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proc. n. 66806/013
TRIBUNALE DI MILANO
Sezione specializzata
in materia d’Impresa
SEZIONE A
Il giudice dott.ssa Alima Zana, ha emesso la seguente
nell’ambito del procedimento promosso da UNIC- Unione Nazionale
Industria
Conciaria-
e
da
UNI.CO.PEL-
Unione
Nazionale
dei
Consumatori di Prodotti in Pelle, Materie Concianti, Accessori e
Componenti- contro FS Retail, Luna s.r.l. e Gatsby s.r.l.
*************
1.L’OGGETTO DELLA CONTROVERSIA
Con
ricorso
cautelare
depositato
in
data
27.9.2013,
l’Unione
Nazionale Industria Conciaria- Associazione Nazionale di Categoria
aderente
a
Confindustria
che
raggruppa
e
rappresenta
i
più
qualificati operatori del settore della concia, di seguito UNIC –
e l’Unione Nazionale dei Consumatori di Prodotti di Pelle, Materia
Concianti,
Accessori
e
Componenti
–associazione
di
consumatori
senza scopo di lucro che persegue finalità di solidarietà sociale
di seguito UNICOPEL - hanno invocato misure cautelari urgenti nei
confronti delle società FS Retail, Luna s.r.l., Gatsby s.r.l. e
SMT RETAIL s.r.l. (nei confronti di quest’ultima il procedimento è
stato già definito per ragioni di rito).
Parte ricorrente ha lamentato l’illegittima commercializzazione a
cura delle resistenti sul territorio italiano di calzature recanti
sulla suola interna la denominazione generica, in lingua italiana,
"pelle" ovvero "vera pelle" senza indicazione alcuna del Paese di
provenienza del prodotto. Ciò trarrebbe in inganno il pubblico,
indotto a ritenere l’origine italiana della pelle, anche in virtù
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ordinanza
del
marchio
italiano
stampigliatura
“pelle”
che
contraddistingue
ovvero
“vera
la
pelle”
merce.
farebbe
La
inoltre
erroneamente intendere sia che l’intero prodotto sia che la sua
parte in pelle siano italiani quando non lo sono.
E ciò in violazione della recente legge nazionale n. 8/2013 la
quale, all’art. 3, comma 2, fa obbligo di indicare il Paese di
provenienza dei prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri
che utilizzano la dicitura italiana dei termini “cuoio” “pelle”,
“pelliccia” e loro derivati.
condotta
concorrenza
operatori
censurata
sleale
concreterebbe
dei
italiani
nel
produttori
settore
altresì
un’ipotesi
stranieri
della
concia,
a
danno
di
degli
rappresentati
da
UNIC. In effetti, quella italiana sarebbe una pelle tra le più
pregiate
al
mondo
per
prescrizioni
produttive
e
tradizione
manifatturiera:l’italianità delle pelle sarebbe dunque un pregio
del
prodotto
che
legittimamente
solo
vantare.
i
produttori
Inoltre,
italiani
sarebbe
potrebbero
professionalmente
scorretto pubblicizzare un prodotto facendo credere contro il vero
che esso sia composto da pelle lavorata in Italia e dunque da un
materiale diverso da quello realmente impiegato.
Le
ricorrenti
assistita
da
hanno
penale,
quindi
invocato
diretta
ad
la
misura
impedire
la
dell’inibitoria
circolazione
sul
mercato italiano di tali calzature senza l’etichettatura del “made
in” riferita alla denominazione “pelle”.
Si sono costituite tutte le resistenti, chiedendo il rigetto del
ricorso sotto diversi profili.
Nel corso del procedimento è emerso che alcune calzature oggetto
del contenzioso sono prodotte in Paese extracomunitario (la Cina)
così come indicato sull’etichetta in plastica applicata alla suola
esterna.
Secondo
risponderebbe
ai
le
ricorrenti
requisiti
tuttavia
della
legge
tale
indicazione
n.8/2013
perché
non
non
riferita specificamente all’origine della pelle ma alla calzatura
in generale, mentre il termine “vera pelle” è stampigliato invece
sulla suola interna. Per altre calzature è invece controversa la
provenienza europea o extraeuropea della pelle utilizzata.
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La
Alcune resistenti hanno invocato la remissione del procedimento in
via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea ex
art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 Dicembre
2008, n. 130, al fine di stabilire la corretta interpretazione
degli artt. 3 e 5 della Direttiva 94/11/CE, in relazione a quanto
stabilito dall'art. 3, comma 2, della n.8 del 14 gennaio 2013.
Le ricorrenti hanno negato la sussistenza di incompatibilità ed
hanno chiesto in via principale l’accoglimento del ricorso e, in
via subordinata, la remissione alla Corte di Giustizia.
il
giudice
incompatibilità
particolare
d’ufficio
con
riguardo
i
ha
rilevato
principi
agli
artt.
di
34,
profili
diritto
35
e
36
di
possibile
comunitario,
con
del
sul
Trattato
Funzionamento dell’Unione Europea.
Il Tribunale ha superato le questioni preliminari sollevate dalle
parti.
2.IL
CONTENUTO
DELLE
DISPOSIZIONI
NAZIONALI
CHE
TROVANO
APPLICAZIONE NEL CASO IN ESAME
Come accennato, la norma di riferimento nell’ordinamento interno
della quale i ricorrenti invocano l’applicazione è la legge n.
8/2013
“nuove
disposizioni
in
materia
di
utilizzo
dei
termini
“cuoio”, “pelle” “pelliccia” e di quelli da essi derivanti o loro
sinonimi”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 30.1.2013
ed entrata in vigore il 14.2.2013.
In particolare l’articolo 3, comma 2, di tale legge nazionale
introduce
l’obbligo
di
etichettatura,
con
l’indicazione
dello
Stato di provenienza, per i prodotti ottenuti da lavorazioni in
Paesi
esteri
che
utilizzano
la
dicitura
italiana
dei
termini
“cuoio”, “pelle”, “pelliccia” e loro derivati o sinonimi indicati
dall’art. 1, commi 1 e 2 , della legge stessa.1
1
L’art. 3 della legge n. 8/2013 recita “E’ vietato mettere in
vendita o altrimenti in commercio con i termini “cuoio”, “pelle”,
“pelliccia,” e loro derivati o sinonimi,come aggettivi che
sostantivi, anche se inseriti quali prefissi o suffissi in altre
parole ovvero sotto i nomi generici di “pellame” “pelletteria” o
“pellicceria”, anche tradotti in lingua diversa dall’italiano,
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Anche
Si tratta dunque di una disposizione che prevede l’etichettatura
obbligatoria sull’origine della pelle utilizzata negli articoli
destinati a circolare sul mercato italiano.
Tale
normativa
nazionale
commercializzazione
di
pone
una
prodotti
presunzione
con
pelle
assoluta
non
tra
italiana
la
con
diciture scritte in italiano e ingannevolezza del consumatore. Non
è dunque rimesso all’interprete in concreto, e dunque al giudice,
il giudizio sull’inganno al pubblico, già compiuto in astratto dal
legislatore.
La legge non fa differenza alcuna tra merci prodotte da Stati non
fabbricate
all’Unione
o
Europea
rispetto
commercializzate
in
un
a
merci
altro
legalmente
Stato
Membro
dell’Unione.
Il testo normativo è stato notificato alla Commissione Europea in
data 21.12.2012 (n. notifica 2012/667/I).
Ad
oggi,
autorità
all’art.
non
risulta
italiana
1,
il
comma
che
sia
decreto
4,
delle
stato
adottato
ministeriale
legge
dalla
competente
attuativo
menzionato
citata2,
al
fine
della
articoli che non siano ottenuti esclusivamente da spoglie animali
lavorate
appositamente
per
la
conservazione
delle
loro
caratteristiche naturali e, comunque, prodotti diversi da quelli
indicati all’art.1”.
Per i prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che
utilizzano la dicitura italiana dei termini di cui all’articolo 1,
commi
1
e
2,
è
fatto
obbligo
di
etichettatura
recante
l’indicazione dello Stato di provenienza”.
Il precedente art. 1 della legge n .8/2013 prevede che:
1. “i termini “cuoio” e “pelle” e quelli da essi derivanti o loro
sinonimi, anche tradotti in lingua diversa dall’italiano,sono
riservati esclusivamente ai prodotti, con o senza pelo, ottenuti
dalla lavorazione di spoglie di animali sottoposte a trattamenti
di concia o impregnate in modo tale da conservare inalterata la
struttura naturale delle fibre, nonché agli articoli con esse
fabbricati, purchè eventuali strati ricoprenti di altro materiale
siano di spessore uguale o inferiore a 0.15 millimetri.
2” Le diposizioni di cui al comma 1 si applicano altresì nei casi
in cui i termini di cui al medesimo comma sono utilizzati come
aggettivi, sostantivi ovvero inseriti quali prefissi o suffissi
altre parole”.
2
L’articolo 1, comma 4, della legge n. 8/2013 recita: “con decreto del Ministero
dello
Sviluppo
Economico,
da
adottarsi
entro
novanta
giorni
dalla
data
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di
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appartenenti
determinazione
delle
specifiche
tecniche
in
relazione
alle
prescrizioni di cui ai commi 1 e 2 dello stesso articolo 1.
Va segnalato infine che non risultano precedenti applicazioni di
tali disposizioni da parte del giudice nazionale.
3.LE DISPOSIZION DELL’UNIONE PERTINENTI
Ciò
posto
interno
quanto
cui
Tribunale
la
che
alla
precisazione
fattispecie
deve
sussistano
alcuni
delle
essere
norme
di
riferimento
valutata,
profili
ritiene
che
il
necessitano
dell’intervento della Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267
del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
E ciò in primo luogo con riguardo all’interpretazione degli artt.
La legge richiamata infatti riguarda unicamente prodotti importati
(ovvero la parte di prodotto in pelle non integralmente trattata
in Italia) e sembra renderne più difficile l’importazione e la
vendita rispetto allo smercio dei prodotti nazionali.
Deve essere altresì richiamata, al fine di inquadrare le questioni
interpretative che il Tribunale intende rimettere alla valutazione
della
Corte
rubricata
di
sul
regolamentari
Giustizia,
la
"riavvicinamento
e
amministrative
Direttiva
94/11/CE
e
delle
disposizioni
degli
Stati
membri
succ.
mod.
legislative,
concernenti
l'etichettatura dei materiali usati nelle principali componenti
delle calzature destinate alla vendita del consumatore". Viene in
rilievo in particolare l’art.3 della Direttiva3 il quale fa divieto
entrata in vigore della presente legge sono definite le specifiche tecniche dei
rigenerati da fibre di cuoio e dei prodotti realizzati mediante processo di
disintegrazione meccanica o di riduzione chimica di particelle fibrose, pezzetti
o polvere dei prodotti di cui ai commi 1 e 2, poi trasformati, con o senza
l’aggiunta di elementi leganti, in fogli o altre forme, per i quali è fatto
divieto di utilizzo dei termini “cuoio”, “pelle” e
3
“pelliccia”.
La Direttiva 94/11/CE, come successivamente modificata, prevede all’art. 3 che
“fatti salvi altri obblighi contenuti nella normativa
comunitaria, gli Stati
membri non possono vietare o impedire la commercializzazione sul loro territorio
di calzature conformi ai requisiti di etichettatura della presente direttiva,
applicando
disposizioni
l’etichettatura
di
nazionali
determinate
non
calzature
o
armonizzate
che
di
in
calzature
disciplinano
generale”.
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Il
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34, 35 e 36 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione.
agli
Stati
membri
armonizzate
le
di
introdurre
quali
si
disposizioni
convertano
in
un
nazionali
non
impedimento
alla
commercializzazione sul loro territorio di calzature conformi ai
requisiti di etichettatura della Direttiva stessa. Il successivo
articolo 5, consentendo l’apposizione di scritte supplementari,
vieta
tuttavia
immissioni
agli
sul
Stati
mercato
di
membri
di
calzature
impedire
conformi
o
al
ostacolare
disposto
del
n.952/2013
del
precedente l’art. 3.
Infine,
viene
in
rilievo
Parlamento Europeo
il
Regolamento
(UE)
e del Consiglio del l9.10.2013 che istituisce
il codice doganale dell’Unione; all’art. 60 prevede che le “merci
sono considerate originarie del paese o del territorio in cui
hanno subito l’ultima lavorazione sostanziale ed economicamente
giustificata (..)”.
4.I MOTIVI DELLA REMISSIONE
4.1.Nel
caso
comunitario
in
non
esame
la
sembra
corretta
fornire
interpretazione
tutti
gli
del
elementi
diritto
utili
che
consentano di valutare la compatibilità delle norme di diritto
interno con la normativa comunitaria, tanto da non lasciare dubbio
alcuno
sulla
soluzione
da
dare
alle
questioni
sollevate
senza
l’intervento della Corte.
Ricorda
mercato
preliminarmente
unico
il
della
Tribunale
presunzione
l’incompatibilità
di
qualità
con
legata
il
alla
localizzazione nel territorio nazionale di tutta o una parte del
processo
produttivo
“la
quale
di
per
ciò
stesso
limita
o
svantaggia il processo produttivo le cui fasi si svolgono in tutto
successivo
articolo
supplementari
accompagnare
poste
le
5
dispone
se
del
indicazioni
direttiva.
Gli
Stati
ostacolare
immissioni
caso
tuttavia
mercato
“informazioni
sull’etichetta
richieste
membri
sul
che
di
ai
non
sensi
della
possono
calzature
scritte
potranno
presente
vietare
od
conformi
al
disposto della presente direttiva come disposto dall’art. 3”.
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alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori
o
in
parte
in
altri
Stati
Membri”4.
A
tale
principio
fanno
eccezione, le regole relative alla denominazione d’origine ed alle
indicazioni
di
provenienza
alimentari,
in
quanto
nel
oggetto
settore
di
dei
una
prodotti
specifica
agro-
disciplina
comunitaria.
Con
la
così
conseguenza
come
che,
costantemente
in
conformità
interpretato
al
diritto
dalla
comunitario,
Corte,
l’obbligo
di
marchiatura dell’origine per i prodotti realizzati all’interno del
territorio
dell’Unione
non
sembra
poter
prevedere
che
questa
consista nell’indicazione del Paese membro all’interno del quale
il
prodotto
è
stato
realizzato,
salva
ovviamente
l’apposizione
Sul punto, le ricorrenti hanno tuttavia sostenuto che il diritto
comunitario consentirebbe deroghe al divieto di marchiatura: ed
una delle ipotesi sarebbe ravvisabile proprio nel caso in cui la
mancata indicazione sull’origine comporti ingannevolezza per il
consumatore. La protezione di quest’ultimo contro inganni e frodi
attuate attraverso pratiche commerciali sleali giustificherebbe, a
norma dell’art.36 del Trattato, disposizioni nazionali restrittive
della libera circolazione delle merci, come quella nazionale in
esame.
E
ciò
alla
l’applicazione
luce
di
di
una
alcune
normativa
decisioni
nazionale
secondo
le
-restrittiva-
quali
“ai
prodotti importati da altri Stati membri, in cui siano legalmente
fabbricati e messi in commercio, è compatibile con il Trattato
stesso solo se imposta per motivi di interesse generale indicati
4
Sentenza della Corte del 12.10.1978, Joh.Eggers Sohn et Co. contro Città di
Brema C- 13/78, punto 25 della motivazione.
5
Si veda in proposito sentenza della Corte del 5.11.2002, Commissione delle
Comunità Europee contro Repubblica Federale di Germania causa C-325/00, sentenza
della Corte del 6.3.2003, Commissione delle Comunità Europee contro Repubblica
Francese, C -6/02).
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volontaria5.
all’art. 36 o da esigenze imperative inerenti, in particolare,
alla lealtà del commercio e alla tutela dei consumatori”.
6
In subordine le ricorrenti hanno rilevato che comunque l’obbligo
di
marchiatura
non
troverebbe
quale
limite
di
applicazione
la
normativa comunitaria citata in relazione ai prodotti in pelle
fabbricati
o
commercializzati
in
Stati
non
Membri:
dunque
per
alcune delle calzature oggetto di contenzioso la legge n. 8/2013
sarebbe comunque applicabile.
Come ricordato al punto n.1, infatti, alcune calzature oggetto del
contenzioso sono prodotte in Paese extracomunitario (la Cina) così
indicato
esterna.
sull’etichetta
Altre
non
in
recano
plastica
alcuna
applicata
indicazione
alla
del
suola
Paese
di
produzione.
Sotto quest’ultimo profilo osserva il Tribunale che in effetti le
pronunce
rilevanza
della
al
nell’ambito
6
Sentenza
Corte
principio
dell’art.
Corte
-che
del
di
36
non
del
11.5.1989,
Repubblica Federale di Germania-
talora
negano
comunque
ingannevolezza
Trattato7-
Commissione
del
sembrano
delle
Comunità
autonoma
consumatore
indicare
Europee
una
contro
C-76/86 punto 13 della motivazione.
Si veda ancora la sentenza della Corte dl 16.12.1980, domanda di pronuncia
pregiudiziale Arrondissementsrechtbank Assen contro Paesi Bassi, C- 27/80, punto
11 della motivazione:“provvedimenti nazionali imposti dall’esigenza di garantire
la corretta denominazione dei prodotti, di evitare qualsiasi confusione nella
mente del consumatore ed assicurare la lealtà in commercio non sono in contrasto
con il principio della libera circolazione delle merci sancito dagli artt. 30 e
segg.” Si veda anche sentenza della Corte del 26.11.1996, F.lli Graffione s.n.c.
contro Ditta Fransa, C-313/94, punto 24 della motivazione.
7
Cfr. Sentenza della Corte del 17.6.1981, Commissione Europea contro Irlanda,
C-113/80, punti 13,14,e 16 della motivazione, la cui massima recita:“l’articolo
36 del Trattato CEE, in quanto deroga al principio fondamentale dell’abolizione
di qualsiasi ostacolo per la libera circolazione delle merci tra gli Stati
membri,
va
interpretato
restrittivamente;
le
deroghe
in
esso
elencate
non
possono essere estese a casi diversi da quelli tassativamente contemplati. Dato
che né la tutela dei consumatori né la lealtà dei negozi commerciali sono
menzionate fra le deroghe di cui all’art. 36 è evidente che queste ragioni non
possono essere invocate –in quanto tali – nell’ambito del suddetto articolo.
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come
incompatibilità con il solo mercato unico delle presunzioni di
qualità
legate
alla
localizzazione
nel
territorio
nazionale
di
tutta o di una parte del processo produttivo. E ciò in quanto la
presunzione
si
converte
in
un
limite
o
in
uno
svantaggio
del
processo produttivo le cui fasi si svolgono in tutto o in parte in
altri Stati-Membri.8
Entrambe le questioni interpretative sono rilevanti nel giudizio
pendente innanzi a questo Tribunale perché per alcune calzature è
stata allegata e documentata la produzione extra-comunitaria della
calzatura, mentre per altre l’origine geografica –comunitaria- è
contestata.
effetto
equivalente
ad
un
restrizione
quantitativa
la
norma
nazionale che subordini all’indicazione dello Stato di provenienza
il diritto di utilizzare la denominazione “pelle” o “vera pelle”
in
lingua
italiana
nei
soli
casi
in
cui
si
tratti
di
pelle
legalmente lavorata o commercializzata in altri Stati-Membri, le
domande dei ricorrenti andranno solo parzialmente accolte: e ciò
con riguardo alle calzature oggetto di contenzioso che utilizzano
pelli conciate in Paesi non Membri.
Ove invece l’applicazione della legge nazionale n.8/2013 anche a
pelli lavorate in Paesi non Membri dell’Unione sia impedita dai
principi e dalle disposizioni in materia del diritto dell’Unione,
la domanda delle ricorrenti andrà rigettata totalmente.
Qualora infine venisse accolta la tesi delle ricorrenti, secondo
la
quale
la
comunitario
legge
senza
nazionale
limite
n.
8/2013
alcuno,
le
è
conforme
domande
al
diritto
urgenti
delle
ricorrenti andranno accolte integralmente.
4.2. Ulteriori profili di dubbio interpretativo che il Tribunale
intende sottoporre alla Corte attengono alla disciplina dettata
dalla Direttiva n. 94/11/CE, ed in particolare all’articolo 5 il
8
Si veda ad esempio sentenza della Corte del 25.4.1985, Commissione delle
Comunità Europee contro Regno Unito di Gran Bretagna e D’Irlanda del Nord, C207/83, punti-17,18,21 della motivazione.
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Firmato Da: ZANA ALIMA Emesso Da: POSTECOM CA2 Serial#: c4622 - Firmato Da: GAROFALO CARMELO Emesso Da: POSTECOM CA2 Serial#: c156a
Quindi, ove la Corte ritenesse che corrisponda ad una misura di
quale fa divieto per gli Stati Membri di impedire od ostacolare
immissioni sul mercato di calzature conformi al disposto della
presente direttiva come disposto dall’art.3.
Ed allora: l’art. 3 della legge n. 8/2013 potrebbe convertirsi in
un
divieto
alla
stampigliature
Direttiva
n.
circolazione
siano
invece
94/11/CE.
E
delle
conformi
ciò
sempre
calzature,
alle
le
prescrizioni
attraverso
un
cui
della
obbligo
di
indicazione della provenienza incompatibile con l’articolo n. 5
della Direttiva stessa.
stata
D.M.
recepita
dall’ordinamento
11.4.19969;
l’articolo
5
in
ogni
della
caso
Direttiva
italiano
hanno
ed
in
rilevato
citata
particolare
dal
che,
ove
trovasse
anche
immediatamente
applicazione nell’ordinamento interno, esso non sarebbe comunque
ostativo all’applicazione della legge n. 8/2013. E ciò in quanto
la Direttiva vieta espressamente solo “disposizioni nazionali non
armonizzate”, mentre la legge nazionale sarebbe armonizzata perché
finalizzata
a
tutelare
il
consumatore
contro
inganni,
in
conformità all’art. 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione.
Osserva
sul
Direttiva
importante
punto
in
esame,
per
trasparenza
Tribunale
i
che
tra
l’etichettatura
una
per
funzionamento
il
migliore
del
Considerando
indicata
informazione
consumatori
armonioso
è
i
nonché
mercato
e
una
per
interno.
quale
delle
mezzo
maggiore
garantire
Le
il
informazioni
fornite dall’etichettatura, ai sensi dell’art. 4 della Direttiva,
sono scritte almeno nella lingua che può essere determinata dallo
Stato membro di consumo.
9
Decreto
del
Ministro
dell’Industria,
del
Commercio
e
dell’Artigianato
del
11.4.1996 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale-Serie Generale 26.4.1996 n. 97,
rubricato:“Recepimento della direttiva 94/11/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 23 marzo 1994 sul ravvicinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti l’etichettatura
dei materiali usati nelle principali componenti delle calzature destinate alla
vendita al consumatore”.
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Le ricorrenti hanno osservato che tale ultima disposizione non è
Sussiste
dunque
a
giudizio
del
Tribunale
l’incertezza
interpretativa se tra “le disposizioni nazionali non armonizzate”
di cui artt. 3 della Direttiva 94/11/CE, rientrino anche leggi
interne
che
impongano
l’obbligo
di
etichettatura
sull’origine,
motivato da ragioni di ingannevolezza del pubblico per l’utilizzo
di denominazioni generiche del prodotto nella lingua dello Stato.
E dunque, se le disposizioni citate della Direttiva, correttamente
interpretate,
ostino
all’applicazione
della
legge
nazionale
n.8/2013, traducendosi quest’ultima in un ostacolo all’immissione
nel
mercato
di
calzature
conformi
al
dettato
della
Direttiva
stessa.
subordine,
ritiene
interpretativa
il
Tribunale
sull’eventuale
che
sussista
incompatibilità
incertezza
della
legge
nazionale solo ove applicata a prodotti che utilizzino
pelli
ottenute da lavorazioni in Paesi Membri ovvero già in tali Stati
legalmente
commercializzati,
mentre
sia
consentita
la
sua
applicabilità a pelle lavorate in Paesi extra-comunitari.
E ciò in relazione al caso di specie ed alle calzature prodotte in
Paesi non Membri.
4.3.Infine il Tribunale segnala un possibile conflitto della norma
nazionale
con
il
Regolamento
(UE)
n.952/2013
del
Parlamento
Europeo e del Consiglio del l9.10.2013 che istituisce il codice
doganale dell’Unione.
Osserva il Tribunale che il criterio dettato dall’articolo 60 del
Regolamento, il quale prevede il criterio dell’ultima lavorazione
sostanziale
del
prodotto,
potrebbe
confliggere
con
le
regole
dettate dagli artt. 1 e 3 della legge nazionale n. 8/2013. Ed
infatti la regola prevista dalla normativa italiana
obbligo
di
etichettatura
recante
l’indicazione
impone
dello
Stato
un
di
provenienza per prodotti ottenuti da lavorazioni in paesi esteri
che potrebbe rivelarsi disomogeneo rispetto al criterio del citato
art.60 del Regolamento.
Con conseguente necessità nel
primazia
del
diritto
caso in esame di riaffermare la
comunitario
rispetto
alla
norma
interna
confliggente, anche anteriore, attraverso la sua disapplicazione.
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In
La soluzione interpretativa
antecedente
logico
delle tre questioni appare costituire
rispetto
all’emanazione
della
pronuncia
conclusiva del procedimento pendente innanzi a questo Tribunale.
P.Q.M.
Visto
l’art.
267
del
Trattato
sul
Funzionamento
dell’Unione
Europea, il Tribunale di Milano -Sezione Specializzata in materia
d’Impresa- sottopone in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia
i seguenti quesiti:
1)se
gli
artt.
dell’Unione
34,
35,
e
Europea,
36
del
Trattato
correttamente
sul
Funzionamento
interpretati,
ostino
all’applicazione dell'art. 3, comma 2, della legge nazionale n.8
gennaio
2013
-che
fa
obbligo
di
etichettatura
recante
l’indicazione dello Stato di provenienza per prodotti ottenuti da
lavorazioni in Paesi esteri che utilizzano la dicitura italiana
“pelle”-
ai
prodotti
commercializzata
risolvendosi
in
tale
in
altri
legge
pelle
legalmente
Stati
Membri
nazionale
in
lavorata
dell’Unione
una
misura
o
Europea,
d’effetto
equivalente ad una restrizione quantitativa vietata dall’art. 30
del Trattato e non giustificata dall’art. 36 del Trattato;
2)
se
gli
artt.
dell’Unione
34,
35,
Europea,
e
36
del
Trattato
correttamente
sul
Funzionamento
interpretati,
ostino
all’applicazione dell'art. 3, comma 2, della legge nazionale n.8
14
gennaio
2013-
che
fa
obbligo
di
etichettatura
recante
l’indicazione dello Stato di provenienza per prodotti ottenuti da
lavorazioni in Paesi esteri che utilizzano la dicitura italiana
“pelle”- ai prodotti in pelle ottenuta da lavorazioni in Paesi non
Membri dell’Unione Europea e non già legalmente commercializzati
nell’Unione,
d’effetto
risolvendosi
equivalente
ad
tale
una
legge
nazionale
restrizione
in
una
quantitativa
misura
vietata
dall’art. 30 del Trattato e non giustificata dall’art. 36 del
Trattato;
3)se
gli
artt.
3
e
5
della
Direttiva
94/11/CE,
correttamente
interpretati, ostino all’applicazione dell’art. 3, comma 2, delle
legge nazionale 14 gennaio n.8 -che fa obbligo di etichettatura
recante
l’indicazione
dello
Stato
di
provenienza
per
prodotti
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14
ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che utilizzano la dicitura
italiana “pelle”
- ai prodotti in pelle legalmente lavorata o
legalmente commercializzata in altri Stati Membri dell’Unione;
4) se gli artt. 3 e 5 della Direttiva 94/11/CE, correttamente
interpretati, correttamente interpretati, ostino all’applicazione
dell'art. 3, comma 2, della legge nazionale n.8
14 gennaio 2013,
che fa obbligo di etichettatura recante l’indicazione dello Stato
di provenienza, per prodotti in pelle ottenuta da lavorazioni in
Paesi
non
Membri
dell’Unione
Europea
e
non
già
legalmente
commercializzati nell’Unione;
5)se l’art. 60 del Regolamento (UE)952/2013 del Parlamento Europeo
all’applicazione dell’art. 3, comma 2, legge nazionale 14 gennaio
2013 n. 8- che fa obbligo di etichettatura recante l’indicazione
dello Stato di provenienza per prodotti ottenuti da lavorazioni in
Paesi
esteri
prodotti
in
dell’Unione
che
utilizzano
la
dicitura
ottenuta
da
lavorazioni
pelle
Europea
o
non
già
italiana
legalmente
in
“pelle”-
Paesi
a
Membri
commercializzati
nell’Unione;
6)se l’art. 60 del Regolamento (UE)952/2013 del Parlamento Europeo
e del Consiglio del 9.10.2013, correttamente interpretato, osti
all’applicazione dell’art. 3, comma 2, legge nazionale 14 gennaio
2013 n. 8- che fa obbligo di etichettatura recante l’indicazione
dello Stato di provenienza per prodotti ottenuti da lavorazioni in
Paesi
esteri
che
utilizzano
prodotti in pelle ottenuta da
dell’Unione
Europea
e
non
la
dicitura
italiana
“pelle”-
a
lavorazioni in Paesi non Membri
già
legalmente
commercializzati
nell’Unione;
Dispone la sospensione del procedimento nonché la comunicazione
della presente ordinanza alle parti e la trasmissione della stessa
alla Corte di Giustizia U.E. a cura della Cancelleria.
Così deciso in Milano, 20 febbraio 2014
Il Giudice designato dott.ssa Alima Zana
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e del Consiglio del 9.10.2013, correttamente interpretato, osti
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