Produttività del lavoro e crescita Il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale Fonti: 1)Tronti L., Produttività e distribuzione del reddito, in L’italia possibile, Ed. Brioschi, 2010. 2) Tronti L., (2010), The Italian productivity slow-down : the role of the bargaining model” , International journal of manpower 3) Tronti L., (2008), Produttività del lavoro e crescita: Il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale QUOTA REDDITO LAVORO 64 62 60 58 56 54 52 50 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 • L’evoluzione della quota del reddito da lavoro può essere suddivisa in due sottoperiodi: • A) per tutti gli anni Novanta subisce una caduta continua (62% nel 1990, 53% nel 2000) • B) a partire da questa data oscilla intorno al 54% • La quota del reddito da lavoro è identicamente uguale al rapporto tra la retribuzione del lavoro e la produttività del lavoro. • Se tale rapporto è diminuito ne discende che la retribuzione del lavoro è cresciuta meno della produttività Adjusted wage share as a % of GDP at factor costs (ameco database) 19 60 19 65 19 70 19 75 19 80 19 85 19 90 19 95 20 00 20 05 20 10 85 83 81 79 77 75 73 71 69 67 65 63 61 59 57 55 Germany West Germany France Italy United Kingdom • La questione del rapporto tra produttività, salari e distribuzione del reddito è una delle più controverse sia dal punto di vista teorico che della conseguente efficacia delle politiche economiche. • La drastica diminuzione del salario registrata negli ultimi 30 anni in tutti i principali paesi industrializzati con la conseguente modifica della sua quota relativamente ai profitti viene spiegata dalla teoria “ortodossa” in questo modo: la dinamica dei salari dipende da quella della produttività del lavoro; se si vogliono aumentare i salari bisogna che cresca la produttività. Il ruolo della produttività nella dinamica del salario: due possibili soluzioni • Diverse possono essere le strade percorribili per stimolare la produttività. In questa sede ne vengono privilegiate due, in quanto attinenti alla riforma della contrattazione. • La prima è quella del nesso tra salario e produttività documentato da diversi lavori di Sylos Labini (1984, 1993, 1999), secondo cui lo stimolo salariale derivante dall’azione sindacale costituisce in una certa qual misura la leva vitale per l’adozione da parte delle imprese di innovazioni tecnologiche, in termini sia assoluti (attraverso una maggior efficienza dei luoghi di lavoro) sia relativi (sostituzione dinamica del lavoro con capitale, tramite cui prende corpo il progresso tecnico incorporato). • La ragione di tutto ciò sta nel fatto che la crescita della produttività consente all’impresa stessa di preservare l’invarianza del costo per unità di prodotto, e di conseguenza la quota del profitto • La seconda soluzione è quella che vede il nesso in termini opposti, vale a dire dalla produttività al salario, inteso quest’ultimo come riconoscimento del contributo apportato al processo produttivo dal lavoratore. • Le due soluzioni non sono equivalenti in termini di efficienza ed efficacia degli stimoli. Il modello di Sylos Labini . . . . . . c( w pmac ) d (ulc p) eI t 1 Effetto Smith b Y Effetto Ricardo Quota lavoro Investimenti Il modello di Sylos Labini Effetto Smith • La funzione di produttività di Sylos Labini si basa su due forze economiche fondamentali. • La prima (“effetto Smith”) è data dalla capacità della dimensione del mercato di sostenere economicamente la divisione e la specializzazione del lavoro: processi che costituiscono la forma primaria dell’innovazione. • L’aumento della capacità produttiva del lavoro dipende dalla divisione del lavoro, che a sua volta dipende dall’estensione del mercato: un mercato la cui estensione non si espande non mobilita risorse sufficienti a sostenere economicamente la specializzazione professionale che è alla base dell’innovazione endogena. • In termini altrettanto semplici, Sylos (2004) nota che le innovazioni si possono dividere in • “grandi invenzioni” (degli scienziati) e • “piccole invenzioni” (dei lavoratori e degli imprenditori), Le piccole invenzioni sono endogene e più importanti delle prime per la crescita economica, in quanto quelle accadono più raramente, e spesso richiedono un rilevante adattamento dei sistemi produttivi e delle modalità di consumo; mentre le piccole invenzioni sono più frequenti e non richiedono grandi adattamenti, ma piccoli aggiustamenti continui, nei sistemi produttivi come nei consumi. Effetto Ricardo • La seconda forza trainante la crescita della produttività (“effetto Ricardo”) è quella dell’aumento del costo del lavoro, in rapporto sia a quello dei macchinari sia a quello del prodotto, come fattore endogeno di spinta all’introduzione da parte degli imprenditori di nuovi macchinari, tecnologie e forme di organizzazione. • La produttività del lavoro cresce per effetto di un risparmio diretto del coefficiente di lavoro, a sua volta determinato da un aumento del prezzo relativo del lavoro, ossia da un aumento dei salari rispetto al prezzo delle macchine. • Le retribuzioni reali debbono crescere, non solo perché esse sono il principale sostegno ai consumi delle famiglie, ma perché sono anche il fondamentale elemento di pungolo alle imprese sul terreno dell’innovazione tecnologica e organizzativa. Il costo assoluto del lavoro • Nella stessa direzione opera una terza variabile rilevante, il “costo assoluto del lavoro”, ovvero la differenza tra la crescita del costo del lavoro per unità di prodotto e quella dei prezzi del prodotto stesso. • Questa variabile influenza più rapidamente della prima le decisioni di innovazione degli imprenditori: se il costo assoluto del lavoro aumenta, essi tenteranno di salvaguardare i propri guadagni riducendo l’occupazione o riorganizzando la produzione per rendere i lavoratori più produttivi. Crescita degli investimenti • Oltre all’effetto Smith e all’effetto Ricardo (declinato sia come prezzo relativo, sia come costo assoluto del lavoro), la quarta forza trainante considerata nella funzione di produttività di Sylos è il ruolo della crescita degli investimenti realizzati negli anni precedenti che, a differenza degli investimenti correnti, influenzano sia la capacità produttiva, sia la crescita della produttività del lavoro nel periodo corrente. • Gli investimenti correnti, infatti, sono troppo recenti per causare effetti produttivi di rilievo e pertanto svolgono un ruolo economico soltanto dal lato della domanda, in termini di ampliamento del mercato dei beni capitali (“effetto Smith”) • La penultima grandezza (la quota lavoro), regola l’evoluzione della distribuzione primaria del reddito. • La quota del lavoro nel reddito è definita nel modo seguente: N w SN ulc p 1 Y p in termini di variazioni abbiamo : S N ulc p da cui si ricava : S N 0 ulc p S N 0 ulc p • La legge di Bowley implica che la variazione del costo del lavoro per unità di prodotto sia pari a quella dei prezzi, ovvero che il costo assoluto del lavoro rimanga costante. • Da tale relazione si evince che affinchè resti costante la quota di reddito che va ai salari: • 𝑆𝑁 = 0 𝑤 ≈𝑝+𝜋 La crescita del salario nominale deve essere uguale alla crescita dei prezzi + la crescita della produttività • La regola di Bowley può essere assunta come “regola aurea della politica dei redditi”, perché: • A parità di altre condizioni, assicura la massima crescita dei salari (e della domanda interna) compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio di profitto e, quindi, sui prezzi. • Questa condizione comporta come corollario che le retribuzioni reali crescano nell’esatta misura della crescita della produttività del lavoro. • Ciò non tanto per un’implicita identificazione dei lavoratori come unici autori della crescita della produttività, ma per gli effetti delle retribuzioni sui consumi e sulla crescita. • L’“effetto Smith” rivisitato: Shock esogeni e scambio tra lavoro e capitale Shock esogeni su economie dell’area euro: nuove tecnologie, globalizzazione, moneta unica, crisi internazionale Il modello Blanchard-Giavazzi (2003) consente di modellare gli effetti di una liberalizzazione (o riregolazione) congiunta e contemporanea dei mercati del prodotto e del lavoro. i) la liberalizzazione del mercato del prodotto deve riuscire a ottenere un aumento della pressione concorrenziale tale da contenere i prezzi, stimolare l’innovazione e favorire la crescita della produttività. ii) Contenimento dei prezzi, innovazione e produttività, a loro volta, consentono all’economia di mantenere la propria posizione competitiva, almeno nei confronti dei concorrenti tradizionali iii) nel mercato del lavoro, le riforme devono moderare la crescita del costo del lavoro e dei salari. Ma la moderazione non deve essere portata al punto da diventare controproducente: il contemporaneo contenimento dei prezzi deve infatti assicurare comunque la crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni e, per questa via, della domanda interna. i) Solo l’equilibrio tra i due mercati assicura che l’economia, trainata dalla domanda estera (per il canale della moderazione dei prezzi) e da quella interna (per quello dell’aumento del potere d’acquisto dei salari), cresca stabilmente. Interazione tra i due mercati ed “effetto Smith” In Italia, si è messo in atto una significativa riforma del mercato del lavoro prima di avere adeguatamente riformato il mercato del prodotto e, quindi, senza un’adeguata pressione concorrenziale su prezzi e margini, le conseguenze sono senz’altro perverse: • da un lato il declino della quota del lavoro nel reddito (impoverimento relativo delle famiglie) • dall’altro prezzi elevati – con la duplice conseguenza negativa di una perdita di competitività internazionale (pur in presenza di profitti significativi) e di un rallentamento dei consumi interni. Competitività: rendite (superprofitti) a prezzi costanti e in rapporto al Pil LIBERALIZZAZIONI INCOMPLETE MERCATO PRODOTTI • Le rendite si accumulano nei servizi alle imprese e nei servizi sociali e personali, nella produzione di energia elettrica, gas e acqua, nel comparto agricolo (dove, non a caso, si va esaurendo l’esodo occupazionale iniziato negli anni ’30 del Novecento). • Incrementi minori, ma comunque significativamente superiori alla media si registrano nell’estrazione di minerali non energetici e nelle attività di trasporto e comunicazione. • All’opposto (non senza un legame con quanto appena osservato), significative cadute dei precedenti livelli di redditività interessano molte attività della manifattura (pelli e cuoio, carta, stampa ed editoria, fabbricazione di combustibili, macchine e apparecchi meccanici, mezzi di trasporto, altre industrie manifatturiere), le costruzioni, la pesca. • Ma le cadute più gravi si concentrano in alcune delle più rilevanti attività manifatturiere esposte alla concorrenza internazionale – estrazione di minerali energetici, alimentari, bevande e tabacchi, prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi, macchine elettriche ed elettroniche Dinamica delle renditenell’economia italiana (quote percentuali sul valore aggiunto) • La vistosa e diseguale crescita delle rendite dopo il 1993 rivela che le politiche di privatizzazione delle imprese pubbliche non solo non hanno accresciuto la competitività dei settori protetti ma anzi, paradossalmente, l’hanno significativamente ridotta. Di conseguenza le attività manifatturiere, esposte alla concorrenza, sono state ancor più schiacciate tra l’incudine della competizione di prezzo sui mercati internazionali e il martello dell’aumento di prezzi e tariffe sul mercato interno. RISULTATI • un’incisiva riforma del modello contrattuale e delle forme di lavoro (protocollo del ’93, “pacchetto Treu”, legge “Biagi”) a fronte di una politica di privatizzazioni che non si sono coniugate con effettive liberalizzazioni, o con altre forme di regolazione del mercato del prodotto ha dunque prodotto un assetto del sistema economico strutturalmente squilibrato, il cui risultato in estrema sintesi è costituito da prezzi più alti (i prezzi all’esportazione presentano un differenziale anche maggiore rispetto ai paesi euro) e salari più bassi della media dei paesi concorrenti. Esportazioni nette e consumi delle famiglie In estrema sintesi Effetto Smith Rivisitato L’economia italiana presenta da molti anni: • Prezzi più alti e salari reali più bassi dei concorrenti dell’area dell’euro. • Questa situazione deriva da un netto aumento delle rendite da markup delle imprese, che attesta la perdita di competitività dell’economia. In queste condizioni non si può crescere. • Contrazione domanda estera(perdita di competitività) e domanda interna (eccessiva moderazione salariale) • In mancanza di riforme «dal lato del capitale», che portino ad un ampliamento del mercato, all’interno come all’esportazione, la divisione del lavoro non può progredire, e la produttività non può crescere. Il caso italiano • L’ “effetto Ricardo” rivisitato: • prezzo relativo del lavoro, costo assoluto del lavoro, distribuzione funzionale del reddito e investimenti • Le cause della caduta del prezzo relativo del lavoro (effetto Ricardo) possono essere meglio comprese se le si colloca nella prospettiva dell’esperienza storica italiana di regolazione della dinamica salariale. • A questo fine, è indispensabile assumere come punto di partenza gli esperimenti di politica dei redditi degli anni ’80, finalizzati al rientro di un tasso di inflazione che aveva superato i 20 punti percentuali l’anno, attraverso la fissazione concertata, tra governo e parti sociali, di un target di inflazione annuale. In coerenza con il comune obiettivo: • il Governo doveva determinare la manovra dei prezzi amministrati e delle tariffe, • le imprese le politiche di prezzo di beni e servizi, • i sindacati l’evoluzione degli scatti della cosiddetta “scala mobile” (il meccanismo di adeguamento automatico delle retribuzioni tabellari all’inflazione) e • la banca centrale l’offerta di moneta. Quattro capisaldi: La proposta di Tarantelli (1995) 1. L’ipotesi di politica dei prezzi concertata identifica, in primo luogo, la stabilità dei prezzi come un bene pubblico, non producibile da un unico agente ma frutto • da un lato del comportamento cooperativo (e concertato) dei grandi attori dell’arena della relazioni industriali (governo e partner sociali) e della banca centrale, • dall’altro, delle aspettative dei singoli agenti. Quattro capisaldi: La proposta di Tarantelli (1995) 2. La proposta considera la stabilità delle quote distributive dei salari e dei profitti nel reddito (la cosiddetta “legge di Bowley”) come regola aurea della politica dei redditi perché, a parità di altre condizioni, è questa la condizione che assicura la massima crescita salariale (e, quindi, la massima crescita della domanda interna) compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio di profitto e, quindi, sui prezzi interni. • Si tratta di un punto cruciale. L’ipotesi comporta come corollario che i salari reali (di fatto) crescano nella stessa misura della produttività del lavoro: questo non per un implicito (quanto insostenibile) giudizio morale sul fatto che i lavoratori siano i “veri” autori della crescita della produttività, ma per evidenti considerazioni di carattere macroeconomico, legate alla crescita dell’economia e all’equilibrio nei consumi. Quattro capisaldi: La proposta di Tarantelli (1995) 3. Il terzo aspetto, in cui si concentra forse il contributo più rilevante di Tarantelli all’analisi macroeconomica del rapporto tra salari e prezzi, è quello della cosiddetta politica salariale d’anticipo. • L’unica possibilità di spezzare la spirale perversa prezzi-salari-prezzi consiste nell’interrompere la trasmissione al presente dell’inflazione passata (quale era assicurata all’epoca, in Italia, dall’istituto della “scala mobile” – e in molti altri paesi industriali da altri, consimili meccanismi di adeguamento automatico delle retribuzioni all’inflazione pregressa). • La catena viene spezzata programmando in anticipo incrementi retributivi in linea con l’inflazione attesa, invece di recuperare nel periodo corrente il potere d’acquisto perduto in passato. Una clausola di salvaguardia pone in capo alle imprese l’onere di coprire ex post i salari da un eventuale scostamento tra inflazione attesa e inflazione effettiva. Quattro capisaldi: La proposta di Tarantelli (1995) • 4. Infine, la scelta di governare il movimento dei prezzi attraverso il raffreddamento della scala mobile e il suo allineamento con gli obiettivi di aumento delle retribuzioni di base concertati e coerenti con i comportamenti degli altri attori (governo, imprese e banca centrale), in un regime di reciproca sorveglianza e di fattiva collaborazione tra i partner sociali e il governo, viene proposta in alternativa alla ricetta monetarista di una violenta restrizione dell’offerta di moneta da parte della banca centrale perché paretianamente preferibile, in quanto priva delle conseguenze sociali negative (fallimenti, disoccupazione) che si accompagnano ad un arresto dell’attività economica dal lato monetario. Inflazione e retribuzioni di fatto. Anni 1970-2007 (Tassi annui di variazione percentuale) • Il grafico mostra: • gli effetti esplosivi su prezzi e salari dei due shock petroliferi del 1973-74 e del 1979-80 e • consente di apprezzare la fase di raffreddamento in cui ebbero un ruolo rilevante gli esperimenti di politica dei prezzi concertata varati per iniziativa di Tarantelli negli anni 1983-84 e il successivo referendum abrogativo dei punti di scala mobile “congelati” a causa del decreto. • Il referendum, preceduto dall’assassinio di Tarantelli, nonostante il clima di forte tensione sociale vide la netta affermazione della linea della predeterminazione. • Il modello contrattuale del Protocollo di luglio 1993 • Lo “scambio politico masochistico” Il protocollo di luglio 1993 • La scala mobile venne abolita con l’accordo trilaterale di luglio 1992, in cambio del riconoscimento da parte del governo Amato della salvaguardia del potere d’acquisto delle retribuzioni come obiettivo fondamentale della politica economica e della promessa della predisposizione, a breve termine, di un nuovo meccanismo concertato di determinazione della dinamica salariale. • Questo venne effettivamente varato l’anno successivo, sotto il governo Ciampi, attraverso il patto sociale sancito dal Protocollo di luglio 1993. Il protocollo di luglio 1993 • Ricordiamo brevemente che il Protocollo prevede due livelli di contrattazione salariale separati e non sovrapponibili. • Alla contrattazione nazionale di settore (primo livello), articolata in un quadriennio normativo e due bienni economici, è demandato il compito di salvaguardare il potere d’acquisto delle retribuzioni di base. Gli incrementi dei minimi salariali contrattuali, fissati ogni due anni, devono essere coerenti con il tasso di inflazione programmata (politica salariale d’anticipo); in caso di scostamento tra questo e l’inflazione effettiva, è prevista la possibilità di un recupero nel secondo biennio economico (meccanismo di salvaguardia). • Alla contrattazione decentrata (secondo livello), articolata su scala aziendale o territoriale, è affidato invece il ruolo di regolare con accordi quadriennali la crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni sulla base dei risultati di produttività, redditività e qualità realizzati nell’impresa o nel territorio di applicazione dell’accordo. • Manca qualunque riferimento alla stabilità delle quote distributive. Protocollo ’93, contrattazione decentrata e regola di Bowley dove α è l’incidenza del primo livello sulla retribuzione totale. Ipotizzando che questa componente retributiva si muova esattamente con l’inflazione (p), per effetto del tasso di inflazione programmato (tip) e dei periodici recuperi degli scarti tra tip e inflazione effettiva, possiamo derivare la crescita di w2 che soddisfa l’invarianza della distribuzione funzionale (w2*): • Nell’insieme dell’economia italiana, sulla base delle differenze di livello tra retribuzioni di fatto e retribuzioni contrattuali, si può ipotizzare che il fattore β* abbia un valore medio elevato, vicino a 6,5 – un valore che conferma la scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello. • Il Protocollo ’93 prevede che le retribuzioni fissate dai contratti nazionali restino ancorate per sempre al loro potere d’acquisto del 1993. • Dunque, per mantenere inalterata la distribuzione funzionale del reddito, richiede che la contrattazione decentrata cresca in misura sufficiente a eguagliare la crescita reale dell’intera retribuzione di fatto (comprensiva di primo e secondo livello) a quella della produttività del lavoro. Inoltre, poiché l’unica situazione in cui essa potrebbe ridursi è quando la retribuzione di secondo livello dovrebbe contrarsi a seguito di una caduta della produttività del lavoro, • l’incidenza della retribuzione decentrata sulla retribuzione di fatto dovrebbe tendenzialmente crescere nel tempo, sino a diventare la principale voce retributiva. Pertanto, il Protocollo di luglio ’93 affida la possibilità di rispettare la regola di Bowley a due condizioni: • 1.che la contrattazione decentrata (aziendale o territoriale) sia diffusa a tutte le imprese, e quindi sia disponibile per tutti i dipendenti una voce retributiva flessibile, aggiuntiva rispetto alle voci stabilite dal contratto nazionale di categoria; • 2.che il salario di secondo livello cresca in misura tale da eguagliare la dinamica della retribuzione di fatto reale (comprensiva di primo e secondo livello retributivo) alla variazione della produttività del lavoro. Le due condizioni sono in generale poco probabili, • in particolare nel sistema produttivo italiano, che è caratterizzato da un gran numero di imprese piccole e piccolissime, dove la contrattazione collettiva incontra notevoli difficoltà a svilupparsi. Se il modello contrattuale non rispetta la regola di Bowley: • Il rapporto γ raggiunge l’unità quando il secondo livello contrattuale risulta abbastanza efficace da soddisfare la condizione di invarianza enunciata dall’equazione (4). Poiché il testo del Protocollo ‘93 pone la crescita della retribuzione reale in dipendenza dal conseguimento di obiettivi di crescita della produttività, possiamo identificare il legame che questa istituzione instaura tra la crescita della produttività e il movimento della distribuzione del reddito ai fattori sulla base del valore di γ: Effetto macroeconomico combinato atteso dei due livelli negoziali Criticità del funzionamento del modello contrattuale del Protocollo ‘93 • In condizioni di «normale funzionamento dell’economia», • la produttività del lavoro cresce; • e il modello tende ad aumentare la quota dei profitti (ovvero a comprimere la quota del lavoro) automaticamente, senza alcuna contropartita in termini di investimenti, occupazione, formazione, riorganizzazione ecc. • Paradossalmente, questa tendenza implicita si può arrestare o riequilibrare solo con una caduta della produttività del lavoro. Conflitto distributivo e produttività Il modello contrattuale italiano tende a spostare il conflitto distributivo dalla distribuzione del valore aggiunto alla crescita della produttività, • E, quindi, alla crescita dell’economia, • Sospingendo l’equilibrio del sistema economico in un sentiero di stagnazione. Si tratta di un esito evidentemente indesiderabile, avverso allo sviluppo e alla crescita economica. Regola di Bowley e cooperazione per la crescita Il Protocollo ’93 ha creato un meccanismo che viola la regola di Bowley, alterando automaticamente la stabilità delle quote distributive, e istituisce un sistema di incentivi evidentemente sfavorevole alla crescita economica: • Gli imprenditori trovano un equilibrio tra l’incentivo ad occupare lavoro a basso costo (e bassa produttività) e quello ad accrescere la produttività per spostare automaticamente a loro favore la distribuzione del reddito; • I lavoratori sono esposti all’azzardo morale di poter riequilibrare la distribuzione del reddito solo frenando la produttività. Regola di Bowley e cooperazione per la crescita • In altre parole, il sistema istituzionale di regolazione delle retribuzioni abbatte l’incentivo per i partner sociali a cooperare per la crescita. • E, di conseguenza, il sistema economico viene sospinto dalle convenienze dei partner sociali a imboccare un sentiero di stagnazione economica. Modello di Sylos e Protocollo del ’93 1 Il nostro esame del Protocollo ’93 e dei suoi effetti alla luce della funzione di produttività di Sylos mette in luce un netto contrasto logico tra i due: • Nel modello contrattuale è la crescita della produttività a determinare le retribuzioni reali e quindi, attraverso l’efficacia del sistema della contrattazione locale, la distribuzione funzionale del reddito. • Nel modello di Sylos, invece, sono le retribuzioni (come componente della domanda interna – effetto Smith) e due variabili retributive, il prezzo relativo del lavoro e il suo costo assoluto (che governa la distribuzione funzionale del reddito), a determinare con qualche ritardo temporale la crescita della produttività. Dunque, il modello contrattuale italiano identifica il salario come una variabile eminentemente distributiva (e non come il motore principale dei consumi e, quindi, della domanda interna) • e pone la distribuzione come momento conseguente alla produzione: • la realizzazione degli incrementi di produttività precede l’aumento delle retribuzioni reali, sotto il vincolo dell’efficacia della contrattazione decentrata. Modello di Sylos e Protocollo del ’93 2 All’opposto, la funzione di produttività di Sylos attribuisce ai salari, al prezzo relativo e al costo assoluto del lavoro il ruolo di segnali forti, che dal lato della domanda, attraverso l’effetto Smith, sostengono la divisione del lavoro e l’innovazione, e da quello dell’offerta, attraverso l’effetto Ricardo, spingono gli imprenditori a modernizzare e a rendere più efficienti le imprese. • La contrapposizione è anche nel soggetto responsabile dell’aumento della produttività: se il modello contrattuale indica implicitamente che l’aumento della produttività dipende in larga misura dall’effort dei lavoratori (anche se poi l’inefficacia della contrattazione di secondo livello limita, nel concreto, la capacità del sistema di premiarlo), • la funzione di Sylos pone invece in capo agli imprenditori il ruolo chiave nello sviluppo del progresso tecnico.
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