DOMENICA 15 MARZO IV DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B) Padre Gianfranco Scarpitta La croce: una sana pedagogia Gli Israeliti peregrini nel deserto, per aver protestato contro il Signore mancando così di vera disposizione alla fede, vengono puniti inesorabilmente da Dio con la morsicatura di serpenti velenosi che sbucano da ogni parte della sabbia e che insidiano con la loro lingua acuminata di veleno ogni membro del popolo. Dio si commuove però per le loro lacrime di pentimento e soprattutto ascolta la fiducia intercessione di Mosè, che interviene a favore dei suoi connazionali; ordina così al solertissimo patriarca di erigere un serpente di bronzo nel pieno del deserto e di ostentarlo alla vista di tutti gli Israeliti, in modo tale che questi, fissando lo sguardo sul rame plasmato nella forma di animale, vengano resi immuni dal veleno dei veri serpenti che imperversano da tutte le parti e possano così essere salvati. Il serpente di bronzo non agisce da se stesso, ma è solamente un tramite per mezzo del quale Dio interviene a salvare il suo popolo. La salvezza non risiede nel materiale con cui è composto, ma in Colui al quale esso rimanda, che si manifesta per mezzo di uno strumento sensibile. Acanto ai cherubini, all'Arca dell'Alleanza, al propiziatorio e ad altri elementi di mediazione di cui si legge nella Bibbia, il serpente di rame legittima il ricorso agli oggetti materiali come strumenti simbolici oggetto di venerazione. Come ad esempio le icone della Vergine e dei Santi, le statue e i vari oggetti religiosi. Essi non si venerano per se stessi e non è affatto il marmo (o il legno) con cui sono composti a muovere la nostra sensibilità nei loro confronti. Non si venera né tantomeno si adora il materiale con cui sono plasmati e forgiati, ma ciò di cui esse sono espressione, il loro contenuto oggettivo. E soprattutto nella venerazione esteriore delle immagini e delle statue siamo sollecitati a riscontrare la presenza continua del Signore che nei Santi viene glorificato. Non è quindi vero che Dio non si possa riscontrare (ferme restando certe condizioni) negli oggetti di pietà o nelle icone, visto che egli non di rado addirittura ordina al suo popolo di incontrarlo nella materialità esteriore di determinati oggetti quali quelli su elencati. Le pareti del tempio di Gerusalemme erano del resto appositamente adornate di statue e monili decorati (1Re 6). Occorre tuttavia che non vengano idolatrati siffatti oggetti esteriori di culto e che non diventino per noi una finalità effimera e melense. Devono piuttosto essere un mezzo, un tramite per accrescere lo spirito di devozione e di amore nei confronti dell'unico vero Dio. Il serpente di rame oltretutto ci invita a riflettere su Cristo Salvatore e su come proprio lui sia il vero obiettivo della nostra venerazione e oggetto della nostra fede, quale Crocifisso destinato a diventare Risorto e invitto nella gloria: come Dio ha innalzato il serpente di bronzo nel deserto, e questo è diventato strumento di salvezza per quanti venivano feriti dai morsi dei veri serpenti fra le falde, così pure Dio esalterà lo stesso Signore Gesù Cristo una volta che questi avrà affrontato il supplizio della croce e i meandri del sepolcro vuoto, e pertanto la crocifissione avrà il felice epilogo della vittoria, cioè della risurrezione e dell'innalzamento al di sopra di tutte le creature. Come egli stessi dirà presentandosi in incognito ai discepoli viandanti di Emmaus "bisognava che il Figlio dell'uomo patisse e fosse riprovato" perché potesse conseguire il premio e la vittoria nella sconfitta definitiva del male e della morte. Le ricompense di qualsiasi fatica si ottengono al termine di ogni itinerario e non ci vengono dati al suo inizio; e nessuno potrà mai sapere quanto si dovrà ancora patire e lottare per raggiungere la meta ma è certo che per raggiungere l'alba non c'è altra via che la notte (Gibran) e che non di rado si giunge al porto anche per via di venti contrari. L'esaltazione e l'innalzamento che proviene dalla croce non può non spronarci a considerare che la via di Dio è solamente quella dell'amore, ma che l'amore di Dio ci invita alla conversione (Rm 2, 4) e alla ricerca assoluta del bene e alla vita secondo la luce. Chi preferisce le tenebre alla luce, ossia la malvagità alla lealtà e alla generosità, ha probabilmente qualcosa da nascondere. Non di rado avviene che le sue opere "sono malvagie" per questo tende a non renderle manifeste per non svergognarsi davanti a tutti. Oppure, per maggiore estensione, chi preferisce perseverare nell'errore e nelle tenebre trova accomodante e conciliante la via del male, vi si trova talmente assuefatto da non poterne più fare a meno ma proprio questo segna la sua rovina definitiva. La conversione, che è radicale mutamento interiore di noi stessi, ci induce invece a squalificare le vie del male nella convinzione della loro fondamentale pericolosità; ci è di monito a considerare la fallacia del peccato, la vanità della presunzione e del falso orgoglio, l'autolesionismo e la disfatta nel ricorrere ai mezzi inappropriati. In definitiva ci sollecita a preferire la giustizia e il bene ad ogni altra alternativa di peccato. E a prendere coscienza della gravità del peccato stesso per orientarci unicamente verso Dio. La conversione è cambiare ottica e atteggiamento modificando le nostre posizioni dando un calcio alle proprie preferenzialità per assumere quelle di Dio. E in tutto questo l'umiliazione della croce è una sana pedagogia.
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