il ruolo della distribuzione del reddito

Produttività del lavoro e crescita
Il ruolo della distribuzione del
reddito e del sistema contrattuale
Fonti:
1)Tronti L., Produttività e distribuzione del reddito, in L’italia possibile, Ed. Brioschi, 2010.
2) Tronti L., (2010), The Italian productivity slow-down : the role of the bargaining model”
, International journal of manpower
3) Tronti L., (2008), Produttività del lavoro e crescita: Il ruolo della distribuzione del reddito
e del sistema contrattuale
QUOTA REDDITO LAVORO
64
62
60
58
56
54
52
50
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
• L’evoluzione della quota del reddito da lavoro
può essere suddivisa in due sottoperiodi:
• A) per tutti gli anni Novanta subisce una
caduta continua (62% nel 1990, 53% nel 2000)
• B) a partire da questa data oscilla intorno al
54%
• La quota del reddito da lavoro è
identicamente uguale al rapporto tra la
retribuzione del lavoro e la produttività del
lavoro.
• Se tale rapporto è diminuito ne discende che
la retribuzione del lavoro è cresciuta meno
della produttività
Adjusted wage share as a % of GDP at factor
costs (ameco database)
19
60
19
65
19
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67
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63
61
59
57
55
Germany
West Germany
France
Italy
United Kingdom
• La questione del rapporto tra produttività, salari e
distribuzione del reddito è una delle più controverse sia
dal punto di vista teorico che della conseguente
efficacia delle politiche economiche.
• La drastica diminuzione del salario registrata negli
ultimi 30 anni in tutti i principali paesi industrializzati
con la conseguente modifica della sua quota
relativamente ai profitti viene spiegata dalla teoria
“ortodossa” in questo modo: la dinamica dei salari
dipende da quella della produttività del lavoro; se si
vogliono aumentare i salari bisogna che cresca la
produttività.
Il ruolo della produttività nella dinamica del salario: due possibili
soluzioni
• Diverse possono essere le strade percorribili per stimolare la
produttività. In questa sede ne vengono privilegiate due, in quanto
attinenti alla riforma della contrattazione.
• La prima è quella del nesso tra salario e produttività documentato
da diversi lavori di Sylos Labini (1984, 1993, 1999), secondo cui lo
stimolo salariale derivante dall’azione sindacale costituisce in una
certa qual misura la leva vitale per l’adozione da parte delle imprese
di innovazioni tecnologiche, in termini sia assoluti (attraverso una
maggior efficienza dei luoghi di lavoro) sia relativi (sostituzione
dinamica del lavoro con capitale, tramite cui prende corpo il
progresso tecnico incorporato).
• La ragione di tutto ciò sta nel fatto che la crescita della produttività
consente all’impresa stessa di preservare l’invarianza del costo per
unità di prodotto, e di conseguenza la quota del profitto
• La seconda soluzione è quella che vede il
nesso in termini opposti, vale a dire dalla
produttività al salario, inteso quest’ultimo
come riconoscimento del contributo
apportato al processo produttivo dal
lavoratore.
• Le due soluzioni non sono equivalenti in
termini di efficienza ed efficacia degli stimoli.
Il modello di Sylos Labini
.
.

.
.
.
.
 c( w pmac )  d (ulc  p)  eI t 1


 
Effetto Smith
b
Y

Effetto Ricardo
Quota lavoro
Investimenti
Il modello di Sylos Labini
Effetto Smith
• La funzione di produttività di Sylos Labini si basa su due
forze economiche fondamentali.
• La prima (“effetto Smith”) è data dalla capacità della
dimensione del mercato di sostenere economicamente la
divisione e la specializzazione del lavoro: processi che
costituiscono la forma primaria dell’innovazione.
• L’aumento della capacità produttiva del lavoro dipende
dalla divisione del lavoro, che a sua volta dipende
dall’estensione del mercato: un mercato la cui estensione
non si espande non mobilita risorse sufficienti a sostenere
economicamente la specializzazione professionale che è
alla base dell’innovazione endogena.
• In termini altrettanto semplici, Sylos (2004) nota che le
innovazioni si possono dividere in
• “grandi invenzioni” (degli scienziati) e
• “piccole invenzioni” (dei lavoratori e degli imprenditori),
Le piccole invenzioni sono endogene e più importanti delle
prime per la crescita economica, in quanto quelle accadono
più raramente, e spesso richiedono un rilevante adattamento
dei sistemi produttivi e delle modalità di consumo;
mentre le piccole invenzioni sono più frequenti e non
richiedono grandi adattamenti, ma piccoli aggiustamenti
continui, nei sistemi produttivi come nei consumi.
Effetto Ricardo
• La seconda forza trainante la crescita della produttività
(“effetto Ricardo”) è quella dell’aumento del costo del
lavoro, in rapporto sia a quello dei macchinari sia a
quello del prodotto, come fattore endogeno di spinta
all’introduzione da parte degli imprenditori di nuovi
macchinari, tecnologie e forme di organizzazione.
• La produttività del lavoro cresce per effetto di un
risparmio diretto del coefficiente di lavoro, a sua volta
determinato da un aumento del prezzo relativo del
lavoro, ossia da un aumento dei salari rispetto al prezzo
delle macchine.
• Le retribuzioni reali debbono crescere, non
solo perché esse sono il principale sostegno ai
consumi delle famiglie, ma perché sono anche
il fondamentale elemento di pungolo alle
imprese sul terreno dell’innovazione
tecnologica e organizzativa.
Il costo assoluto del lavoro
• Nella stessa direzione opera una terza variabile
rilevante, il “costo assoluto del lavoro”, ovvero la
differenza tra la crescita del costo del lavoro per unità
di prodotto e quella dei prezzi del prodotto stesso.
• Questa variabile influenza più rapidamente della prima
le decisioni di innovazione degli imprenditori: se il
costo assoluto del lavoro aumenta, essi tenteranno di
salvaguardare i propri guadagni riducendo
l’occupazione o riorganizzando la produzione per
rendere i lavoratori più produttivi.
Crescita degli investimenti
• Oltre all’effetto Smith e all’effetto Ricardo (declinato sia
come prezzo relativo, sia come costo assoluto del
lavoro), la quarta forza trainante considerata nella
funzione di produttività di Sylos è il ruolo della crescita
degli investimenti realizzati negli anni precedenti che,
a differenza degli investimenti correnti, influenzano sia
la capacità produttiva, sia la crescita della produttività
del lavoro nel periodo corrente.
• Gli investimenti correnti, infatti, sono troppo recenti
per causare effetti produttivi di rilievo e pertanto
svolgono un ruolo economico soltanto dal lato della
domanda, in termini di ampliamento del mercato dei
beni capitali (“effetto Smith”)
• La penultima grandezza (la quota lavoro),
regola l’evoluzione della distribuzione primaria
del reddito.
• La quota del lavoro nel reddito è definita nel
modo seguente:
N w
SN 
 ulc  p 1
Y p
in termini di variazioni abbiamo :



S N  ulc  p
da cui si ricava :



S N  0  ulc  p



S N   0  ulc   p
• La legge di Bowley implica che la variazione
del costo del lavoro per unità di prodotto sia
pari a quella dei prezzi, ovvero che il costo
assoluto del lavoro rimanga costante.
• Da tale relazione si evince che affinchè resti
costante la quota di reddito che va ai salari:
• 𝑆𝑁 = 0
𝑤 ≈𝑝+𝜋
La crescita del salario nominale deve essere
uguale alla crescita dei prezzi + la crescita della
produttività
• La regola di Bowley può essere assunta come “regola aurea
della politica dei redditi”, perché:
• A parità di altre condizioni, assicura la massima crescita dei
salari (e della domanda interna) compatibile con l’assenza
di pressioni sul saggio di profitto e, quindi, sui prezzi.
• Questa condizione comporta come corollario che le
retribuzioni reali crescano nell’esatta misura della crescita
della produttività del lavoro.
• Ciò non tanto per un’implicita identificazione dei lavoratori
come unici autori della crescita della produttività, ma per
gli effetti delle retribuzioni sui consumi e sulla crescita.
• L’“effetto Smith” rivisitato:
Shock esogeni e scambio tra lavoro e capitale
Shock esogeni su economie dell’area euro: nuove tecnologie,
globalizzazione, moneta unica, crisi internazionale
Il modello Blanchard-Giavazzi (2003) consente di modellare gli effetti di una liberalizzazione (o riregolazione) congiunta e contemporanea dei mercati del prodotto e del lavoro.
i)
la liberalizzazione del mercato del prodotto deve riuscire a ottenere un aumento della
pressione concorrenziale tale da contenere i prezzi, stimolare l’innovazione e favorire la
crescita della produttività.
ii)
Contenimento dei prezzi, innovazione e produttività, a loro volta, consentono all’economia
di mantenere la propria posizione competitiva, almeno nei confronti dei concorrenti
tradizionali
iii)
nel mercato del lavoro, le riforme devono moderare la crescita del costo del lavoro e dei
salari. Ma la moderazione non deve essere portata al punto da diventare
controproducente: il contemporaneo contenimento dei prezzi deve infatti assicurare
comunque la crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni e, per questa via, della
domanda interna.
i)
Solo l’equilibrio tra i due mercati assicura che l’economia, trainata dalla domanda estera
(per il canale della moderazione dei prezzi) e da quella interna (per quello dell’aumento
del potere d’acquisto dei salari), cresca stabilmente.
Interazione tra i due
mercati ed “effetto Smith”
In Italia, si è messo in atto una significativa riforma
del mercato del lavoro prima di avere
adeguatamente riformato il mercato del prodotto
e, quindi, senza un’adeguata pressione
concorrenziale su prezzi e margini, le conseguenze
sono senz’altro perverse:
• da un lato il declino della quota del lavoro nel
reddito (impoverimento relativo delle famiglie)
• dall’altro prezzi elevati – con la duplice
conseguenza negativa di una perdita di
competitività internazionale (pur in presenza di
profitti significativi) e di un rallentamento dei
consumi interni.
Competitività: rendite (superprofitti)
a prezzi costanti e in rapporto al Pil
LIBERALIZZAZIONI INCOMPLETE MERCATO PRODOTTI
• Le rendite si accumulano nei servizi alle imprese e
nei servizi sociali e personali, nella produzione di
energia elettrica, gas e acqua, nel comparto
agricolo (dove, non a caso, si va esaurendo
l’esodo occupazionale iniziato negli anni ’30 del
Novecento).
• Incrementi minori, ma comunque
significativamente superiori alla media si
registrano nell’estrazione di minerali non
energetici e nelle attività di trasporto e
comunicazione.
• All’opposto (non senza un legame con quanto
appena osservato), significative cadute dei
precedenti livelli di redditività interessano molte
attività della manifattura (pelli e cuoio, carta,
stampa ed editoria, fabbricazione di combustibili,
macchine e apparecchi meccanici, mezzi di
trasporto, altre industrie manifatturiere), le
costruzioni, la pesca.
• Ma le cadute più gravi si concentrano in alcune
delle più rilevanti attività manifatturiere esposte
alla concorrenza internazionale – estrazione di
minerali energetici, alimentari, bevande e
tabacchi, prodotti della lavorazione di minerali
non metalliferi, macchine elettriche ed
elettroniche
Dinamica delle renditenell’economia italiana
(quote percentuali sul valore aggiunto)
• La vistosa e diseguale crescita delle rendite dopo
il 1993 rivela che le politiche di privatizzazione
delle imprese pubbliche non solo non hanno
accresciuto la competitività dei settori protetti
ma anzi, paradossalmente, l’hanno
significativamente ridotta. Di conseguenza le
attività manifatturiere, esposte alla concorrenza,
sono state ancor più schiacciate tra l’incudine
della competizione di prezzo sui mercati
internazionali e il martello dell’aumento di prezzi
e tariffe sul mercato interno.
RISULTATI
• un’incisiva riforma del modello contrattuale e delle
forme di lavoro (protocollo del ’93, “pacchetto Treu”,
legge “Biagi”) a fronte di una politica di privatizzazioni
che non si sono coniugate con effettive liberalizzazioni,
o con altre forme di regolazione del mercato del
prodotto ha dunque prodotto un assetto del sistema
economico strutturalmente squilibrato, il cui risultato
in estrema sintesi è costituito da prezzi più alti (i prezzi
all’esportazione presentano un differenziale anche
maggiore rispetto ai paesi euro) e salari più bassi della
media dei paesi concorrenti.
Esportazioni nette e consumi delle famiglie
In estrema sintesi
Effetto Smith Rivisitato
L’economia italiana presenta da molti anni:
• Prezzi più alti e salari reali più bassi dei concorrenti dell’area
dell’euro.
• Questa situazione deriva da un netto aumento delle rendite da
markup delle imprese, che attesta la perdita di competitività
dell’economia.
In queste condizioni non si può crescere.
• Contrazione domanda estera(perdita di competitività) e domanda
interna (eccessiva moderazione salariale)
• In mancanza di riforme «dal lato del capitale», che portino ad un
ampliamento del mercato, all’interno come all’esportazione, la
divisione del lavoro non può progredire, e la produttività non può
crescere.
Il caso italiano
• L’ “effetto Ricardo” rivisitato:
• prezzo relativo del lavoro, costo assoluto
del lavoro, distribuzione funzionale del
reddito e investimenti
• Le cause della caduta del prezzo relativo del
lavoro (effetto Ricardo) possono essere meglio
comprese se le si colloca nella prospettiva
dell’esperienza storica italiana di regolazione
della dinamica salariale.
• A questo fine, è indispensabile assumere come
punto di partenza gli esperimenti di politica dei
redditi degli anni ’80, finalizzati al rientro di un
tasso di inflazione che aveva superato i 20 punti
percentuali l’anno, attraverso la fissazione
concertata, tra governo e parti sociali, di un
target di inflazione annuale.
In coerenza con il comune obiettivo:
• il Governo doveva determinare la manovra
dei prezzi amministrati e delle tariffe,
• le imprese le politiche di prezzo di beni e
servizi,
• i sindacati l’evoluzione degli scatti della
cosiddetta “scala mobile” (il meccanismo di
adeguamento automatico delle retribuzioni
tabellari all’inflazione) e
• la banca centrale l’offerta di moneta.
Quattro capisaldi:
La proposta di Tarantelli (1995)
1. L’ipotesi di politica dei prezzi concertata
identifica, in primo luogo, la stabilità dei prezzi
come un bene pubblico, non producibile da un
unico agente ma frutto
• da un lato del comportamento cooperativo (e
concertato) dei grandi attori dell’arena della
relazioni industriali (governo e partner sociali)
e della banca centrale,
• dall’altro, delle aspettative dei singoli agenti.
Quattro capisaldi:
La proposta di Tarantelli (1995)
2. La proposta considera la stabilità delle quote distributive dei salari e
dei profitti nel reddito (la cosiddetta “legge di Bowley”) come
regola aurea della politica dei redditi perché, a parità di altre
condizioni, è questa la condizione che assicura la massima crescita
salariale (e, quindi, la massima crescita della domanda interna)
compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio di profitto e, quindi,
sui prezzi interni.
• Si tratta di un punto cruciale. L’ipotesi comporta come corollario che
i salari reali (di fatto) crescano nella stessa misura della produttività
del lavoro: questo non per un implicito (quanto insostenibile)
giudizio morale sul fatto che i lavoratori siano i “veri” autori della
crescita della produttività, ma per evidenti considerazioni di
carattere macroeconomico, legate alla crescita dell’economia e
all’equilibrio nei consumi.
Quattro capisaldi:
La proposta di Tarantelli (1995)
3. Il terzo aspetto, in cui si concentra forse il contributo più rilevante di
Tarantelli all’analisi macroeconomica del rapporto tra salari e prezzi,
è quello della cosiddetta politica salariale d’anticipo.
• L’unica possibilità di spezzare la spirale perversa prezzi-salari-prezzi
consiste nell’interrompere la trasmissione al presente dell’inflazione
passata (quale era assicurata all’epoca, in Italia, dall’istituto della
“scala mobile” – e in molti altri paesi industriali da altri, consimili
meccanismi di adeguamento automatico delle retribuzioni
all’inflazione pregressa).
• La catena viene spezzata programmando in anticipo incrementi
retributivi in linea con l’inflazione attesa, invece di recuperare nel
periodo corrente il potere d’acquisto perduto in passato. Una
clausola di salvaguardia pone in capo alle imprese l’onere di coprire
ex post i salari da un eventuale scostamento tra inflazione attesa e
inflazione effettiva.
Quattro capisaldi:
La proposta di Tarantelli (1995)
• 4. Infine, la scelta di governare il movimento dei prezzi
attraverso il raffreddamento della scala mobile e il suo
allineamento con gli obiettivi di aumento delle retribuzioni
di base concertati e coerenti con i comportamenti degli altri
attori (governo, imprese e banca centrale), in un regime di
reciproca sorveglianza e di fattiva collaborazione tra i
partner sociali e il governo, viene proposta in alternativa
alla ricetta monetarista di una violenta restrizione
dell’offerta di moneta da parte della banca centrale perché
paretianamente preferibile, in quanto priva delle
conseguenze sociali negative (fallimenti, disoccupazione)
che si accompagnano ad un arresto dell’attività economica
dal lato monetario.
Inflazione e retribuzioni di fatto. Anni
1970-2007 (Tassi annui di variazione
percentuale)
• Il grafico mostra:
• gli effetti esplosivi su prezzi e salari dei due shock
petroliferi del 1973-74 e del 1979-80 e
• consente di apprezzare la fase di raffreddamento in cui
ebbero un ruolo rilevante gli esperimenti di politica dei
prezzi concertata varati per iniziativa di Tarantelli negli
anni 1983-84 e il successivo referendum abrogativo dei
punti di scala mobile “congelati” a causa del decreto.
• Il referendum, preceduto dall’assassinio di Tarantelli,
nonostante il clima di forte tensione sociale vide la
netta affermazione della linea della
predeterminazione.
• Il modello contrattuale del
Protocollo di luglio 1993
• Lo “scambio politico
masochistico”
Il protocollo di luglio 1993
• La scala mobile venne abolita con l’accordo trilaterale
di luglio 1992, in cambio del riconoscimento da parte
del governo Amato della salvaguardia del potere
d’acquisto delle retribuzioni come obiettivo
fondamentale della politica economica e della
promessa della predisposizione, a breve termine, di un
nuovo meccanismo concertato di determinazione della
dinamica salariale.
• Questo venne effettivamente varato l’anno successivo,
sotto il governo Ciampi, attraverso il patto sociale
sancito dal Protocollo di luglio 1993.
Il protocollo di luglio 1993
• Ricordiamo brevemente che il Protocollo prevede due livelli di
contrattazione salariale separati e non sovrapponibili.
• Alla contrattazione nazionale di settore (primo livello), articolata in un
quadriennio normativo e due bienni economici, è demandato il compito di
salvaguardare il potere d’acquisto delle retribuzioni di base. Gli incrementi
dei minimi salariali contrattuali, fissati ogni due anni, devono essere
coerenti con il tasso di inflazione programmata (politica salariale
d’anticipo); in caso di scostamento tra questo e l’inflazione effettiva, è
prevista la possibilità di un recupero nel secondo biennio economico
(meccanismo di salvaguardia).
• Alla contrattazione decentrata (secondo livello), articolata su scala
aziendale o territoriale, è affidato invece il ruolo di regolare con accordi
quadriennali la crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni sulla base
dei risultati di produttività, redditività e qualità realizzati nell’impresa o nel
territorio di applicazione dell’accordo.
• Manca qualunque riferimento alla stabilità delle quote
distributive.
Protocollo ’93, contrattazione decentrata e
regola di Bowley
dove α è l’incidenza del primo livello sulla
retribuzione totale. Ipotizzando che questa
componente retributiva si muova esattamente
con l’inflazione (p), per effetto del tasso di
inflazione programmato (tip) e dei periodici
recuperi degli scarti tra tip e inflazione effettiva,
possiamo derivare la crescita di w2 che soddisfa
l’invarianza della distribuzione funzionale (w2*):
• Nell’insieme dell’economia italiana, sulla base delle
differenze di livello tra retribuzioni di fatto e
retribuzioni contrattuali, si può ipotizzare che il fattore
β* abbia un valore medio elevato, vicino a 6,5 – un
valore che conferma la scarsa diffusione della
contrattazione di secondo livello.
• Il Protocollo ’93 prevede che le retribuzioni fissate dai
contratti nazionali restino ancorate per sempre al loro
potere d’acquisto del 1993.
• Dunque, per mantenere inalterata la distribuzione
funzionale del reddito, richiede che la contrattazione
decentrata cresca in misura sufficiente a eguagliare la
crescita reale dell’intera retribuzione di fatto
(comprensiva di primo e secondo livello) a quella della
produttività del lavoro.
Inoltre, poiché l’unica situazione in cui essa
potrebbe ridursi è quando la retribuzione di
secondo livello dovrebbe contrarsi a seguito di
una caduta della produttività del lavoro,
• l’incidenza della retribuzione decentrata sulla
retribuzione di fatto dovrebbe
tendenzialmente crescere nel tempo, sino a
diventare la principale voce retributiva.
Pertanto, il Protocollo di luglio ’93 affida la possibilità di
rispettare la regola di Bowley a due condizioni:
• 1.che la contrattazione decentrata (aziendale o
territoriale) sia diffusa a tutte le imprese, e quindi sia
disponibile per tutti i dipendenti una voce retributiva
flessibile, aggiuntiva rispetto alle voci stabilite dal
contratto nazionale di categoria;
• 2.che il salario di secondo livello cresca in misura tale
da eguagliare la dinamica della retribuzione di fatto
reale (comprensiva di primo e secondo livello
retributivo) alla variazione della produttività del lavoro.
Le due condizioni sono in generale poco
probabili,
• in particolare nel sistema produttivo italiano,
che è caratterizzato da un gran numero di
imprese piccole e piccolissime, dove la
contrattazione collettiva incontra notevoli
difficoltà a svilupparsi.
Se il modello contrattuale non rispetta
la regola di Bowley:
• Il rapporto γ raggiunge l’unità quando il secondo livello
contrattuale risulta abbastanza efficace da soddisfare la
condizione di invarianza enunciata dall’equazione (4).
Poiché il testo del Protocollo ‘93 pone la crescita della
retribuzione reale in dipendenza dal conseguimento di
obiettivi di crescita della produttività, possiamo
identificare il legame che questa istituzione instaura tra
la crescita della produttività e il movimento della
distribuzione del reddito ai fattori sulla base del valore
di γ:
Effetto macroeconomico combinato
atteso dei due livelli negoziali
Criticità del funzionamento del modello
contrattuale del Protocollo ‘93
• In condizioni di «normale funzionamento
dell’economia»,
• la produttività del lavoro cresce;
• e il modello tende ad aumentare la quota dei
profitti (ovvero a comprimere la quota del lavoro)
automaticamente, senza alcuna contropartita in
termini di investimenti, occupazione, formazione,
riorganizzazione ecc.
• Paradossalmente, questa tendenza implicita si
può arrestare o riequilibrare solo con una caduta
della produttività del lavoro.
Conflitto distributivo e produttività
Il modello contrattuale italiano tende a spostare
il conflitto distributivo dalla distribuzione del
valore aggiunto alla crescita della produttività,
• E, quindi, alla crescita dell’economia,
• Sospingendo l’equilibrio del sistema
economico in un sentiero di stagnazione.
Si tratta di un esito evidentemente
indesiderabile, avverso allo sviluppo e alla
crescita economica.
Regola di Bowley e cooperazione per la
crescita
Il Protocollo ’93 ha creato un meccanismo che viola la
regola di Bowley, alterando automaticamente la stabilità
delle quote distributive, e istituisce un sistema di incentivi
evidentemente sfavorevole alla crescita economica:
• Gli imprenditori trovano un equilibrio tra l’incentivo ad
occupare lavoro a basso costo (e bassa produttività) e
quello ad accrescere la produttività per spostare
automaticamente a loro favore la distribuzione del
reddito;
• I lavoratori sono esposti all’azzardo morale di poter
riequilibrare la distribuzione del reddito solo frenando
la produttività.
Regola di Bowley e cooperazione per la
crescita
• In altre parole, il sistema istituzionale di
regolazione delle retribuzioni abbatte
l’incentivo per i partner sociali a cooperare
per la crescita.
• E, di conseguenza, il sistema economico viene
sospinto dalle convenienze dei partner sociali
a imboccare un sentiero di stagnazione
economica.
Modello di Sylos e Protocollo del ’93 1
Il nostro esame del Protocollo ’93 e dei suoi effetti alla luce della funzione di
produttività di Sylos mette in luce un netto contrasto logico tra i due:
• Nel modello contrattuale è la crescita della produttività a determinare le
retribuzioni reali e quindi, attraverso l’efficacia del sistema della contrattazione
locale, la distribuzione funzionale del reddito.
• Nel modello di Sylos, invece, sono le retribuzioni (come componente della
domanda interna – effetto Smith) e due variabili retributive, il prezzo relativo del
lavoro e il suo costo assoluto (che governa la distribuzione funzionale del reddito),
a determinare con qualche ritardo temporale la crescita della produttività.
Dunque, il modello contrattuale italiano identifica il salario come una variabile
eminentemente distributiva (e non come il motore principale dei consumi e, quindi,
della domanda interna)
• e pone la distribuzione come momento conseguente alla produzione:
• la realizzazione degli incrementi di produttività precede l’aumento delle
retribuzioni reali, sotto il vincolo dell’efficacia della contrattazione decentrata.
Modello di Sylos e Protocollo del ’93 2
All’opposto, la funzione di produttività di Sylos attribuisce ai salari, al
prezzo relativo e al costo assoluto del lavoro il ruolo di segnali forti, che
dal lato della domanda, attraverso l’effetto Smith, sostengono la
divisione del lavoro e l’innovazione, e da quello dell’offerta, attraverso
l’effetto Ricardo, spingono gli imprenditori a modernizzare e a rendere
più efficienti le imprese.
• La contrapposizione è anche nel soggetto responsabile
dell’aumento della produttività:
se il modello contrattuale indica implicitamente che l’aumento della
produttività dipende in larga misura dall’effort dei lavoratori (anche se
poi l’inefficacia della contrattazione di secondo livello limita, nel
concreto, la capacità del sistema di premiarlo),
• la funzione di Sylos pone invece in capo agli imprenditori il ruolo
chiave nello sviluppo del progresso tecnico.