Le relazioni industriali presentazione a cura di Riccardo Sanna Urbino, 3 settembre 2014 Una premessa necessaria 2 L’agonismo del pensiero economico Dalla nascita dell’economia politica (e della politica economica) gli storici del pensiero economico valutano in modi diversi il succedersi delle singole scuole di pensiero, privilegiando un punto di vista “competitivo”, secondo il quale l’esistenza stessa di diverse scuole mostra i possibili approcci diversi allo studio e al governo dei fenomeni economici, rispetto al punto di vista “cumulativo”, secondo il quale si è avuto e continua un progressivo avvicinamento alle verità economiche. 3 L’antagonismo nel pensiero economico Esistono e coesistono molte teorie rivali, che si disputano l’egemonia culturale e politica; e la teoria neoclassica – in forme nuove e ingegnose ma ridondanti – è ancora oggi la teoria dominante nella professione, nei manuali e nell’opinione comune e comunissima, sebbene nel corso del Novecento a essa siano state mosse due critiche radicali, da parte di J. M. Keynes (1883-1946) e di P. Sraffa (18981983). 4 «Il fine dello studio dell’economia non è acquisire una serie di soluzioni belle e pronte per i problemi economici, ma imparare a non lasciarsi ingannare dagli economisti». Joan Robinson (Economic philosophy, Watts, 1962) 5 Definizione, ambito, teorie, metodi e modelli di relazioni industriali 6 Definizione Per "relazioni industriali" si intende l’attività di elaborazione, solitamente sistematica e stabile, di norme, più o meno formalizzate, relative all’impiego del lavoro dipendente e alle controversie che da tale impiego derivano, effettuata in prevalenza a partire da rapporti fra soggetti collettivi generalmente organizzati (sindacati dei lavoratori, associazioni imprenditoriali, ma anche singole imprese) e quasi sempre con il concorso dell'attore pubblico. 7 L'aggettivo "industriale", derivato dalla tradizione anglosassone, segnala la centralità dei settori manifatturieri, ma è usato per estensione anche in rapporto ad altri settori. Questa estensione si giustifica con le trasformazioni del mercato del lavoro e delle organizzazioni sindacali. Le relazioni industriali riguardano i lavoratori come collettività e si manifestano attraverso forme di negoziato e di scambio fra le parti coinvolte. Le relazioni industriali costituiscono l'oggetto di studio di numerose discipline, dall’economia alla sociologia, dal diritto alla psicologia sociale, dalla filosofia alle scienze politiche. 8 I metodi 1. Regolamentazione unilaterale: formulazione parte dei sindacati di proprie norme. da 2. Contrattazione collettiva: definizione congiunta di norme attraverso accordi fra datori di lavoro e sindacati. 3. Regolamentazione per legge: interventi del legislatore, spesso sotto la pressione dei sindacati. 4. Partecipazione: favorita dall'intervento legislativo in numerosi paesi (soprattutto europei) e in grado di integrarsi con la contrattazione collettiva. 9 Struttura della contrattazione collettiva Rete relativamente stabile dei rapporti di interdipendenza che intercorrono, in senso orizzontale, fra i diversi soggetti della contrattazione collettiva e, in senso verticale, all’interno dei soggetti stessi, cioè fra i livelli delle organizzazioni datoriali e sindacali. Si caratterizza per alcune importanti dimensioni: grado di autonomia grado di centralizzazione profondità ampiezza estensione 10 2013 2007 Tasso di sindacalizzazione Copertura contrattuale 11 Grado di centralizzazione e di autonomia dati Eurofound 2012 12 Modelli delle relazioni industriali Modello contestativo (paesi industriali nella seconda metà del XIX secolo e fino alla Grande guerra) Modello pluralista (area anglosassone, ruolo rilevante nella Grande crisi del ‘29 e consolidato nel Dopoguerra con lo sviluppo economico e la democrazia rappresentativa, es. Germania, Italia. Oggi: USA e Giappone; Svezia; Italia) Modello statalista (tra le due guerre in Germania, Italia, poi Spagna e Portogallo; in Unione Sovietica e nei paesi del "socialismo reale", anche di nuova industrializzazione) Modello collaborativo (paesi europei, in presenza di governi di coalizione o di ‘larghe intese’, es. Austria; con governi socialdemocratici es. Germania e Svezia; accordi concertativi "d’emergenza", es. Italia) 13 Teorie delle relazioni industriali (e del conflitto) Orientamenti che partono dal presupposto della inconciliabilità di interessi fra lavoratori e imprenditori (progetti e dai programmi di ispirazione marxista; studi sulle esperienze sindacali degli Stati Uniti e della Gran Bretagna; E. Shorter e C. Tilly; ecc.) Dottrine e programmi mirati a una stabile armonizzazione degli interessi fra lavoratori e imprenditori (autori di ispirazione cristiano-sociale; esponenti del riformismo socialdemocratico; E. Durkheim; J. T. Dunlop; A. Flanders, A. Fox e H. A. Clegg, gli esponenti più significativi della Scuola di Oxford; C. Kerr; A.M. Ross e P.T. Hartman; R. Dahrendorf; ecc.) 14 Teorie dell’economia politica e del lavoro Contributo degli economisti "classici" (A. Smith; D. Ricardo; K. Marx; T. Malthus; J.S. Mill; J.E. Cairnes; P. Sraffa) I "marginalisti", la teoria della domanda di lavoro e la sintesi neoclassica (J.B. Clark; A. Marshall; L. Walras; poi A. C. Pigou; J.G.K. Wicksell; J.R. Hicks; C.W. Cobb; P.H. Douglas) Gli "istituzionalisti" (J.R. Commons, T. Veblen, R. F. Oxie; R.T. Ely; S. Perlman) J.M. Keynes e i keynesiani (J. Robinson; E.H. Chamberlin; R.A. Lester; A.M. Ross; L. Reynolds e C. Taft) Teoria del capitale umano elaborata (J. Mincer; T.W. Schultz; G.S. Becker), l'approccio del ciclo di vita (F. Modigliani), interazione tra fattori economici e sociali (H. Phelps Brown e M. Friedman, la Teoria dei giochi (J. Nash) 15 mercato del lavoro simile al mercato delle merci Produttività marginale e Disutilità marginale del lavoro flessibilità dei salari vs disoccupazione si determinano il salario reale e il livello di occupazione di equilibrio [(w/P)* e N*]. funzione di produzione a rendimenti decrescenti (determina il prodotto naz. Y*) Legge di Say e D(N) = Z(N) e si raggiunge sempre l’equilibrio di piena occupazione. 16 Principio della domanda effettiva e mercato dei beni aspettative degli imprenditori propensione al consumo nessuna tendenza “naturale” alla piena occupazione ruolo della moneta (liquidità) e dell’incertezza (non rischio) per gli investimenti lavoratori e imprese contrattano salari monetari la riduzione dei salari monetari non ha risvolti positivi sull’occupazione far crescere i salari con la produttività, mantenendo così stabili i prezzi. 17 «È una fortuna che i lavoratori, benché inconsciamente, siano per istinto economisti più ragionevoli degli stessi economisti di scuola classica nella misura in cui resistono a riduzioni nei salari nominali». John Maynard Keynes (Teoria Generale, 1936, Cap. II, par. III) 18 La nuova «Grande crisi» (e la nuova «Grande trasformazione») 19 La progressiva caduta della quota del lavoro Quota del reddito da lavoro sul PIL Area Euro-12 Germania Francia Italia USA Fonte: elaborazioni su dati AMECO. 20 Coefficiente di Gini di disuguaglianza (concentrazione) nella distribuzione La classifica della disuguaglianza Redistribuzione Disuguaglianza «da mercato» Disuguaglianza del reddito disponibile “la disuguaglianza è aumentata più negli ultimi tre anni che nei precedente dodici” Fonte: OCSE (2011), Growing Inequal?. 21 L’aumento delle disuguaglianze Dinamica della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile (coefficiente di Gini) Fonte: OCSE (2011), Divided we Stand. 22 L’aumento delle disuguaglianze Dinamica della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile (coefficiente di Gini) Fonte: OCSE (2011), Divided we Stand. 23 Fonte: Piketty e Saez (2012). 2007 2002 1997 1992 1987 1982 1977 1972 1967 1962 1957 1952 1947 1942 1937 1932 1927 1922 1917 top 10% va al10% nazionale reddito Quota to Top goingche income of total Share del Il top della disuguaglianza Il 10% più ricco degli USA, 1917-2010 50% 45% 40% 35% 30% 25% 25 L’intervento pubblico Top Income Tax La pressione fiscale sulRates 10% 1910-2010 più ricco, 1910-2010 10% sultaxreddito Aliquota marginale incomes to toptop rate applyingdel Top marginal income 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% U.S. 30% U.K. 20% Germany 10% France 0% 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 Fonte: Piketty e Saez (2012). Source: World Top Incomes Database, 2012. 26 Rapporto tra ricchezza privata e reddito nazionale Private wealth / national income ratios, 1970-2010 800% 700% 600% USA Japan Germany France UK Italy Canada Australia 500% 400% 300% 200% 100% 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 Authors' computations using country national accounts. Private wealth = non-financial assets + financial assets - financial liabilities (household & non-profit sectors) Fonte: Piketty e Saez (2012). 27 800% 800% Rapporto tra ricchezza privata e reddito nazionale Private vswealth governement wealth, 1970-2010 (% national income) Private / national income ratios, 1970-2010 USA Japan 700% 700% USA Germany Japan France Germany UK France Italy 600% Canada UK Australia Italy 600% 500% Canada Australia 500% 400% 300% 400% Private wealth 200% 300% 100% Government wealth 200% 0% -100% 100% 1970 1970 1975 1975 1980 1980 1985 1985 1990 1990 1995 1995 2000 2000 2005 2005 2010 2010 Authors'Authors' computations using country nationalnational accounts. Private wealth = non-financial + financial assets - financial liabilities (household & non-profit sectors) computations using country accounts. Government wealth = assets non-financial assets + financial assets - financial liabilities (govt sector) Fonte: Piketty e Saez (2012). 28 Dinamiche del PIL e della disoccupazione a livello globale Pil Reale (var. %) Scenario pessimistico Tasso di crescita del PIL (%) Variazioni della disoccupazione (milioni di unità) Pil Reale (var. %) Disoccupazione Disoccupazione Scenario pessimistico 29 Trend della disoccupazione globale Tasso di disoccupazione disoccupazione Tasso di disoccupazione Disoccupazione (milioni di unità) Totale 30 Disoccupazione (milioni di unità) Il gap occupazionale della crisi Trend pre-crisi Massimo e Minimo dell’intervallo di confidenza delle previsioni Stime/Proiezioni 31 Statistiche Variazione annua (%) dell’output per occupato Produttività del lavoro per periodi e aree del Mondo Il divario globale dei salari (in miliardi di dollari) Monte Salari globale stima pre-crisi Monte Salari globale proiezione trend crisi Gap salariale 32 PIL nelle principali economie avanzate (variazioni tendenziali trimestrali) 33 PIL nelle principali economie emergenti (variazioni tendenziali trimestrali) 34 PIL reale e potenziale e Output gap PIL (prezzi costanti 2005 Output gap (scala dx) PIL potenziale (prezzi costanti 2005 35 PIL (prezzi costanti 2005 Output gap (scala dx) PIL potenziale (prezzi costanti 2005 36 Disoccupazione «naturale» o strutturale ? NAIRU Tasso di disoccupazione 37 Disoccupazione «naturale» o strutturale ? NAIRU Tasso di disoccupazione 38 L’attualità della Curva di A.W. Phillips (1958) Inflazione Inflazione da domanda se c’è piena occupazione «Illusione monetaria» (stagflazione e M. Friedman) La «disoccupazione naturale» (NAIRU) spiega la scelta di contenere l’inflazione e l’avversione all’intervento pubblico Rischio deflazione e disoccupazione strutturale? Depressione Deflazione Tasso di disoccupazione 39 La rappresentanza del lavoro e la contrattazione in Italia 41 42 La Costituzione La Costituzione italiana fonda la Repubblica sul lavoro (art. 1), riconosce e il diritto al lavoro come diritto fondamentale (art. 4) e accoglie un modello di Stato a sviluppo economico socialmente inclusivo e responsabile (artt. 35-38, 41), oltre che partecipato (artt. 39, 40, 46) attribuendo alla legge una funzione di programmazione e di controllo affinché l’attività economica si indirizzi a fini sociali (artt. 41, 42, 43). L’organizzazione sindacale è “libera” (art. 39, comma 1). Le disposizioni costituzionali sulla registrazione dei sindacati e sull'attribuzione della capacità di contrattazione a livello settoriale, sulla regolamentazione del diritto di sciopero e sui diritti dei lavoratori a partecipare alle decisioni delle imprese, non sono mai state implementate. 43 Un breve excursus legislativo La legislazione degli anni Cinquanta e Sessanta è incentrata sul miglioramento delle condizioni individuali di lavoro La legislazione degli anni Settanta è dominata dall’emanazione dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300 del 20 maggio 1970) e dal conseguente riconoscimento di una serie di diritti individuali e sindacali all’interno dei luoghi di lavoro (es. art. 18; artt. 19-27), promuovendo indirettamente il ruolo della contrattazione collettiva. Dagli anni Ottanta a oggi, si inverte il processo all’insegna della deregolazione dell’economia e del lavoro (es. L. 863/1984; L.196/97; L. 30/2003; L. 133/2008; L. 92/2012), della decollettivizzazione e del decentramento contrattuale (es. ex art. 8 D.L. n. 138/2011, conv. in L. n. 148/2011; c.d. Riforma Brunetta, D.Lgs. 150/2009) 44 45 Lo sciopero Astensione concordata e organizzata dal lavoro da parte di più lavoratori per la tutela di interessi comuni e collettivi, diritti di carattere economico, politico o sindacale. Rappresenta la principale forma di autotutela dei lavoratori. Ai sensi dell’art. 40 Cost. lo sciopero «si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Tali leggi non sono mai state emanate, fatta eccezione per alcune norme particolari per gli addetti agli impianti nucleari (art. 49 e 129 d.p.r. n. 185/1964), per il personale di assistenza al volo (art. 4 l. n. 42/1980), e per la disciplina, anch’essa settoriale, dello sciopero nei servizi pubblici essenziali (l. n. 146/1990). 46 La Contrattazione collettiva in Italia Procedimento volto alla stipula di contratti collettivi o di altri accordi sindacali con i quali si regolano i rapporti collettivi di lavoro. Strumento di regolamentazione degli aspetti retributivi, ma anche di altri istituti riguardanti il rapporto di lavoro (ferie, congedi, malattia, ecc.) e delle condizioni lavorative (orari, turni, ecc.). Nella contrattazione, i lavoratori e i datori di lavoro sono rappresentati dalle rispettive associazioni di categoria (sindacati, es. CGIL, CISL e UIL; associazioni datoriali, es. Confindustria, Confcommercio, ecc.). Scopo della contrattazione collettiva è quello di stabilire condizioni uniformi e obbligatorie valide per tutti i lavoratori di una data categoria. 47 Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) è, nel diritto pubblico italiano, un tipo di contratto di lavoro stipulato a livello nazionale tra le organizzazioni rappresentanti dei lavoratori ed i loro datori di lavoro. I contenuti del CCNL sono di due tipi: normativo, che riguarda il complesso di clausole destinate ad avere efficacia nei singoli rapporti (es. retribuzioni, orario, ferie, permessi, malattia ecc.); obbligatorio, che detta la disciplina delle relazioni tra le parti collettive (es. le clausole di tregua sindacale). 48 Erga omnes (?) Costituzione art. 39 e art. 36 Tentativi del legislatore (es. Legge Vigorelli 741/1959) Giurisprudenza Giudice (es. artt. 1321 e 1322 C.c.) (es. Cassazione, 13.08.1997, n. 7566) Accordi interconfederali (Accordo del 28 giugno 2011; Intesa del 31 maggio 2013; T.U. 10 gennaio 2014) 49 50 Evoluzione recente del sistema di relazioni industriali 51 Struttura della contrattazione in Italia Governo CGIL, CISL, UIL, (3 + altri) Accordi tripartiti Accordi interconfederali Confindustria, Confapi, Confartigianato, Legacoop, ecc. (>10) 1° livello … Federazioni di categoria (12-18) CCNL (456) … Federazioni datoriali (>200) … … … … … … 2° livello • accordi aziendali, su filiere, di Lavoratori nei luoghi di lavoro, nel territorio Contrattazione sociale gruppo, ecc. (imprese di media e grande dimensione) • accordi territoriali, di distretto, di sito, ecc. (piccole imprese) Datori di lavoro e management nei luoghi di lavoro, nel territorio La «concertazione» In Italia 53 Cos’è la «concertazione»? L’attività con cui il governo e le parti sociali, dopo aver fissato di comune accordo degli obiettivi condivisi, si adoperano per individuare strumenti e percorsi utili al loro raggiungimento. Si indica dunque il metodo della partecipazione delle grandi organizzazioni collettive degli interessi a percorsi decisionali pubblici in materia di politica economica e sociale. Tali percorsi possono avere forma tripartita o bilaterale a seconda che in essi vi sia, o meno, il coinvolgimento diretto, oltre che delle parti sociali, del governo o comunque di altre istituzioni pubbliche centrali e/o territoriali. Storicamente, la concertazione è stata agita, in Italia come altrove, dai maggiori sindacati dei lavoratori e dalle corrispettive associazioni imprenditoriali. 54 «[…] Cosa ne pensi delle varie proposte di rientro dall’inflazione in Italia, e cioè in che modo tu pensi che si possa affrontare il problema di un rientro serio […]. Come tu pensi che questo problema possa essere affrontato in Italia?» «Ti ho detto che non sono uno specialista delle formule, proprio tu vuoi cacciarmene una! […] Ecco, la formula che a me pare opportuna sia quella soprattutto della lealtà» 55 La “rincorsa” e la “moderazione” salariale Prezzi al consumo (f.o.i.) 25,0 5,0 Decreto di s. Valentino 10,0 Lodo Scotti Primo shock Secondo shock petrolifero 15,0 Protocollo di Luglio 20,0 Disdetta della scala mobile Referendum abrogativo Retribuzione lorda per ula 0,0 1970 1973 1976 1979 1982 1985 1988 1991 1994 1997 2000 2003 56 L’Accordo del 23 luglio 1993 e la «politica dei redditi» La stabilità dei prezzi come bene pubblico, la stabilità delle quote distributive (Legge di Bowley), il recupero del potere d’acquisto, dal passato al futuro (la cosiddetta “politica salariale d’anticipo”), il rientro dell’inflazione attraverso la «programmazione» concertata degli scatti di ‘scala mobile’ e la disciplina di prezzi, tariffe e prezzi amministrati (inflazione programmata) La diffusione della contrattazione di secondo livello come incentivo agli investimenti e alla produttività (e alla sua redistribuzione), anche sostenuta dall’intervento pubblico, garante delle politiche di investimento e redistribuzione. 57 La “regola aurea” Arthur Bowley (1927): costanza nel tempo della quota del lavoro, ovvero dell’invarianza di lungo periodo delle quote distributive (del lavoro e del capitale) del reddito nazionale, al netto delle oscillazioni cicliche, come “regola aurea della politica dei redditi”: salari di fatto reali devono crescere nella stessa misura della produttività, al netto della variazione dell’incidenza dell’occupazione dipendente sul totale. a parità di altre condizioni, ciò assicura la massima crescita della domanda interna compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio di profitto e, quindi, sui prezzi. per ragioni di carattere macroeconomico, legate alla crescita e all’equilibrio nei consumi, date le diverse propensioni di lavoratori e imprenditori, la regola consente di portare i risparmi ad eguagliare gli investimenti necessari per conseguire il pieno impiego o il tasso di crescita del prodotto desiderato. 58 …in formule pY = W + R massa massa salariale profitti p= wN wNg + = Y Y p= w y Produttività (del lavoro) wN Y (1 + g) (1 + g) ṗ = 0 ṗ = ẇ – ẏ + (1 + ġ) Quota del lavoro y= Y N W/pY = wN/pY = w/py ẇ – ṗ – ẏ = 0 ẇ = ẏ (1 + ġ) = 0 59 Protocollo del ‘93 e Legge di Bowley Assetto della contrattazione salariale: 1. Importi tabellari previsti dai CCNL e legati all’inflazione programmata; 2. Salario di risultato a livello aziendale o territoriale, legato a produttività, profittabilità e qualità a livello locale. Casi possibili Contrattazione nazionale (primo livello) Produttività del lavoro Contrattazione decentrata (secondo livello) Caso 1: Normale Mantiene il potere d’acquisto delle retribuzioni di base Cresce Non disponibile a tutti i dipendenti e/o non in grado di eguagliare la crescita delle retribuzioni reali con quella della produttività Caso 2: Non molto probabile Mantiene il potere d’acquisto delle retribuzioni di base Cresce Disponibile a tutti i dipendenti e/o di importo tale da eguagliare la crescita delle retribuzioni reali con quella della produttività Caso 3: Improbabile Mantiene il potere d’acquisto delle retribuzioni di base Si ferma o si riduce Si ferma o distribuisce ai salari aumenti maggiori della crescita della produttività Quota del lavoro nel reddito Si riduce Rimane stabile Cresce 60 Protocollo del ‘93 e risultati Periodi Inflazione programmata (tip) Inflazione effettiva (foi) Retribuzioni di base nominali (1° livello) Retribuzioni di base reali Retribuzioni decentrate nominali (2° livello) Retribuzioni decentrate reali Produttività del lavoro Retribuzioni totali nominali Retribuzioni totali reali (foi) Prezzi dell'output (deflatore Pil) Retribuzioni totali reali (defl. Pil) Differenza retribuzioni reali - produttività Incidenza del lavoro dipendente sull'occupazione totale Quota delle retribuzioni nel reddito Occupazione Crescita del prodotto α β γ 1993-1995 1996-2000 2001-2008 1993-2008 4.2 4.5 2.6 -1.9 15.3 10.8 2.9 3.7 -0.8 3.9 -0.2 -3.1 0.1 2.4 2.3 2.9 0.6 7.8 5.5 1.0 3.5 1.2 2.7 0.8 -0.2 0.1 1.7 2.4 2.9 0.5 4.6 2.2 0.1 3.1 0.7 2.7 0.4 0.3 0.4 2.4 2.7 2.8 0.1 7.5 4.8 0.9 3.3 0.6 2.9 0.4 -0.5 0.3 -2.9 -1.4 1.5 0.90 3.76 0.38 -0.1 0.8 1.8 0.88 5.10 0.60 0.8 0.8 0.9 0.85 19.87 2.94 -0.2 0.4 1.3 0.87 5.04 0.65 61 Alleanza tra profitti e rendite… 12,0 120.000 10,0 100.000 8,0 80.000 6,0 60.000 4,0 40.000 20.000 2,0 Rendite00 Rendite/Pil - 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 62 …a scapito del lavoro 120,0 86,00 110,0 84,00 100,0 ln Ifl 15,124 4,4527 ln S L R 2 0,7205 82,00 90,0 80,00 80,0 78,00 70,0 Investimenti f.l./profitti lordi Quota del lavoro (scala di destra) 76,00 60,0 50,0 74,00 1971 1975 1979 1983 1987 1991 1995 1999 2003 63 Cosa intendiamo per produttività? La produttività è stata da sempre intesa come un indicatore in grado di misurare la capacità produttiva di un’impresa, di un settore produttivo, di una regione, di una nazione o di un’area sovranazionale, correlando i fattori produttivi (gli input) utilizzati nel processo produttivo con il risultato, ossia il prodotto (l’output), di tale processo. Per tale ragione l’indice di produttività (y) viene generalmente considerato come il rapporto esistente tra la quantità di prodotto (Y) derivante da un processo produttivo e la quantità (a, b, etc.) di risorse impiegate (intendendosi il Capitale e il Lavoro: K, L) nel corso di quel processo per la realizzazione di quel dato prodotto: y = Y / aK + bL 64 Con il termine produttività la letteratura economica fornisce una serie di definizioni: 1) la produttività del lavoro (yl), data dal rapporto tra prodotto (Y) e occupati impiegati per realizzare tale prodotto (E): yl = Y / E 2) la produttività oraria del lavoro (yh), espressa dal rapporto che vede al numeratore il prodotto (Y) e al denominatore il monte ore degli occupati (H) impiegato per realizzare quel dato volume di produzione: yh = Y / H 3) la produttività pro-capite (per abitante) (yc) data dal rapporto tra il prodotto realizzato (Y) e la popolazione residente (P) in quella data area presa in considerazione (regione, nazione, area sovranazionale) : yc = Y / P L = forza lavoro P15 = popolazione in età di lavoro Y/P = Y/H * H/E * E/L * L/P15 * P15/P variabili istituzionali e tecnologiche variabili demografiche Variabili demografiche e istituzionali 65 0 Bulgaria Romania Lettonia Polonia Estonia Ungheria Lituania Portogallo epubblica Ceca Malta Grecia 2002 Slovacchia Cipro Slovenia 160 ITALIA Regno Unito Finlandia Spagna Austria Svezia Germania Francia Danimarca Paesi Bassi Irlanda Belgio Lussemburgo PIL per ora lavorata nei paesi Ue (in parità di potere d'acquisto: numeri indice Ue27=100) 200 180 2012 140 120 100 80 60 40 20 66 PIL pro-capite nei paesi Ue (livello in parità di potere d'acquisto e variazioni percantuali) 2000 2012 Variazione % 2000-2012 (scala dx) 68.000 160 150 140 130 120 110 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 59.500 51.000 42.500 34.000 Ue27 25.500 17.000 Bulgaria Romania… Lettonia (b) Ungheria Polonia Lituania Estonia Slovacchia Portogallo Grecia Repubbli… Slovenia Malta Cipro (b) Spagna ITALIA Francia Regno… Finlandia Belgio Germania Danimarca Svezia Paesi… Irlanda Austria 0 Lussemb… 8.500 67 Le determinanti della produttività variabili demografiche (tasso di fecondità, invecchiamento della popolazione, incidenza della popolazione straniera, popolazione attiva, forza lavoro, tasso di inattività, livello di occupazione e disoccupazione, ecc.). variabili istituzionali (mercato del lavoro e capitale umano, peso della contrattazione e tasso di sindacalizzazione, welfare, politiche attive e ammortizzatori sociali, sistema fiscale, responsabilità sociale d’impresa, concorrenza, giustizia civile, contrasto dell’illegalità, ecc.). variabili tecnologiche (Ricerca & Sviluppo, innovazione di processo e di prodotto, propensione all’internazionalizzazione, qualità dell’istruzione e della formazione, infrastrutturazione materiale e immateriale, diffusione di ICT e conoscenza, ecc.). 68 Volendo restare sul terreno della competitività di costo, la misura statisticamente più rappresentativa appare il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), dato dal rapporto tra costo del lavoro orario e produttività oraria, calcolata come valore aggiunto per ora lavorata CLUP = H/Y * W/H = W/Y = w/y In teoria, il costo del lavoro o, meglio, il CLUP si riduce tagliando salari e stipendi, oppure aumentando la produttività: più basso è il valore del costo del lavoro, migliore dovrebbe essere la competitività dei prodotti e, in generale, del sistema economico. L’implicazione principale, ovviamente, riguarda la ricerca di competitività dei beni e servizi da esportare e la possibilità di attrarre più investimenti diretti dall’estero, con riflessi sul tasso di cambio effettivo e sul saldo corrente della bilancia dei pagamenti (e, pertanto, sugli squilibri macroeconomici e sulle asimmetrie dell’Area Euro che mettono a dura prova la stessa tenuta della moneta unica). Tutte variabili che vanno affrontate dal lato opposto della competizione sui costi: quantità e qualità degli investimenti (contenuto tecnologico e di conoscenza), capacità intrinseca di produrre valore aggiunto (ricerca e innovazione, di prodotto e di processo) e di impiegare tutta la forza lavoro (obiettivo della piena e buona occupazione), condizioni di contesto (produttività “di sistema”, progresso tecnico e capitale sociale). 69 La produttività totale dei fattori (il progresso tecnico) A partire dal contributo di R. Solow (1957), il calcolo della produttività totale dei fattori (TFP) venne messo in relazione alla funzione di produzione. Y = A·Kα·Lβ y = a + αk + (1- α)l Y = Lα·K1-α·TPF e quindi a = y – αk – (1 – α)l Intensità di capitale Livello tecnologico In particolare, Solow dimostrò come il tasso di crescita della TFP calcolato come «residuo» fra indici derivati di input e output (ovvero come contributo dei servizi resi da capitale e lavoro) risulti uguale al progresso tecnico, scorporato dai fattori di produzione e che lascia invariati i rapporti fra le produttività marginali dei singoli fattori. Dopo diversi studi applicati alla fine degli anni 60 e nella prima metà degli anni 70, negli anni 80 iniziò negli Stati Uniti una misurazione sistematica a livello settoriale della TFP, sotto la denominazione di MFP (Multifactor productivity). Negli anni 90 gli studi sulla TFP si sono moltiplicati. Nel 2001 l’OCSE ha pubblicato un manuale sulle misure di produttività, compresa la TFP. 70 Fonte: elaborazioni CER (2014) su dati AMECO. K L TFP PIL potenziale 71 L’effetto dimensione sulla competitività 250 e oltre 20-249 1-19 Totale Produttività 200 Anni 2005-2008 150 (media) = 100 100 CLUP 50 Retribuzione 0 Investimenti Ore lavorate 72 La specializzazione produttiva dell’Italia a bassa intensità tecnologica e della conoscenza Valore aggiunto, occupazione e produttività per attività economiche raggruppate Settori ad alta intensità tecnologica e della conoscenza Tutti gli altri settori dell'economia Totale economia Quota di valore aggiunto sul totale 32,5 67,5 100 Crescita media del valore aggiunto 0,6 0 0,2 Quota dell'occupaizione sul totale 20,1 79,9 100 Crescita media dell'occupazione 1,2 0,2 0,4 161,5 85,5 100 Medie 2000-2009 Livello della produttività rispetto al livello medio del totale dell'economia (=100) 73 Dinamiche salariali contrattuali 74 Dinamiche salariali di fatto 75 76 Salari e Inflazione nella crisi Fonte: elaborazioni su dati Istat (datawarehouse i.stat). 77 Salari e Inflazione nella crisi 20082013 20142016 1,2 2,3 1,2 1,5 1,6 1,9 1,5 0,9 1,2 1,5 2,2 1,2 0,2 0,3 0,0 -0,3 0,0 0,0 -1,8 -2,0 0,1 0,4 0,3 0,1 -0,3 0,3 0,5 0,3 1,4 0,5 0,7 -0,2 0,9 5,3 -2,4 -1,7 -0,7 -0,1 -1,1 -0,5 -1,0 0,2 -0,9 3,9 -1,7 -2,3 -1,0 -0,2 -1,0 -0,2 -0,6 -0,1 -0,6 (var. medie annue %) 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 Retribuzioni nominali contrattuali 2,2 3,5 3,2 2,1 1,7 1,5 1,5 1,2 1,2 Retribuzioni nominali di fatto 2,2 3,4 1,8 2,8 1,1 1,2 1,4 1,3 Inflazione (IPCA) 2,1 3,5 0,7 1,7 2,9 3,3 1,3 Retribuzioni reali contrattuali 0,1 0,0 2,5 0,4 -1,2 -1,8 Retribuzioni reali di fatto 0,2 -0,2 1,1 1,1 Produttività reale del lavoro (su Ula) 0,8 -0,8 -2,8 2,8 Scarto delle retrib. reali -0,7 contrattuali 0,7 Scarto delle retrib. reali -0,6 di fatto 0,6 -1,1 Fonte: elaborazioni su dati Istat (datawarehouse i.stat) e previsioni MEF (DEF, aprile 2014). 78 Salari e quota del lavoro nei PIIGS 2008-2013 Retribuzioni lorde di fatto reali Quota del reddito da lavoro dipendente sul PIL -5,4 -5,7 Spagna -3,8 -4,2 Portogallo -2,2 Italia -0,3 -3,9 -4,4 Irlanda -22,0 Grecia -7,7 -25 -20 -15 -10 -5 0 Fonte: E. Brancaccio e N. Garbellini, "Uscire o no dall’euro: gli effetti sui salari", 19 Maggio 2014, Economia e Politica. 79 Le sfide del Sindacato il divario tra il livello di riconoscimento e di “potenza” dei sindacati generali (adesione e capacità di mobilitazione) e risultati complessivi in termini di salari, di occupazione, condizioni di lavoro e welfare; le difficoltà di aggiornare la rappresentanza, soprattutto tra i lavoratori atipici e delle alte professionalità, e innovare la contrattazione nell’attuale contesto globale, informatizzato e finanziarizzato. la marginalizzazione senza precedenti delle parti sociali e del «dialogo sociale», grazie al nuovo interventismo nazionale ed europeo sulle principali questioni sociali, in collaborazione con una graduale diminuzione del ruolo dello Stato in economia; la crisi del “volontarismo” tradizionale nel campo delle relazioni industriali (accordi quadro sulla contrattazione), con conseguente incertezza giuridica e conflitti; le divisioni strategiche tra i sindacati in merito al ruolo dei sindacati e alle strategie nel nuovo secolo. 80 81 Il mestiere del sindacalista 82 «Quello del sindacalista non è un mestiere vero e proprio. Infatti è una missione quand’anche i fattori di tecnicizzazione e di trasparenza possano circoscriverne l’alone romantico o eroico di un tempo. C’è dentro della militanza e del volontariato. Certe volte il rappresentante di base deve essere o deve fare il capopopolo, ma spesso fa l’avvocato o il consulente del lavoro. La sua è un’azione sociale antica e nuova, volta alla tutela degli interessi collettivi ma anche alla difesa di diritti individuali […]. La realtà delle relazioni industriali corregge l’immagine tratta dalle notizie che compaiono sulle pagine dei giornali o che arrivano agli schermi televisivi». Aris Accornero (1999) 83 La realtà delle relazioni industriali L’immagine tipica degli eventi sindacali (vertenze, trattative, rotture, scioperi, manifestazioni, mediazioni, ecc.) è un’immagine che possiamo considerare veritiera, o comunque non del tutto deformante, soltanto se consideriamo: 1. Che sono quasi sempre i momenti di conflitto a diventare notizie perché costituiscono elementi di discontinuità; 2. Che i periodi di cooperazioni, benché temporalmente predominanti costituiscono elementi di continuità; 3. Che nei luoghi di lavoro questo alternarsi è meno vistoso, meno brusco e meno traumatico 4. Che lì, a differenza di altri livelli, non si avverte l’esistenza di una specializzazione fra sindacalisti politici e negoziatori 84 La Contrattazione aziendale (1) Verifica dello stato di applicazione del CCNL e della contrattazione articolata precedente Stato di salute e principali prospettive dell’azienda (es. crisi, ristrutturazione o delocalizzazione; espansione, differenziazione o diversificazione della produzione) Discussione con il sindacato di categoria sugli indirizzi della contrattazione articolata in corso nel territorio Organizzazione dei primi incontri di reparto in cui esporre valutazioni e orientamenti e registrare le esigenze, le priorità, i problemi non risolti, le proposte dei lavoratori Esame dei problemi e delle richieste raccolti nei reparti con l’obiettivo di individuare alcuni denominatori comuni Prima bozza di piattaforma 85 La Contrattazione aziendale (2) Verifica della bozza di piattaforma con i lavoratori e con il sindadato territoriale Piattaforma definitiva e approvazione, poi invio alla direzione aziendale di una copia) Trattativa (con informative periodiche ai lavoratori e altri soggetti coinvolti) e forma di lotta Verifica del mandato a chiudere la trattativa da parte dei lavoratori sulla base dei risultati ottenuti Discussione della bozza di accordo e sua approvazione Diffusione dell’accordo approvato dai lavoratori (e invio del testo al sindacato di categoria, agli archivi nazionali CGIL, CISL e UIL, invio al CNEL) Gestione e controllo della fase applicativa dell’accordo. 86 Bussola, orizzonte e destinazione La trattativa è come un viaggio (collettivo) Contrattare significa conoscere (regole e leggi, il contesto economico, l’azienda, i lavoratori, sé stessi) La scelta dell’asse rivendicativo La materie tradizionali: retribuzione; orari; professionalità e inquadramenti; organizzazione del lavoro; ambiente e sicurezza; ecc. Le materie innovative: la «partecipazione»; diritti collettivi e individuali, pari opportunità; flussi occupazionali, stabilizzazioni e flessibilità, formazione professionale e permanente. 87 Tavolo di contrattazione: una simulazione… Ri-organizzazione del lavoro (e della produzione)? Salario di Impresa in espansione (profitti crescenti, propensione all’investimento e all’innovazione, di prodotto e di processo) produttività? Stabilizzazione lavoratori a termine? Nuova occupazione? Nuovi obiettivi? 88 Contrattare per l’occupazione Difesa dell’occupazione in recessione, in ristrutturazione, inclusiva a partire dall’occupazione precaria, non coperta dalla rappresentanza sindacale, ecc. attraverso rimodulazione orari e utilizzo degli impianti o nell’erogazione dei servizi, fondi di solidarietà, stabilizzazioni, oltre che agevolare l’accesso ad ammortizzatori sociali e welfare, che possono anche essere riformati in modo condiviso. Creazione di occupazione e aumento crescita potenziale: in azienda o ai tavoli settoriali (in ripresa o espansione), in nuove strategie, differenziazione o diversificazione prodotti e servizi, ecc.; a livello istituzionale rivendicando politiche industriali, fiscali e sociali per nuovi investimenti, R&S e innovazione, 89 Contrattare la produttività produttività in base all’andamento dell’impresa, del gruppo e del settore (non solo performance del lavoro), non a scapito dell’occupazione, non sulla quantità dei servizi e dei prodotti ma sulla qualità, sostenibilità e responsabilità sociale degli investimenti obiettivi di qualità ed efficienza «in avanti» (cd. forward looking), ad es. valori o classi di valori predeterminati e scostamento o indicatori compositi, ecc. anche con sostegno pubblico (fiscale), solo in tal senso strategie condivise di investimento (innovazione e sostenibilità), anche con pratiche di «partecipazione», informazione e consultazione. 90 il Piano del lavoro e i tavoli «ideali» 91 il nuovo Piano del Lavoro CGIL esplicitamente keynesiano perché interviene a sostegno della domanda effettiva, sostenendo occupazione, investimenti e redditi da lavoro, quindi, anche consumi e beni collettivi. implicitamente schumpeteriano, poiché si propone di agire di riflesso sulla domanda attraverso politiche di (ri)qualificazione dell’offerta del sistema economicoproduttivo selezionando progetti di qualità e programmi sostenibili attraverso cui diffondere innovazione e sostenibilità promuovendo lo sviluppo locale e i beni comuni. 92 «Produzione di lavoro a mezzo di lavoro» La creazione di lavoro crea crescita, che a sua volta crea nuovo lavoro. Non il contrario, come nelle ipotesi di aumento della competitività sui costi di produzione e, in particolare, sul lavoro e sui diritti, per aumentare le esportazioni (di poche imprese) e i profitti (o le rendite), sperando in una successiva ricaduta positiva sulla crescita. Quale lavoro? Soprattutto giovanile e femminile, dignitoso; qualificato, "potenziale", sostenibile. 93 il nuovo Piano del Lavoro CGIL Fin dall’origine si muove su un nuovo intervento pubblico in economia, con la creazione diretta di occupazione e la combinazione di risorse pubbliche e private Una cambio di rotta nella politica economica: • politica industriale “orizzontale”, territoriale. • politica (re)distributiva, contrattuale e fiscale. • politica sociale, nello specifico per un nuovo welfare. • politica ambientale, energetica e infrastrutture. Riforme necessarie: Istruzione, P.A., Legalità. 94 Piano straordinario di creazione diretta del lavoro (1) • • • • Un «big push», ovvero una grande spinta pubblica, attraverso una programmazione pubblica, condivisa con le parti sociali per una grande iniezione di investimenti pubblici e la generazione di nuovi posti di lavoro “utili socialmente”, soprattutto nel Mezzogiorno in funzione dei beni comuni (servizi pubblici e beni collettivi, non esposti alla concorrenza internazionale o tecnologica, inespressi dall’economia di mercato: ambiente, patrimonio artistico-culturale, energia, infrastrutture, conoscenza, welfare, ecc.) con il coordinamento di un’Agenzia nazionale (modello New Deal) utilizzando una Banca pubblica per gli investimenti e l’innovazione. 95 Progetti prioritari (2) • • • • Una nuova regolazione pubblica, soprattutto locale, definita dal dialogo sociale e istituzionale e, dunque, dalla contrattazione territoriale per lo sviluppo capace di generare, liberare e attrarre nuovi investimenti, pubblici e privati, all’insegna dell’innovazione, anche sociale, legata a più settori, comparti o filiere produttive (green economy, edilizia antisismica e scolastica, smart-grid, reti digitali e progetti per le smart-city, diffusione banda larga, ecc.) e ai servizi pubblici (trasporto pubblico locale, turismo integrato, ciclo dei rifiuti, ecc.). 96 il Piano del Lavoro come metodo Domanda (nazionale e locale) Emergenze, limiti e potenzialità dell’Italia Governo e Parti sociali Obiettivi Paese Agenzia pubblica Risorse pubbliche Università e Ricerca Progetti e Programmi prioritari Bandi / Accreditamento Risorse private Governi locali e Parti sociali Monitoraggio Piani territoriali Cabina di regia region. o locale 97 Come funziona il Piano del Lavoro? A partire da un coordinamento nazionale e sviluppato a livello locale (Comitati Territoriali per il lavoro e la crescita): a) aperti a soggetti economici, sociali, associazionismo, ricerca, istituzioni, università, fin dall'ideazione; b) confronto e codecisione sugli obiettivi; definizione concordata delle priorità e dei Progetti prioritari, anche “sequenziali”; momenti congiunti di consultazione e verifica; c) compartecipazione alle risorse, miglior utilizzo delle risorse pubbliche esistenti (anche europee) e nuovi margini fiscali. d) si mobilita e attiva tutto il lavoro disponibile e non solo: dipendente, autonomo, studenti, volontariato, ecc. e) il lavoro si retribuisce, si certifica, si facilita e si valorizza f) si stabiliscono percorsi amministrativi funzionali e rapidi 98 «E io credo che voi sarete d’accordo con me nel sostenere che se in Italia un governo sapesse rendersi interprete di questi bisogni di vita, di sviluppo e progresso della nazione, e si impegnasse a realizzare questo piano, il popolo italiano darebbe ad esso il suo appoggio e lavorerebbe con slancio perché il piano stesso venisse realizzato in tutte le sue fasi» Giuseppe Di Vittorio (dal Rapporto al 2° Congr. CGIL, 4 ottobre 1949) 99
© Copyright 2025 ExpyDoc