MESSAGGERO VENETO – venerdì 18 aprile 2014 Indice

MESSAGGERO VENETO – venerdì 18 aprile 2014
(Gli articoli della presente rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito
internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
REGIONE (pag. 2)
Giunta, Bolzonello “alleggerito”
Scatta la corsa-salvezza tra i reparti da chiudere (2 articoli)
Hypo Bank è in vendita: «Abbiamo fatto pulizia»
PORDENONE (pag. 6)
No dei lavoratori al “piano eutanasia” (3 articoli)
«Boicottiamo la spesa nelle giornate festive» (2 articoli)
Zonta segretario regionale. Corsa a quattro in provincia
Niente stipendi, sciopero alla Nuova Infa
Ospedale, Bordon convoca i sindacati per il 28 aprile
Domino, ribaditi i “no”. Piano salvezza a rischio
REGIONE
Giunta, Bolzonello “alleggerito”
UDINE Mini rimpasto all’interno della giunta regionale. Nei giorni scorsi la presidente Debora
Serracchiani ha messo mano alle deleghe alleggerendo il fardello che da inizio legislatura pesa sulle
spalle del suo vice Sergio Bolzonello. Già di competenza dell’ex sindaco di Pordenone - che mantiene
in capo Attività produttive, Commercio, Cooperazione nonché Risorse agricole e forestali - Caccia e
risorse ittiche passano invece al suo collega Paolo Panontin sommandosi a Funzione pubblica,
autonomie locali, coordinamento delle riforme e protezione civile. In vigore da lunedì, la
rimodulazione non si fatta sentire durante la seduta di ieri dell’esecutivo, che si è concentrato su altre
importanti questioni. Fondi strutturali europei Su proposta dell’assessore Francesco Peroni la giunta ha
dato il via libera al documento che fissa gli indirizzi della Regione per la definizione dei Programmi
operativi europei 2014-20. Il documento delinea in particolare gli interventi previsti per due fondi – il
Fesr (Fondo europeo per lo sviluppo regionale) e il Fse (Fondo sociale europeo) – forti di una
dotazione complessiva per il Friuli Venezia Giulia di 514 milioni di euro ripartita in 231 milioni a
favore del primo, 283 per il secondo. Quattro sono gli ambiti d’intervento individuati per il Fesr:
ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione, competitività dei sistemi produttivi, energie sostenibili e
sviluppo locale. Occupazione sostenibile, inclusione sociale, istruzione e formazione e infine efficienza
nelle pubbliche amministrazioni sono invece gli obiettivi individuati nell’ambito del Fse. Procedure
semplificate La richiesta di uno snellimento delle pratiche cui non smettono di dar voce le categorie
economiche, ha trovato “casa” ieri nel Ddl “Disposizioni in materia di attività produttive” portato in
giunta dall’assessore Bolzonello. Obiettivo: ridare competitività alle imprese semplificando e
aggiornando le procedure specie per artigianato, cooperazione e accesso al credito. Il Ddl prevede
anche agevolazioni per le “Start up” artigiane fino ai 24 mesi successivi all’iscrizione all’albo,
introduce la possibilità di iscrizione telematica per il settore cooperativo, snellisce le istruttorie per i
contributi all’imprenditoria giovanile. Interviene infine in materia di finanziamenti ai Consorzi
industriali e tra questi ne prevede uno a favore del Cosint per il rilancio dell’economia in area montana.
Politiche del lavoro Con una dotazione finanziaria di 39,5 milioni di euro, l’esecutivo ha approvato, su
proposta dell’assessore Loredana Panariti, il “Piano integrato di politiche per l’occupazione e il lavoro”
che con quattro progetti si propone di sostenere le fasce più deboli, giovani soprattutto, contrastando la
dispersione scolastica tra i 15 e i 19 anni, sostenendo neodiplomati o neolaureati fino a 30 anni e ancora
lavoratori disoccupati, sospesi o in Cassa integrazione guadagni. E a proposito di dispersione, è sempre
di ieri il via libera della Regione al progetto europeo “Drop-App” volto appunto a contrastare
l’abbandono dei banchi di scuola con l’uso delle nuove tecnologie. Ospedali psichiatrici giudiziari
Dovranno essere definitivamente superati, come da norma nazionale, entro il 31 marzo 2015. Ieri la
Regione ha fatto in tal senso un deciso passo avanti approvando in via preliminare il programma per la
realizzazione delle strutture sanitarie “alternative” finanziato con 2,6 milioni di euro, di cui 133 mila
stanziati dal Friuli Venezia Giulia. Il programma, portato in giunta dall’assessore Maria Sandra Telesca
e in attesa dell’approvazione da parte del Ministero, prevede la dislocazione di dieci posti letto su tre
strutture sanitarie, di cui una a Maniago, una nell’area udinese e una terza in quella giuliana. Maura
Delle Case
Scatta la corsa-salvezza tra i reparti da chiudere
di Anna Buttazzoni TRIESTE Tagli dei Punti nascita, dei Pronto soccorso, dei reparti di pediatria,
chirurgia generale e ortopedia. Riduzione dei posti letto nelle aree chirurgica e materno-infantile per
potenziare quelli nelle aree mediche e di riabilitazione. Eliminazione dei doppioni, cioè delle cliniche
che forniscono gli stessi servizi, negli ospedali in cui è presente anche l’università, Udine e Trieste. La
presidente Debora Serracchiani si presenta davanti ai consiglieri di centrosinistra e centrodestra con
sottobraccio la bozza della riforma sanitaria. Illustra la strategia, mostra i numeri, spiazza tutti
distribuendo – personalmente – il primo documento ufficiale sulla “rivoluzione” che ha in mente per la
Sanità. Una “rivoluzione” che (come indicato in tabella) trasforma le sei Aziende per i servizi sanitari e
le tre Aziende ospedaliere in cinque enti per l’assistenza sanitaria (Eas) e che ripristina l’Agenzia per i
servizi centralizzati, regia dei cinque Eas per funzioni tecnico-amministrative, personale, acquisti e
come stazione appaltante unica per i lavori pubblici e gli investimenti. Agenzia che era stata eliminata
dal governo di Renzo Tondo, ieri “grande” assente in Commissione. Una riforma ambiziosa ammette
Serracchiani che ha accanto l’assessore Maria Sandra Telesca. Una riforma che sarà come un terremoto
nelle città che dovranno perdere qualcosa per potenziare altro. La presidente tira dritto. Assicura che la
riforma sarà operativa nel 2015. «Davanti ai cittadini ci mettiamo la faccia, spiegheremo la riforma e la
necessità di superare i campanili e i cittadini capiranno – dice la presidente – perché sono più avanti dei
politici, si curano nell’ospedale migliore non in quello più vicino». Di certo il nuovo sistema sanitario
regionale è la sfida più importante per Serracchiani e per la tenuta dell’alleanza di centrosinistra, perché
le pressioni dalle amministrazioni locali arriveranno. Eccome. Punti nascita Il documento non dice
quali degli 11 Punti nascita sono destinati a chiudere, ma sottolinea che sotto i mille parti l’anno sono
strutture pericolose per madri e bimbi. Il centrosinistra giura che non si guarderanno solo i numeri, ma
anche i flussi dei pazienti e la funzionalità all’interno di un Eas. È dato per certo, però, il taglio della
struttura di Gorizia (278 parti l’anno, dato 2013), a favore del mantenimento di Monfalcone (468).
Nell’Eas 2 l’Isontino e la Bassa friulana sono accorpati e nella Bassa ci sono anche i Punti nascita di
Palmanova (820 parti l’anno) e Latisana (446). I numeri dicono che a chiudere dovrebbe essere
Latisana, ma la decisione non è scontata e anzi sembra che Palmanova abbia meno chance. Tolmezzo
invece (524) non si tocca, perché area montana, mentre il Pordenonese dovrebbe perdere la
convenzione con la casa di cura San Giorgio (750), per mantenere San Vito al Tagliamento (796) e
Pordenone (1.057). Udine invece ha raggiunto la soglia di 1.673 parti l’anno, Trieste 1.642 parti l’anno
e San Daniele a 1.003. Tre Pronto soccorso a 12 ore La strada è tracciata. Il riferimento sono i 20 mila
accessi l’anno, soglia di sicurezza. Tra i 21 Pronto soccorso del Fvg alcuni sono destinati a diventare
punti di primo soccorso, aperti dalle 8 alle 20 e di notte serviti da un’ambulanza con medico. La
trasformazione toccherà dal 1º maggio Maniago, mentre gli altri due più accreditati a cambiare sono
Cividale e Gemona. Sacile è già a 12 ore e conta 5.896 accessi (dato 2013), mentre Lignano (3.786) e
Grado (3.126) sono estivi e non si toccano. Altro a rischio è quello di Trieste al Maggiore (17.684),
soprattutto perché in città c’è anche Cattinara (37.607). Dovrebbero restare 24 ore su 24 Gorizia
(18.958 accessi), Monfalcone (25.213), Latisana (22.339) e Palmanova (21.351). Così come nel Friuli
Occidentale non si toccano Pordenone a quota 42.772; San Vito (18.983) e Spilimbergo (8.246).
Resteranno di riferimento sulle 24 ore anche San Daniele (23.634) e Tolmezzo (15.008). Meno reparti
di pediatria I riferimenti in regione sono dieci e cioè Trieste, Gorizia, Monfalcone, Latisana,
Palmanova, San Daniele, Tolmezzo, Udine, Pordenone e San Vito al Tagliamento. Il reparto è legato ai
Punti nascita e quindi a rischio chiusura ci sono Gorizia, Palmanova o Latisana. Laboratorio unico
d’analisi Troppi anche i laboratori che analizzano le provette. Nella riorganizzazione è previsto un
unico laboratorio regionale, mentre restano operativi tutti gli attuali punti di prelievo e, anzi,
l’intenzione è incrementarli. Un solo ospedale su più sedi Tecnicamente si chiamano presidi unici, che
significa un solo ospedale con più sedi. L’obiettivo è ottimizzare i piccoli ospedali che costano molto.
Nello stesso Eas, quindi, ci sarà una sola struttura dislocata in punti diversi e specializzata in alcuni
servizi, il modello già operativo a Pordenone. Ecco allora che anche gli ospedali di Gorizia e
Monfalcone saranno presidio unico con la chiusura di uno dei due Punti nascita, così come Latisana e
Palmanova con una delle due strutture che dovrà rinunciare a doppioni come il Punto nascita e
ortopedia. Saranno presidio unico anche gli ospedali di Tolmezzo, Gemona e San Daniele. Riequilibrio
dei posti letto Oggi in Fvg ci sono 3,5 posti letto per acuti ogni mille abitanti e 0,3 per la riabilitazione
e la lungodegenza. Il nuovo equilibrio prevede di arrivare a tre posti letto ogni mille abitanti per gli
acuti e a 0,7 per la riabilitazione e i lungodegenti, diminuendo quindi i posti nelle chirurgie e
aumentandoli nelle aree mediche.
La presidente garantisce minor spesa e servizi migliori. Risparmi non ipotizzati
Riccardi: dica quale sarà l’offerta degli ospedali di rete. Tensioni dai territori
Serracchiani: più qualità. Ma per Fi è melina elettorale
di Anna Buttazzoni TRIESTE I dettagli non sono svelati, ma i tempi della riforma sanitaria vengono
dettati con certezza dalla presidente Debora Serracchiani. Entro il 15 maggio saranno pronte le
relazioni conclusive di dieci gruppi di lavoro operativi su assistenza primaria; chirurgia generale;
emergenza, pronto soccorso, anestesia e rianimazione; oncologia; ortopedia e traumatologia; materno
infantile; riabilitazione; salute mentale; salute mentale nell’età evolutiva e professioni sanitarie. Maxiconsulenze che stanno impegnando 80 professionisti della regione. Entro fine maggio ci sarà la
riorganizzazione dei Punti nascita e dei reparti di pediatria. Entro il 15 giugno arriveranno le schede
ospedaliere con la revisione delle funzioni e l’eliminazione dei doppioni struttura per struttura. Ed entro
il 10 luglio si materializzerà il disegno di legge della riforma da portare in Commissione e poi in
Consiglio, con la previsione di approvarlo entro ottobre. La riforma sarà operativa dal 2015. In mezzo
ci sarà tempo per le correzioni, per respingere le pressioni di comitati e amministrazioni locali e per
spiegare la riforma. L’opposizione è già agguerrita. Nuove risorse da reinvestire Serracchiani è netta,
riorganizzazione non significa meno servizi e costi in più. Anzi, i traguardi sono l’esatto opposto.
Vanno recuperate risorse (quanto non è ancora ipotizzato) da reinvestire, non per far utili, e va
aumentata la qualità. «I cittadini sono al centro della riforma, avranno migliori informazioni su dove
curarsi, riqualificheremo la spesa, accorperemo i servizi fondamentali e ci sarà continuità tra l’ospedale
e le cure successive. Nessuna spesa in più – conclude Serracchiani – nè una diminuzione dei servizi».
Fi vede “pericolosi focolai” Il più critico è il capogruppo di Fi Riccardo Riccardi. Che parla di melina
per non rivelare i dettagli del progetto e non pregiudicare il consenso elettorale per europee e
amministrative del 25 maggio. «Serracchiani ha sempre detto che non chiuderà nessun ospedale, ma
non mi pare che sarà così soltanto perché all’entrata avranno un cartello blu con una “H” bianca. È
necessario capire – attacca Riccardi – che servizi ci saranno rispetto all’offerta esistente di Latisana,
Palmanova, San Daniele, Gemona, Tolmezzo, Cividale, Gorizia, Monfalcone, Spilimbergo, Sacile o
San Vito. Vedo pericolosi focolai nei singoli territori che non sanno cosa potrà accadere al proprio
ospedale. Bisogna dedicare tempo alle comunità condividendo con gli amministratori locali gli obiettivi
della riforma. Il modello presentato da Serracchiani ipotizza cinque enti che uniscono servizi sanitari
territoriali e ospedali. A nostro parere – conclude Riccardi – doveva essere proprio il contrario». Per il
Pd è una giornata storica Lo dice il capogruppo Cristiano Shaurli. «Non è un passaggio semplice, lo
sarebbe stato se avessimo presentato un’operazione di maquillage. Abbiamo presentato una riforma
attesa da anni e che non viene fatta per risparmiare – aggiunge Shaurli – ma per attuare cambiamenti
strategici che garantiranno servizi migliori. Da oggi il Consiglio è investito di una grande responsabilità
per rendere possibile la riforma». Serracchiani è soddisfatta. La segretaria Fvg del Pd, Antonella Grim,
assicura che la riforma sarà condivisa. Paride Cargnelutti, esponente del Ncd, chiede quali margini
d’intervento ci sono. Si vedrà. Ora sono state date le carte, la partita è appena cominciata.
Hypo Bank è in vendita: «Abbiamo fatto pulizia»
di Maurizio Cescon TAVAGNACCO «Ho firmato anche rimborsi da 30 centesimi. Ma abbiamo voluto
restituire tutto, fino all’ultimo. Era necessaria una pulizia completa». La luce nell’ufficio del Direttore
generale Marco Gariglio resta spesso accesa la sera, ben oltre le 20. Il settimo piano del palazzone
vetro cemento di Hypo Bank è diventato il suo quartier generale, dal 2 settembre scorso. Da quando è
stato nominato, dopo la destituzione del suo predecessore, Lorenzo Di Tommaso, sotto inchiesta per la
frode dei leasing dopati. Un caso che ha fatto rumore, che si è ingrandito strada facendo, man mano che
i controlli, rigorosi e martellanti, sono andati avanti, tanto da assumere i contorni di una valanga.
Direttore a che punto siamo? I 94 milioni accertati possono considerarsi definitivi? «La vicenda è stata
più dolorosa per il danno d’immagine che per le casse della banca. Stiamo parlando di circa 54 mila
contratti, stipulati negli ultimi dieci anni, anche quelli già estinti, in essere, contabilizzati a sofferenza.
C’è stata una revisione a tappeto. Una task force di esperti ha lavorato e sta ancora lavorando a ritmi
serrati. La nota di credito più alta è pari a 259 mila euro. La cifra di 94 milioni, con gli interessi legali,
è quasi definitiva. Compresi 9 milioni che, al momento, non riusciamo a rimborsare perchè è
complicato risalire ai titolari del contratto. Può ballare ancora un mezzo milione, ma la manipolazione è
costata questa cifra. Però abbiamo deciso di andare oltre». Cioè? Spieghi pure... «Il Consiglio di
amministrazione, che ringrazio in quanto ha recepito una mia sensibilità, ha deciso di rimborsare
somme che non sono oggetto di frode, ma che potrebbero generare rilievi su clausole contrattuali in
teoria svantaggiose per i clienti. Ci siamo consultati anche con una serie di legali: alcuni ritenevano che
non ci fosse bisogno di questo ulteriore rimborso, altri erano più possibilisti. Per tagliare la testa al toro
abbiamo deciso di procedere, si tratta di altri 20 milioni di euro». Intanto Bankitalia ha chiesto che il
Cda venga rimosso. Succederà? «Al termine dell’ispezione, Bankitalia ha presentato il suo rapporto.
Apprezzando il rinnovo completo del management, ha richiesto di valutare pure il ricambio degli
organi amministrativi, la cui scadenza è fissata per l’aprile del 2016, in concomitanza con
l’approvazione di quel bilancio. I sette componenti del Consiglio hanno spinto fortemente per sanare
tutte le irregolarità, ci hanno sempre sostenuto. E ora hanno ritenuto di mettere a disposizione il loro
mandato: a tal proposito deciderà l’assemblea dei soci di fine aprile». Il 30 aprile Hypo Bank approverà
un bilancio lacrime e sangue... «Qualche giorno fa, in un incontro con i miei collaboratori, ho detto
loro, con un paradosso, che sarà un bel bilancio, perchè è stata fatta pulizia. Siamo all’anno zero, ora
ripartiamo. Naturalmente i conti sono pesantemente condizionati dalla malversazione, dalla risoluzione
europea che ci impedisce di operare con nuovi clienti, dalla crisi economica e dalla stagnazione del
mercato immobiliare. La perdita per il 2013 è vicina ai 100 milioni, ma l’indice di patrimonializzazione
è alto, pari all’11,86%». L’azionista austriaco ha dovuto già mettere mano al portafoglio. «La
patrimonializzazione, nel corso del 2013 per consentire il pagamento delle somme dovute per i leasing,
è stata di 185 milioni, in due tranche, a luglio e dicembre». Il futuro di Hypo Bank quale sarà adesso?
«Siamo sul mercato. L’azionista è impegnato a individuare un investitore che possa subentrare per
consentire all’istituto di ridiventare operativo, con la clientela nuova. Adesso nel mondo l’interesse per
le banche italiane è elevato, tante sono in vendita. La soluzione potrebbe essere quella della cessione a
un fondo internazionale». I tempi dell’operazione? «Al momento non ci sono trattative in piedi. Ma se
si fa rapidamente è meglio. Più passano i mesi, più la banca perde valore, visto che non può operare sul
mercato come le altre». I contraccolpi della bufera sulla vostra struttura sono stati pesanti? «Hypo ha
30 filiali tra Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Adesso ne chiudiamo tre a
Como, Treviglio e Cittadella, dove avevamo appena 26 clienti. Ma tutti i dipendenti saranno ricollocati.
Altri sacrifici non ce ne saranno». Nel 2012 la ristrutturazione è stata pesante per il personale, con
rapporti sindacali tesissimi. Il clima è cambiato? «E’ doverosamente cambiato. Io sto cercando di
portare normalità. Il dialogo c’è e piano piano si è instaurata una collaborazione proficua. L’accordo
per la riorganizzazione e per il nuovo integrativo, firmato a fine marzo, è stato raggiunto. Ho trovato
disponibilità da parte di tutte le sigle sindacali dei bancari. Ora c’è l’orario flessibile così le mamme
possono sfruttare di più l’asilo nido aziendale, la previdenza integrativa e la copertura sanitaria per i
316 dipendenti. Non è poco, in tempi di crisi».
PORDENONE
No dei lavoratori al “piano eutanasia”
di Elena Del Giudice A fronte di un piano che non solo viene confermato nei contenuti, giudicati
particolarmente penalizzanti per Porcia, ma che entrando nei dettagli, chiede sacrifici e rinunce ai
lavoratori, la risposta è stata lo sciopero immediato. Un’ora circa di manifestazione davanti alla
portineria nord, con relativo stop alle merci in entrata e in uscita, e replica il pomeriggio, che ha fatto
seguito all’assemblea convocata per relazionare sull’incontro di Mestre. Non unanime, peraltro, la
proposta di fermare produzione e merci, Fim Fiom e Uilm non sempre la pensano allo stesso modo sul
“come” reagire. Fatto sta che l’iniziativa, spontanea, ha preso il sopravvento ma non sarà l’unica. Su
una cosa, infatti, i delegati sono concordi: la battaglia non è finita e non finirà, se i contenuti della
proposta della multinazionale svedese non cambierà. Nell’incontro di Mestre Electrolux ha riproposto
il proprio piano industriale, quello di febbraio, per intenderci, che destina a Porcia 750 mila
apparecchiature a regime e più o meno altrettanti occupati, con l’individuazione di 450 esuberi. E
ovviamente nessuna garanzia oltre il traguardo del piano, il 2017. Oltre a questo, l’azienda ha fatto i
conti. Rispetto alla richiesta di riduzione del costo del lavoro di 3 euro l’ora, avendo rinunciato ad
intaccare direttamente il salario, Electrolux ha individuato una serie di misure utili ad avvicinarsi
all’obiettivo. Un euro è atteso dalla decontribuzione dei contratti di solidarietà, e a Porcia circa 85
centesimi dovrebbero arrivare dalla rimodulazione delle pause, con l’eliminazione di quella da 10
minuti prevista dall’accordo che aveva consentito l’incremento del gettito da 85 a 94 lavatrici l’ora, la
riduzione delle ore da riservare ad assemblee e la diminuzione dei permessi sindacali. Inoltre, per quel
che riguarda il premio di risultato, Electrolux chiede di intervenire inserendo altri elementi di
valutazione da agganciare al premio, ad esempio l’assenteismo. Il tutto non raggiunge comunque i
famigerati 3 euro, e la qual cosa sarà oggetto di approfondimento nel corso del prossimo incontro. E’
intuibile che queste azioni vengono ritenute peggiorative delle condizioni di lavoro, e contestualmente
finalizzate ad incrementare il gettito (meno pause uguale più lavatrici prodotte). Il “nodo” vero, però,
rimane la convinzione dei lavoratori che quello proposto sia un piano a perdere, pensato per generare le
condizioni, nel 2017, di arrivare a chiudere lo stabilimento di Porcia. Una sorta di annunciata eutanasia
a cui lavoratori ed Rsu intendono continuare a ribellarsi, sollecitando Electrolux a rivedere il piano,
innalzando i volumi assegnati e riducendo significativamente gli esuberi.
«Non siamo limoni da spremere. Più volumi e più occupazione»
«Electrolux, oltre a non darci garanzie sul futuro, pretende di strizzare il limone fino in fondo»,
riassume il concetto Walter Zoccolan, Rsu Fiom. «L’azienda - prosegue - ha ribadito la necessità di
ridurre il costo del lavoro di 3 euro l’ora e lo chiede agli stessi lavoratori ai quali non garantisce il
posto, e pretende che facciano la loro parte rinunciando a parte delle pause, alle ore per le assemblee. In
sostanza, i manager italiani vogliono far quadrare i conti e dimostrare ai vertici svedesi che sono in
grado di gestire la situazione. Hanno anche chiesto che i lavoratori rinuncino ad azioni unilaterali come
quella di oggi, ma ovviamente loro non rinunciano all’azione unilaterale di spostare produzioni in
Polonia». Il piano così com’è «non è accettabile. Ci auguriamo che Electrolux, in queste due settimane
che ci separano dal prossimo incontro, inizi a fare valutazioni diverse. Se l’azienda darà garanzie sul
futuro, noi faremo la nostra parte per migliorare la competitività e garantire la remunerazione agli
azionisti». «Ci è stato ribadito quel che già era stato detto la settimana scorsa al ministero – riepiloga
Elisabeth Fanella, Fim – ed è entrata più nel dettaglio. Noi stiamo dicendo che questo piano per noi è
un problema, così com’è non riusciamo a digerirlo». Fanella riporta il conteggio di Electrolux rispetto
alle richieste di riduzione dei costi, quando dice che «quel che Governo e Regioni sono disponibili a
mettere, non è sufficiente e che anche i lavoratori devono fare la loro parte. Ma i lavoratori - rimarca la
delegata Fim - è dal 2008 che fanno sacrifici su sacrifici, e i volumi assegnati, e gli esuberi, non
garantiscono prospettive oltre il 2017. I lavoratori, con lo sciopero di oggi, hanno dato il loro segnale di
forte dissenso. E naturalmente le iniziative proseguiranno anche nei prossimi giorni». «Abbiamo
chiesto a Electrolux di spiegarci che cosa fosse cambiato dal 27 gennaio (data di presentazione del
piano dal quale era stato escluso lo stabilimento di Porcia) a metà febbraio (quando è stato illustrato il
progetto anche per questa fabbrica), ma non abbiamo ottenuto risposta – dichiara Gabriele Santarossa,
Uilm –. E’ vero, ci sono state le iniziative, i presidi, gli scioperi, ma io credo che Electrolux abbia
solamente dispiegato una strategia comunicativa». Come dire, ha paventato lo scenario peggiore
convinta che uno meno nefasto sarebbe stato bene accolto. «Ma le tattiche ci interessano poco – avverte
Santarossa –, noi chiediamo un cambiamento vero della strategia di Electrolux, e azioni in
controtendenza, ovvero più volumi e più occupazione». Oppure, niente accordo. (e.d.g.)
Avanza l’ipotesi del “non accordo”
Da qui al 28 aprile, data del prossimo incontro tra azienda e sindacati, negli stabilimenti di Forlì, Solaro
e Susegana si svolgeranno approfondimenti di tipo tecnico sulle modalità con cui sarà possibile
raggiungere l’incremento di gettito previsto dal piano. A Porcia nulla di ciò: l’aumento della
produzione non è previsto dagli obiettivi. Il fatto che al tavolo le Rsu di quelle fabbriche abbiano
accolto la proposta, lascia presagire la possibilità che la non-stop che si prepara per il 28 (con esplicita
richiesta avanzata ai sindacati di tenersi liberi anche per i giorni successivi, immaginando dunque che
la trattativa possa protrarsi) si chiuda con un non accordo. O un non accordo per Porcia. Tra le Rsu c’è
chi avanza questo timore, cioè che l’azienda si stia preparando anche ad un accordo separato, relativo
quindi solo ad alcuni ma non a tutti gli stabilimenti, e che anzi stia lavorando per separare la vertenza,
secondo l’antica logica del “dividi et impera”. Un’ipotesi che lavoratori e delegati di Porcia invitano a
considerare per evitare la trappola, perchè accettare un piano che porterebbe alla chiusura di uno
stabilimento non farebbe altro che aprire la strada per future azioni dello stesso genere. Mantenere
compatto il fronte potrebbe essere, invece, la strategia migliore per cercare di costruire condizioni di
radicamento per Electrolux in Italia. Magari cogliendo l’apertura che Ferrario avrebbe fatto mercoledì
al tavolo, ovvero che Electrolux in questo momento non è intenzionata ad investire per incrementare la
produzione in Polonia. Potrebbe essere convinta ad investire per mantenere e aumentare la propria
capacità produttiva in Italia. (e.d.g.)
«Boicottiamo la spesa nelle giornate festive»
di Martina Milia Sciopero della spesa per tutelare il lavoro e le famiglie messe in croce dal lavoro
domenicale e festivo nei negozi, diventato orami routine. A lanciarlo è la segreteraia della Filcams Cgil
di Pordenone Daniela Duz, che, davanti alle ennesime aperture straordinarie che interesseranno
Pasquetta e il 25 aprile, chiede a tutti i pordenonesi un atto di responsabilità sociale. «Non è accettabile
che davanti alla crisi che stiamo vivendo e al fatto che gli occhi siano puntati su Pordenone, proprio per
le problematiche legate al lavoro, la grande distribuzione si comporti come nulla fosse. E’ ora di dare
un segnale forte – rilancia Duz – e a darlo devono essere prima di tutto i consumatori e lavoratori». A
tenere le serrande alzate saranno Bennet a Sacile, Emisfero a Fiume Veneto, Pam, «alcuni punti vendita
della Conad e del gruppo Aspiag in giro per la provincia» ricostruisce la sindacalista. Ma c’è anche chi
ha scelto di non tenere aperto, come Sme, Coop Nordest e Coop Casarsa, dove la concertazione ha
permesso di tenere aperto solo il punto vendita in centro a Casarsa. «La premessa da cui partire –
rimarca Duz – sta nel fatto che le liberalizzazioni hanno fallito. Perché non sono servite ad aumentare i
fatturati dei grandi gruppi, non sono servite a spingere i consumi, nè tanto meno ad assorbire la
disoccupazione. Perseguire su questa strada in un momento in cui la crisi economica è giunta all’apice,
deve provocare una reazione in tutti noi». Perché non è solo una questione di lavoro per il sindacato, è
una questione di «valori, senza i quali questo Paese e anche Pordenone non può ripartire. Parliamo di
giornate di festa che incarnano valori religiosi e civili che meritano il massimo rispetto – prosegue Duz
–. E se non ne teniamo conto vuol dire che siamo un popolo senza memoria e, pertanto, senza futuro» Il
monito della Cgil è rivolto anche «alla politica che ha il dovere di dare degli indirizzi anche morali.
Credo che la politica, anche in sede regionale, debba cercare delle strade per tornare a una
programmazione, in materia di commercio, che sia rispondente alle esigenze dei singoli territori. In
campagna elettorale sono state fatte molte promesse, è tempo di agire». Il sindacato si dice in prima
linea «perché noi ascoltiamo le persone, i lavoratori e soprattutto le lavoratrici che sono la parte
preponderante di questo settore occupazionale – ricorda Duz –. I contratti part-time e con orari
spezzettati, creano precarietà economica e di vita. Le lavoratrici, che sono il più delle volte madri, si
trovano già a lavorare tutte le domeniche e chiedere loro di sacrificare anche le feste che dovrebbero
essere dedicate ad altro è inaccettabile. I lavoratori possono chiedere di essere esentati», ma nella
pratica nessuno lo fa per paura di ritorsioni. Le forme contrattuali nel commercio sono le più disparate:
«Pensiamo al lavoro a chiamata, ai voucher e chi più ne ha ne metta. Molte lavoratrici si trovano ad
affrontare crisi familiari proprio per la mancanza di conciliazione tra tempi del lavoro e della vita
privata. Questo – ragiona Duz – non può essere un problema dei singoli. Tutti siamo chiamati a
lavorare per un miglioramento delle condizioni lavoro perché da questo dipende anche una miglior
tenuta sociale».
Il primo maggio «tutti in piazza per il territorio»
Anche il primo maggio alcuni negozi terranno aperti. «Sappiamo già che il centro commerciale Bennet
di Sacile sarà aperto – dice Duz (nella foto) – e questo è doppiamente grave. Perché quest’anno la
giornata dei lavoratori avrà una valenza doppia per il territorio. Pordenone sarà infatti la sede della
manifestazione nazionale, alla presenza dei segretari nazionali del sindacato. Quel giorno dobbiamo
essere tutti in piazza, perché parliamo del futuro del territorio. Tenere aperto i centri commerciali quel
giorno sarebbe una sconfitta per tutti». Ecco perché, secondo il sindacato, è importante che il
boicottaggio degli acquisti nei giorni festivi parta già dal lunedì di Pasqua, per dare un segnale forte di
coesione sociale in un momento in cui vengono meno i principali riferimenti per i lavoratori.
Zonta segretario regionale. Corsa a quattro in provincia
Adriano Zonta è il nuovo segretario regionale Flcgil: fumata bianca sulla staffetta sindacale con
Natalino Giacomini, nuovo vertice a Udine. Lascia la guida di Pordenone e 3 mila tesserati dopo
quattro anni di lavoro e consensi. La volata vincente della sua candidatura c’è stata per una manciata di
voti, nell’urna del direttivo regionale, a Udine: Zonta ha abbattuto i tempi del passaggio di consegne
con 17 voti favorevoli, 14 contrari, tre astenuti. Incarico assegnato e tutti al lavoro, come vuole la
regola sindacale, rimboccandosi le maniche nei marosi della crisi dura che affligge anche il settore
della conoscenza. «Una votazione difficile, perché era in discussione il passaggio graduale delle
consegne – ha commentato a caldo il neosegretario Flcgil del Friuli Venezia Giulia –. E’ un grande
impegno raccogliere l’eredità di Giacomini. Ci impegneremo tutti insieme per il nostro grande
sindacato e per potenziare tutte le sedi provinciali». Ha guidato la sede di Pordenone con “maggioranza
bulgara” di tessere nel panorama provinciale. «La mission sindacale è quella di potenziare tutte le realtà
del settore scuola – promette Zonta –. La squadra sindacale friulana ha un primato da affermare: quello
della scuola dei diritti per gli studenti, le famiglie, i docenti, ausiliari, tecnici e amministrativi. Mi
impegnerò al massimo per l’istruzione professionale, gli enti di formazione non statali e l’università».
A Pordenone non dice addio. «Sarò sempre vicino alla squadra pordenonese – Zonta abita a Porcia –.
Ho vissuto belle esperienze e grandi battaglie per gli organici a scuola». Tremila tesserati: Pordenone
ha il record di crescita nazionale. «Dalla condivisione alla partecipazione – Zonta trasla il motto nel
bacino regionale –. In una fase di forte difficoltà dell’istruzione, sarà fondamentale il protagonismo dei
nostri iscritti nel 2014». E’ da decidere il dopo-Zonta a Pordenone. I nomi dei papabili? Beppe
Mancaniello, Mario Bellomo, Caterina Treglia e Paola Guerra.(c.b.)
Niente stipendi, sciopero alla Nuova Infa
AVIANO Sciopero di quattro ore ieri pomeriggio alla Nuova Infa: i lavoratori hanno protestato per
chiede un ulteriore anticipo sullo stipendio, rateizzato dall’azienda come comunicato nelle scorse
settimane. Nel vertice che c’era stato con i sindacati, i rappresentanti del gruppo Sassoli avevano
annunciato il pagamento del mese di marzo con un acconto di 500 euro il 10 aprile e il saldo il 15
maggio. Per il mese di aprile l’acconto è il 10 maggio e il saldo il 15 giugno. Ma i lavoratori hanno
chiesto un ulteriore acconto sul salario. Martedì c’era stata una ulteriore riunione tra azienda e sindacati
per valutare la situazione alla luce del fatto che a fine giugno scadono i due anni di cassa integrazione
straordinaria, decisa con la ristrutturazione del giugno del 2012. Incontro interlocutorio su questo
fronte. Per quanto riguarda l’ulteriore acconto sul salario, invece, non avendo avuto risposte ieri i
lavoratori hanno scelto la linea dura ovvero lo sciopero: si è astenuto dal lavoro il turno pomeridiano, 4
ore, con una adesione totale (considerando che non tutti si trovano in azienda per la cassa integrazione
a rotazione). Una agitazione che potrebbe continuare: per stamattina alle 8 è prevista un’assemblea dei
lavoratori con i sindacati per decidere eventuali altre forme di mobilitazione qualora gli acconti non
siano stati versati, che non partirà se invece, per stamattina ci sarà comunicazione da parte dell’azienda
del versamento di ulteriori acconti. I lavoratori hanno scelto la linea dura, mobilitandosi in una
settimana importante per alcune consegne. Una scelta dettata anche dalla preoccupazione non solo per
il salario, ma soprattutto per il futuro dello stabilimento: nell'incontro di qualche settimana fa, infatti,
era stato annunciato che nella storica azienda avianese ci sarà lavoro per circa 40-45 dipendenti, sui
105 complessivi. Esuberi che l’azienda aveva spiegato di voler gestire con il ricorso agli
ammortizzatori sociali. Un altro elemento di forte preoccupazione per lavoratori e sindacati è la
decisione del gruppo Sassoli di trasferire alcuni macchinari da Nuova Infa allo stabilimento in Polonia,
dove il gruppo possiede un’unità produttiva: si tratta di macchinari per la realizzazione di cornici per la
Aeg. Una situazione di tensione, quindi, tra i lavoratori dell’azienda, mentre si avvicina sempre di più il
termine del 30 giugno. Donatella Schettini
Ospedale, Bordon convoca i sindacati per il 28 aprile
Il candidato sindaco del centrosinistra Franco Basso incontrerà oggi la Cittadinanza attiva mobilitata da
mesi a difesa delle residue funzioni ospedaliere sacilesi. L’appuntamento è fissato per le 18 nella sede
del Partito democratico. Un incontro importante nella campagna elettorale 2014 in quanto il suo esito
potrebbe orientare il voto il prossimo 25 aprile. Sulla questione ospedale, infatti, sinora Franco Basso si
è defilato. Una scelta che non sta suscitando entusiasmi in riva al Livenza soprattutto nell’elettorato di
sinistra e nei cittadini impegnati a fondo a difesa dell’ospedale.SACILE Arriverà lunedì 28 aprile la
sentenza per l’ospedale di Sacile. Si ha notizia, infatti, che la direzione dell’Azienda ospedaliera di
Pordenone, da cui la sede ospedaliera sacilese dipende, ha convocato per tale data le organizzazioni
sindacali dei lavoratori. In quella sede si parlerà anche, a quanto trapela, della riorganizzazione degli
ospedali di Maniago e Sacile. Ma mentre del primo si sa ormai tutto (con tanto di telenovela legata al
posticipo del riassetto e intervento sul campo del presidente regionale Debora Serracchiani e
dell’assessore alla salute Maria Sandra Telesca per spiegare ai cittadini quanto deciso riguardo alla
chiusura fissata per il 1º maggio), di Sacile per contro si ignorano quali possano essere le scelte
adottate. Per assurdo potrebbe anche non succedere nulla se si prendono per buone le dichiarazioni
rilasciate dall’assessore Telesca in occasione dell’incontro che la Cittadinanza attiva sacilese ha avuto
di recente a Udine. «Non vedo pericoli – ha dichiarato l’esponente regionale – per Sacile che ha
precorso i tempi e per questo viene additato come modello. Un modello evoluto che semmai potrà
essere aggiustato e migliorato». Nei giorni scorsi, però, è arrivata la riduzione del Servizio di
Radiologia, calata dall’alto senza informazione se non quella garantita dai mezzi di informazione. Ed
ecco allora di nuovo le barriere alzate su cui si è arrampicato anche il sindaco Roberto Ceraolo che in
occasione dell’occupazione simbolica di martedì scorso ha dichiarato apertamente: «Non mi fido».
Dopo aver sottolineato di essersi sempre battuto per l’ospedale e di aver firmato la petizione sottoscritta
da 3500 cittadini di tutto il territorio altoliventino finita nelle mani dell’assessore regionale alla salute
ilm primo cittadino ha ricordato di aver ricevuto ampie rassicurazioni nelle sedi istituzionali. «Ma io –
ha sottolineato – non mi fido. E per questo dico che sulle attività presenti nessuno è disposto a fare un
passo indietro». Dello stesso tenore le dichiarazioni dell’ex consigliere comunale Luigi Zoccolan che
coordina la Cittadinanza attiva mobilitata a difesa delle residue funzioni ospedaliere in riva al Livenza.
«Non facciamo sconti a nessuno» ha tuonato l’esponente della sinistra. La parola passa a questo punto
al direttore generale Paolo Bordon che lunedì 28 aprile, alle 14, illustrerà ai sindacati la
riorganizzazione dell’ospedale di Sacile. Non si escludono sorprese e, contrariamente alle attese, forse
anche in positivo.(m.ga.)
Domino, ribaditi i “no”. Piano salvezza a rischio
SPILIMBERGO Resta il muro dei 9 dei 109 lavoratori di Domino che non hanno firmato gli accordi di
conciliazione individuale e c’è il rischio concreto che l’operazione di affitto salti. Senza l’avvio della
new company, non ci sarà la proroga di sei mesi della cassa integrazione. Le negoziazioni sono in corso
e la fase di stallo che l’azienda sta attraversando è molto delicata: l’operazione d’affitto dovrà chiudersi
martedì, data in cui scadrà anche il termine per rilasciare le garanzie, pari a 480 mila euro, su cui la
cordata Omd telcom-Carton si è impegnata. L’affittuario non ha ancora provveduto all’adempimento,
ma, come ha chiarito il commissario Paolo Fabris, «questo non deve essere letto come un disimpegno,
in quanto non sono scaduti i dieci giorni entro cui le garanzie devono essere concretizzate. In poche
parole, entro martedì si devono realizzare due condizioni perché l’affitto possa iniziare ed essere
definito l’iter per la cassa al ministero del Lavoro: in primis il rilascio delle succitate garanzie, nonché
l’assenso dei lavoratori all’operazione». A questo, insomma, è appesa la salvezza dell’impresa di
Spilimbergo. Sono giorni decisivi, come è stato messo in luce pure nell’incontro di ieri, tra cordata,
Domino, organizzazioni sindacali e commissario. Anche oggi la newco incontrerà i lavoratori che non
hanno sottoscritto i verbali di conciliazione, per capire se possa essere ridimensionata la loro resistenza.
Questi addetti, nel caso in cui sussistessero le condizioni, potrebbero fare causa all’azienda. Spetterà
quindi a quest’ultima valutare se procedere ugualmente, dando vita alla new company Albatros srl, o
abbandonare. Di fatto, il piano industriale della cordata non aveva convinto i lavoratori sin dall’inizio:
76 esuberi erano stati giudicati troppi. Il sindacato era riuscito a strappare qualche addetto in più
rispetto a quelli prospettati inizialmente. Secondo l’accordo, infatti, 33 addetti entreranno a far parte
della Albatros srl entro il 31 maggio, 4 entro giugno 2015 e 4 entro giugno 2016. In seguito a precise
valutazioni, che la cordata effettuerà in itinere, potrebbe comunque essere contemplata l’apertura anche
ad altri lavoratori. Questa partita è legata alla decisione di ridurre l’esternalizzazione di parte della
produzione in India e Cina, prospettata da Omd-Carton. Va, infine, ricordato che la cordata si è
impegnata all’acquisto: entro sette mesi dalla stipula del contratto d’affitto, sarà accesa una nuova asta
per la vendita di Domino. La procedura competitiva sarà avviata quindi entro novembre. Questi
comunque saranno passaggi successivi: intanto va chiusa la vertenza relativa all’affitto. Giulia Sacchi