Ma Firenze fu riluttante Il trasferimento era stato deciso sulla base di un trattato internazionale, la “Convenzione di settembre” stipulato dalla Francia e dall’Italia. In base a quest’accordo l’Italia non avrebbe attaccato lo Stato Pontificio e lo avrebbe protetto da qualsiasi attacco esterno. Da parte sua la Francia avrebbe ritirato gradualmente le truppe da Roma. I lavori hanno messo in evidenza come il Governo del Regno e l’opinione pubblica abbiano interpretato il trasferimento della capitale a Firenze non come la rinuncia alla completa unità del paese, ma come una tappa di avvicinamento alla capitale naturale del Regno. Del resto anche i francesi stavano tenendo un atteggiamento ambiguo: ritirando le truppe da Roma Napoleone poteva dire che gli italiani avevano rinunciato spontaneamente a completare il disegno unitario. Il passaggio della capitale da Torino a Firenze aveva provocato rivolte da una parte e malumori dall’altra. Se in Piemonte si era arrivati a scontri con le forze dell’ordine per il timore che il ruolo economico della città venisse sminuito, in Toscana più di una voce si era levata contro un’operazione frettolosa e gravida di conseguenze: “Parmi per questa città una gran sventura” scriveva Bettino Ricasoli a Ubaldinio Peruzzi. “Firenze in procinto di farsi capitale - aveva scritto Gino Capponi alla fine del 1864 - è quasi come una faciulla che senza passione stia per uscire dallo stato verginale”. I timori erano più che fondati: a Firenze arrivarono in pochi mesi 30.000 persone. I prezzi degli affitti arrivarono in breve tempo alle stelle. Interi quartieri vennero costruiti ex novo. Vennero messe su anche baracche in ferro e legno a San Frediano e alla Porte alla Croce. Se il parlamento trovò spazio nei saloni di Palazzo Vecchio, meno agevole fu la sistemazione dei ministeri, per i quali furono ristrutturati conventi e vecchi palazzi. In compenso la vita della nuova capitale si animò di personaggi di primo piano come Luigi Capuana, Alessandro Manzoni e il grande Dostoevskij. La città si abbellì di nuove strutture viarie, tra cui i lungarni e il viale fino all’attuale Piazzale Michelangelo. L’abbattimento delle mura, l’inglobamento dei piccoli comuni adiacenti al centro cittadino, resero la città molto vicina a quell’idea di “capitale europea” sognata dall’architetto Giuseppe Poggi, maggiore artefice dell’evoluzione urbanistica di Firenze in questo periodo. Arrivò poi la Breccia di Porta Pia e il nuovo trasferimento della capitale a Roma. L’esodo di migliaia di persone provocò un disastro economico: case e negozi sfitti, cessazione di attività, disoccupazione e dissesto dei conti del comune che nel 1878 dovette dichiarare fallimento. La crisi e la decadenza si trascinarono per anni, basti pensare che nel 1892 circa 72.000 cittadini su 180.000 erano riconosciuti ufficialmente poveri.
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