MediOrienti / di Stefano M. Torelli @mideastorels Ora basta prestiti AP Photo/hAsAn sArbAkhshiAn Alle radici della crisi, un sistema di crediti senza controlli: le banche restano senza soldi iran palestina MohAMMED AbED/AFP/GEtty iMAGEs i dipendenti di Hamas senza stipendio Migliaia di impiegati del settore pubblico a Gaza sono in mobilitazione e hanno organizzato diverse manifestazioni e sit in davanti al quartier generale di Hamas a Gaza. La base del malcontento è il mancato pagamento dei salari ai dipendenti pubblici della macchina amministrativa di Hamas. Adesso che la Palestina è tornata ad avere un — seppur provvisorio — governo di unità nazionale, gli stipendi sono stati bloccati per mancanza di fondi e diffcoltà economiche. Sono sette mesi che il personale impiegato da Hamas a Gaza in sostituzione degli impiegati di Fatah dopo la presa del potere nel 2007, non riceve lo stipendio: 50.000 persone. A ottobre è stata pagata una prima tranche di 1.000 euro a testa a 24.000 dipendenti della burocrazia di Gaza, ma mancano i salari dei 26.000 che lavorano nel settore della sicurezza. Per il governo, una nuova gatta da pelare, i cui responsabili sono stati individuati proprio in Cisgiordania e nei nuovi amministratori del governo unitario reo, agli occhi della popolazione di Gaza, di averla abbandonata, tanto quanto ha fatto la comunità internazionale. Un vero e proprio esercito di economisti si è riunito ad inizio gennaio a Teheran, per quella che è stata defnita come la conferenza economica più importante dell’Iran sin dai tempi della Rivoluzione nel 1979. Erano presenti il presidente Hassan Rouhani, il suo team economico al completo e ben 1.500 economisti, chiamati a discutere delle sfde dell’economia nazionale, uno dei problemi sicuramente più sentiti e urgenti da risolvere. La conclusione dei lavori è stata impietosa: o si riforma il settore bancario, oppure l’Iran rischia seriamente la bancarotta. Perché? Presto detto, e non dipende soltanto dalle sanzioni internazionali o dal clima di isolamento in cui versa il Paese: vi è stata una gestione scellerata durante l’amministrazione di Ahmadinejad, il controverso predecessore di Rouhani. Il problema più grande riguarda la mancanza di liquidità delle banche commerciali, a causa dei prestiti concessi senza troppi controlli. Questo è il nodo: le banche devono smettere di concedere prestiti a tutti coloro che ne fanno richiesta, se i richiedenti non presentano dei business plan adeguati o delle garanzie suffcienti. Con Ahmadinejad, infatti, le banche erano spesso costrette a concedere prestiti soprattutto alle imprese manifatturiere, con l’obiettivo di rilanciare l’economia. Invece, al contrario, il sistema piuttosto lassista posto in essere, scatenava un circolo vizioso per cui spesso molti fngevano di voler aprire un business, chiedevano soldi in prestito e non li restituivano. Lasciando le banche senza soldi. Il numero di “prestiti non performanti”, vale a dire le attività che non riescono a ripagare il credito e gli interessi al creditore, in questo caso le banche, è quattro volte superiore alla media mondiale. Al settembre 2014, l’ammontare totale dei crediti non restituiti era di circa 70 miliardi di dollari. Di questi, almeno 15 miliardi sono da attribuire a Maskan-e Mehr, un progetto di costruzione di abitazioni per le famiglie bisognose voluto dall’amministrazione Ahmadinejad. Come conseguenza della mancanza di liquidità, le stesse banche sono costrette a indebitarsi con la Banca centrale iraniana e, ad oggi, tale debito supera i 10 miliardi di euro. Non mancano soluzioni dell’ultim’ora, come il ricorso a prestiti giornalieri. Ma quanto ci vorrà perché gli iraniani torneranno a fdarsi delle banche? libia non si vola su Misurata Per un Paese già ostaggio di un conflitto civile dai contorni sempre più incerti, aggiungere un tassello alla condizione di isolamento internazionale non è sicuramente una buona notizia. Eppure, è quanto accaduto ad inizio gennaio, con la decisione della compagnia aerea turca Turkish Airlines di sospendere momentaneamente tutti i voli sulla città di Misurata. La notizia fa scena soprattutto alla luce del fatto che la Turkish Airlines — la compagnia europea che effettua voli su più destinazioni di tutte — era rimasta l’unica a volare sulla città. Ma i venti di guerra hanno fatto desistere persino i turchi. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il bombardamento, da parte delle forze leali al generale Haftar, contro una petroliera greca che ha provocato la morte di due membri dell’equipaggio e ha messo in evidenza l’insicurezza di Misurata. Dalla Turchia si può ancora volare su Bengasi e Tripoli, ma quanto passerà prima che l’instabilità imponga la chiusura totale dei voli aerei? © riproduzione riservata 50 sette | 04 — 23.01.2015
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