ISRAELE VS HAMAS:

ISRAELE VS HAMAS:
L'OPERAZIONE “MARGINE PROTETTIVO” E IL
DIBATTITO SULLA PROPORZIONALITA'
NELL'USO DELLA FORZA
30 Luglio 2014
Raffaele Petroni
Copyright © Equilibri 2014
Il lancio di missili da parte di Hamas contro lo Stato d'Israele e l'operazione militare israeliana
“Margine Protettivo” nella Striscia di Gaza per arginare questa minaccia sono al centro del
dibattito internazionale. La scoperta di tunnel costruiti da Hamas per raggiungere il territorio
israeliano ha portato all'inizio della fase terrestre dell'operazione: accuse reciproche, diplomazie
al lavoro e posizioni di piazza, spesso anti-israeliane, fanno da contorno a questa battaglia.
La continua fase di tensione tra Israele e Hamas attualmente affronta una fase particolarmente dura
e cruenta. L'avanzamento tecnologico dei rispettivi armamenti rende più sofisticato il conflitto:
l'utilizzo di missili a lunga gittata da parte di Hamas, in particolare Grad e Farj, hanno indotto ad
un'azione militare più capillare, mentre la scoperta di tunnel che dalla Striscia di Gaza
raggiungevano il territorio israeliano hanno dato il via all'operazione di terra. Nel frattempo il
continuo aggiornamento del numero di morti tra combattenti di Hamas, civili palestinesi non
combattenti e soldati israeliani mostra il livello di alta intensità di questa fase: le speranze della
comunità internazionale di arginare il rischio di un conflitto armato tra le parti si sono presto
rivelate vane, portandola a focalizzare i propri sforzi sulla richiesta di un immediato “cessate il
fuoco” per dar vita a un “dialogo” diretto tra le parti.
Nel frattempo le piazze occidentali e mediorientali, principalmente anti-israeliane, e i social media
mostrano una dura battaglia mediatica tra le parti, denunciano un uso sproporzionato della forza da
parte d'Israele e la richiesta generale di imputazione per crimini di guerra per entrambe le parti, ma
in particolare per Israele. Come già accaduto in passato si può presumere che anche questa volta
venga approvata la nascita di una fact-finding mission delle Nazioni Unite per accertare eventuali
violazioni del diritto internazionale da parte dei contendenti.
Israele: il diritto all'autodifesa, la proporzionalità della risposta e l'accusa di
crimini di guerra
Israele fa appello al diritto all'autodifesa: fatto salvo il diritto di ogni Stato di proteggere i propri
cittadini e di fermare, anche militarmente, ogni minaccia posta al proprio territorio e alla propria
sovranità, bisogna verificare all'interno di quale quadro del diritto internazionale si agisce.
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Il principio dell’autodifesa applicato a questo conflitto, infatti, differisce dall'applicazione a cui si è
abituati, ovvero il passaggio da una situazione di pace sancita da un accordo, ad uno stato di guerra:
questa situazione, però, non è quella presente con la Striscia di Gaza dato che il trattato di pace del
1979 fu firmato con l’Egitto, ma non con la dirigenza palestinese di Gaza. L'alternanza di picchi di
alta e bassa tensione non significa che il conflitto armato sia terminato: il continuo lancio di missisi
dalla Striscia verso il territorio israeliano, anche nei periodi di tregua, dimostrano l'esistenza del
conflitto armato. Di conseguenza questa azione non va valutata all’interno del diritto della
prevenzione dei conflitti (ius contra bellum), né
l’operazione Margine Protettivo come un
avvenimento in risposta ad una rottura della pace, secondo lo ius ad bellum, ma ad un inasprimento
del conflitto armato già in corso.
La dottrina relativa al principio dell’autodifesa, come prescritto dal diritto internazionale, si applica
principalmente quando ci si trova in presenza di un “massive attack”: a tal riguardo c’è da chiedersi
se il lancio di missili dalla Striscia di Gaza verso il territorio israeliano sia un “massive attack” o un
“border exchange” (scambi di fuoco presso la frontiera), ovvero uno scambio sporadico e limitato
nel tempo e nella quantità. C’è chi potrebbe affermare che ci si trova in presenza di un border
exchange, ma sarebbe vero se i missili lanciati verso il territorio israeliano fossero poche unità.
Poiché la quantità invece risulta essere di diverse migliaia, non è da scartare a priori l'ipotesi di un
massive attack da parte dei militanti di Hamas nei confronti d’Israele. Va aggiunto anche che questi
missili hanno assunto sempre maggior potenza e raggio d’azione, fino ad arrivare a colpire Haifa,
Tel Aviv e Gerusalemme.
Le proteste di piazza provenienti da varie zone del mondo e i social media parlano di uso
sproporzionato della forza da parte d'Israele e di crimini di guerra. Per definire ciò, ci si basa
principalmente sulla durezza delle immagini provenienti da Gaza e sul numero dei morti palestinesi
che vengono riportati (che però spesso non dividono tra combattenti di Hamas e popolazione civile
non combattente). Stabilire che uno Stato effettua un uso sproporzionato della forza e commette
crimini di guerra è un compito che spetta principalmente ai tribunali internazionali, a tal proposito si
devono analizzare alcune regole di diritto internazionale e capire cosa esso dice in merito.
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La proporzionalità nell'uso della forza è un principio generale e inderogabile del diritto
internazionale umanitario (DIU): un atto presumibilmente illecito diventa violazione del diritto dei
conflitti armati solo se è definito tale da una corte nazionale o internazionale. Non sono i singoli
Stati che definiscono le violazioni, essi possono esprimere opinioni e dichiarazioni unilaterali sul
rispetto del diritto umanitario, ma non stabilire chi commette e chi no crimini di guerra. Ai sensi
dell’art. 1 comune alle Convenzioni di Ginevra, generico nel suo pronunciamento, gli Stati hanno il
dovere di assicurarsi che il DIU venga rispettato, ma i loro enunciati non hanno alcun valore
giuridico, bensì solo politico.
La proporzionalità non si valuta neanche paragonando il numero di civili colpiti in entrambe le parti
del conflitto e i sistemi di difesa a disposizione (in particolare per Israele il sistema anti-missile Iron
Dome e la diffusione piuttosto capillare nei centri urbani di rifugi anti-missile). Il criterio della
proporzionalità fa appello a parametri espressi nella giurisprudenza delle corti internazionali e nella
dottrina. La gerarchia delle priorità di un'azione militare solitamente prevede 1) il compimento della
missione, 2) la salvaguardia dei soldati e 3) la salvaguardia della popolazione: è sulla maniera in cui
vengono gestiti i margini precauzionali degli elementi che formano tale gerarchia che si focalizza
l'analisi legale dell'operazione.
Più in generale, a riguardo dell'utilizzo del principio di proporzionalità delle operazioni militari,
l'operazione militare israeliana più recente che più ha i connotati simili all'attuale è quella del 20082009, Piombo Fuso. In quella circostanza Rosalyn Higgins, l'ex presidente della Corte
Internazionale di Giustizia (situata a L’Aja) si espresse in tale maniera: “Il concetto di
proporzionalità non può essere in relazione ad ogni torto precedentemente subito, ma in relazione
all’obiettivo legittimo di porre fine all’aggressione” 1. Da queste parole deriva che ci sarebbe uso
sproporzionato della forza se la forza militare impiegata fosse utilizzata per raggiungere fini diversi
da quelli di porre fine all’aggressione e alle minacce e se tale impiego della forza causasse un danno
non necessario alla popolazione civile. Contemporaneamente, sempre in quella circostanza, il
1
GOLD D., Did Israel Use ‘Disproportionate Force’ in Gaza?, Jerusalem Center for Public Affairs (JCPA) 28 dicembre
2008, www.jcpa.org; traduzione effettuata dall'autore.
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giurista americano Alan Dershowitz chiarisce l'argomento affermando che la “proporzione deve
essere definita in riferimento alla minaccia posta da un nemico, non dal danno che ha prodotto”2.
Luis Moreno-Ocampo, ex Procuratore capo presso la Corte Penale Internazionale, sempre in
occasione dell'operazione Piombo Fuso affermò che “secondo il diritto internazionale umanitario e
lo Statuto di Roma – lo Statuto che ha dato origine alla Corte Penale Internazionale – la morte di
civili durante un conflitto armato, per quanto grave e spiacevole, in sé non costituisce un crimine di
guerra. Il diritto internazionale umanitario e lo Statuto di Roma permette ai belligeranti di portare
avanti attacchi proporzionati contro obiettivi militari, anche quando si è a conoscenza che vi
saranno dei morti o dei feriti tra i civili” 3. Nell’opinione di Moreno-Ocampo vengono menzionati
gli obiettivi militari, definiti dall’art. 52.2 del Protocollo I sulla protezione delle vittime dei conflitti
armati internazionali (Ginevra, 8 giugno 1977) – protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra
del 1949 – così: “Per quanto riguarda i beni, gli obiettivi militari sono limitati ai beni che per loro
natura, ubicazione, destinazione o impiego forniscono un effettivo contributo all’azione militare e la
cui distruzione totale o parziale, cattura o neutralizzazione offrono, nelle circostanze del momento,
un vantaggio militare preciso”.
Secondo queste opinioni, quindi, devono essere valutati il modo in cui l'operazione viene condotta, i
mezzi utilizzati rispetto all'obiettivo, le alternative a disposizione e quali sono le precauzioni che lo
Stato in questione prende per evitare l'uccisione di civili non combattenti. In tal senso gli avvisi
inviati alla popolazione tramite SMS, “knock-on-the-roof” e volantini con le indicazioni su dove
recarsi per trovare rifugio non sembrano avere il risultato sperato. Gli eventuali accadimenti che
dovessero far riscontrare delle ipotesi di violazioni del DIU vanno valutati secondo i seguenti
aspetti: volontà di colpire civili non combattenti, catena di comando che ha dato l'ordine, politica
governativa a riguardo. In questo quadro vanno valutate successivamente le responsabilità del
singolo, degli ufficiali, dei ministri e dello Stato.
2
Ibid.
3
BRYEN S., Proportionality: Israel’s Response to Hamas Rocket Attacks under International Law, The Jewish Institute for
National Security Affairs (JINSA), 10 gennaio 2009, www.jinsa.org; traduzione effettuata dall'autore.
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Una serie di accuse vengono mosse contro Israele, in alcuni casi velatamente in altri più
apertamente, tra cui quella di aver bombardato ospedali, centri di riabilitazione e scuole (anche
quelle gestite dalle Nazioni Unite) non utilizzati per fini militari, di aver colpito premeditatamente
bambini che giocavano sulla spiaggia, nonché di aver fatto un uso improprio di armi, tra cui le
“flechette shells”, non proibite dal diritto internazionale, ma sottoposte a vincoli molto stretti la cui
apparente violazione darebbe vita all'ipotesi di crimini di guerra4.
Questi ragionamenti giuridici si scontrano con la volontà politica di molti Stati della comunità
internazionale che siedono nel Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani e che spesso si
fanno portavoce di una posizione anti-israeliana. Come già accaduto in precedenza in circostanze
analoghe, il Consiglio delle Nazioni Unite per diritti umani, in data 23 luglio 2014, si è espresso, su
sollecitazione dell'ANP verso alcuni gruppi di paesi membri delle Nazioni Unite (lettera A-HRC-S21-1) e che storicamente sono schierati a suo favore 5, tramite una risoluzione (A-HRC-RES-S-21-1)
a favore della creazione di una missione investigativa per far luce su determinati avvenimenti 6. In
linea di principio il dibattito era riferito tanto ad Israele che ad Hamas, ma la discussione che ha
preceduto la votazione ha avuto un forte connotato anti-israeliano7.
Questo governo israeliano, i cui principali attori sono Netanyahu (Likud), Lieberman (Yisrael
Beitenu) e Bennett (Bayit Yehudi), è poco incline a cooperare con questo genere di missione,
soprattutto quando da parte loro si riscontra di fatto una critica a senso unico, di conseguenza ci si
può aspettare una loro riluttanza verso questo genere di soluzione. Come accaduto per Piombo
4
SHERWOOD H., Israel using flechette shells in Gaza, The Guardian, 20 luglio 2014, www.theguardian.com.
5
I paesi che hanno firmato la lettera di richiesta di discussione degli avvenimenti in corso nella Striscia di Gaza sono i
seguenti: Algeria, Arabia Saudita, Benin, Botswana, Brunei, Cina, Cuba, Egitto, Emirati Arabi, Indonesia, Iran,
Kazakhistan, Kuwait, Maldive, Malesia, Marocco, Pakistan, Perù, Federazione Russa, Sudafrica, Turchia e Venezuela.
6
La votazione ha portato a questo esito: 29 a favore, 1 contrario, 17 astenuti. In particolare a favore si sono espressi:
Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Brasile, Cile, Cina, Congo, Costa d'Avorio, Costa Rica, Cuba, Emirati Arabi, Etiopia,
Filippine, India, Indonesia, Kazakhistan, Kenya, Kuwait, Maldive, Marocco, Messico, Namibia, Pakistan, Perù,
Federazione Russa, Sierra Leone, Sudafrica, Venezuela, Vietnam. Contrari si sono espressi gli Stati Uniti, mentre gli
astenuti sono stati i seguenti: Austria, Benin, Botswana, Burkina Faso, Repubblica Ceca, Corea del Sud, Estonia,
Francia, Gabon, Germania, Giappone, Irlanda, Italia, Macedonia, Montenegro, Romania, Regno Unito.
7
I verbali relativi alla discussione che ha preceduto la votazione sono disponibili, insieme alla documentazione citata in
precedenza, sul sito internet dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, www.ohchr.org.
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Fuso, fu solo più di un anno dopo l'escalation di violenza che il governo israeliano rilasciò il
materiale richiesto dall'allora fact-finding mission rispondendo punto su punto ai punti incriminati
cogliendo l'approvazione del responsabile di quella missione investigativa, il giudice sudafricano
Richard Goldstone. L'esercito israeliano è molto meticoloso nello scrivere rapporti, raccogliere
materiale a supporto della liceità delle proprie azioni e effettuare indagini accurate su eventuali
violazioni avvenute dai militari: spetta però alla classe politica al governo il dovere di difendere
l'operato dei propri militari nei confronti delle richieste provenienti dalla comunità internazionale.
Hamas: le tecniche di guerriglia e le accuse di perpetrazione di crimini di guerra
La strategia che il movimento islamico Hamas sta mettendo in campo è una strategia che si è vista
più volte in Medio Oriente negli ultimi decenni: conscio della superiorità militare d'Israele, l'unica
maniera in cui può tener testa alla risposta israeliana è tentare di colpire indiscriminatamente i centri
abitati e i civili israeliani, consapevole del fatto che l'establishment politico israeliano sarebbe
andato fino in fondo per la difesa dei propri cittadini, e indurre un'operazione di terra nei centri
abitati, in cui civili palestinesi potevano facilmente cadere vittima dell'operazione israeliana e
utilizzare questa argomentazione per ottenere sostegno nella comunità internazionale.
Dalla fine del 2012, quando venne siglata un “cessate il fuoco” tacito tra Israele e Hamas alla fine
dell'operazione Pilastro di Difesa, Hamas si è concentrato sugli aspetti strategici che avrebbero
caratterizzato il successivo conflitto con Israele: ha continuato a lanciare missili verso il territorio
israeliano così da poter sempre dimostrare di essere nella posizione di danneggiare Israele, si è
dotato di missili a più lunga gittata, di un sistema di assemblaggio dei missili che permettesse
quindi di adottare una tecnica di contrabbando di armi “a sezioni”, ha piazzato rampe di lancio
missili nei centri abitati (tecnica che utilizza sin dalla Seconda Intifada), ha costruito e rafforzato
tunnel non solo per contrabbandare merci e armi, ma anche per infiltrarsi nel territorio israeliano, si
è creata una buffer zone estera che funzionasse da “magazzino” (in particolare le fonti militari
israeliane parlano del ruolo che il Sudan svolge nel contrabbando di armi provenienti dall'Iran), ha
rafforzato il suo sistema di fundraising cercando sempre nuove alternative capaci di sopperire alla
rottura dei rapporti con la Siria di Assad. In particolare è con il Qatar che questi rapporti si sono
rafforzati, data anche la decisione di Khaled Meshal (capo del political bureau di Hamas) di lasciare
Damasco per trovare esilio a Doha.
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L'obiettivo strategico di Hamas è quello di resistere alle varie fasi dello scontro: sa bene che gli
israeliani agiscono per fasi, prima quella aerea, poi quella terrestre, ma anche che la società civile
israeliana mal tollera un alto numero di morti tra i soldati israeliani e i civili israeliani e palestinesi.
Di conseguenza, sin dalle prime fasi, il suo obiettivo principale è stato quello di arrivare al “corpo a
corpo” con l'esercito israeliana utilizzando booby-traps e cecchini. Questa operazione ha già più che
raddoppiato le morti dei soldati israeliani rispetto a Piombo Fuso in un lasso di tempo decisamente
inferiore. Anche i tentativi di infiltrazione terrestre nel territorio israeliano sono volti a creare
panico tra la popolazione israeliana. Ha dedicato gli ultimi due anni a prepararsi a queste
eventualità. Fino ad ora, almeno da questo punto di vista, ha ottenuto una “vittoria” che non aveva
ottenuto in precedenza.
La strategia più vincente, ma in chiara violazione con i principi del DIU, risulta il coinvolgimento
dei civili palestinesi nella battaglia. Avendo pieno controllo delle principali arterie stradali e vie di
fuga, ma soprattutto dei principali centri di aggregazione sociale e soccorso, quali scuole e ospedali,
la popolazione civile non combattente, non avendo via di scampo, è obbligata a rimanere bloccata
all'interno degli scontri armati. L'uso di centri ed edifici adibiti a solo scopo civile, incluse le
strutture delle Nazioni Unite è stato apertamente criticato dall'Unrwa, l'agenzia che si occupa dei
rifugiati palestinesi8.
Le tecniche di guerriglia, l'uso di centri abitati come deposito armi e posizione lanciamissili,
l'utilizzo di civili come scudi umani 9 e il lancio indiscriminato di missili verso il territorio israeliano
sono stati anch'essi apertamente criticati e considerati una violazione del diritto internazionale e un
crimine di guerra. Già in occasione dell'operazione Piombo Fuso e della successiva missione
investigativa delle Nazioni Unite questo genere di tecnica bellica è stato lungamente criticato e
considerato passibile di condanna per crimini di guerra. In quella circostanza, a differenza d'Israele,
Hamas non diede seguito a nessun rilascio di materiale esplicativo relativo alla propria posizione in
8
In particoalre si faccia riferimento alla nota di condanna emessa dall'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei
rifugiati palestinesi: UNRWA Condemns Placement of Rockets, for a Second Time, in One of Its Schools , 22 luglio 2014,
www.unrwa.org.
9
Rapporti di tale utilizzo sono stati raccolti da Honest Reporting sotto il titolo Foreign Journalists Acknowledge Hamas'
Human Shields Tactics, 23 luglio 2014, www.honestreporting.com.
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merito alle accuse ad esso rivolte. Anche in occasione della riunione tenuta il 23 luglio presso il
Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani i concetti relativi al coinvolgimento volontario di
civili nei luoghi in cui si sta consumando la battaglia e il lancio indiscriminato di razzi verso il
territorio israeliano è stato nuovamente ribadito dalla responsabile Navi Pillay, ma questi non sono
stati inseriti realmente nella risoluzione.
Hamas, così come altri gruppi armati palestinesi, si mostra molto riluttante a collaborare con la
comunità internazionale quando si tratta di far luce su ipotesi “spiacevoli” per essi. Si mostrano
disposti a collaborare fintantoché viene mantenuto “salvo” il diritto di combattere Israele con le
armi, altrimenti cercano rifugio in quelli che sono gli sponsor e i donor della loro organizzazione a
livello internazionale.
La comunità internazionale in azione
La comunità internazionale è impegnata nel cercare una soluzione che possa portare al cessate il
fuoco come base per avviare una serie di negoziati. L'obiettivo dichiarato è quello di arrivare ad una
soluzione permanente della situazione. L'obiettivo ufficioso e più realistico, però, è quello di
riportare la “calma” fra le parti e sperare in un'evoluzione positiva della situazione.
I due contendenti, per accettare un cessate il fuoco, sono alla ricerca del raggiungimento di un certo
vantaggio strategico militare che di fronte alla propria opinione pubblica possa far dire di aver
vinto: per le milizie del movimento islamico questo potrebbe essere dimostrare di sapere colpire
centri abitati via terra, ovvero tramite infiltrazioni nel territorio israeliano, mentre per Israele la
distruzione dei tunnel. In questa battaglia, infatti, sono proprio i tunnel ad avere un ruolo strategico
determinante.
L'Egitto, con l'approvazione di Stati Uniti e Unione Europea, è il paese più attivo per la ricerca di
una fine delle ostilità. Il suo lavoro viene apprezzato da Israele, ma contestato da Hamas che
vorrebbe invece Qatar e Turchia come mediatori. Questa soluzione non verrebbe mai accettata da
Israele per il ruolo che il Qatar svolge nel finanziare Hamas e per la dialettica anti-israeliana del
premier turco Erdogan.
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Dal punto di vista politico è Israele che corre più rischi. Dopo quella mediatica rischia di perdere
anche la battaglia politica. La sua richiesta di disarmo di Hamas come condizione per arrivare ad un
negoziato è stata accolta dagli Stati dell'Unione Europea, ma è incerto come questi daranno seguito
alla richiesta e soprattutto quale forza politica saranno in grado di mettere in campo per ottenere tale
risultato. L'astensione dei paesi europei dal voto relativo alla risoluzione del Consiglio delle
Nazioni Unite per i diritti umani è stata accolta con molta delusione da parte d'Israele aumentando i
suoi dubbi sulle reali intenzioni di questi paesi di porre freno all'azione di Hamas.
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