LA GIORNATA DELLA MEMORIA: Perché bisogna ricordare

 LA GIORNATA DELLA MEMORIA: Perché bisogna ricordare La giornata della memoria è stata isituita in Italia nel luglio del 2000 ed è stata fissata al 27 di gennaio, data dell’abbattimento da parte dei soldati dell’armata russa dei cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, al fine di ricordare la “Shoah” (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati . Dal 2005 la giornata della memoria è celebrata da tutti gli stati membri delle Nazioni Unite per non dimenticare la tragedia dello sterminio degli Ebrei, ma anche degli zingari, degli omosessuali, dei Testimoni di Geova, degli oppositori politici. I nostri giovani (ma non solo loro ) devono essere educati alla pace anche attraverso la conoscenza della nostra storia e degli effetti devastanti che tutte le guerre , ma in particolare quelle fondate sulla difesa di un’opinione, di una religione, di una razza contro le altre, hanno prodotto. Quindi la giornata della memoria non deve ridursi ad una celebrazione ma deve essere per tutti l’occasione per un approfondimento delle cause che generano il razzismo e che lo fanno crescere a dismisura fino a generare lager , torture impensabili e morti ; inoltre deve darci il coraggio per accostare al ricordo della Shoah lo studio e la presa di coscienza di eventi contemporanei che toccano i temi dei diritti dell’uomo , della povertà, delle privazioni, delle torture: ricordare i morti ma pensare ai vivi. Auschwitz è relativamente lontana nel tempo e nello spazio, ma è intorno a noi, è nell’aria. “La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo”, scrive Primo Levi ne “L’asimmetria e la vita”: e quanto dolorosamente vera sia questa riflessiome è dimostrato dai giorni che stiamo vivendo, in cui fanatismi religiosi inducono a barbarici attentati e altri pensano di reagire chiamando alla mobilitazione contro “lo straniero” o all’indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui. La “Giornata della memoria” è un invito alla mobilitazione, a non desistere dall’impegno e dalla speranza, a partire dalla consapevolezza che la libertà e la democrazia non sono doni regalati da qualcuno, ma impegno quotidiano. Conoscere i fatti Per ricordare, prima di tutto occorre conoscere i fatti. La Shoah rappresenta la messa in opera, nella moderna Europa, di un gigantesco approccio politico, economico, industriale, al servizio di un solo obiettivo: lo sterminio del popolo ebraico. E’ dunque necessario dare uno spazio primario al racconto dei fatti, alla conoscenza degli avvenimenti. Il processo di distruzione si concretizzò in tre fasi. A. La prima fase: è quella compresa tra il 1933 e il 1939. Il primo passo consistette nel boicottaggio delle attività economiche ebraiche; il secondo nell’emanazione delle leggi che sancivano l’esclusione dagli impieghi pubblici degli elementi “particolarmente inaffidabili” e degli ebrei, e contenevano la prima definizione giuridica di “non ariano” (“chiunque discende da genitori e da nonni non ariani ed ebrei in particolare”). In base a questa legge vennero via via emanate delle disposizioni volte a colpire varie categorie all’interno della comunità ebraica tedesca, incominciando dai giuristi, dai medici, per arrivare fino al mondo del giornalismo e persino dello sport. Il 14 luglio 1933 venne promulgata la legge sulla sterilizzazione, che poteva essere applicata contro la volontà del soggetto da sterilizzare (alla fine della guerra sarebbero state almeno 400.000 le persone sottoposte a questa pratica inumana). Questa legge è particolarmente rilevante perché pose le basi della successiva “operazione eutanasia”. B. La seconda fase: è quella compresa tra il 1939 e il 1941 ed è caratterizzata dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Per gli ebrei polacchi l’occupazione da parte dell’esercito tedesco del territorio in cui vivevano costituì una trappola mortale. Tutte le disposizioni tedesche degli anni precedenti vennero imposte alla Polonia e gli ebrei vennero rinchiusi in grand ghetti cittadini, come quello famoso di Varsavia, in cui confluirono quelli provenienti dalle campagne. Il ghetto fu come un parcheggio in attesa di una “soluzione definitiva”, che consistette nella fucilazione di un milione e ottocentomia persone. Delle operazioni di messa a morte compiute dalle Einsatzgruppen esiste un breve filmato, della durata di pochi minuti, di enorme valore storico. Questo modo di procedere, però, poneva enormi problemi pratici – lo smaltimentio dei cadaveri – e provocava gravi turbe psichiche negli stessi membri dei plotoni di esecuzione, si passò così all’ultimo passo. C. La terza fase: La soluzione che ovviasse a questi problemi fu trovata facendo ricorso all’esperienza fatta nel Reich durante l’“operazione eutanasia”, che era partita il 1° settembre 1939 con l’uccisione dei bambini disabili nell’istituto di Brandenburg­Görden attraverso la morte per inedia e l’uso di farmaci (5.000 sarebbero stati alla fine i bambini assassinati). Quando fu la volta degli adulti, venne mesa a punto una nuova tecnologia: la gassazione attraverso l’inalazione di monossido di carbonio. Quando Himmler, nell’agosto 1941, ordinò la sospensione dello sterminio a causa della troppa risonanza pubblica suscitata dalle uccisioni, i funzionari di questa operazione vennero in gran parte inviati nei vari campi di concentramento per organizzare l’operazione “14f13”, ovvero l’uccisione dei prigionieri la cui capacità lavorativa era ormai giudicata definitivamente compromessa. Nella primavera del 1943 tutti i ghetti, tranne uno, furono completamente liquidati, se non rasi al suolo, e a loro fu trasferita la metodolologia della messa a morte per gas, in campi i cui nomi sono tristemente noti: Belzec, Sobibór, Treblinka, e più tardi Auschwitz­Birkenau. Qui lo sterminio sistematico cessò nel novembre del 1944, solo due mesi prima della liberazione, avvenuta ad opera dell’Armata Rossa il 27 gennaio del 1945. Perchè non si ripeta la “banalità del male” Una delle questioni più discusse dagli storici è infatti proprio l’interrogativo su quanto la società tedesca fosse a conoscenza del piano di sterminio e degli orrori che avvenivano nei lager nazisti. Nei primi decenni dopo la guerra era opinione comune che Hitler e i suoi sodali avessero tenuto talmente segreta l’attuazione del genocidio, che effettivamente solo una ristretta cerchia di persone era a conoscenza di quanto stava avvenendo. D’altro canto, per forza di cose, vista l’entità del genocidio, con ogni probabilità c’era un certo livello sociale di consapevolezza, in Germania, nei Paesi occupati e anche forse in quelli Alleati. In un celebre libro di Hannah Arendt (“La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”) la filosofa coniò una definizione – la “banalità del male” – per spiegare l’operato dei livelli bassi e medio­bassi della gerarchia dello sterminio. Secondo la Arendt, il comportamento dei vari membri dell’organizzazione e dei loro complici può essere spiegata dal senso di fedeltà al gruppo, dalle ambizioni di carriera, dal conformismo e dalle pressioni di un regime repressivo e totalitario. Ed è questo, forse, l’aspetto più preoccupante, quello che ci deve portare alla vigilanza. La “Shoah” si può ripetere se noi, per disattenzione o per vigliaccheria, non stiamo attenti a quel che succede intorno a noi, ricordando il messaggio scritto da Anna Frank nel suo nascondiglio qualche giorno prima dell’irruzione delle SS e della sua deportazione : “…Ecco la difficoltà di questi tempi: gli ideali, i sogni, le splendide speranze non sono ancora sorti in noi che già sono colpiti e completamente distrutti dalla crudele realtà. È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’ intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte il rombo l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali; verrà un tempo in cui forse saranno ancora attuabili”. Come Partito Democratico, assumiamo questo messaggio come fondativo del nostro impegno civile e politico. Ombretta Degli Incerti Gruppo di Lavoro Politiche Culturali e Scolastiche PD Città di Lainate