E - Facoltà di Economia

Le relazioni
industriali
presentazione a cura di
Riccardo Sanna
Urbino, 3 settembre 2014
Una
premessa
necessaria
2
L’agonismo del pensiero economico
 Dalla nascita dell’economia politica (e della politica
economica) gli storici del pensiero economico
valutano in modi diversi il succedersi delle singole
scuole di pensiero, privilegiando un punto di vista
“competitivo”, secondo il quale l’esistenza stessa di
diverse scuole mostra i possibili approcci diversi allo
studio e al governo dei fenomeni economici, rispetto
al punto di vista “cumulativo”, secondo il quale si è
avuto e continua un progressivo avvicinamento alle
verità economiche.
3
L’antagonismo nel pensiero economico
 Esistono e coesistono molte teorie rivali, che si
disputano l’egemonia culturale e politica; e la teoria
neoclassica – in forme nuove e ingegnose ma
ridondanti – è ancora oggi la teoria dominante nella
professione, nei manuali e nell’opinione comune e
comunissima, sebbene nel corso del Novecento a
essa siano state mosse due critiche radicali, da parte
di J. M. Keynes (1883-1946) e di P. Sraffa (18981983).
4
«Il fine dello studio dell’economia non è
acquisire una serie di soluzioni belle e
pronte per i problemi economici, ma
imparare a non lasciarsi ingannare dagli
economisti».
Joan Robinson
(Economic philosophy, Watts, 1962)
5
Definizione, ambito,
teorie, metodi
e modelli
di
relazioni industriali
6
Definizione

Per "relazioni industriali" si intende l’attività di
elaborazione, solitamente sistematica e stabile, di
norme, più o meno formalizzate, relative
all’impiego del lavoro dipendente e alle
controversie che da tale impiego derivano,
effettuata in prevalenza a partire da rapporti fra
soggetti
collettivi
generalmente
organizzati
(sindacati
dei
lavoratori,
associazioni
imprenditoriali, ma anche singole imprese) e quasi
sempre con il concorso dell'attore pubblico.
7

L'aggettivo "industriale", derivato dalla tradizione
anglosassone, segnala la centralità dei settori
manifatturieri, ma è usato per estensione anche in
rapporto ad altri settori. Questa estensione si giustifica
con le trasformazioni del mercato del lavoro e delle
organizzazioni sindacali.

Le relazioni industriali riguardano i lavoratori come
collettività e si manifestano attraverso forme di
negoziato e di scambio fra le parti coinvolte.

Le relazioni industriali costituiscono l'oggetto di studio
di numerose discipline, dall’economia alla sociologia,
dal diritto alla psicologia sociale, dalla filosofia alle
scienze politiche.
8
I metodi
1. Regolamentazione unilaterale: formulazione
parte dei sindacati di proprie norme.
da
2. Contrattazione collettiva: definizione congiunta di
norme attraverso accordi fra datori di lavoro e
sindacati.
3. Regolamentazione per legge: interventi del
legislatore, spesso sotto la pressione dei sindacati.
4. Partecipazione: favorita dall'intervento legislativo in
numerosi paesi (soprattutto europei) e in grado di
integrarsi con la contrattazione collettiva.
9
Struttura della contrattazione collettiva


Rete
relativamente
stabile
dei
rapporti
di
interdipendenza che intercorrono, in senso orizzontale,
fra i diversi soggetti della contrattazione collettiva e, in
senso verticale, all’interno dei soggetti stessi, cioè fra i
livelli delle organizzazioni datoriali e sindacali.
Si caratterizza per alcune importanti dimensioni:
grado di autonomia
grado di centralizzazione
profondità
ampiezza
estensione
10
2013
2007
Tasso di sindacalizzazione
Copertura contrattuale
11
Grado di centralizzazione e di autonomia
dati Eurofound 2012
12
Modelli delle relazioni industriali

Modello contestativo (paesi industriali nella seconda metà
del XIX secolo e fino alla Grande guerra)

Modello pluralista (area anglosassone, ruolo rilevante nella
Grande crisi del ‘29 e consolidato nel Dopoguerra con lo
sviluppo economico e la democrazia rappresentativa, es.
Germania, Italia. Oggi: USA e Giappone; Svezia; Italia)

Modello statalista (tra le due guerre in Germania, Italia, poi
Spagna e Portogallo; in Unione Sovietica e nei paesi del
"socialismo reale", anche di nuova industrializzazione)

Modello collaborativo (paesi europei, in presenza di governi
di coalizione o di ‘larghe intese’, es. Austria; con governi
socialdemocratici es. Germania e Svezia; accordi concertativi
"d’emergenza", es. Italia)
13
Teorie delle relazioni industriali (e del conflitto)
 Orientamenti che partono dal presupposto della
inconciliabilità di interessi fra lavoratori e imprenditori
(progetti e dai programmi di ispirazione marxista; studi sulle
esperienze sindacali degli Stati Uniti e della Gran Bretagna;
E. Shorter e C. Tilly; ecc.)
 Dottrine e programmi mirati a una stabile armonizzazione
degli interessi fra lavoratori e imprenditori (autori di
ispirazione cristiano-sociale; esponenti del riformismo
socialdemocratico; E. Durkheim; J. T. Dunlop; A. Flanders, A.
Fox e H. A. Clegg, gli esponenti più significativi della Scuola
di Oxford; C. Kerr; A.M. Ross e P.T. Hartman; R. Dahrendorf;
ecc.)
14
Teorie dell’economia politica e del lavoro
 Contributo degli economisti "classici" (A. Smith; D. Ricardo; K.
Marx; T. Malthus; J.S. Mill; J.E. Cairnes; P. Sraffa)
 I "marginalisti", la teoria della domanda di lavoro e la sintesi
neoclassica (J.B. Clark; A. Marshall; L. Walras; poi A. C. Pigou;
J.G.K. Wicksell; J.R. Hicks; C.W. Cobb; P.H. Douglas)
 Gli "istituzionalisti" (J.R. Commons, T. Veblen, R. F. Oxie; R.T.
Ely; S. Perlman)
 J.M. Keynes e i keynesiani (J. Robinson; E.H. Chamberlin; R.A.
Lester; A.M. Ross; L. Reynolds e C. Taft)
 Teoria del capitale umano elaborata (J. Mincer; T.W. Schultz;
G.S. Becker), l'approccio del ciclo di vita (F. Modigliani),
interazione tra fattori economici e sociali (H. Phelps Brown e M.
Friedman, la Teoria dei giochi (J. Nash)
15
 mercato del lavoro simile al
mercato delle merci
 Produttività marginale e
Disutilità marginale del lavoro
 flessibilità dei salari vs
disoccupazione
 si determinano il salario reale e
il livello di occupazione di
equilibrio [(w/P)* e N*].
 funzione di produzione a
rendimenti decrescenti
(determina il prodotto naz. Y*)
 Legge di Say e D(N) = Z(N) e si
raggiunge sempre l’equilibrio
di piena occupazione.
16
 Principio della domanda
effettiva e mercato dei beni
 aspettative degli imprenditori
 propensione al consumo
 nessuna tendenza “naturale”
alla piena occupazione
 ruolo della moneta (liquidità) e
dell’incertezza (non rischio) per
gli investimenti
 lavoratori e imprese
contrattano salari monetari
 la riduzione dei salari monetari
non ha risvolti positivi
sull’occupazione
 far crescere i salari con la
produttività, mantenendo così
stabili i prezzi.
17
«È una fortuna che i lavoratori, benché
inconsciamente,
siano
per
istinto
economisti più ragionevoli degli stessi
economisti di scuola classica nella
misura in cui resistono a riduzioni nei
salari nominali».
John Maynard Keynes
(Teoria Generale, 1936, Cap. II, par. III)
18
La nuova
«Grande crisi»
(e la nuova
«Grande trasformazione»)
19
La progressiva caduta della quota del lavoro
Quota del reddito da lavoro sul PIL
Area Euro-12
Germania
Francia
Italia
USA
Fonte: elaborazioni su dati AMECO.
20
Coefficiente di Gini di disuguaglianza (concentrazione) nella distribuzione
La classifica della disuguaglianza
Redistribuzione
Disuguaglianza «da mercato»
Disuguaglianza del reddito disponibile
“la disuguaglianza è aumentata più negli ultimi tre anni
che nei precedente dodici”
Fonte: OCSE (2011), Growing Inequal?.
21
L’aumento delle disuguaglianze
Dinamica della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile (coefficiente di Gini)
Fonte: OCSE (2011), Divided we Stand.
22
L’aumento delle disuguaglianze
Dinamica della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile (coefficiente di Gini)
Fonte: OCSE (2011), Divided we Stand.
23
Fonte: Piketty e Saez (2012).
2007
2002
1997
1992
1987
1982
1977
1972
1967
1962
1957
1952
1947
1942
1937
1932
1927
1922
1917
top 10%
va al10%
nazionale
reddito
Quota
to Top
goingche
income
of total
Share del
Il top della disuguaglianza
Il 10% più ricco degli USA, 1917-2010
50%
45%
40%
35%
30%
25%
25
L’intervento pubblico
Top Income
Tax
La pressione
fiscale
sulRates
10% 1910-2010
più ricco, 1910-2010
10%
sultaxreddito
Aliquota marginale
incomes
to toptop
rate applyingdel
Top marginal income
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
U.S.
30%
U.K.
20%
Germany
10%
France
0%
1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010
Fonte: Piketty e Saez (2012).
Source: World Top Incomes Database, 2012.
26
Rapporto tra ricchezza privata e reddito nazionale
Private wealth / national income ratios, 1970-2010
800%
700%
600%
USA
Japan
Germany
France
UK
Italy
Canada
Australia
500%
400%
300%
200%
100%
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2005
2010
Authors' computations using country national accounts. Private wealth = non-financial assets + financial assets - financial liabilities (household & non-profit sectors)
Fonte: Piketty e Saez (2012).
27
800%
800%
Rapporto tra ricchezza privata e reddito nazionale
Private
vswealth
governement
wealth,
1970-2010
(% national income)
Private
/ national
income
ratios, 1970-2010
USA
Japan
700%
700%
USA
Germany
Japan
France
Germany
UK
France
Italy
600%
Canada
UK
Australia
Italy
600%
500%
Canada
Australia
500%
400%
300%
400%
Private
wealth
200%
300%
100%
Government
wealth
200%
0%
-100%
100%
1970
1970
1975
1975
1980
1980
1985
1985
1990
1990
1995
1995
2000
2000
2005
2005
2010
2010
Authors'Authors'
computations
using country
nationalnational
accounts.
Private wealth
= non-financial
+ financial
assets
- financial
liabilities
(household
& non-profit
sectors)
computations
using country
accounts.
Government
wealth = assets
non-financial
assets
+ financial
assets
- financial
liabilities
(govt sector)
Fonte: Piketty e Saez (2012).
28
Dinamiche del PIL
e della disoccupazione a livello globale
Pil Reale (var. %)
Scenario pessimistico
Tasso di crescita del PIL (%)
Variazioni della disoccupazione (milioni di unità)
Pil Reale (var. %)
Disoccupazione
Disoccupazione
Scenario
pessimistico
29
Trend della disoccupazione globale
Tasso di disoccupazione
disoccupazione
Tasso di disoccupazione
Disoccupazione (milioni di unità)
Totale
30
Disoccupazione (milioni di unità)
Il gap occupazionale della crisi
Trend pre-crisi
Massimo e Minimo
dell’intervallo di
confidenza delle
previsioni
Stime/Proiezioni
31
Statistiche
Variazione annua (%) dell’output per occupato
Produttività del lavoro per periodi e aree del Mondo
Il divario globale dei salari (in miliardi di dollari)
Monte Salari globale
stima pre-crisi
Monte Salari globale
proiezione trend crisi
Gap salariale
32
PIL nelle principali economie avanzate
(variazioni tendenziali trimestrali)
33
PIL nelle principali economie emergenti
(variazioni tendenziali trimestrali)
34
PIL reale e potenziale e Output gap
PIL (prezzi costanti 2005
Output gap (scala dx)
PIL potenziale (prezzi costanti 2005
35
PIL (prezzi costanti 2005
Output gap (scala dx)
PIL potenziale (prezzi costanti 2005
36
Disoccupazione «naturale» o strutturale ?
NAIRU
Tasso di disoccupazione
37
Disoccupazione «naturale» o strutturale ?
NAIRU
Tasso di disoccupazione
38
L’attualità della Curva di A.W. Phillips (1958)
Inflazione
 Inflazione da domanda se c’è
piena occupazione
 «Illusione monetaria»
(stagflazione e M. Friedman)
 La «disoccupazione
naturale» (NAIRU) spiega la
scelta di contenere
l’inflazione e l’avversione
all’intervento pubblico
 Rischio deflazione e
disoccupazione strutturale?
Depressione
Deflazione
Tasso di disoccupazione
39
La rappresentanza
del lavoro
e la contrattazione
in Italia
41
42
La Costituzione

La Costituzione italiana fonda la Repubblica sul lavoro (art.
1), riconosce e il diritto al lavoro come diritto fondamentale
(art. 4) e accoglie un modello di Stato a sviluppo economico
socialmente inclusivo e responsabile (artt. 35-38, 41), oltre
che partecipato (artt. 39, 40, 46) attribuendo alla legge una
funzione di programmazione e di controllo affinché l’attività
economica si indirizzi a fini sociali (artt. 41, 42, 43).

L’organizzazione sindacale è “libera” (art. 39, comma 1). Le
disposizioni costituzionali sulla registrazione dei sindacati e
sull'attribuzione della capacità di contrattazione a livello
settoriale, sulla regolamentazione del diritto di sciopero e sui
diritti dei lavoratori a partecipare alle decisioni delle imprese,
non sono mai state implementate.
43
Un breve excursus legislativo



La legislazione degli anni Cinquanta e Sessanta è incentrata
sul miglioramento delle condizioni individuali di lavoro
La legislazione degli anni Settanta è dominata
dall’emanazione dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300
del 20 maggio 1970) e dal conseguente riconoscimento di
una serie di diritti individuali e sindacali all’interno dei luoghi
di lavoro (es. art. 18; artt. 19-27), promuovendo
indirettamente il ruolo della contrattazione collettiva.
Dagli anni Ottanta a oggi, si inverte il processo all’insegna
della deregolazione dell’economia e del lavoro (es. L.
863/1984; L.196/97; L. 30/2003; L. 133/2008; L. 92/2012),
della decollettivizzazione e del decentramento contrattuale
(es. ex art. 8 D.L. n. 138/2011, conv. in L. n. 148/2011; c.d.
Riforma Brunetta, D.Lgs. 150/2009)
44
45
Lo sciopero
 Astensione concordata e organizzata dal lavoro da parte
di più lavoratori per la tutela di interessi comuni e
collettivi, diritti di carattere economico, politico o
sindacale. Rappresenta la principale forma di autotutela
dei lavoratori.
 Ai sensi dell’art. 40 Cost. lo sciopero «si esercita
nell’ambito delle leggi che lo regolano». Tali leggi non
sono mai state emanate, fatta eccezione per alcune
norme particolari per gli addetti agli impianti nucleari
(art. 49 e 129 d.p.r. n. 185/1964), per il personale di
assistenza al volo (art. 4 l. n. 42/1980), e per la
disciplina, anch’essa settoriale, dello sciopero nei servizi
pubblici essenziali (l. n. 146/1990).
46
La Contrattazione collettiva in Italia




Procedimento volto alla stipula di contratti collettivi o di altri
accordi sindacali con i quali si regolano i rapporti collettivi di
lavoro.
Strumento di regolamentazione degli aspetti retributivi, ma
anche di altri istituti riguardanti il rapporto di lavoro (ferie,
congedi, malattia, ecc.) e delle condizioni lavorative (orari,
turni, ecc.).
Nella contrattazione, i lavoratori e i datori di lavoro sono
rappresentati dalle rispettive associazioni di categoria
(sindacati, es. CGIL, CISL e UIL; associazioni datoriali, es.
Confindustria, Confcommercio, ecc.).
Scopo della contrattazione collettiva è quello di stabilire
condizioni uniformi e obbligatorie valide per tutti i lavoratori di
una data categoria.
47
Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro


Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) è,
nel diritto pubblico italiano, un tipo di contratto di
lavoro stipulato a livello nazionale tra le
organizzazioni rappresentanti dei lavoratori ed i loro
datori di lavoro.
I contenuti del CCNL sono di due tipi:
 normativo, che riguarda il complesso di clausole
destinate ad avere efficacia nei singoli rapporti (es.
retribuzioni, orario, ferie, permessi, malattia ecc.);
 obbligatorio, che detta la disciplina delle relazioni
tra le parti collettive (es. le clausole di tregua
sindacale).
48
Erga omnes (?)
 Costituzione
art. 39 e art. 36
 Tentativi
del legislatore (es. Legge Vigorelli
741/1959)
 Giurisprudenza
 Giudice
(es. artt. 1321 e 1322 C.c.)
(es. Cassazione, 13.08.1997, n. 7566)
 Accordi
interconfederali (Accordo del 28
giugno 2011; Intesa del 31 maggio 2013; T.U.
10 gennaio 2014)
49
50
Evoluzione recente del sistema di relazioni industriali
51
Struttura della contrattazione in Italia
Governo
CGIL, CISL, UIL,
(3 + altri)
Accordi tripartiti
Accordi interconfederali
Confindustria, Confapi,
Confartigianato,
Legacoop, ecc. (>10)
1° livello
…
Federazioni di categoria (12-18)
CCNL
(456)
…
Federazioni datoriali (>200)
…
…
…
…
…
…
2° livello
• accordi aziendali, su filiere, di
Lavoratori nei
luoghi di lavoro,
nel territorio
Contrattazione
sociale
gruppo, ecc.
(imprese di media e grande
dimensione)
• accordi territoriali,
di distretto, di sito, ecc.
(piccole imprese)
Datori di lavoro e
management nei
luoghi di lavoro,
nel territorio
La
«concertazione»
In Italia
53
Cos’è la «concertazione»?



L’attività con cui il governo e le parti sociali, dopo aver
fissato di comune accordo degli obiettivi condivisi, si
adoperano per individuare strumenti e percorsi utili al loro
raggiungimento.
Si indica dunque il metodo della partecipazione delle grandi
organizzazioni collettive degli interessi a percorsi decisionali
pubblici in materia di politica economica e sociale. Tali
percorsi possono avere forma tripartita o bilaterale a
seconda che in essi vi sia, o meno, il coinvolgimento diretto,
oltre che delle parti sociali, del governo o comunque di altre
istituzioni pubbliche centrali e/o territoriali.
Storicamente, la concertazione è stata agita, in Italia come
altrove, dai maggiori sindacati dei lavoratori e dalle
corrispettive associazioni imprenditoriali.
54

«[…] Cosa ne pensi delle varie proposte di
rientro dall’inflazione in Italia, e cioè in che
modo tu pensi che si possa affrontare il
problema di un rientro serio […]. Come tu
pensi che questo problema possa essere
affrontato in Italia?»

«Ti ho detto che non sono uno specialista
delle formule, proprio tu vuoi cacciarmene
una! […] Ecco, la formula che a me pare
opportuna sia quella soprattutto della lealtà»
55
La “rincorsa” e la “moderazione” salariale
Prezzi al consumo (f.o.i.)
25,0
5,0
Decreto di s. Valentino
10,0
Lodo Scotti
Primo shock
Secondo shock petrolifero
15,0
Protocollo di Luglio
20,0
Disdetta della scala mobile
Referendum abrogativo
Retribuzione lorda per ula
0,0
1970
1973
1976
1979
1982
1985
1988
1991
1994
1997
2000
2003
56
L’Accordo del 23 luglio 1993
e la «politica dei redditi»


La stabilità dei prezzi come bene pubblico, la stabilità
delle quote distributive (Legge di Bowley), il recupero del
potere d’acquisto, dal passato al futuro (la cosiddetta
“politica salariale d’anticipo”), il rientro dell’inflazione
attraverso la «programmazione» concertata degli scatti
di ‘scala mobile’ e la disciplina di prezzi, tariffe e prezzi
amministrati (inflazione programmata)
La diffusione della contrattazione di secondo livello come
incentivo agli investimenti e alla produttività (e alla sua
redistribuzione),
anche
sostenuta
dall’intervento
pubblico, garante delle politiche di investimento e
redistribuzione.
57
La “regola aurea”
 Arthur Bowley (1927):
 costanza nel tempo della quota del lavoro, ovvero dell’invarianza di
lungo periodo delle quote distributive (del lavoro e del capitale) del
reddito nazionale, al netto delle oscillazioni cicliche, come “regola
aurea della politica dei redditi”: salari di fatto reali devono
crescere nella stessa misura della produttività, al netto della
variazione dell’incidenza dell’occupazione dipendente sul totale.
 a parità di altre condizioni, ciò assicura la massima crescita della
domanda interna compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio
di profitto e, quindi, sui prezzi.
 per ragioni di carattere macroeconomico, legate alla crescita e
all’equilibrio nei consumi, date le diverse propensioni di lavoratori e
imprenditori, la regola consente di portare i risparmi ad eguagliare
gli investimenti necessari per conseguire il pieno impiego o il tasso
di crescita del prodotto desiderato.
58
…in formule
pY = W + R
massa massa
salariale profitti
p=
wN
wNg
+
=
Y
Y
p=
w
y
Produttività
(del lavoro)
wN
Y
(1 + g)
(1 + g)
ṗ = 0
ṗ = ẇ – ẏ + (1 + ġ)
Quota del
lavoro
y=
Y
N
W/pY = wN/pY = w/py
ẇ – ṗ – ẏ = 0
ẇ = ẏ
(1 + ġ) = 0
59
Protocollo del ‘93 e Legge di Bowley
Assetto della contrattazione salariale:
1. Importi tabellari previsti dai CCNL e legati all’inflazione programmata;
2. Salario di risultato a livello aziendale o territoriale, legato a produttività,
profittabilità e qualità a livello locale.
Casi possibili
Contrattazione
nazionale
(primo livello)
Produttività
del lavoro
Contrattazione
decentrata
(secondo livello)
Caso 1:
Normale
Mantiene il potere
d’acquisto delle
retribuzioni di base
Cresce
Non disponibile a tutti i
dipendenti e/o non in grado
di eguagliare la crescita
delle retribuzioni reali con
quella della produttività
Caso 2:
Non molto
probabile
Mantiene il potere
d’acquisto delle
retribuzioni di base
Cresce
Disponibile a tutti i
dipendenti e/o di importo
tale da eguagliare la
crescita delle retribuzioni
reali con quella della
produttività
Caso 3:
Improbabile
Mantiene il potere
d’acquisto delle
retribuzioni di base
Si ferma o si
riduce
Si ferma o distribuisce ai
salari aumenti maggiori
della crescita della
produttività
Quota del
lavoro nel
reddito
 Si riduce
 Rimane
stabile
 Cresce
60
Protocollo del ‘93 e risultati
Periodi
Inflazione programmata (tip)
Inflazione effettiva (foi)
Retribuzioni di base nominali (1° livello)
Retribuzioni di base reali
Retribuzioni decentrate nominali (2° livello)
Retribuzioni decentrate reali
Produttività del lavoro
Retribuzioni totali nominali
Retribuzioni totali reali (foi)
Prezzi dell'output (deflatore Pil)
Retribuzioni totali reali (defl. Pil)
Differenza retribuzioni reali - produttività
Incidenza del lavoro dipendente
sull'occupazione totale
Quota delle retribuzioni nel reddito
Occupazione
Crescita del prodotto
α
β
γ
1993-1995
1996-2000
2001-2008
1993-2008
4.2
4.5
2.6
-1.9
15.3
10.8
2.9
3.7
-0.8
3.9
-0.2
-3.1
0.1
2.4
2.3
2.9
0.6
7.8
5.5
1.0
3.5
1.2
2.7
0.8
-0.2
0.1
1.7
2.4
2.9
0.5
4.6
2.2
0.1
3.1
0.7
2.7
0.4
0.3
0.4
2.4
2.7
2.8
0.1
7.5
4.8
0.9
3.3
0.6
2.9
0.4
-0.5
0.3
-2.9
-1.4
1.5
0.90
3.76
0.38
-0.1
0.8
1.8
0.88
5.10
0.60
0.8
0.8
0.9
0.85
19.87
2.94
-0.2
0.4
1.3
0.87
5.04
0.65
61
Alleanza tra profitti e rendite…
12,0
120.000
10,0
100.000
8,0
80.000
6,0
60.000
4,0
40.000
20.000
2,0
Rendite00
Rendite/Pil
-
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
62
…a scapito del lavoro
120,0
86,00
110,0
84,00
100,0
ln Ifl  15,124  4,4527 ln S L  
R 2  0,7205
82,00
90,0
80,00
80,0
78,00
70,0
Investimenti f.l./profitti lordi
Quota del lavoro (scala di destra)
76,00
60,0
50,0
74,00
1971
1975
1979
1983
1987
1991
1995
1999
2003
63
Cosa intendiamo per produttività?
La produttività è stata da sempre intesa come un indicatore in grado
di misurare la capacità produttiva di un’impresa, di un settore
produttivo, di una regione, di una nazione o di un’area
sovranazionale, correlando i fattori produttivi (gli input) utilizzati nel
processo produttivo con il risultato, ossia il prodotto (l’output), di tale
processo.
Per tale ragione l’indice di produttività (y) viene generalmente
considerato come il rapporto esistente tra la quantità di prodotto
(Y) derivante da un processo produttivo e la quantità (a, b, etc.)
di risorse impiegate (intendendosi il Capitale e il Lavoro: K, L)
nel corso di quel processo per la realizzazione di quel dato prodotto:
y = Y / aK + bL
64
Con il termine produttività la letteratura economica fornisce una serie di definizioni:
1) la produttività del lavoro (yl), data dal rapporto tra prodotto (Y) e occupati impiegati
per realizzare tale prodotto (E):
yl = Y / E
2) la produttività oraria del lavoro (yh), espressa dal rapporto che vede al numeratore
il prodotto (Y) e al denominatore il monte ore degli occupati (H) impiegato per
realizzare quel dato volume di produzione:
yh = Y / H
3) la produttività pro-capite (per abitante) (yc) data dal rapporto tra il prodotto
realizzato (Y) e la popolazione residente (P) in quella data area presa in
considerazione (regione, nazione, area sovranazionale) :
yc = Y / P
L = forza lavoro
P15 = popolazione in età di lavoro
Y/P = Y/H * H/E * E/L * L/P15 * P15/P
variabili istituzionali e
tecnologiche
variabili
demografiche
Variabili demografiche
e istituzionali
65
0
Bulgaria
Romania
Lettonia
Polonia
Estonia
Ungheria
Lituania
Portogallo
epubblica Ceca
Malta
Grecia
2002
Slovacchia
Cipro
Slovenia
160
ITALIA
Regno Unito
Finlandia
Spagna
Austria
Svezia
Germania
Francia
Danimarca
Paesi Bassi
Irlanda
Belgio
Lussemburgo
PIL per ora lavorata nei paesi Ue
(in parità di potere d'acquisto: numeri indice Ue27=100)
200
180
2012
140
120
100
80
60
40
20
66
PIL pro-capite nei paesi Ue
(livello in parità di potere d'acquisto e variazioni percantuali)
2000
2012
Variazione % 2000-2012 (scala dx)
68.000
160
150
140
130
120
110
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
59.500
51.000
42.500
34.000
Ue27
25.500
17.000
Bulgaria
Romania…
Lettonia (b)
Ungheria
Polonia
Lituania
Estonia
Slovacchia
Portogallo
Grecia
Repubbli…
Slovenia
Malta
Cipro (b)
Spagna
ITALIA
Francia
Regno…
Finlandia
Belgio
Germania
Danimarca
Svezia
Paesi…
Irlanda
Austria
0
Lussemb…
8.500
67
Le determinanti della produttività
 variabili demografiche (tasso di fecondità, invecchiamento della
popolazione, incidenza della popolazione straniera, popolazione
attiva, forza lavoro, tasso di inattività, livello di occupazione e
disoccupazione, ecc.).
 variabili istituzionali (mercato del lavoro e capitale umano, peso
della contrattazione e tasso di sindacalizzazione, welfare,
politiche attive e ammortizzatori sociali, sistema fiscale,
responsabilità sociale d’impresa, concorrenza, giustizia civile,
contrasto dell’illegalità, ecc.).
 variabili tecnologiche (Ricerca & Sviluppo, innovazione di
processo e di prodotto, propensione all’internazionalizzazione,
qualità dell’istruzione e della formazione, infrastrutturazione
materiale e immateriale, diffusione di ICT e conoscenza, ecc.).
68
Volendo restare sul terreno della competitività di costo, la misura statisticamente più
rappresentativa appare il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), dato dal
rapporto tra costo del lavoro orario e produttività oraria, calcolata come valore
aggiunto per ora lavorata
CLUP = H/Y * W/H = W/Y =
w/y
In teoria, il costo del lavoro o, meglio, il CLUP si riduce tagliando salari e stipendi,
oppure aumentando la produttività: più basso è il valore del costo del lavoro, migliore
dovrebbe essere la competitività dei prodotti e, in generale, del sistema economico.
L’implicazione principale, ovviamente, riguarda la ricerca di competitività dei beni e
servizi da esportare e la possibilità di attrarre più investimenti diretti dall’estero, con
riflessi sul tasso di cambio effettivo e sul saldo corrente della bilancia dei pagamenti
(e, pertanto, sugli squilibri macroeconomici e sulle asimmetrie dell’Area Euro che
mettono a dura prova la stessa tenuta della moneta unica).
Tutte variabili che vanno affrontate dal lato opposto della competizione sui costi:
quantità e qualità degli investimenti (contenuto tecnologico e di conoscenza), capacità
intrinseca di produrre valore aggiunto (ricerca e innovazione, di prodotto e di
processo) e di impiegare tutta la forza lavoro (obiettivo della piena e buona
occupazione), condizioni di contesto (produttività “di sistema”, progresso tecnico e
capitale sociale).
69
La produttività totale dei fattori (il progresso tecnico)
A partire dal contributo di R. Solow (1957), il calcolo della produttività totale dei
fattori (TFP) venne messo in relazione alla funzione di produzione.
Y = A·Kα·Lβ
y = a + αk + (1- α)l
Y = Lα·K1-α·TPF
e quindi
a = y – αk – (1 – α)l
Intensità di
capitale
Livello
tecnologico
In particolare, Solow dimostrò come il tasso di crescita della TFP calcolato
come «residuo» fra indici derivati di input e output (ovvero come contributo dei
servizi resi da capitale e lavoro) risulti uguale al progresso tecnico, scorporato
dai fattori di produzione e che lascia invariati i rapporti fra le produttività
marginali dei singoli fattori.
Dopo diversi studi applicati alla fine degli anni 60 e nella prima metà degli anni
70, negli anni 80 iniziò negli Stati Uniti una misurazione sistematica a livello
settoriale della TFP, sotto la denominazione di MFP (Multifactor productivity).
Negli anni 90 gli studi sulla TFP si sono moltiplicati. Nel 2001 l’OCSE ha
pubblicato un manuale sulle misure di produttività, compresa la TFP.
70
Fonte: elaborazioni CER (2014) su dati AMECO.
K
L
TFP
PIL potenziale
71
L’effetto dimensione sulla competitività
250 e oltre
20-249
1-19
Totale
Produttività
200
Anni 2005-2008
150
(media) = 100
100
CLUP
50
Retribuzione
0
Investimenti
Ore lavorate
72
La specializzazione produttiva dell’Italia
a bassa intensità tecnologica e della conoscenza
Valore aggiunto, occupazione e produttività per attività economiche raggruppate
Settori ad alta intensità
tecnologica e della
conoscenza
Tutti gli altri settori
dell'economia
Totale economia
Quota di valore aggiunto sul totale
32,5
67,5
100
Crescita media del valore aggiunto
0,6
0
0,2
Quota dell'occupaizione sul totale
20,1
79,9
100
Crescita media dell'occupazione
1,2
0,2
0,4
161,5
85,5
100
Medie 2000-2009
Livello della produttività rispetto al
livello medio del totale dell'economia
(=100)
73
Dinamiche salariali contrattuali
74
Dinamiche salariali di fatto
75
76
Salari e Inflazione nella crisi
Fonte: elaborazioni su dati Istat (datawarehouse i.stat).
77
Salari e Inflazione nella crisi
20082013
20142016
1,2
2,3
1,2
1,5
1,6
1,9
1,5
0,9
1,2
1,5
2,2
1,2
0,2
0,3
0,0
-0,3
0,0
0,0
-1,8 -2,0
0,1
0,4
0,3
0,1
-0,3
0,3
0,5
0,3
1,4
0,5
0,7
-0,2
0,9
5,3
-2,4 -1,7 -0,7 -0,1 -1,1 -0,5 -1,0
0,2
-0,9
3,9
-1,7 -2,3 -1,0 -0,2 -1,0 -0,2 -0,6
-0,1
-0,6
(var. medie annue %)
2007
2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016
Retribuzioni nominali
contrattuali
2,2
3,5
3,2
2,1
1,7
1,5
1,5
1,2
1,2
Retribuzioni nominali
di fatto
2,2
3,4
1,8
2,8
1,1
1,2
1,4
1,3
Inflazione (IPCA)
2,1
3,5
0,7
1,7
2,9
3,3
1,3
Retribuzioni reali
contrattuali
0,1
0,0
2,5
0,4
-1,2 -1,8
Retribuzioni reali di
fatto
0,2
-0,2
1,1
1,1
Produttività reale del
lavoro (su Ula)
0,8
-0,8 -2,8
2,8
Scarto delle retrib. reali
-0,7
contrattuali
0,7
Scarto delle retrib. reali
-0,6
di fatto
0,6
-1,1
Fonte: elaborazioni su dati Istat (datawarehouse i.stat) e previsioni MEF (DEF, aprile 2014).
78
Salari e quota del lavoro nei PIIGS 2008-2013
Retribuzioni lorde di fatto reali
Quota del reddito da lavoro
dipendente sul PIL
-5,4
-5,7
Spagna
-3,8
-4,2
Portogallo
-2,2
Italia
-0,3
-3,9
-4,4
Irlanda
-22,0
Grecia
-7,7
-25
-20
-15
-10
-5
0
Fonte: E. Brancaccio e N. Garbellini, "Uscire o no dall’euro: gli effetti sui salari", 19 Maggio 2014, Economia e Politica.
79
Le sfide del Sindacato





il divario tra il livello di riconoscimento e di “potenza” dei sindacati
generali (adesione e capacità di mobilitazione) e risultati complessivi
in termini di salari, di occupazione, condizioni di lavoro e welfare;
le difficoltà di aggiornare la rappresentanza, soprattutto tra i
lavoratori atipici e delle alte professionalità, e innovare la
contrattazione nell’attuale contesto globale, informatizzato e
finanziarizzato.
la marginalizzazione senza precedenti delle parti sociali e del
«dialogo sociale», grazie al nuovo interventismo nazionale ed
europeo sulle principali questioni sociali, in collaborazione con una
graduale diminuzione del ruolo dello Stato in economia;
la crisi del “volontarismo” tradizionale nel campo delle relazioni
industriali (accordi quadro sulla contrattazione), con conseguente
incertezza giuridica e conflitti;
le divisioni strategiche tra i sindacati in merito al ruolo dei sindacati e
alle strategie nel nuovo secolo.
80
81
Il mestiere del
sindacalista
82
«Quello del sindacalista non è un mestiere vero e proprio.
Infatti è una missione quand’anche i fattori di tecnicizzazione
e di trasparenza possano circoscriverne l’alone romantico o
eroico di un tempo. C’è dentro della militanza e del
volontariato. Certe volte il rappresentante di base deve
essere o deve fare il capopopolo, ma spesso fa l’avvocato o
il consulente del lavoro. La sua è un’azione sociale antica e
nuova, volta alla tutela degli interessi collettivi ma anche alla
difesa di diritti individuali […]. La realtà delle relazioni
industriali corregge l’immagine tratta dalle notizie che
compaiono sulle pagine dei giornali o che arrivano agli
schermi televisivi».
Aris Accornero (1999)
83
La realtà delle relazioni industriali
 L’immagine tipica degli eventi sindacali (vertenze, trattative,
rotture, scioperi, manifestazioni, mediazioni, ecc.) è
un’immagine che possiamo considerare veritiera, o comunque
non del tutto deformante, soltanto se consideriamo:
1. Che sono quasi sempre i momenti di conflitto a diventare
notizie perché costituiscono elementi di discontinuità;
2. Che i periodi di cooperazioni, benché temporalmente
predominanti costituiscono elementi di continuità;
3. Che nei luoghi di lavoro questo alternarsi è meno vistoso,
meno brusco e meno traumatico
4. Che lì, a differenza di altri livelli, non si avverte l’esistenza
di una specializzazione fra sindacalisti politici e negoziatori
84
La Contrattazione aziendale (1)
Verifica dello stato di applicazione del CCNL e della
contrattazione articolata precedente
Stato di salute e principali prospettive dell’azienda (es. crisi,
ristrutturazione
o
delocalizzazione;
espansione,
differenziazione o diversificazione della produzione)
Discussione con il sindacato di categoria sugli indirizzi della
contrattazione articolata in corso nel territorio
Organizzazione dei primi incontri di reparto in cui esporre
valutazioni e orientamenti e registrare le esigenze, le priorità,
i problemi non risolti, le proposte dei lavoratori
Esame dei problemi e delle richieste raccolti nei reparti con
l’obiettivo di individuare alcuni denominatori comuni
Prima bozza di piattaforma
85
La Contrattazione aziendale (2)
Verifica della bozza di piattaforma con i lavoratori e con il
sindadato territoriale
Piattaforma definitiva e approvazione, poi invio alla direzione
aziendale di una copia)
Trattativa (con informative periodiche ai lavoratori e altri
soggetti coinvolti) e forma di lotta
Verifica del mandato a chiudere la trattativa da parte dei
lavoratori sulla base dei risultati ottenuti
Discussione della bozza di accordo e sua approvazione
Diffusione dell’accordo approvato dai lavoratori (e invio del
testo al sindacato di categoria, agli archivi nazionali CGIL,
CISL e UIL, invio al CNEL)
Gestione e controllo della fase applicativa dell’accordo.
86
Bussola, orizzonte e destinazione





La trattativa è come un viaggio (collettivo)
Contrattare significa conoscere (regole e leggi, il
contesto economico, l’azienda, i lavoratori, sé stessi)
La scelta dell’asse rivendicativo
La materie tradizionali: retribuzione; orari;
professionalità e inquadramenti; organizzazione del
lavoro; ambiente e sicurezza; ecc.
Le materie innovative: la «partecipazione»; diritti
collettivi e individuali, pari opportunità; flussi
occupazionali, stabilizzazioni e flessibilità, formazione
professionale e permanente.
87
Tavolo di contrattazione:
una simulazione…
 Ri-organizzazione del
lavoro (e della
produzione)?
 Salario di
 Impresa in espansione
(profitti crescenti,
propensione
all’investimento e
all’innovazione, di
prodotto e di processo)
produttività?
 Stabilizzazione
lavoratori a termine?
 Nuova occupazione?
 Nuovi obiettivi?
88
Contrattare per l’occupazione
 Difesa dell’occupazione in recessione, in ristrutturazione,
inclusiva a partire dall’occupazione precaria, non coperta
dalla rappresentanza sindacale, ecc. attraverso rimodulazione
orari e utilizzo degli impianti o nell’erogazione dei servizi,
fondi di solidarietà, stabilizzazioni, oltre che agevolare
l’accesso ad ammortizzatori sociali e welfare, che possono
anche essere riformati in modo condiviso.
 Creazione di occupazione e aumento crescita potenziale: in
azienda o ai tavoli settoriali (in ripresa o espansione), in
nuove strategie, differenziazione o diversificazione prodotti e
servizi, ecc.; a livello istituzionale rivendicando politiche
industriali, fiscali e sociali per nuovi investimenti, R&S e
innovazione,
89
Contrattare la produttività
 produttività in base all’andamento dell’impresa, del
gruppo e del settore (non solo performance del lavoro),
non a scapito dell’occupazione, non sulla quantità dei
servizi e dei prodotti ma sulla qualità, sostenibilità e
responsabilità sociale degli investimenti
 obiettivi di qualità ed efficienza «in avanti» (cd.
forward looking), ad es. valori o classi di valori
predeterminati e scostamento o indicatori compositi, ecc.
anche con sostegno pubblico (fiscale), solo in tal senso
 strategie condivise di investimento (innovazione e
sostenibilità), anche con pratiche di «partecipazione»,
informazione e consultazione.
90
il Piano del lavoro
e i tavoli «ideali»
91
il nuovo Piano del Lavoro CGIL
 esplicitamente keynesiano perché interviene a
sostegno della domanda effettiva, sostenendo
occupazione, investimenti e redditi da lavoro,
quindi, anche consumi e beni collettivi.
 implicitamente schumpeteriano, poiché si propone di
agire di riflesso sulla domanda attraverso politiche di
(ri)qualificazione dell’offerta del sistema economicoproduttivo selezionando progetti di qualità e
programmi sostenibili attraverso cui diffondere
innovazione e sostenibilità promuovendo lo sviluppo
locale e i beni comuni.
92
«Produzione di lavoro a mezzo di lavoro»
La creazione di lavoro crea crescita, che a sua
volta crea nuovo lavoro. Non il contrario, come
nelle ipotesi di aumento della competitività sui costi
di produzione e, in particolare, sul lavoro e sui diritti,
per aumentare le esportazioni (di poche imprese) e i
profitti (o le rendite), sperando in una successiva
ricaduta positiva sulla crescita.
Quale lavoro? Soprattutto giovanile e femminile,
dignitoso; qualificato, "potenziale", sostenibile.
93
il nuovo Piano del Lavoro CGIL
 Fin dall’origine si muove su un nuovo intervento
pubblico in economia, con la creazione diretta di
occupazione e la combinazione di risorse pubbliche e
private
 Una cambio di rotta nella politica economica:
• politica industriale “orizzontale”, territoriale.
• politica (re)distributiva, contrattuale e fiscale.
• politica sociale, nello specifico per un nuovo
welfare.
• politica ambientale, energetica e infrastrutture.
 Riforme necessarie: Istruzione, P.A., Legalità.
94
Piano straordinario
di creazione diretta del lavoro (1)
•
•
•
•
Un «big push», ovvero una grande spinta pubblica, attraverso
una programmazione pubblica, condivisa con le parti sociali per
una grande iniezione di investimenti pubblici e la generazione di
nuovi posti di lavoro “utili socialmente”, soprattutto nel
Mezzogiorno
in funzione dei beni comuni (servizi pubblici e beni collettivi, non
esposti alla concorrenza internazionale o tecnologica, inespressi
dall’economia di mercato: ambiente, patrimonio artistico-culturale,
energia, infrastrutture, conoscenza, welfare, ecc.)
con il coordinamento di un’Agenzia nazionale (modello New
Deal)
utilizzando una Banca pubblica per gli investimenti e
l’innovazione.
95
Progetti prioritari (2)
•
•
•
•
Una nuova regolazione pubblica, soprattutto locale,
definita dal dialogo sociale e istituzionale e, dunque,
dalla contrattazione territoriale per lo sviluppo
capace di generare, liberare e attrarre nuovi
investimenti, pubblici e privati,
all’insegna dell’innovazione, anche sociale, legata a
più settori, comparti o filiere produttive (green
economy, edilizia antisismica e scolastica, smart-grid,
reti digitali e progetti per le smart-city, diffusione banda
larga, ecc.) e ai servizi pubblici (trasporto pubblico
locale, turismo integrato, ciclo dei rifiuti, ecc.).
96
il Piano del Lavoro come metodo
Domanda
(nazionale e
locale)
Emergenze, limiti e
potenzialità dell’Italia
Governo e Parti sociali
Obiettivi Paese
Agenzia pubblica
Risorse
pubbliche
Università e
Ricerca
Progetti e Programmi
prioritari
Bandi /
Accreditamento
Risorse
private
Governi locali e
Parti sociali
Monitoraggio
Piani territoriali
Cabina di regia
region. o locale
97
Come funziona il Piano del Lavoro?
 A partire da un coordinamento nazionale e sviluppato a livello
locale (Comitati Territoriali per il lavoro e la crescita):
a) aperti a soggetti economici, sociali, associazionismo,
ricerca, istituzioni, università, fin dall'ideazione;
b) confronto e codecisione sugli obiettivi; definizione
concordata delle priorità e dei Progetti prioritari, anche
“sequenziali”; momenti congiunti di consultazione e verifica;
c) compartecipazione alle risorse, miglior utilizzo delle risorse
pubbliche esistenti (anche europee) e nuovi margini fiscali.
d) si mobilita e attiva tutto il lavoro disponibile e non solo:
dipendente, autonomo, studenti, volontariato, ecc.
e) il lavoro si retribuisce, si certifica, si facilita e si valorizza
f) si stabiliscono percorsi amministrativi funzionali e rapidi
98
«E io credo che voi sarete d’accordo con me nel
sostenere che se in Italia un governo sapesse
rendersi interprete di questi bisogni di vita, di
sviluppo e progresso della nazione, e si impegnasse
a realizzare questo piano, il popolo italiano darebbe
ad esso il suo appoggio e lavorerebbe con slancio
perché il piano stesso venisse realizzato in tutte le
sue fasi»
Giuseppe Di Vittorio
(dal Rapporto al
2° Congr. CGIL,
4 ottobre 1949)
99