Le mele Arctic non sono di plastica

FRUTTI OGM MAI NERI?
Le mele Arctic
non sono di plastica
GIANCARLO CURZEL
a è proprio vero che le mele
M
Arctic (quelle che non
anneriscono) «sono di plastica»
come definite nei commenti su
www.ladige.it o, come asserisce la
Coldiretti, che queste mele sono
«innaturalmente a prova di
macchia»? Andando a vedere come
sono state ottenute, nessuna delle
due affermazioni ha un fondamento
di verità.
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Il processo biotecnologico adottato non
ha introdotto nessun gene antimacchia
estraneo alla mela, ma ha semplicemente
trasferito, nella Golden Delicious e nella
Granny Smith, una sequenza genica da
un'altra varietà di mela, che imbrunisce
poco o niente.
L'ibridazione naturale, per avere lo
stesso risultato, avrebbe richiesto
parecchi decenni.
Non siamo quindi in presenza di una
mela transgenica, con l'introduzione di
genoma geneticamente «estraneo».
Tornando alle mele Arctic, il motivo per
cui le mele, in misura diversa,
imbruniscono la polpa in seguito a tagli o
lesioni della buccia, è che il frutto ferito,
a contatto con l'ossigeno dell'aria,
scatena un enzima - la poli-fenol-ossidasi
- PPO (gli enzimi sono catalizzatori dei
processi biologici), che va ad attaccare i
polifenoli della polpa, disgregandoli, con
formazione finale di melanina: proprio
lei, il pigmento scuro che tutti gli amanti
della tintarella vanno a cercare.
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Solo che nel nostro caso la tintarella
viene acquisita dalla polpa del frutto.
Il risultato non è solo quello, ma anche la
perdita di sapore e, non ultimo, dal punto
di vista nutrizionale, la perdita dei
polifenoli, potenti antiossidanti e
antagonisti dei radicali liberi: la povera
mela acquisisce quindi il colore scuro,
ma perde le principali proprietà
salutistiche, per le quali viene
raccomandata al fine di toglierci il
medico di torno.
Il nocciolo della faccenda è costituito da
una sequenza di 4 geni contigui,
responsabili dell'innesco dell'enzima.
A seconda che essi siano tutti o solo in
parte attivi, abbiamo un imbrunimento
più o meno rapido della polpa del frutto:
questo fatto è di esperienza comune.
Ma, oltre a questi 4, nel melo sono
presenti anche i loro «antagonisti», che
ne controllano l'attività (il termine esatto
sarebbe «l'espressione»), fino ad inibirla:
i genetisti chiamano questo fenomeno
«gene siiencing».
Si tratta di un controllo dell'espressione
dei geni del tutto naturale ed esiste non
solo nelle piante, ma anche in tutti gli
esseri viventi.
In definitiva, non siamo di fronte a un
cibo Frankestein, ma a una comune
varietà di mela, alla quale è stato inibito
l'imbrunimento enzimatico,
incrociandola per via biotecnologica,
invece che con la classica procedura di
una volta, con un'altra varietà di mela, in
cui l'espressione dei geni responsabili
della formazione dell'enzima è silenziata.
Discorso diverso, ma importantissimo,
riguarda invece il problema della
commercializzazione: l'esperienza del
pomodoro che non ammezziva (Flav
Savr), è ancora un valido esempio di
come una buona idea necessita di essere
ben gestita, per ottenere anche un
minimo successo.
Giancarlo Curzel
Agronomo
giancurzel@alice. it