanno attuando. Ritengo
che puntare con troppe speranze su quei mercati potrebbe
essere rischioso. La Cina, in particolare, sta adottando una
serie di misure antidumping che stanno sfavorendo i prodotti europei. Molto meglio consolidare l’export verso Paesi
dal mercato meno complesso, come gli Stati Uniti».
maggio 2014
L’EVENTO
Alta Qualità, a Vaprio d’Adda
la rassegna del buongusto
Visionari, artisti e food lovers: al via il mercato delle eccellenze
“Posso resistere a tutto, tranne che
alle tentazioni”, diceva Oscar Wilde.
Chissà, dunque, cosa avrebbe pensato lo scrittore irlandese di fronte alle primizie esposte da grandi chef ed
esperti del settore culinario a Villa Castelbarco, la splendida dimora settecentesca a pochi passi dal sito Unesco
di Crespi D’Adda. L’occasione per palati fini è quella offerta da Alta Qualità, la
kermesse di eccellenze enogastronomiche italiane ideata dall’Associazione Culturale Signum di Bergamo che,
dal 30 maggio al 2 giugno, richiamerà
a Vaprio d’Adda appassionati, food lovers e artisti del cibo. Passeggiare tra
gli oltre 10mila mq dedicati agli stand
di produttori e coltivatori, veri creatori
di un’alimentazione riconosciuta come unica in tutto il mondo, sarà come
partecipare a un racconto collettivo fatto di cultura, sapori e tradizioni locali.
Avranno modo di divertirsi (e imparare)
anche i più piccoli a cui Alta Qualità dedica un villaggio di yurte (il primo in Europa) con mini abitazioni eco-compatibili disseminate nel giardino della Villa.
Perché le future generazioni sposino
gusto, leggerezza e sostenibilità in modo sempre più convinto. I visitatori saranno accompagnati tra le bancarelle
espositrici con show cooking, seminari, workshop, ma anche degustazioni,
laboratori e incontri B2B. Alta Qualità
si propone, inoltre, come spazio di crescita culturale e di solidarietà. Una parte del costo del biglietto sarà, infatti,
donata ai progetti di sviluppo del Cesvi
e all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo di Slow Food Italia e alle condotte locali di Slow Food che collaborano alla manifestazione. Madrina
dell’evento sarà la giornalista Cristina
Parodi, numerosissimi gli ospiti attesi:
dal ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina,
al professor Klaus Smidth, riconosciuto come il più importante archeologo
vivente, passando per il fondatore di
Slow Food Carlo Petrini, fino al maestro
biellese dell’Arte Povera, Michelangelo
Pistoletto.
27
FACECOOK
Alla scoperta dei social chef
di Laura Ceresoli
A Singapore
casoncelli protagonisti
del Capodanno cinese
Da 19 anni in Cina, Carlo Marengoni dal 2012
è chef e co-proprietario della Trattoria
Gallo d’Oro, dove trionfano i piatti rustici
e caserecci della cucina italiana.
«Ho puntato sempre più sulla tradizione
bergamasca, con risultati soddisfacenti»
Q
28
uando nel 1995 giunse per la prima
volta a Singapore, Carlo Marengoni non parlava nemmeno una parola
di inglese. Ma il linguaggio universale del cibo lo conosceva bene. Il suo
curriculum era già abbastanza lungo,
ai tempi, per potersi permettere lo sfizio di intraprendere una fulgida carriera nel sud est asiatico.
Allievo dell’Istituto professionale alberghiero di San Pellegrino, iniziò
molto presto a lavorare in alcuni dei
più rinomati ristoranti orobici, da Lio
Pellegrini alla Fontana di Città Alta.
Ma quando conobbe le atmosfere
d’oriente, non se ne staccò più. A
Singapore, Marengoni ha trascorso
gli ultimi 19 anni della sua vita, alternando ruoli in strutture di prim’ordine, come il Domvs (all’interno del
Sheraton Towers), il Bacco Restaurant (Cluny Court) e il Ristorante Bologna (Marina Mandarin), e ricevendo
riconoscimenti da rinomati marchi di
qualità, dall’Accademia Barilla all’Hospitality Asia Platinum Awards. Nel
2012 è diventato lo chef della Trattoria Gallo d’Oro (“The Golden Rooster”), il primo locale che gestisce da
co-proprietario. A trionfare nella cucina di Marengoni sono piatti rustici come l’osso buco, lo stinco di vitello, le
pappardelle di pasta fresca con salsiccia di maiale e spinaci in salsa di
prezzemolo. Celebri sono anche i tortelli di erbette fatti in casa con parmi-
giano e le sue sfogliatine calde con
crema di funghi porcini e aragosta.
Per non parlare dei dolci caserecci: il
tiramisù e la torta con crema al limone e mandorle sono una vera delizia
per il palato. «La miglior ricompensa
è vedere i miei ospiti con un sorriso
sul volto alla fine di un pasto. Questo
mi motiva a lottare ancora di più per
eccellere nel mio mestiere», dice lo
chef, che ha sempre portato un tocco
di Orobie nelle sue ricette, dalle Foiade alla bergamasca ai Casoncelli.
I tipici ravioli al burro e salvia ripieni di carne sono stati tra l’altro scelti da Marengoni come specialità di
punta del menù ideato in occasione
dell’ultimo Capodanno cinese, come
testimoniano le recenti foto posta-
te sulla pagina Facebook dedicata al
Gallo d’Oro. Al momento sono 1.264
le persone che hanno accordato la
loro preferenza alla trattoria cliccando “Mi piace” sul social network e
ammontano a 41 le valutazioni positive. Su Facebook, infatti, i clienti affezionati sembrano molto attivi
e non mancano di esprimere le loro
opinioni sui piatti che Marengoni posta quotidianamente per invogliare i
suoi commensali. «Cinque stelle per
tutto il cibo e staff molto amichevole», scrive Ke Shuiming Raven di Singapore. «Delizie all’italiana preparate
con amore e cura. Lo raccomando!»,
è il commento di William Chong. Meno gettonato è invece Tripadvisor. Qui
sono soltanto 6 le recensioni dedicate al Gallo d’oro (al 963esimo posto
in classifica su 6.978 ristoranti a Singapore) con voti che oscillano tra “eccellente” e “nella media”.
maggio 2014
L’intervista
«I nuovi media
impongono un’evoluzione,
ma ciò che non cambia
è l’arte dell’ospitalità»
Carlo Marengoni
Come riesce a far apprezzare la cucina bergamasca
nel mondo?
«Nei miei menù ho sempre messo i Casonsei come specialità tipica. Con il passare degli anni mi sono sempre più avvicinato alla cucina tradizionale bergamasca, con risultati
soddisfacenti».
È vero che gli stranieri hanno una visione stereotipata
della cucina italiana?
«Fino a 15 anni fa sì, ora invece gli stranieri viaggiano e conoscono molto di più la cucina e il vino italiano. Gli stessi
ristoratori italiani all’estero non sono più degli emigranti improvvisati, ci sono molti professionisti del settore e il cambiamento in positivo si nota».
Quanto è importante Internet per promuovere la sua
attività?
«A Singapore Internet è essenziale al giorno d’oggi. Il marketing tradizionale composto da riviste e giornali, invece,
sta piano piano decadendo».
Ha una pagina Facebook per sponsorizzare la sua offerta?
«Certo, ho una pagina su Facebook che serve molto per il
business».
Qual è il suo rapporto con le recensioni di Tripadvisor?
«Qui a Singapore di blogger e compagnie come Tripadvisor
ce ne sono molti. Sono certamente utili, ma sono da prendere con le dovute cautele. Le recensioni presenti su questi
siti, infatti, sono indicative ma sempre opinabili».
Com’è cambiata la ristorazione e il rapporto con i
clienti grazie ai nuovi media?
«Di sicuro la ristorazione cerca di stare al passo con i tempi,
pertanto è soggetta a cambiamenti in continua evoluzione.
L’unica cosa che non si può cambiare è l’arte individuale
dell’ospitalità».
29
APPUNTAMENTI
DAL 30 MAGGIO AL 2 GIUGNO
BIRRIFICI BERGAMASCHI
IN PASSERELLA A SAN PELLEGRINO
Il vivace mondo della birra artigianale bergamasca ha la sua
vetrina in Beerghèm, la rassegna nata quattro anni fa per iniziativa del birrificio Via Priula di
San Pellegrino e della Compagnia del Luppolo per far conoscere i protagonisti della produzione locale. Dopo la trasferta al Castello di Clanezzo dello
scorso anno, la manifestazione
torna a San Pellegrino nel lungo
ponte che va dal 30 maggio al
2 giugno. Per l’occasione lungo
strada principale del paese sarà
posizionata una tensostruttura
trasparente a creare una piazza coperta che ospiterà i banchi
della mescita, mentre nei saloni
del ristorante Bigio troverà posto la ristorazione, curata dallo
chef Pier Milesi affiancato dagli
studenti dell’Istituto Alberghie-
ro. Il numero dei birrifici artigianali in Bergamasca è in crescita
costante. Le recenti aperture
hanno portato a 11 le attività,
tutte presenti alla manifestazione, che quindi permetterà di apprezzare anche le new entry del
settore. Saranno perciò di scena Birrificio del Lago, Indipendente Elav, Endorama, Hopskin,
Maivisto, Maspy, Kaos, Birra
Orobia, Sguaraunda, Valcavallina e i padroni di casa di Via Priula, per un totale di oltre 40 birre
alla spina disponibili per la degustazione. La formula prevede
l’acquisto del bicchiere (3 euro)
e di gettoni per gli assaggi (2 euro). Sarà anche allestito un beershop per l’acquisto delle birre
in bottiglia da portarsi a casa.
Per informazioni
www.birrificioviapriula.it
GARDA BRESCIANO, DUE WEEK END ALL’INSEGNA DEI VINI
Sulla sponda bresciana del lago di Garda
è tempo di manifestazioni enologiche. Dal
30 maggio al 2 giugno a Polpenazze torna la Fiera del vino Garda Classico Doc, la
più antica (siamo alla 65esima edizione) e
conosciuta vetrina della produzione vitivinicola della Valtènesi. La manifestazione
si compone delle “piazze” del Garda Classico, Doc Valtènesi e dei Sapori nostrani,
di un “borgo” del bio, di una “corte” degli assaggi, che propone la degustazione
comparata dei formaggi bresciani e dei vini presenti in fiera, e del ristorante “La dispensa del gusto” dove vengono preparati lo spiedo bresciano e piatti tipici locali.
Domenica primo giugno è in programma la
premiazione del nono “Concorso enologico nazionale Valtènesi – Garda Classico”
e l’assegnazione dei premi speciali Palio
Valtènesi e Valtènesi Chiaretto, Rosso Superiore e Garda Classico Groppello, oltre
alla selezione del salame Doc. In calendario anche degustazioni guidate a cura
30
dell’Onav e dell’olio del Garda.
Da venerdì 6 a domenica 8 giugno a Moniga del Garda tocca invece alla settima edizione di Italia in Rosa, un vero e proprio giro d’Italia tra i vini rosati, presentati secondo le zone geografiche di produzione nei
padiglioni allestiti nei giardini vista lago. La
manifestazione si tiene a Villa Bertanzi, un
luogo significativo perché nel 1896, nelle
cantine del palazzo, si ritiene sia stato “codificato” il Chiaretto, dal senatore del Regno d’Italia Pompeo Molmenti di Salò. Come nelle passate edizioni saranno ospitati
vini francesi, precisamente della Provenza,
ci sarà inoltre spazio per degustazioni guidate, happy rosé hour, un’area food e un
convegno tecnico/divulgativo. A tutti i visitatori sarà chiesto di indicare i tre vini assaggiati più piacevoli, voti che saranno utilizzati per attribuire gli “attestati per la piacevolezza”, mentre una giuria di grafici ed
esperti di comunicazione premierà le tre
migliori etichette. Info: www.italiainrosa.it
maggio 2014
DOMENICA 8 GIUGNO
ALBINO, I RISTORANTI CUCINANO IN PIAZZA
Albino chiude un intenso programma di eventi che ha
animato il centro storico seguendo il filo conduttore della “passione” con un’inedita iniziativa che coinvolge cinque ristoranti del paese. Sotto la comune
insegna “Gusto... che passione!” domenica 8 giugno, dalle 9 alle 16, si ritroveranno a lavorare fianco a fianco in una cucina
allestita nella piazza della chiesa i locali
Osteria Ciacco, Angelo Bianco, Al Ponte,
Alla Corte e Come una volta. Ognuno pre-
DAL 30 MAGGIO AL PRIMO GIUGNO
MILANO, LO STREET FOOD
SU RUOTE HA UN EVENTO
TUTTO SUO
Apparsi per la prima volta nel 1872 sotto forma di camioncino per il trasporto di cavalli convertito alla vendita
di salsicce, i Food Truck sono oggi la più vivace e originale
espressione dello street food. A riunire in un evento per
le prima volta in Italia questi mezzi colorati e pieni di prodotti golosi sarà la manifestazione Streeat, organizzata
dall’agenzia Barley Arts - con il patrocinio di Expo 2015 dal 30 maggio al primo giugno alla Fabbrica del Vapore di
Milano. L’appuntamento, a ingresso gratuito, vuole offrire
ai visitatori tre giorni di ottimo cibo, intrattenimento e musica. Sono previsti laboratori in collaborazione con Slow
Food e una serie di eventi come l’esibizione di Don Pasta
e la partecipazione di Gabriele Rubini, in arte chef Rubio,
che sfiderà i truck presenti. Al centro c’è la volontà di dimostrare come la tradizione possa incontrare la creatività
e la personalità di giovani appassionati che scelgono di
muoversi su quattro ruote piuttosto che stabilirsi in una
cucina fissa, coniugando le voci “veloce”, “economico” e
“gourmet”. Si potrà spaziare tra Pizza e Mortazza, caffè e
mousse, gelateria naturale, piadine, burger e pasta, olive
all’ascolana, pizza napoletana, piatti della tradizione romagnola, gli hot dog di POPdog, miasse di mais oltre alle
specialità dei truck europei invitati. Gli aggiornamenti sulla pagina Facebook StreeatFood Truck
parerà un piatto freddo, due piatti caldi ed un dolce, componendo un ricco menù che permetterà al pubblico di
spaziare tra gli stili e le specialità di ciascuno. La gestione e gli incassi saranno equamente divisi. La manifestazione, promossa dall’associazione Per Albino, ha l’ambizione di
avviare una collaborazione tra le insegne
che prosegua nel tempo, offrendo occasioni per far conoscere le diverse proposte dei locali.
SABATO 7 GIUGNO
SOMMELIER,
CAMMINATA CON
DEGUSTAZIONI
IN VAL VERTOVA
Le fresche acque della Val Vertova fanno da scenario ad un appuntamento dedicato al vino. Sabato 7 giugno è in programma la 18esima edizione di “Un sorso in marcia”, tradizionale ritrovo all’aria aperta della delegazione di Bergamo
dell’Associazione italiana sommelier, organizzato in collaborazione con il Circolo della Valle e
l’Associazione degustatori italiani grappa e distillati. La giornata si apre
alle 15 con una camminata aperta a tutti lungo
la valle, accompagnata
alla degustazione di un vino spumante, un vino bianco e uno rosso, mentre al rientro si assaggeranno le grappe
messe a disposizione dall’Adid. I partecipanti sono chiamati a mettersi in gioco
compilando una scheda di degustazione
a punti e chi si avvicinerà maggiormente
alla scheda campione sarà premiato nel
corso della cena (con prenotazione, costo 30 euro). Alla giornata si lega anche
un concorso fotografico che ha per tema
“Il vino, la vite, l’uva”. La partecipazione è gratuita. Si può concorrere con un
massimo di quattro fotografie (formato
20x30) da consegnare esclusivamente
a mano entro le 14.30 di sabato 7 giugno al Circolo della Valle (località Lacnì
Basso, tel. 035 710605).
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IL PREZZO FISSO
Aperto nel 1928, il locale di Treviglio
ha nel proprio Dna tradizione
e territorio. Oggi Settimo Ravasi,
nipote del fondatore, punta sempre
di più sulle eccellenze orobiche,
mentre papà Renato, 82 anni,
coltiva tutte le verdure
che arrivano in tavola
Sabrina Asperti, Renato e Settimo Ravasi
Osteria dell’Angelo, la cucina
bergamasca lungo tre generazioni
di Fulvio Facci
«E
32
rnesta, cosa ci prepari oggi?» Questa
era la domanda che rivolgevano i rappresentati di commercio che in bicicletta scendevano da Bergamo e Treviglio.
Si informavano prima di iniziare il lavoro, certi che sulla via del ritorno avrebbero trovato la polenta d’inverno, poi
salamini, costine, la cassoeula, i casoncelli e comunque quello che poteva offrire la campagna in stagione.
Siamo nel 1928, all’Osteria dell’Angelo, a Treviglio, alla periferia della città
sulla strada che collega con Bergamo.
L’Ernesta è Ernesta Marta che con il
marito Settimo Ravasi aveva preso in
affitto un cascinale che è stato via via ristrutturato sino all’attuale e accogliente versione che può ospitare 80-100
posti. Ora siamo arrivati alla terza generazione. A raccontarlo è Renato Ravasi,
la generazione di mezzo, 82 anni a luglio, dal 1958 subentrato nella gestione dell’Osteria. «Mio papà è morto che
avevo 15 anni e non c’era molta scelta
– dice -. Mi sono messo subito ad aiutare la mamma nel locale e ogni tanto veniva qualche ragazza a darci una mano.
Poi mi sono sposato (con Francesca Finardi, che adesso cucina solo in casi
eccezionali, ndr) e siamo andati avanti
fino a quando non abbiamo passato il
testimone a nostro figlio». I cambiamenti non sono mancati. «Abbiamo acquistato il cascinale, lo abbiamo ampliato e ristrutturato – ricorda -, peccato che abbiamo dovuto fare le cose in
economia e che ai tempi non ci fossa
molta attenzione per le testimonianze del passato, altrimenti ne sarebbe
LA PROVA
Almeno ufficialmente il prezzo è unico: 11 euro per primo, secondo, contorno, acqua, vino e caffè. Tenuto conto che la clientela è tradizionale, è possibile che ci siano degli accordi per chi
mangia un piatto in meno, ma l’impressione prevalente è che si
tratti sostanzialmente di “buone forchette”. La carta del giorno
è stampata e disponibile su tutti i tavoli. Pizzoccheri alla valtellinese, penne all’arrabbiata, penne al pomodoro, penne al ragù
e casoncelli alla bergamasca, le proposte per quanto riguarda i
primi. Grigliata mista, petto di pollo impanato, petto di pollo alla
griglia, petto di pollo alla diavola, insalatona, arrosto di manzo,
cotoletta e braciola la lista per i secondi piatti. Erbette al vapore,
patate al forno o al vapore e insalata mista i contorni. C’è di che
scegliere, considerando anche che la presenza di clienti abituali
impone una notevole rotazione delle proposte. Puntiamo sui pizzoccheri e su una buona cotoletta alla milanese con il contorno
di erbette al vapore, che come tutti gli ortaggi sono prodotti in
proprio. Tenuto conto anche del tovagliato e dell’ottimo servizio
il rapporto qualità/prezzo è senz’altro soddisfacente.
maggio 2014
uscito un gioiellino valorizzando le volte in mattone ed i
pavimenti in cotto. All’inizio degli anni Sessanta abbiamo
avuto un buono sviluppo anche per la presenza della Bianchi per la quale abbiamo fatto da mensa un paio d’anni.
La cucina non è mai cambiata, sempre tradizionale bergamasca. Facevamo tanti bolliti per avere il brodo per fare ottimi risotti, che sono la nostra specialità». Dopo tanti anni
nel locale, il suo impegno non si è però ancora concluso.
«Mi definisco un jolly – spiega Renato Ravasi – perché do
una mano dove serve. Ma il mio incarico ufficiale è quello
di curare l’orto. Ne abbiamo uno grande e io ho una grande passione. Tutta la verdura e gli ortaggi che serviamo sono di nostra produzione. È un lavoro che richiede impegno
ma che dà anche soddisfazione: è il vero chilometro zero!”
Nel ’97 torna al timone del locale un altro Settimo Ravasi,
nipote del fondatore, al quale poi si aggiungerà la moglie
Sabrina Asperti. La prima novità è che la trattoria riprende
il suo nome originale di Osteria dell’Angelo, durante il periodo della gestione paterna si era chiamata Ariston. «Questa è una delle poche novità che ho portato – racconta Settimo Ravasi –, mentre per il resto abbiamo tenuto tutte le
basi del nonno: casoncelli, arrosti, risotti. Certo progressivamente la visione è mutata, in accordo anche con l’evoluzione dei tempi, ed abbiamo scelto di privilegiare sempre
più le eccellenze bergamasche. Ad ottobre, ad esempio,
inseriremo la pecora Bergamasca, mentre per la carne
bovina, se prima puntavamo sulla Chianina, ora abbiamo
scoperto degli ottimi allevamenti in provincia». La selezione è locale anche per salumi e formaggi. «Fino a qualche
anno fa producevamo noi i salumi – evidenzia - poi abbiamo trovato in zona degli ottimi artigiani che lavorano ancora con mezzi tradizionali e sempre qui vicino acquistiamo
degli ottimi formaggi di capra». I risotti, già apprezzati con il
nonno e il padre, sono diventati il campo in cui sbizzarrirsi
di più: alla liquirizia, al branzi e ortiche, alla caprese, nero
zucchine e brut, mele e formaggio di capra, solo per citarne
alcuni. «Il riso lo compriamo da Salera – prosegue – e per
dare un’ulteriore idea di cosa intendiamo per eccellenze
bergamasche mi piace ricordare che abbiamo scelto con
cura anche i grissini, quelli dello storico panificio Corticelli
in Valtaleggio». I prezzi sono decisamente accessibili e nei
fine settimana vengono proposti dei menù guidati a 30 euro se a base di pesce e 25 se di carne,
OSTERIA DELL’ANGELO
via Bergamo, 94 - Treviglio
tel. 0363 49323
chiuso il martedì sera
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NEWS
Le esperienze al “Collina” saranno
messe al servizio del “Laboratorio”
dell’istituto alberghiero iSchool di Bergamo
È
Lo chef
Mario Cornali
sale in cattedra
lo chef scrittore, l’artista del mangiare bene, sano e… local,
l’amante delle tradizioni per eccellenza. Mario Cornali, dal
suo “Collina”, il celebre ristorante di Almenno San Bartolomeo, arriva alla guida del “Laboratorio per i servizi enogastronomici” dell’istituto alberghiero iSchool. “Ragazzi di 4° e 5°
superiore avranno modo di apprendere il gusto della genuinità da chi ne ha fatto un principio ispiratore - spiega Valentina
Fibbi, titolare di iSchool - per questo siamo molto contenti di
averlo nella nostra squadra!” Nella cucina di Cornali rivive il
gusto dei piatti delle nonne, attente alla bontà di ingredienti
(realmente e interamente) doc, curati con passione, dall’orto alla pentola. “Siamo abituati a pensare che l’eccezionalità
sia lontana, mentre basta guardarsi intorno per scoprire che
non serve essere esotici per fare un piatto di qualità - spiega lo chef nel libro “Orizzonti vicini, racconti cucinati”. Perché
Cornali, è un’artista a tutto tondo: nato e cresciuto tra i fornelli (figlio d’arte, il ristorante che oggi guida con successo
era di famiglia), si è dilettato con poesie e racconti, arrivando
oggi alla docenza, attività che è stata formalizzata lo scorso
Mario Cornali
16 maggio in occasione dell’anniversario dell’istituto bergamasco, festeggiato presso la sede in via Ghislandi. “È un modo per creare un rapporto diretto con gli chef di domani, per
dare ai giovani consigli che spero possano trovare utili. Sono
in un momento importante delle loro vite, fatto di crescite ed
evoluzioni costanti, nella personalità e nella cucina - continua
Cornali -. Per questo devono capire che un piatto è qualcosa in più di sugo saporito o di un buon taglio di carne: ogni
composizione racconta una storia, ogni ingrediente è frutto
di chi lo ha coltivato, nutrito, raccolto”. Un mondo legato alla
natura, quello dello chef bergamasco, fatto di materie prime
locali, di allevamenti, pascoli e pesci rigorosamente d’acqua
dolce, per rispecchiare in toto la vocazione del territorio lombardo. “Un modo di cucinare che speriamo possa servire da
esempio ai nostri studenti - ha concluso Francesco Malcangi
di iSchool - perché la cucina è sì tecnica, ma anche attenzione alle tipicità, specie in questo periodo, quando un dettaglio
può fare la differenza e decretare il successo economico e
professionale di un’attività”.
VINO, LO SCORSO ANNO EXPORT CRESCIUTO DEL 7%
È il vino la freccia dell’export alimentare italiano. Anche nel 2013, secondo i
dati Istat elaborati da Vinitaly-Assoenologi, va a bersaglio centrando un +7,3%
sull’anno precedente, che vale il primato
tra le produzioni alimentari più vendute
oltre confine. Un record doppio dal momento che per la prima volta supera anche la soglia dei 5 miliardi di euro in valore e si conferma driver fondamentale per
l’economia del Paese. Dato ancor più
rilevante se si considera la diminuzione
di quasi 1 milione di ettolitri dei volumi
esportati (il totale è sceso a 20,4 milioni contro i 21,3 del 2012) e il contestuale incremento del valore medio unitario,
34
passato da 2,20 euro a 2,47 euro al litro
(+12,3%). Due i mercati di riferimento
che insieme assorbono oltre il 41% del
totale esportato: Stati Uniti e Germania,
entrambi con un valore di oltre 1 miliardo di euro. In molti dei principali mercati
di sbocco del vino italiano si incontrano
incrementi in valore a due cifre. È il caso
del Regno Unito che registra un balzo del
+15,4% passando da 535 a 618 milioni
di euro, grazie a una sensazionale crescita dell’import di spumante, così come interessante è il deciso recupero della Russia: +14,4% per 114 milioni di euro in valore. Di particolare valenza l’exploit della Svezia, con un +15,2% che
consente di toccare la soglia mai raggiunta prima di 141 milioni di euro. Molto positivo è l’andamento del mercato
norvegese, +12%, con una variazione in
un solo anno di 10 milioni di euro, da 77
a 87 milioni di euro. Nel Nord America,
gli Usa registrano un’interessante ripresa delle importazioni da 1.006 a 1.078
milioni di euro, +7,1%; il Canada, grazie
a un recupero della flessione della parte
iniziale dell’anno, chiude il 2013 a 280
milioni di euro, -1% rispetto al 2012. In
Estremo Oriente la Cina mostra una decelerazione dei valori pari al -3%, mentre
il Giappone pareggia con lo stesso valore del 2012: 154 milioni di euro.
FUORI PORTA
maggio 2014
È da poche settimane ai fornelli
del ristorante di Valbrona.
Eppure lo chef Nogara
ha già conquistato i palati più esigenti
“Il Ceppo”,
emozioni sul lago
G
iacomo Nogara, 47 anni, chef lecchese cresciuto
con Gualtiero Marchesi, è ai fornelli de “Il Ceppo”
di Valbrona solo dal primo marzo. Eppure ha già
suscitato un interesse che si è rincorso come tam
tam attraverso le antenne sempre ben piazzate
dei buongustai. “Il Ceppo”, oltre che di una cucina
d’eccellenza, gode di un panorama incantevole: dai
suoi 500 metri d’altitudine s’affaccia sulla parte
meridionale del ramo di Lecco, specchiandosi nel
lago, nelle montagne e nell’abitato dirimpettaio di
Mandello del Lario. Da Bergamo ci si arriva passando da Lecco e prendendo poi le indicazioni per Bellagio; arrivati ad Onno, si sterza a sinistra, salendo
per Valbrona: il ristorante lo trovate dopo tre chilometri di tornanti, sulla vostra sinistra. Andateci,
se potete, in una giornata di bel tempo. E resistete
alla brezza proveniente dal lago: ci sono belle sale
interne, in pietra a vista, per 80 coperti, ma sono
le terrazze sospese a strapiombo l’esperienza
da vivere. Il servizio è altamente professionale
e Nogara, oltre a pensare alla sostanza dei suoi
piatti, non manca mai di decorarli con fiori ed erbe
spontanee, favorendo l’arrivo in tavola di autentiche opere d’arte. A pranzo sono previste proposte
a 25 e 30 euro (menù Business e Degustazione
Lago) oppure ci si fa tentare dalle splendide proposte in carta. Vi costerà parecchio di più,
ma ne varrà la pena. Siamo partiti
col “Tris di lago” (Missoltino e
crostone di polenta, Alborelle
in carpione e Mousse di luccio in foglia di lattuga), un
antipasto classico, ma elaborato con un equilibrio da
maestro. Da segnalare anche
la “Gran selezione di prosciutti di
cacciagione con giardiniera” e le “Capesante profumate allo zenzero in crosta
di tagliatelle croccanti”. Quasi obbligatorio, poi, il
“Risotto con pesce persico, mantecato al burro di
malga”, piatto tipico della zona, ma proposto con
di Pier Carlo Capozzi
mano esperta per la cottura e la doratura. Nei secondi
la scelta è caduta sul “Lavarello spinato profumato
all’aneto con misticanza all’aceto di lamponi”, ma la
“Quaglia farcita al fois gras con tortino di patate” sarà
la nostra prossima tentazione. Perché qui, ragazzi, chi ci
capita, poi torna. La carta dei formaggi promette mirabilie (segnaliamo una “Verticale di Bitto” da urlo), mentre
i dessert sono un’ulteriore sorpresa: molto buona la
“Piramide di semifreddo al croccante, cioccolato bianco
e salsa al caffè”, ma letteralmente strepitosa l’ “Isola
galleggiante con crema alla vaniglia polinesiana”, una
botta tremenda alla glicemia, che ignoreremo distraendoci col panorama. Carta dei vini di spessore. Salite fin
quassù per un lieto evento o per conquistare un cuore
che frappone resistenza. Se non riuscirete qui, datemi
ascolto, meglio lasciar perdere.
RISTORANTE “IL CEPPO”
via Milano 30 - Valbrona (Como)
Tel. 031 662343
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NEWS
Il concorso
BERLUCCHI NELLA SELEZIONE
DI “MAJESTIC WINE”
Cuvée Imperiale Brut primo Franciacorta
nella lista del top retailer
Guido Berlucchi è il primo Franciacorta ammesso nel prestigioso assortimento di Majestic Wine, top wine retailer del Regno
Unito con oltre 200 punti vendita in tutto il paese. Il Franciacorta selezionato dall’esigente giuria di Majestic è Cuvée Imperiale
Brut, vino-icona della casa di Borgonato, discendente diretto di
quel Pinot di Franciacorta che nel 1961 diede l’avvio al “miracolo enologico” franciacortino. Cuvée Imperiale Brut nasce da uve
Chardonnay (90%) e Pinot Nero (10%), spremute delicatamente
aggiunin presse a piatto inclinato. Ai vini base dell’annata sono aggiun
agte riserve di annate precedenti, dopo l’imbottigliamento con ag
giunta di sciroppo di zucchero e lieviti, l’affinamento sui sedimen
sedimenti perdura almeno 18 mesi prima della sboccatura. “L’essere
scelti da una catena prestigiosa come Majestic, cinque volte
“Best Wine Merchant” per i lettori di Decanter, è un privilegio
per la Guido Berlucchi e per la Franciacorta” - dice Paolo Zi
Ziliani, consigliere delegato al commerciale e al marketing -.
La partneship rafforza ulteriormente il nostro settore export in un paese che ha visto aumentare le importazioni di
Franciacorta del 27,7% lo scorso anno. È segno di un interesse crescente per il nostro territorio, la conferma del gradimento per una tipologia che si esprime a livelli complessivi elevati, e in costante crescita. Siamo certi che i consumatori inglesi, notoriamente estimatori degli sparkling più
pregiati, sapranno apprezzare l’eleganza e la complessità
del nostro Franciacorta”.
A PRAMAGGIORE
TRE MEDAGLIE D’ORO
AL CIPRESSO
Nuovi riconoscimenti per l’azienda vitivinicola
“Il Cipresso” di Scanzorosciate. Al 53esimo
concorso enologico nazionale, tenutosi lo scor
scorso aprile a Pramaggiore, ben tre vini della cancan
tina guidata da Angelica Cuni hanno ottenuto il
diploma di “Medaglia d’oro 2014”. Si tratta del
Valcalepio bianco Doc “Melardo” 2012, del
Moscato di Scanzo Docg “Serafino” 2010
e del Valcalepio rosso Doc “Dionisio”
2011. La medaglia d’oro viene assegnata a quei vini che, in sede di degustazione, raggiungono o superano gli 80/100
sulla base della scheda ufficiale di degustazione compilata da una serie di commissioni di esperti. Quello che si svolge a
Pramaggiore (Ve), è il concorso enologico
più antico del nostro Paese. Autorizzato
dal ministero per le Politiche agricole e forestali, viene organizzato ogni anno dalla
Mostra Nazionale Vini di Pramaggiore, ed è affidato per la parte tecnica (esecuzione operativa
delle selezioni) alla competenza e professionalità dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani. I premi conferiti al Cipresso, confermano il
percorso di qualità che l’azienda bergamasca
ha intrapreso già da anni, con una attenta gestione della vigna e pratiche virtuose in cantina.
Il vitigno
LA NUOVA STAGIONE DELL’ERBALUCE DOCG
In passato c’era la tradizione di consumare questo vino bianco Docg al pomeriggio,
nei caffè e nelle pasticcerie. Una tradizione che si sta riscoprendo grazie anche
a cantine come “Orsolani” di San Giorgio Canavese
Il Piemonte dei vini è, per antonomasia, quello legato in primis alle Langhe
e Roero albesi. Ma altri territori hanno un’altrettanto significativa e lunga
storia. Ci riferiamo, ad esempio, al Canavese, le colline situate a nord-est di
Torino che hanno legato il loro nome
soprattutto all’Erbaluce Docg, quello
che un tempo era considerato - e lo è
ancora oggi in parte - il vino bianco per
eccellenza del capoluogo piemontese. Le “madame” e i “monsù” torinesi avevano l’abitudine di consumarlo
nel pomeriggio insieme ad un biscot-
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to nei rinomati caffè e pasticcerie del
centro città ed è una tradizione che si
sta riscoprendo. Parlare di Erbaluce
vuol dire parlare della più storica cantina che è quella della famiglia Orsolani di San Giorgio Canavese. Da oltre
un secolo coltiva la vite e ne vinifica i
frutti. L’inizio fu nel 1894 ed all’epoca
la cantina era molto piccola. Giovanni
Orsolani produceva i vini per la locanda gestita dalla moglie, ben presto però la “Locanda Aurora” divenne un vero e proprio ritrovo per gli amanti del
buon vino. La generazione che seguì
profuse molti sforzi nell’ampliamento
dell’azienda e nell’accrescere la notorietà dei vini. Sono di questi anni i
numerosi riconoscimenti ottenuti. Purtroppo la Guerra Mondiale fece sentire il proprio peso ed in qualche modo
limitò per anni l’attività, solo dopo la
fine del conflitto gli Orsolani, ritiratisi
a San Giorgio Canavese ritornarono a
lavorare alacremente. Con la terza generazione guidata da Gian Francesco
Orsolani inaugurarono la nuova Cantina di San Giorgio Canavese, ampliarono la superficie vitata e specializzaro-
maggio 2014
FRANCIACORTANDO,
LO STREET FOOD FARÀ DA FILO CONDUTTORE
Il 14 e il 15 giugno sette chef stellati saranno ospiti di altrettanti cuochi franciacortini
Sette sarà il numero magico e lo Street Food il filo conduttore dell’edizione 2014 di Franciacortando, l’ormai tradizionale appuntamento primaverile organizzato dalla Strada del
Franciacorta, che si svolgerà il 14 e 15 giugno prossimi. Uno
Street Food d’autore, però, ideato ed elaborato da sette noti
chef stellati italiani, ospiti di altrettanti chef franciacortini. Da
fuori arriveranno in Franciacorta
Davide Scabin del Combal.zero
di Rivoli, Emanuele Scarello di
Agli Amici di Godia, Igles Corelli
dell’Atman di Pescia, Christian
e Manuel Costardi del Cinzia da
Christian e Manuel di Vercelli,
Giuseppe Iannotti di Kresios di
Telese, Marco Stabile dell’Ora
d’aria di Firenze e Aurora Mazzucchelli del Marconi di Sasso
Marconi. Ad ospitarli saranno i
ristoranti Due Colombe al Borgo Antico di Borgonato di Corte
Franca, Araba Fenice di Iseo, Dispensa Pani e Vini di Torbiato d’Adro, Locanda Quattro Terre di Corte Franca, Villa Calini
di Coccaglio, Cappuccini Resort di Cologne e Lanzani Bottega & Bistrot di Brescia. Le coppie che si verranno a creare
presenteranno sabato 14 giugno le loro personali e creative
reinterpretazioni di piatti tipici della Franciacorta in chiave
“Cibo di Strada” o utilizzeranno per prepararlo prodotti del
territorio da riscoprire e valorizzare. Sette, inusuali e sugge-
stive, le location che li ospiteranno e che saranno dedicate
ciascuna a un tema (sport, kitchen, junior, books, social, music, green). Ad animarle, una serie di eventi, dai caffè letterari
ai laboratori gastronomici, dai contest alle mostre. Un servizio di bus navetta accompagnerà i visitatori nei punti dedicati
allo Street Food, nelle cantine e
nelle aziende di prodotti tipici
(dalle grappe ai dolci, dai salumi ai formaggi), che organizzeranno percorsi di visita e di degustazione. Sabato sera saranno inoltre organizzate nei sette
ristoranti della Franciacorta le
“Cene d’autore a quattro mani” (appuntamenti dedicati ai
gourmet in cui gli chef ospiti e
quelli franciacortini creeranno
insieme inediti menù ideati per
l’occasione), che saranno affiancate da menù a tema dedicati a Franciacortando in trattorie e agriturismo. Domenica 15 giugno un grande e animatissimo evento, di cui sarà protagonista sempre lo Street Food
in abbinamento ai Franciacorta, riunirà in un’unica location
a sorpresa tutti gli chef. A fare da corollario, una serie di altri
appuntamenti (dai tour in bicicletta al nordic walking fra le vigne, dalle passeggiate in carrozza agli workshop e all’animazione per i bambini): ricchissimo il programma, i cui dettagli
saranno via via pubblicati su www.franciacortando.it
no la produzione nel vitigno autoctono
Erbaluce. Oggi Gian Luigi Orsolani, che
continua l’attività del papà Gian Francesco, coltiva circa 16 ettari a vigneto con esposizioni perfette nella zona
classica dell’Erbaluce e distribuiti nei
comuni di Caluso, San Giorgio Canavese e Mazzè e la produzione annua è
di circa 160mila bottiglie. La filosofia
della Cantina è quella di lavorare i vini nel rispetto del terreno e del vitigno,
pertanto tutte le fasi della lavorazione
sono eseguite da mani esperte. “I riconoscimenti ottenuti negli ultimi anni sono stati diversi - spiega Gian Luigi
Orsolani -. Tra i più emozionanti, il nostro vino bianco scelto per accompagnare il Viaggio Apostolico di Giovanni
Paolo II a Toronto, nel 2002, e il nostro
vino passito selezionato dal sommelier di Palazzo Chigi per la colazione
offerta dal Presidente del Consiglio al
presidente degli Stati Uniti d’America
nel 2007. Non da meno è stata l’emozione per la nomination ottenuta come
miglior vino dolce italiano nella finale
del Premio Internazionale Oscar del Vino 2007”. Nel 2005 Gian Luigi Orsolani ha fondato Anima, una associazione
estesa su tutto il territorio italiano, volta a valorizzare la produzione di bollicine a metodo classico ottenuta con vitigni autoctoni e nel 2006 la Cantina è
entrata a far parte dei “Grandi Cru d’Italia”, associazione che raduna tutte
quelle realtà che valorizzano le proprie
produzioni ed i territori di coltivazione.
Info: www.orsolani.it
Gian Luigi Orsolani
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L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Pennette rigate
con zucchine e bacon
INGREDIENTI PER 1 PERSONA
100 g di pennette rigate
1 zucchina
50 g di pancetta affumicata (bacon)
pecorino romano grattugiato
mezzo scalogno
olio extravergine q.b.
1 bicchiere di vino bianco
PREPARAZIONE
Tagliate lo scalogno a fettine piccole e cuocetelo in poco olio a fuoco basso; mescolate in continuazione, aggiungendo al bisogno un goccio d’acqua calda. Non appena lo scalogno sarà ben rosolato, aggiungete le zucchine tagliate a rondelle fini, mezzo
bicchiere di vino bianco e un pizzico di sale. Quando le zucchine saranno ben cotte, aggiungete la pancetta a cubetti e lasciate
insaporire il tutto per circa 10 minuti a fuoco basso. Quindi togliete la padella dal fuoco. Nel frattempo fate lessare le penne in
abbondante acqua bollente salata, scolatele e fatele saltare in padella insieme al sugo precedentemente preparato. Spolverate
con abbondante pecorino romano, mischiate per circa un minuto e assaggiate un piatto gustosissimo
CURIOSITÀ
La ricetta presentata l’ho conosciuta grazie ad un amico, vero
“cultore della pancetta”, che è capace di lavorarla e cucinarla
nei modi più svariati; in realtà questa ricetta, seppur con diverse varianti, è conosciuta e diffusa in tutta Italia proprio per il
suo sapore unico: l’incontro delle zucchine con il bacon rende
questa pasta squisita ed è davvero raro che all’interno del medesimo piatto ci sia un connubio così perfetto. E poi è una ricetta semplice, economica e veloce da realizzare, che rappresenta
un’alternativa al pranzo dell’ultimo minuto e una buona scelta
per una cena informale tra amici. Per la sua preparazione mi
piace utilizzare le penne o pennette rigate, che permettono una
migliore aderenza di sughi e creme, a differenza della pasta di
tipo liscio, che lascia scorrere via il condimento. La ricetta originale prevedeva poi l’utilizzo della cipolla bianca, ma io ho optato per lo scalogno, perché ha un sapore più delicato e perché
è in grado di donare a questo piatto quel valore aggiunto che fa
la differenza; quando lo acquistate, deve essere ben sodo e la
buccia deve presentarsi liscia e priva di macchie; evitate scalogni che presentano germogli, quelli molli al tatto e con la buccia
rovinata. Lo scalogno va preferibilmente conservato fuori dal
frigorifero, in un ambiente buio, fresco e asciutto e in queste
condizioni si mantiene anche per un mese. Una volta tagliato,
può essere conservato in frigorifero, avvolto nella pellicola per
alimenti, dove può rimanere al massimo per una settimana.
Per le zucchine vi consiglio di scegliere quelle più piccole, che,
prive di semi, hanno un sapore decisamente migliore: anche
qui preferite quelle sode al tatto, senza ammaccature e dalla
buccia di colore brillante. Per la loro conservazione, ricordatevi
che sono ortaggi delicati e, se sottoposti a luce e calore, tendono a perdere rapidamente la freschezza e le proprietà nutritive
originali; è bene quindi conservarle in frigorifero nel cassetto
della frutta e verdura, per non più di 2-3 giorni. Ma le zucchine
non sono solo buone, ma fanno bene alla salute: altamente digeribili, sono ricche di sali minerali, vitamina
A e C e contengono acido folico. Unica
accortezza: consumatele con moderazione: oltre ad apportare una
preziosa proprietà disintossicante, per qualcuno possono essere molto lassative. Non mi resta
che auguravi buon appetito.
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