“La mia lotta alla disoccupazione”

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IL CAFFÈ
13 aprile 2014
tra
l’incontro
virgolette
Chi è
Ex direttore delle
risorse umane di
Volkswagen, consigliere
del cancelliere Gerhard
Schröder dal 2002
al 2005, è il padre
delle riforme
del lavoro in Germania
“La mia lotta alla disoccupazione”
STEFANO VASTANO
capelli candidi come neve, la fronte spaziosa.
Con quegli occhialetti ovali e il suo modo così pacato di parlare Peter Hartz pare il classico professore tedesco. Invece questo distinto 72enne è il
manager più famoso, ma anche più contestato in
Germania, dato che circa sei milioni di persone vivono
oggi nel Paese della Merkel con i sussidi che portano il
suo nome. ‘Hartz IV’, vengono chiamati così gli assegni ai
disoccupati e quel grappolo di massicce riforme che
hanno trasformato il welfare in Germania.
“Sono passati dieci anni da allora e le mie riforme
hanno migliorato le Agenzie del Lavoro - osserva Hartz
nel suo ufficio a Saarbrücken, con la sua voce da baritono - e soprattutto cambiato la mentalità di chi cerca lavoro in Germania”. Certo, severi critici di quelle riforme allo
‘Stato sociale’ non sono mai mancati nella Repubblica
federale. Sia dal Dgb, la potente confederazione dei sindacati, che dalla Spd sono piovute le più acide maledizioni sulla testa di Hartz. Ma lui, questo testardo “manager socialista”, venuto al mondo in una famiglia operaia
in un villaggio della Saarland, ci tiene a mostrarci il tesserino della Ig-Metall, il sindacato del settore siderurgico. E a sfoderare poi anche la tessera della Spd. “Da una
vita sono nella Spd - rivela l’ex-manager della Volkswagen - e non ho nessuna intenzione di uscire dal partito”.
Tanto più che oggi in Germania il numero dei disoccupati, anche grazie a quelle ondate di riforme, è sulla soglia
dei tre milioni. “Per la precisione, 3 milioni e 100mila, e
ogni singolo disoccupato è una tragedia di troppo. Oggi i
I
5,7 milioni di giovani senza lavoro sono uno sfacelo per
la Ue. Ma sono un dramma risolvibile, come abbiamo dimostrato qui in Germania”.
È questa sua incrollabile convinzione di potere debellare la disoccupazione che lo ha reso famoso in Germania. Sin dal 1993, quando era il responsabile del personale alla Volkswagen di Wolfsburg. Le sue riforme al
welfare, infatti altro, non sono che un ampliamento dei
metodi che lui adottò per salvare i sei impianti tedeschi
della casa automobilistica, minacciati nei primi anni ‘90
- come tutto il settore delle auto made in Germany’ - da
una grave crisi. “Esatto, 15 anni fa ci trovavamo di fronte
all’alternativa di chiudere gli impianti o licenziare 30 mila dipendenti”. Hartz risolse il dilemma facendo risparmiare all’azienda, guidata allora da Ferdinand Piech,
due miliardi di marchi di liquidazione, di trattamento di
fine rapporto. “Abbiamo introdotto allora la settimana
corta di 28 ore, che ci ha consentito di mantenere il personale, ma riducendo i salari, con il consenso dei sindacati, del 20 per cento”.
Un modello di gestione della crisi, e di flessibilità, alla base delle riforme al welfare poi applicate in quattro
fasi - da cui il nome ‘Hartz ‘IV’ - anche ai sussidi per i disoccupati. “La mia idea principale era che il disoccupato
debba accettare il posto che il ‘Job Center’ gli offre”. Pare
una ideuzza, ma già questa novità capovolgeva il sistema
dei sussidi. “Prima delle riforme il disoccupato poteva rifiutare senza motivo le proposte dell’Agenzia, oggi chi
cerca lavoro deve motivare i rifiuti”. La filosofia di fondo,
sintetizza Hartz, “è che ogni lavoro sia meglio dei sussidi
statali”. E il paradigma ha rivoltato da cima a fondo il
Reuters
Il consigliere
Hartz al fianco
dell’ex cancelliere
socialdemocratico
Gerhard Schröder
PeterHartz
L’uomo del Welfare
mercato del lavoro tedesco. Oggi chi perde il lavoro in
Germania ha diritto solo per i primi dodici mesi (ma salgono a 18 per chi ha compiuto 55 anni) a un sussidio che
va dal 60 al 67% dell’ultimo stipendio. Dopo di che scatta, e per tutti, ‘Hartz IV’. Cioè, una base di 391 euro al mese a cui se ne aggiungono (per i single) 300 per l’affitto. E
per le famiglie sino a 500 per l’affitto, più altri 220 euro a
figlio.
“Inoltre abbiamo introdotto un sistema di diritti e
doveri per il disoccupato. Con riduzione degli assegni e
sanzioni per chi non rispetta gli appuntamenti o le proposte del Job Center”. Suonerà duro, ma la realtà è che
oggi non solo la disoccupazione si è assestata sui tre milioni, ma anche quella giovanile è scesa in Germania al
sei per cento, tra le più basse in Europa. Ma economisti
stimati, come Michael Hüthen dell’Istituto di Colonia,
dubitano che sia solo merito di questi interventi sul welfare se la locomotiva tedesca ha ripreso a trainare l’Europa. “Il successo attuale delle imprese tedesche - scrive
Hüthen - si basa sul fatto che, sin dagli anni ‘90, hanno
spostato altrove la produzione”. Esercitando poi, insieme
al dislocamento degli impianti, una pressione molto forte sui salari agli operai tedeschi. “Ma queste non sono
critiche alle mie riforme - ribatte Hartz - outsourcing e
salari contenuti sono passati in Germania perché qui i
sindacati sanno che il successo dell’impresa è una garanzia per i dipendenti. La responsabilità dei sindacati e
la cogestione sono i due pilastri dell’Azienda Germania”.
Sono allora esportabili in Francia, in Italia o Spagna
le riforme del welfare che in Germania hanno dato frutti
così notevoli? È un segreto di Pulcinella che a Parigi
François Hollande ha chiesto lumi a Hartz per sbloccare
il mercato in crisi francese. Scatenando il putiferio in una
certa sinistra parigina e in tutti i sindacati francesi. Reazioni che nel suo quieto ufficio a Saarbrücken il 72enne
Hartz ha difficoltà a digerire. È vero, anche in Germania
sia la crisi della Spd (crollata nei consensi sotto al 30%)
che la vittoria della Merkel alle elezioni del 2005 si attribuiscono all’ex-manager Volkswagen. Ma lui non le può
più sentire queste critiche. “Il lavoro è la dignità e libertà
di ognuno di noi. Le riforme del welfare non sono di destra né di sinistra, e i disoccupati non sono di Renzi in
Italia, né di Schröder o della Merkel in Germania o del
presidente Hollande. Ma il problema più urgente che la
politica di ogni colore e di ogni Stato deve affrontare”.
Certo, anche Hartz, nonostante l’aspetto professorale, sa che quel suo pacchetto di riforme non è la panacea
universale. E che anzi i tedeschi, quando si incaponiscono su certe norme, ottengono spesso il contrario. “Non è
compito di noi tedeschi salire sul piedistallo e impartire
dall’alto a nazioni come l’Italia o Francia chissà che ricette”. Ma è un fatto che il socialista Hollande (e prima di lui
il socialdemocratico Schröder) si sia rivolto ad Hartz per
riformare il mercato francese con quel ‘Pacte de responsabilité’, per molti versi affine alla famosa ‘Agenda 2010’
dell’era-Schröder. “Le mie riforme hanno contribuito a
rendere più moderno il welfare, a dare impulsi al mercato del lavoro e al sistema di produzione risollevando
quel ‘gigante malato’ che era la Germania alla fine degli
anni ‘90”. Forse l’abbiamo già dimenticato, ma in quegli
anni c’erano oltre cinque milioni di senza lavoro in Germania. Ancora nel 2005, all’inizio cioè delle riforme
Hartz IV, la disoccupazione viaggiava sul 12%. “Ci sono
due classi di manager - conclude Hartz-: i primi sostengono che nelle nostre società industriali resta sempre
uno zoccolo duro di disoccupazione. Io invece che la disoccupazione sia una piaga guaribile, qui e ora”. Anche
per questa sua inestinguibile dose di (sano) ottimismo
tutti in Germania sanno chi è Peter Hartz.