Centro Studi CNA Analisi Per imparare a fare l’idraulico a Bologna servono 1000 ore l’anno. Nelle Marche ne bastano 400 La riforma dell’apprendistato travolta dalla “creatività” delle Regioni All’inizio fu un grande e ambizioso obiettivo: collegare strettamente scuola e mondo del lavoro, agganciando quei ragazzi che di studiare non ne vogliono più sapere. Correva l’anno 2011 e muoveva i primi passi la riforma dell’apprendistato di primo livello. Purtroppo è stato un clamoroso autogol. Invece di tracciare la strada maestra della formazione, ne ha provocato, senza volerlo, la frantumazione in mille sentieri, prodotto dal combinato disposto fra l’“autonomia” e la “creatività” delle Regioni. Un esempio (raccapricciante): in alcune aree del Paese per diventare idraulico, meccanico, parrucchiere o estetista, per esempio, bastano 1200 ore. Spostandosi di qualche chilometro ne occorrono quasi 1 il triplo e in altre regioni, a distanza di 3 anni, non è ancora stata recepita la normativa. Tutto questo mentre l’Europa chiede un modello unico di apprendistato, per contribuire a ridurre la dispersione scolastica e la disoccupazione giovanile. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, riformò l’impianto integrale dell’apprendistato, nel tentativo di renderlo lo strumento cardine per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Nacque così il Testo unico dell’apprendistato (dlgs 167/2011) con la tripartizione dell’apprendistato: quello di primo livello o per la qualifica e per il diploma professionale; quello di secondo livello, comunemente detto professionalizzante, e quello di alta formazione e ricerca. Il primo livello dell’apprendistato veniva esteso ai giovani dai 15 ai 25 anni (precedentemente era fino ai 18 anni), cercando così di “attrarre” soprattutto chi aveva interrotto o abbandonato gli studi, nel tentativo di fornire loro uno strumento d’accesso al mercato del lavoro. Possono essere assunti, infatti, con questo “contratto, di tipo indeterminato, finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani – recita l’articolo 1 del Testo unico dell’apprendistato - ragazzi in possesso del titolo 2 conclusivo del primo ciclo di istruzione, che abbiano frequentato gli otto anni del ciclo senza aver ottenuto il titolo conclusivo o che stiano frequentando il secondo ciclo sia di istruzione che formazione professionale”. L’apprendistato di primo livello è finalizzato al conseguimento della qualifica di istruzione e formazione professionale o del diploma professionale. Al termine del periodo di apprendistato, cioè, si diventa operatori (qualifica della durata massima di tre anni) o tecnici (diploma della durata massima di 4 anni). Questo tipo di apprendistato vale anche per l’assolvimento dell’obbligo scolastico. Ma a modificare radicalmente l’impianto dell’apprendistato di primo livello è stato soprattutto l’articolo 3 del Testo unico, che rimette a Regioni e Province autonome la fondamentale regolamentazione dei profili formativi. Se fino al 2011, infatti, era lo Stato centrale a stabilire l’organizzazione dell’apprendistato di primo livello e le Regioni si limitavano a decidere quali figure attivare, con la riforma, le Regioni hanno acquisito un ruolo decisamente più importante e autonomo. Non solo spetta a loro scegliere quali profili attivare - tra quelli indicati dal 3 Repertorio delle figure professionali per le qualifiche e i diplomi professionali recepiti nell’Accordo Stato-Regioni del 15 marzo 2012 – ma sono le singole Regioni a definire l’offerta formativa, specificando l’articolazione (formazione esterna e interna all’impresa) e la durata dell’apprendistato. Insomma, massima autonomia, con il risultato che ognuno fa a modo suo. E così se a Bologna ci vogliono 1000 ore annue per ottenere la qualifica da operatore di impianti termoidraulici, a L’Aquila ne servono 700, mentre in Calabria, Molise, Campania, Sicilia, nella provincia autonoma di Bolzano e nelle Marche ne bastano 400 l’anno, il minimo prescritto per legge. E ancora, in Liguria, Lombardia, Sardegna, Piemonte, Toscana e Basilicata si scende a 990 ore annue per ottenere una qualifica da estetista o parrucchiere (operatore del benessere), operatore della ristorazione, elettrico, elettronico, giardiniere, meccanico e così via. Hanno aggiunto qualche ora la provincia autonoma di Trento (460 annue) e il Veneto (440). Maglia nera a Lazio, Valle D’Aosta, Puglia e Umbria dove non sono ancora stati recepiti i profili formativi e quindi niente apprendistato di primo livello. 4 C’è chi, poi, ha aumentato le ore di frequentazione per i minorenni – probabilmente in considerazione del fatto che l’apprendistato di primo livello vale anche per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione – chi ha “caricato” sui maggiorenni, in particolare sulle ore di formazione dentro l’impresa. Chi concede crediti a chi è in possesso di titoli scolastici e chi non fa “sconti”. Ci sono regioni “creative”, con l’Emilia Romagna in testa, che ha attivato più qualifiche regionali delle figure nazionali di riferimento, come quella di operatore del verde o operatore di linea/impianti ceramici. E Regioni più “conservatrici”, come la Sicilia, che ha deciso di destinare oltre la metà dei finanziamenti1 per formare operatori del benessere (estetisti e parrucchieri), seguiti dai tradizionali operatori della ristorazione, elettrici, elettronici, grafici, meccanici, operatori amministrativo-segretariali e per gli impianti termoidraulici. Insomma, il risultato è la totale mancanza di omogeneità e offerta formativa. Ma perché se sono di Bologna devo metterci di più per 1) 1 “L’inutile formazione di estetisti e parrucchieri fuori dal mercato” di Michele Giuliano, Quotidiano di Sicilia, 15 febbraio 2014 5 ottenere la qualifica di meccanico che a Palermo? O perché non posso avere un contratto d’apprendistato di primo livello da modellista calzaturiero, mosaicista o interprete in Lingua italiana dei segni in Valle d’Aosta o a Roma? E soprattutto siamo sicuri che la Riforma dell’apprendistato funzioni? Non pare proprio, a giudicare da quanto risulta dal Sistema di monitoraggio permanente delle politiche del lavoro, “Il primo anno di applicazione della legge 92/2012”, Quaderno 1 – gennaio 2014, pp.35-36, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. “Il trend delle attivazioni con contratto di apprendistato appare nettamente decrescente dopo l’approvazione della riforma – si legge risentendo anche del ciclo economico negativo”. In particolare “considerando la distribuzione per classi di età, si osserva un crollo del numero dei contratti attivi riservati ai giovani fino a 19 anni (-40% su base tendenziale nel secondo trimestre 2013)”. “Anche il numero medio di contratti di apprendistato trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato subisce una notevole flessione – continua -. L’andamento delle attivazioni con contratti di apprendistato 6 tra il primo trimestre 2012 e il secondo trimestre 2013 conferma le criticità emerse dall’analisi dello stock, mostrando una significativa contrazione dopo l’entrata in vigore della riforma. La diminuzione delle attivazioni in tutte le circoscrizioni territoriali offre lo spunto per una riflessione sulla bontà dei modelli di formazione in alternanza adottati dalle Regioni. Viene da chiedersi se la diversa organizzazione di tali servizi sia correlata alla domanda di lavoro in apprendistato”. E se lo chiede anche la Cna, che per questo propone l’istituzione di un centro nazionale di coordinamento dell’apprendistato, affinché la formazione sia davvero lo strumento fondamentale, e uniforme, capace di raccordare scuola e lavoro, facilitando e indirizzando l’ingresso dei giovani nel mercato. Solo così si possono ridurre le piaghe della dispersione scolastica e della disoccupazione giovanile come chiesto dall’Europa. La Commissione Europea, relativamente all’inclusione sociale, ha richiesto che per il 2020 il tasso di abbandono scolastico diminuisca a meno del 10% . In Italia 2i giovani 18-24enni che hanno 2 Focus “La Dispersione scolastica”, giugno 2013, Servizio statistico Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, pp.4-5. 7 abbandonato prematuramente gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione sono scesi a 758 mila (29 mila in meno rispetto al 2011), di cui il 59,6% maschi. Nella fascia di età considerata, l’incidenza dei giovani in possesso della sola licenza media e non più in formazione è pari al 17,6% (18,2% nel 2011) contro una media UE5 del 12,8% (13,5% nel 2011). L’obiettivo che l’Italia si è data al 2020 è del 16,0% . Dopo il Testo unico sull’apprendistato (167/2011) a metter mano all’apprendistato è stata anche la Legge 92/2012, ma “l’andamento delle assunzioni con contratto di apprendistato è riconducibile solo in misura marginale a questa legge, che ha introdotto solo alcune modifiche, dal momento che la dinamica degli avviamenti in apprendistato osservata nel secondo semestre 2012 è stata determinata principalmente dal varo del Testo Unico dell’’Apprendistato”. Così si legge nel report “Gli effetti della legge n.92/2012 sulla dinamica degli avviamenti dei contratti di lavoro. Rapporto n. 3, Isfol, 30 luglio 2013. In generale, si legge ancora, “La dinamica degli avviamenti con contratto di apprendistato, dopo la fase di ripresa del quarto trimestre 2012, dovuta alla conclusione del periodo transitorio di avvio del Testo Unico 8 sull’apprendistato, registra nel primo trimestre 2013 una flessione marcata, pari al 7,1% rispetto al trimestre precedente e al 22,2% su base tendenziale. Rispetto al trimestre precedente, la diminuzione del numero di avviamenti in apprendistato, nella classe di età compresa tra 15 e 29 anni, è pari ad oltre tre volte la flessione registrata per il totale degli avviamenti nella stessa classe di età”. “Se i dati relativi al primo trimestre saranno confermati anche nei mesi successivi – continua il rapporto - sarà avvalorata l’ipotesi che l’apprendistato non ha avviato un processo sistematico di recupero nella composizione degli avviamenti al lavoro della componente giovanile della popolazione, segnalando uno scarso favore da parte delle imprese. Non è facile comprendere se si tratti di un fenomeno congiunturale, conseguente al riacutizzarsi della crisi economica e occupazionale, che ha un impatto maggiore sui più giovani e sull’utilizzo delle forme contrattuali percepite come maggiormente impegnative, oppure se il fenomeno sia di natura strutturale, e riconducibile ad una riallocazione delle scelte di assunzione delle imprese a sfavore dell’apprendistato e a vantaggio di altre tipologie contrattuali ritenute più vantaggiose. In ogni caso, l’obiettivo di rendere 9 l’apprendistato il contratto prevalente per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro appare decisamente lontano”. In particolare: “la flessione più marcata si registra sui più giovani, tra 15 e 19 anni, dove pure l’apprendistato mantiene un peso significativo, di poco superiore al 20%. E’ la conferma delle notevoli difficoltà che incontra l’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale”. BIBLIOGRAFIA 1) Sistema di monitoraggio permanente delle politiche del lavoro, “Il primo anno di applicazione della legge 92/2012”, Quaderno 1 – gennaio 2014, pp.35-36, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali “Il trend delle attivazioni con contratto di apprendistato appare nettamente decrescente dopo l’approvazione della riforma, risentendo anche del ciclo economico negativo. 10 Considerando la distribuzione per classi di età, si osserva un crollo del numero dei contratti attivi riservati ai giovani fino a 19 anni (-40% su base tendenziale nel secondo trimestre 2013), con un’attenuazione della flessione per la fascia 25-29 anni (-9,7%), dove si concentra il volume maggiore di contratti (216 mila). Al contrario, cresce del 3% circa il numero medio di contratti di apprendistato per la componente più adulta (compresa tra i 30 ed i 34 anni). Anche il numero medio di contratti di apprendistato trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato subisce una notevole flessione. Tra aprile e giugno 2013, infatti, sono stati trasformati solo l’1,3% dei contratti attivi (6.013), il 14% in meno su base tendenziale, con una maggiore accentuazione del fenomeno per le classi di età più giovani. L’andamento delle attivazioni con contratti di apprendistato tra il primo trimestre 2012 e il secondo trimestre 2013 conferma le criticità emerse dall’analisi dello stock, mostrando una significativa contrazione dopo l’entrata in vigore della riforma. La diminuzione delle attivazioni in tutte le circoscrizioni territoriali offre lo spunto per una riflessione sulla bontà dei modelli di formazione in alternanza adottati dalle Regioni. Viene da 11 chiedersi se la diversa organizzazione di tali servizi sia correlata alla domanda di lavoro in apprendistato. Ovviamente, è arduo valutare quanto pesi tale fattore nella propensione da parte dei datori di lavoro ad utilizzarlo, ma appare utile sottolineare che le variazioni tendenziali delle attivazioni calano, seppure in misura diversa, in tutte le Regioni ad eccezione della Provincia Autonoma di Bolzano, nota per lo sviluppo di un vero e proprio modello duale, dove si registra una crescita del 6% rispetto al secondo trimestre del 2012. I contratti di apprendistato attivati nel secondo trimestre del 2013 sono solo il 2,7% dei 2,7 milioni di contratti totali, una quota in diminuzione di 0,2 p.p. rispetto allo stesso periodo del 2012. L’incidenza percentuale è diversa nelle ripartizioni territoriali in funzione della dinamicità del contesto economico: nel Nord i contratti di apprendistato attivati rappresentano il 4,1% del totale, mentre nel Centro e nel Mezzogiorno il peso scende, rispettivamente, al 2,8% e al’1,2%. La disaggregazione settoriale evidenzia che oltre i ¾ dei contratti di apprendistato sono attivati nel settore dei servizi, che presentano anche un andamento decrescente meno accentuato rispetto all’industria”. 12 2) Gli effetti della legge n.92/2012 sulla dinamica degli avviamenti dei contratti di lavoro. Rapporton. 3, Isfol, a cura di Guido Baronio, Aviana Bulgarelli, Marco Centra, Sandra D’Agostino, Massimiliano Deidda, Sergio Ferri, Manuel Marocco, Corrado Polli, Pierantonio Varesi, versione 30 luglio 2013 -p.3 La dinamica degli avviamenti con contratto di apprendistato, dopo la fase di ripresa del quarto trimestre 2012, dovuta alla conclusione del periodo transitorio di avvio del Testo Unico sull’apprendistato, registra nel primo trimestre 2013 una flessione marcata, pari al 7,1% rispetto al trimestre precedente e al 22,2% su base tendenziale. Rispetto al trimestre precedente, la diminuzione del numero di avviamenti in apprendistato, nella classe di età compresa tra 15 e 29 anni, è pari ad oltre tre volte la flessione registrata per il totale degli avviamenti nella stessa classe di età. -p.5 Il contratto di apprendistato, dopo la lieve ripresa dell’ultimo trimestre 2012, mostra una contrazione marcata, registrando nel primo trimestre 2013 il valore più basso nel periodo di osservazione coperto dal 13 Sistema delle comunicazioni obbligatorie. Tale elemento suggerisce la presenza di difficoltà nell’avviare un ritmo sostenuto delle nuove attivazioni, come era nelle aspettative della Riforma. -p.15 L’andamento delle assunzioni con contratto di apprendistato è riconducibile solo in misura marginale alla legge n. 92/2012 (che ha introdotto solo alcune modifiche alla disciplina dell’istituto), dal momento che la dinamica degli avviamenti in apprendistato osservata nel secondo semestre 2012 è stata determinata principalmente dal varo del Testo Unico dell’Apprendistato. L’entrata in vigore di tale decreto, ad aprile 2012, ha generato effetti depressivi sugli avviamenti, dovuti all’incertezza derivante dall’assenza (quasi fino all’ultimo giorno utile) degli accordi collettivi di comparto necessari all’effettivo avvio del provvedimento. In conseguenza di ciò, nel secondo e terzo trimestre del 2012 la variazione tendenziale dei nuovi avviamenti aveva segnato diminuzioni abbondantemente superiori al 10%. L’effetto depressivo sembrava essersi esaurito con la stipulazione degli accordi contrattuali e con l’approvazione di alcune modifiche legislative ad opera della legge n. 92/2012; tanto è vero che i dati 14 registrati nell’ultimo trimestre 2012 sembravano segnalare un recupero da parte del “nuovo apprendistato” dei livelli ante-primavera 2012. I dati del I trimestre 2013 tornano a segnalare una fase critica per l’apprendistato e più in generale per l’occupazione giovanile; in generale i giovani della fascia d’età 15-29 anni sono quelli che risentono maggiormente della fase negativa e della contrazione dell’occupazione nel I trimestre 2013. Nel I trimestre 2013 l’andamento tendenziale dei nuovi contratti di apprendistato, rispetto al primo trimestre del 2012, mette in evidenza una contrazione significativa, pari al 22%. Si tratta di una flessione più che doppia rispetto a quella che nello stesso trimestre ha interessato il totale degli avviamenti. La variazione congiunturale, al netto dei fattori stagionali, registra una flessione pari al 7,1%, sensibilmente superiore alla diminuzione osservata per il totale degli avviamenti. Se i dati relativi al primo trimestre saranno confermati anche nei mesi successivi, sarà avvalorata l’ipotesi che l’apprendistato non ha avviato un processo sistematico di recupero nella composizione degli avviamenti al lavoro della componente giovanile della popolazione, segnalando uno 15 scarso favore da parte delle imprese. Non è facile comprendere se si tratti di un fenomeno congiunturale, conseguente al riacutizzarsi della crisi economica e occupazionale, che ha un impatto maggiore sui più giovani e sull’utilizzo delle forme contrattuali percepite come maggiormente impegnative, oppure se il fenomeno sia di natura strutturale, e riconducibile ad una riallocazione delle scelte di assunzione delle imprese a sfavore dell’apprendistato e a vantaggio di altre tipologie contrattuali ritenute più vantaggiose. In ogni caso, l’obiettivo di rendere l’apprendistato il contratto prevalente per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro appare decisamente lontano; un’incidenza degli avviamenti in apprendistato sul totale degli avviamenti nella fascia d’età 15-29 anni che non supera il 10% tra il 2012 e il primo trimestre 2013 non può far ritenere raggiungibile a breve l’obiettivo posto dalla Legge 92/2012. La classe di età che presenta la contrazione più significativa è quella compresa tra 20 e 24 anni: al netto di fattori di stagionalità, la variazione tendenziale è pari a -24,2%, contro il -16,5% dei 15-19enni e il -9,9% dei 25-29enni. La tendenza ad un minor utilizzo dell’apprendistato come 16 forma contrattuale preferenziale per i giovani è confermata dalla diminuzione dell’incidenza degli avviamenti in apprendistato sul totale delle attivazioni che coinvolgono giovani lavoratori. La flessione più marcata si registra sui più giovani, tra 15 e 19 anni, dove pure l’apprendistato mantiene un peso significativo, di poco superiore al 20%. E’ la conferma delle notevoli difficoltà che incontra l’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale (di cui all’art. 3 del citato d. lgs. n. 167/2011). 3) Focus “La Dispersione scolastica”, giugno 2013, Servizio statistico Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca La Commissione Europea ha inoltre proposto una serie di obiettivi precisi da raggiungere entro il 2020 e, relativamente all’inclusione sociale, è richiesto che il tasso di abbandono scolastico diminuisca a meno del 10% e che il tasso dei giovani laureati salga sopra il 40% Strategia Europa 2020: ogni Stato membro, presentando annualmente alla Commissione il proprio Programma Nazionale di Riforme, ha fissato i traguardi nazionali, prospettando anche un livello a medio termine per ciascun obiettivo. Sul tema dell’abbandono scolastico, in particolare, 17 l’indicatore utilizzato per l’analisi del fenomeno in ambito europeo è quello degli early school leavers (ESL) con cui si prende a riferimento la quota dei giovani dai 18 ai 24 anni d’età in possesso della sola licenza media e che sono fuori dal sistema nazionale di istruzione e da quello regionale di istruzione e formazione professionale. Secondo i dati più recenti, relativi alla media del 2012, i giovani 18-24enni che hanno abbandonato prematuramente gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione sono scesi a 758 mila (29 mila in meno rispetto al 2011), di cui il 59,6% maschi. Nella fascia di età considerata, l’incidenza dei giovani in possesso della sola licenza media e non più in formazione è pari al 17,6% (18,2% nel 2011) contro una media UE5 del 12,8% (13,5% nel 2011). Roma, giugno 2014 18
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