GAZZETTINO – giovedì 6 febbraio 2014 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli ECONOMIA (pag. 2) «Popolare Cividale resterà autonoma» REGIONE (pag. 3) Fine vita, la nuova battaglia di Englaro C’era una volta l’apprendista (2 articoli) UDINE (pag. 5) «Più attenti alle piccole imprese» Senza dragaggi il porto muore PORDENONE (pag. 7) Blocco delle merci ai cancelli. Electrolux denuncia gli operai (2 articoli) Ideal, sul patto dubbi veneti «Rivediamo i contratti dei dipendenti» Onda, l’inchiesta porta anche nei paradisi fiscali (2 articoli) Ospedale, pochi dipendenti: «Emergenza in tutti i reparti» Zml, nuovi impianti per abbattere i fumi ECONOMIA «Popolare Cividale resterà autonoma» Maurizio Crema CIVIDALE DEL FRIULI - «Sono pronto a passare il testimone ma solo se sarò sicuro che non ci sarà nessuno che vorrà approfittarne per minare l’indipendenza della banca. Popolare Cividale è l’ultimo istituto friulano rimasto sul territorio e questo è un bene da tutelare a ogni costo». Lorenzo Pelizzo, 74 anni, dal 1971 è presidente della Popolare di Cividale, istituto fondato nel 1886, più di 15mila soci in un paese da 12mila abitanti che ha avuto sindaco per anni suo padre, ex senatore Dc. «Allora avevamo 4 sportelli - dice il presidente più longevo d’Italia che ha assistito al crollo del muro, alla nomina di cinque papi ed è sotto inchiesta da parte della magistratura per una storiaccia di mala finanza e affari edilizi andati a male ("ma sono estraneo completamente ai fatti che mi sono stati contestati, la mia colpa principale è essermi fidato del mio ex direttore generale, Luciano Di Bernardo") - oggi, con quello appena inaugurato nella nuova sede direzionale (costata una quarantina di milioni, ndr), arriviamo a 75». Presidente, dunque è pronto a lasciare con la prossima assemblea di aprile? Perché? «La scorsa assemblea e il consiglio d’amministrazione dell’istituto mi hanno confermato la fiducia malgrado l’inchiesta della magistratura e gli atteggiamenti di qualche socio. Ora sono in attesa della decisione dei giudici. Farei ben volentieri un passo indietro ma solo se non vedrò all’orizzonte nessuno che vorrà approfittarne. Viviamo una fase di transizione, la crisi economica morde, il bilancio 2013 dovrebbe chiudersi con una forte perdita per via dei tanti accantonamenti consigliati dalla Banca d’Italia (90 milioni solo nel primo semestre). Non ci sarà distribuzione di dividendi». Ha mai vissuto tempi peggiori? «Alla fine degli anni ’90 c’era un’altra forsennata campagna a favore delle aggregazioni. Nel Duemila stoppammo l’offerta del presidente della Vicentina, Gianni Zonin, che aveva già preso la Popolare Udinese. E ci dedicammo alle alleanze, prima con Deutsche Bank e poi col Credito Valtellinese. Oggi si vive un clima simile, con manovre di disturbo e tante voci malevole. La realtà però è ben diversa: l’ispezione della Banca d’Italia ha sancito che siamo un istituto solido, con un patrimonio di vigilanza di 300 milioni e sofferenze per 130. La stessa Banca d’Italia ci ha detto che possiamo andare avanti da soli». Tra i possibili pretendenti alla sua presidenza si parla di Luigi de Puppi, l’ex leader di FriulAdria, Ad di Benetton e Toro Assicurazioni... «Lo conosco personalmente diciamo fin da bambino (de Puppi ha quasi 72 anni, ndr), lo stimo e lo apprezzo. L’ho iscritto nella rosa dei nomi che tengo aggiornata per fare delle proposte al cda». Gli altri nomi della sua rosa? «Preferisco non farne. La questione fondamentale è che chiunque verrà eletto difenda l’indipendenza della nostra banca. Oggi più che mai necessaria: anche la Cassa di risparmio di Udine e Pordenone, che fa parte già del gruppo Intesa, rischia di essere fusa in Cassa del Veneto. Il Friuli, le nostre piccole e medie imprese, le famiglie, hanno bisogno di un istituto autonomo. L’Electrolux è solo il caso più eclatante, la nostra regione rischia di tornare a essere marginale e la politica non ha ancora preso coscienza della crisi attuale ». La Banca d’Italia però raccomanda aggregazioni a istituti anche molto più grandi del vostro come Veneto Banca. Come può una piccola Popolare confrontarsi con la concorrenza attuale? «Crescendo in maniera equilibrata, senza avventure. Attuando sinergie mirate con il resto del sistema delle Popolari, il Credito Valtellinese resta per esempio un nostro socio importante con l’1% del capitale. Sviluppando nuovi settori come la green economy o aiutando le imprese, per esempio quelle agroalimentari, a internazionalizzarsi. Il piano industriale triennale prevede uno sviluppo attento e misurato, meno impieghi (che comunque sono scesi solo dell’1,33% contro un - 3,93% del sistema e un - 3,05% del Nordest) e più raccolta». Teme sempre l’offerta mirabolante dall’estero? O è più tangibile il pericolo è che vi compri qualche altra banca italiana? «Mi sembra che tutto il sistema del credito italiano stia vivendo un momento difficile e anche dall’estero non vedo grandi manovre. E lo dice uno che ha trattato a suo tempo in prima persona con la Deutsche Bank. Non vedo banche pronte a pagare le nostre azioni al giusto valore». REGIONE Fine vita, la nuova battaglia di Englaro David Zanirato Una nuova «battaglia di libertà», che parte ancora una volta da Udine. Beppino Englaro, a cinque anni di distanza dalla scomparsa della sua Eluana, non ha voluto mancare alla presentazione ufficiale delle oltre 5mila firme raccolte in Friuli Venezia Giulia per chiedere alla Regione di istituire il registro regionale delle Dat (dichiarazioni anticipate di trattamento) da pianificare su base informatica tramite le strutture sanitarie regionali pubbliche e convenzionate, con conseguente accesso ai dati personali mediante la Carta regionale dei servizi, ovvero la tessera sanitaria. «Un registro regionale dei testamenti biologici sarebbe un nuovo passo importante nella direzione di poter agire in tempi reali quando si è nella situazione di non poter intendere e volere» ha spiegato Englaro, aggiungendo poi che così il cittadino si sentirebbe veramente tutelato: «L'opinione pubblica è bene informata e non vuole più trovarsi scoperta in questa situazione, com'è accaduto a Eluana». Ad affiancarlo in questa campagna il primario Amato De Monte, colui che con il suo staff seguì gli ultimi giorni di Eluana alla clinica La Quiete di Udine nel febbraio 2009, applicando il decreto della Corte d'Appello di Milano, in base al quale si autorizzava la disattivazione della nutrizione artificiale alla donna in stato vegetativo da più di 17 anni. «L'obiettivo - ha spiegato il medico anestesista, vicepresidente dell'associazione "Per Eluana" - è scrivere sulla tessera sanitaria regionale elettronica il fatto che una persona ha depositato il testamento biologico presso il proprio Comune o notaio e far sì che le strutture sanitarie possano disporre subito di queste informazioni». Del resto già il 40% della popolazione regionale ha la possibilità di rilasciare presso i Comuni di residenza le proprie Dat. «Uno strumento per garantire la libertà di tutti - ha aggiunto De Monte - sia nel senso della sospensione dei trattamenti e delle terapie, sia nel senso del loro mantenimento. Un diritto alla scelta inserito nella Carta costituzionale che deve essere garantito anche a chi non è in grado di intendere e di volere». Ora il Consiglio regionale presieduto da Franco Iacop, depositario da ieri delle firme, dovrà decidere se trasformare la petizione in un provvedimento, come ha fatto di recente la Provincia autonoma di Trento che attiverà un registro regionale la prossima primavera, gestito dalle aziende sanitarie con metodologia informatica, o ancora la Regione Toscana nella quale l'iter è in corso. La petizione, sostenuta tra l'altro dai consiglieri regionali Stefano Pustetto (Sel) e Renzo Liva (Pd), sarà passata alle commissioni consiliari competenti per incardinarne l'iter. Apprezzamento per l'iniziativa dal sindaco di Udine, Furio Honsell: «Sono lieto che il percorso di civiltà iniziato a Udine offrendo ci cittadini, con l'ordine provinciale dei notai, il servizio di raccolta del testamento in vita, possa proseguire ora anche in Consiglio regionale». Nella giornata di domenica, a cinque anni esatti da quel 9 febbraio 2009, su iniziativa del fratello di Beppino, Armando, nel Duomo di Paluzza in Carnia (dove la donna è sepolta), alle ore 18, verrà celebrata una nuova messa in suffragio di Eluana. C’era una volta l’apprendista Riccardo De Toma Continua a precipitare l’occupazione giovanile, e crolla anche l’apprendistato. Colpito non soltanto dalla crisi, ma anche dalla diffusione dei contratti atipici, divenuti ormai, a dispetto della definizione, lo strumento più tipico per l’ingresso nel mondo del lavoro. IL LAVORO INVECCHIA. La caduta dell’apprendistato è solo un aspetto di un fenomeno più ampio e ormai noto a tutti, anche se poco approfondito nei numeri. Se è di percezione comune che il tasso di disoccupazione giovanile abbia superato il 40% in Italia e il 30% in Fvg, forse non tutti sanno che si tratta del dato riferito alla fascia 15-24 anni. Tra i 25 e i 34 siamo attorno al 10%, contro un dato complessivo del 7,5%, ma questo non attenua la portata dell’allarme. Le medie relative alle fasce di età, infatti, sono ferme allla fine del 2012, e nel 2013 la situazione è continuata a peggiorare: nella prima metà dell’anno (ancora non note le cifre del secondo semestre) hanno fatto segnare una flessione media dell’8%, tra gli under 30, risultando invece stabili nella fascia 30-55 anni e addirittura in aumento (+5% nel 2° trimestre) tra gli over 55. Segno che la riforma Fornero, se da un lato ha effetti di cassa positivi sui conti dell’Inps, dall’altro sta aggravando l’emergenza occupazione. APPRENDISTATO SGONFIO. Tra gli specchi di questo corto circuito che colpisce i giovani, come detto, la caduta libera dell’apprendistato. Se già prima della crisi lo strumento mostrava la corda, soprattutto per la bassa percentuale di conversione (circa un contratto su 6) in rapporti a tempo indeterminato alla fine del percorso professionalizzante, a testimoniare lo scarso feeling con l’apprendistato adesso c’è anche il crollo dei contratti: dagli 8.700 avviamenti del 2008 siamo scesi ai 5.300 del 2012, quasi il 40% in meno, e un’analoga flessione, ovviamente, si registra sul numero complessivo dei rapporti in essere, scesi dai 13.500 del 2008 ai poco più di 9mila del 2012. E nel 2013 la tendenza appariva ancora al ribasso (-5,3% nei primi due trimestri). Il lieve aumento delle percentuali di conversione in contratti stabili (salite dal 15% pre-crisi all’attuale 20%) non basta a compensare la flessione di uno strumento che resta del tutto residuale, in un mercato del lavoro dove l’apprendistato rappresenta solo il 2,9% delle assunzioni, contro il 20% dei contratti atipici. Appena il 10% delle assunzioni è a tempo indeterminato UDINE - (rdt) Calano gli occupati, 25mila in meno tra il 2008 e il 2012, ma non solo: l’altro effetto della crisi è una costante precarizzazione del lavoro. Più di un’assunzione su due, in Fvg, avviene infatti con contratto a termine, con una quota pari al 51% del totale degli ingressi, mentre il vecchio, caro lavoro a tempo indeterminato è sceso a una quota davvero minima, pari soltanto al 10% delle assunzioni. Nettamente più diffuso il lavoro somministrato (17%), cioè le assunzioni attraverso agenzia interinale, e i vari contratti atipici, parasubordinati o intermittenti, che sommati al lavoro domestico rappresentano ormai esattamente un quinto della torta, cioè il 20%. Residuale l’apporto dell’apprendistato, con una quota che non arriva al 3% dei movimenti di assunzione. Impressionante il confronto con la situazione pre-crisi: rispetto al 2008, infatti, il numero di contratti a tempo indeterminato è sceso del 67%, riducendosi in sostanza a un terzo: nel 2013 circa 24mila assunzioni, contro le 92mila a tempo determinato (doppioni compresi, ovviamente). Pesantissima la flessione anche per l’apprendistato, che rispetto al 2008 ha registrato un calo di circa 40 punti. UDINE «Più attenti alle piccole imprese» Andrea Valcic UDINE - Appare logico che i riflettori siano puntati sulla crisi dei grandi gruppi industriali, vuoi per la potenza degli stessi vuoi per il numero delle persone occupate direttamente o indirettamente da quelle aziende. Ancor di più se si tratta di multinazionali che decidono il futuro delle loro fabbriche come uno scacchiere internazionale. È sicuramente il caso dell’Electrolux e dei suoi stabilimento italiani, compreso quello friulano di Porcia. Sul caso della sede pordenonese l’attenzione è stata sin dall’inizio massima, tanto che più volte la presidente Serracchiani ha chiesto l’intervento diretto del governo e dello stesso Letta. Questo focalizzare gli sforzi sulle grandi imprese comporta però un rischio non indifferente per il Friuli che fonda la sua base industriale e produttiva su una realtà formata da migliaia di piccole imprese in tutti i comparti. Di una visione che potrebbe tralasciare questo versante fondamentale se ne fa interprete il presidente di Unioncamere del FVG, Giovanni Da Pozzo che, partendo proprio da questi presupposti, chiede una maggior attenzione verso queste realtà. « Migliaia di piccole aziende- spiega il presidentestanno fronteggiando enormi difficoltà. Soprattutto quelle che operano sul mercato interno, e sono la maggior parte, si trovano a convivere con una complessità di problemi, di mercato, di credito, di burocrazia, di asfissia fiscale, che portano troppi imprenditori a chiudere e fanno desistere tanti giovani dall’aprire un’attività economica. Gli investimenti importanti di denaro pubblico verso le principali situazioni di crisi, che pur restano fortemente preoccupanti, non devono trascurare questa miriade di micro imprese e Pmi che, aggregate nei numeri, sia in termini occupazionali sia di produzione e partecipazione al Pil, nulla hanno di meno di quelle realtà che ampiamente e giustamente vengono portate quotidianamente all'attenzione dei massimi livelli politici e dell’opinione pubblica». Da qui un appello alla politica regionale: «Oltre a intervenire giustamente sulle gravi situazioni di crisi industriali, anche se, nel caso di Electrolux, più che di crisi industriale sarebbe il caso di parlare di riposizionamento strategico ed economico della proprietà, è necessario- sottolinea ancora Da Pozzomettere al centro quella piccolissima, piccola e media impresa che non abbandona il proprio territorio, che con le proprie maestranze, dipendenti e collaboratori vive molte volte un rapporto di familiarità e attaccamento reciproco». Senza dragaggi il porto muore Paola Treppo Parte con un grave segno meno il movimento 2014 delle merci nel porto canale di San Giorgio. I primi 30 giorni del nuovo anno, infatti, non evidenziano alcun accenno di ripresa sul fronte traffico via mare da e per la Ziac della Bassa Friulana, un tempo area strategica non solo per le aziende insediate nel polo industriale dell'Aussa Corno, ma anche per quelle attive nell'Udinese. A denunciarlo è Ernesto Milan, presidente dell'impresa portuale "Porto Nogaro", che punta il dito contro la Regione: «Per settimane siamo stati rassicurati circa l'avvio dei dragaggi del Corno, che non vengono effettuati come si deve ormai dal 1995-1996 - dice -; si parlava di un intervento da eseguire, finalmente, entro la fine dello scorso mese di gennaio. Ma qui non si è mosso alcunché e di draghe non se ne vedono». Il problema è legato alle normative che, di fatto, non danno indicazioni certe in merito a dove gettare i fanghi una volta asportarti dal fondale. «Il risultato di questa situazione di stallo, ormai cronica, è un pauroso calo di movimentazione merci, dovuto solo in minima parte alla crisi. Nel 2014 abbiamo subito gli effetti della chiusura della Palini&Bertoli ma il nodo resta il pescaggio limitato che dirotta i movimenti su Monfalcone e in particolare sul porto estero di Capodistria. Se andiamo avanti così assisteremo inevitabilmente al declino del porto-canale di San Giorgio». I dati parlano chiaro: nel 2013, rispetto all'anno precedente, l'impresa ha registrato un meno 37%: «Un calo drastico con migliaia di tonnellate in meno di merce in uscita e in entrata - dice Milan -. Se è vero che la Vetreria Sangalli e l'Oleificio San Giorgio non sono ancora entrati a pieno regime come produzione, è altrettanto vero che se i dragaggi non saranno effettuati subito, nel corso del 2014 il traffico via mare potrebbe ridursi ulteriormente, con la stessa gravità registrata nel 2013». Il declassamento da 7 a 6 metri di pescaggio è del 2004. Da allora un gran numero di navi non ha potuto fare ingresso in porto: «È stato l'inizio di questa crisi senza fine». Dello stesso avviso il sindaco di San Giorgio, Pietro Del Frate, che chiede alla Regione di attivare immediatamente un sistema di trasporto merci alternativo che prevede l'utilizzo di chiatte, adatte anche a fondali bassi: «Soluzione tampone - dice il primo cittadino - in attesa dell'avvio, urgentissimo e inderogabile, dei dragaggi». L'istanza è contenuta in un documento sottoscritto anche dalle associazioni sindacali e di categoria. PORDENONE Blocco delle merci ai cancelli. Electrolux denuncia gli operai Davide Lisetto "Perdurando l’illegittimo blocco ai cancelli dello stabilimento e l’impedimento alla fuoriuscita dei mezzi caricati con il prodotto finito e destinato alle immissioni sul mercato, ci vedremo costretti a intraprendere ogni più opportuna iniziativa, anche giudiziaria, a tutela della società". La lettera inviata ieri sera da Electrolux alle Rsu delle fabbriche e al sindacato dei metalmeccanici è stringata, ma perentoria. E non lascia molte interpretazioni. La multinazionale "gentile" (per la lunga tradizione di buone relazioni sindacali e i codici etici che si era data) sta mostrando un’altra faccia. Rispetto ai blocchi ai cancelli che impediscono la fuoriuscita dei Tir ha deciso di passare alle maniere forti. E se i picchetti per fermare i camion continueranno farà partire le denunce dei lavoratori. A Porcia i dipendenti sono all’ottavo giorno di presidio continuo: al blocco oltre a operai e impiegati partecipano anche i capilinea e i capiturno. E la decisione della società (proprio mentre la presidente Serracchinai riferiva al Senato sul caso Electrolux) ha fatto salire ulteriormente la tensione. Gli operai non hanno intenzione di mollare: «Noi staremo qui a difendere la nostra fabbrica», sono state le prime reazioni a caldo dei tanti che si trovavano in serata davanti alla fabbrica. Questa mattina ci saranno le assemblee: bisognerà decidere come proseguire nella protesta e come continuare a mantenere il presidio. Il giorno prima l’azienda aveva lanciato un messaggio chiaro con l’intento di fare desistere gli operai dalla linea dura. Aveva infatti comunicato l’impossibilità di continuare a immagazzinare le troppe lavatrici (quasi 40 mila) che si stanno accumulando sostenendo la necessità di interrompere la produzione e mandare i lavoratori a casa senza stipendio. Nelle ultime ore il blocco delle merci era scattato anche negli stabilimenti di Forlì e di Solaro (Milano). Mentre a Susegana l’azione di stop prosegue da qualche giorno. Ma la situazione più difficile è proprio quella di Porcia. Dove gli operai stanno presidiando - sia i cancelli sia il raccordo ferroviario interno - da otto giorni. Ma pare che la determinazione a proseguire non venga meno. Oggi le decisioni in assemblea. L’impresa cerca il patto con Regione e fornitori PORCIA - La svolta di Electrolux sul piano industriale per Porcia ha aperto un nuovo scenario per il futuro dello stabilimento. L’azienda ha annunciato - usando anche una dose di tattica e facendo retromarcia anche sulle sei ore - un progetto industriale anche per la fabbrica pordenonese. Cosa che non aveva fatto solo qualche giorno fa quando aveva illustrato le strategie per gli altri tre stabilimenti. Nel vertice ministeriale, il 17 febbraio, Electrolux dovrà spiegare quale sarà la strategia per Porcia. Nel documento diffuso lunedì sera, al punto che riguarda Porcia, ci sono due "messaggi" evidenti. Il piano industriale per Porcia non potrà non passare per le risorse che la Regione (nel piano Rilancimpresa ci sono 98 milioni di euro) potrà mettere "in tempo utile nei calcoli aziendali - precisa l’azienda - di contenimento del costo del prodotto". Come dire: l’impresa potrebbe essere disposta a valutare la possibilità di mantenere a Porcia investendo sulla nuova piattaforma per il futuro modello di lavatrice "Project One" (ora in ballo con Olawa) anche sulla base degli eventuali incentivi all’innovazione di prodotto che la Regione metterà in campo. Una leva che modificherebbe quel "delta" di costo tra Porcia e la fabbrica polacca. Inoltre nel piano industriale potrebbe avere un peso rilevante anche il piano di Unindustria («se avrà successo», precisa la multinazionale svedese nel documento) che potrebbe portare effetti anche indiretti sull’abbattimento del costo sul prodotto se applicato "anche al sistema delle forniture". Se il piano di riduzione del costo del lavoro rientrasse in una sorta di patto fornitoriElectrolux si potrebbero ottenere abbattimenti dei costi tali da poter raggiungere quel risparmio del 1015 per cento (di costo del lavoro sul costo del prodotto) che l’azienda indica come "necessario a garantire la sostenibilità del settore". Ed è proprio sulla "filiera" e sulla rete dei fornitori che si sta lavorando. È su questi punti che il piano potrebbe fare leva. Non tanto sul trasferimento di produzioni dell’alto di gamma: a Porcia l’alto di gamma già si produce in buona parte. Anche se - secondo alcune fonti vicine all’azienda - ci sarebbe ancora qualche margine: piccole quantità di volumi di produzione con marchio AeG finite in Polonia potrebbero essere dirottate a Porcia. Ma la via maestra per un possibile piano resta quella di sviluppare a Porcia i nuovi prodotti ad alto valore aggiunto. Fermo restando che la fabbrica non può scendere sotto un livello di volumi che si aggirerebbe sul milione e 200 mila pezzi (con relativa occupazione) senza correre il rischio di generare diseconomie. Altro elemento è quello legato all’orario e agli ammortizzatori: la proroga del contratto di solidarietà con orario di lavoro giornaliero "6+2" potrebbe consentire la prosecuzione dell'attività a Porcia. «Ma noi su questo - ha detto ieri l’ad Ernesto Ferrario - vogliamo prima vedere la proposta esatta dei sindacati e del Governo». D.L. Ideal, sul patto dubbi veneti Davide Lisetto Cassa in deroga per i lavoratori Ideal Standard: la speranza è che lunedì 10 al ministero del Lavoro si firmi finalmente il provvedimento. Ma le preoccupazione dei 450 dipendenti di Orcenico (che senza il provvedimento rischiano l’immediato licenziamento) non sono del tutto rientrate. Il "veto" del Veneto potrebbe infatti fare saltare il tavolo: in quel caso la strada del licenziamento sarebbe segnata. Ma qual è la questione dirimente? Esattamente quella che ha fatto saltare la firma della cassa lo scorso 13 gennaio. Sulla fabbrica di Trichiana l’assessore veneto Elena Donazzan insiste: «È necessario che si proceda con quanto previsto dal piano industriale di Ideal Standard, cioé che volumi produttivi e impianti di Orcenico vengano trasferiti in Veneto. Va poi velocizzata la verifica sull’ipotesi dell’acquirente sul quale non c’è ancora certezza». Non c’è una pregiudiziale a firmare la cassa e a partecipare all’incontro romano di lunedì. Ma dal Veneto il messaggio è chiaro: va applicato quanto previsto dal piano aziendale (è del luglio dell’anno scorso) e quindi deve esserci il "trasloco" da Orcenico. A Pordenone e in Regione però non la pensano proprio così. E si teme che il "veto" veneto in qualche modo possa compromettere il primo passaggio, cioé la firma della cassa. «Quell’accordo - precisa il sindacato di categoria provinciale - basato sul piano industriale del luglio scorso è stato superato dalla presenza di un acquirente che ha avviato le trattative con la società per l’eventuale acquisto. La cassa serve proprio a questo e lo scenario è cambiato. Finché non ci sarà il piano industriale dell’acquirente e non si capirà esattamente quali impianti saranno necessari e che tipo di produzione e con quanti organici non saranno possibili le scelte successive legate ai trasferimenti di linee e volumi nel sito bellunese». Come dire: lo stabilimento di Orcenico non può essere messo in vendita vuoto. È determinante conoscere quali saranno le necessità del compratore (l’interessato l’imprenditore Stefano Boccalon con una società tedesca alle spalle) per poi decidere quali impianti trasferire. In ogni caso nell’ultimo vertice al Mise del dicembre scorso Ideal Standard aveva cercato di sciogliere questo nodo con l’impegno ad acquistare tutte le linee produttive di cui Trichiana avesse bisogno. Basterà al sindacato e alla Regione come garanzia? Finora sembra di no. Per questo a Orcenico resta la preoccupazione. Che potrebbe trasformarsi immediatamente in nuove tensioni. E non è un caso se solo tre giorni fa il prefetto Pierfrancesco Galante, dopo aver mediato per togliere il blocco merci, ha inviato un nuovo appello scritto a tutte le parti in causa affinché lunedì si firmi la cassa in deroga. «Rivediamo i contratti dei dipendenti» Valentina Silvestrini Ridotti al limite delle forze, afflitti da burocrazia e da una pressione fiscale devastanti: i commercianti non ne possono più. «Sembra che a risolvere tutti i problemi finanziari di Stato, Regione e Comuni, ci debbano pensare solo i commercianti» denunciano Maurizio Fioretti e Alberto Marchiori, rispettivamente presidente del comparto Abbigliamento e presidente dell'Ascom di Pordenone. Un'asfissia che ancora una volta trova conferma nei dati: «Proveniamo da una stagione di saldi negativa», ha spiegato Fioretti. Pordenone con le sue 22mila imprese attive (stando ai dati Istat, sebbene il dato differisca di qualche migliaio di unità rispetto a quello Unioncamere), è la provincia italiana col maggior numero di fallimenti, pari al 5,9%. Eppure «un po’ di voce in capitolo ce l'abbiamo, visto che il terziario nella nostra provincia produce il 65% del Pil, che a questo settore afferiscono oltre il 70% delle imprese e cioè il 42% nei servizi, il 14% nel turismo, il 24% del commercio, che danno lavoro al 45% degli occupati», ha aggiunto ieri Massimo Giordano, direttore di Ascom, nel presentare lo scenario economico territoriale. Alla pressione fiscale si aggiunge il peso del costo del lavoro, tema caldo non solo nel settore industriale. Tanto che Marchiori ha colto l'occasione per lanciare una proposta di lavoro proprio ai sindacati, a iniziare da una rimodulazione dei contratti che comprenda anche l'abbattimento dei giorni di ferie e dei permessi: «I nostri stessi dipendenti non riescono ad esaurirli. Così come sono formulati sono svantaggiosi sia per l'impresa che per i lavoratori». «Scenderemo in piazza a Roma il 18 febbraio partecipando alla manifestazione di Rete Imprese Italia. Lo faremo per tutte quelle artigiane e del commercio, che ogni giorno chiudono, così come per i lavoratori di Electrolux e di Ideal Standard - ha aggiunto Marchiori - Oggi le perle della nostra imprenditoria vengono acquistate e poi esportate. Protestiamo per difendere l'economia intera del territorio». Quello dell'Ascom è un manifesto di protesta, soprattutto contro l'alibi Europa per nascondere l'incapacità di tagliare gli sprechi, «stufi di un sistema di polizia e controlli che impedisce il lavoro». Proprio in riferimento agli esiti pubblicati ieri relativi alle ispezioni della Guardia di Finanza ,che su oltre 4000 controlli degli scontrini in provincia ha verificato oltre 500 violazioni, i rappresentanti dell'Ascom replicano: «Noi paghiamo le tasse in base agli studi di settore. Non emettere lo scontrino è controproducente e si tratta comunque di un dato irrisorio. Questi controlli sono solo un ulteriore strumento punitivo». Onda, l’inchiesta porta anche nei paradisi fiscali Cristina Antonutti Una verifica fiscale ordinaria, cominciata negli uffici della Onda Communication di Roveredo in Piano nel dicembre 2011, avrebbe scoperchiato una presunta frode fiscale che ha portato il Nucleo di polizia tributaria a occuparsi anche di società che hanno sede in paradisi fiscali come Panama o Isole Vergini. Lo schema sarebbe quello delle società cartiera, scatole vuote usate per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Venticinque - tra cui il presidente di Unindustria Michelangelo Agrusti, manager e prestanome - sono le persone iscritte sul registro degli indagati. Le indagini del pm Annita Sorti non sono chiuse, ma il sequestro per equivalente ottenuto dal gip Piera Binotto ha segnato un passaggio importante nell’inchiesta. Su un’imponibile di 25 milioni di euro, relativo alle annualità 2010 e 2011, sarebbe stata evasa Iva per 2 milioni 470 mila euro (1,9 milioni nel 2010 e 565 mila nel 2011). In questi casi la sanzione sull’Iva evasa è pari al 100%, quindi la cifra è lievitata enormemente. La Procura come hanno spiegato ieri il procuratore Marco Martani e il colonnello della Finanza, Fulvio Bernabei ha ottenuto il congelamento della somma che spetterebbe al Fisco. Gli inquirenti avevano chiamato a rispondere 10 persone, ma il giudice dell’indagine preliminare ha accolto il sequestro solo per sei. Fino a 4 milioni 940 mila euro sono stati sequestrati beni: ad Agrusti in qualità di presidente del Cda di Onda e per aver firmato le dichiarazioni dei redditi 2010 e 2011; all’ex amministratore delegato di Onda, Giuseppe D’Anna di Trieste; all’ex direttore commerciale e generale Renato Tomasini di Trieste; agli ex consiglieri Sergio Vicari di Cittaducale (limitatamente a 1,9 milioni) e Giorgio Costacurta di Pordenone; infine, all’impiegato dell’ufficio vendite Giuseppe Zacchigna di Monfalcone. Sotto sequestro ai fini della confisca (provvedimento di natura temporanea che, come ha evidenziato il procuratore, è soggetto al riesame) ci sono sei terreni, 19 abitazioni (tra cui due ville), tre auto, tre moto (tra cui due Harley Davidson), depositi bancari e azioni per circa 1,5 milioni di euro. Per raggiungere la presunta somma evasa devono essere individuati ancora beni per 1,5 milioni. Il sequestro è in solido, basta che a garantire la somma sia uno dei destinatari del provvedimento. L’ipotesi di accusa riguarda il giro di fatture false. Secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza, Onda Communication, fornitrice dei maggiori operatori telefonici nazionali e fallita dopo un sofferto concordato preventivo lo scorso novembre, avrebbe acquistato da società cartiere materiali informatici e di telefonia per poi cederli a società comunitarie ed extracomunitarie pagando l’Iva solo per gli acquisti da società italiane. «Per dare una parvenza di legittimità - ha spiegato il colonnello Bernabei avrebbe pagato i fornitori che avrebbero a girato il denaro a società di diritto svizzere, quest’ultime avrebbero versato le somme a una società delle Isole Vergini su conti correnti di Lugano. La stessa somma sarebbe stata poi versata a una cartiera - la Grifone, da cui prende il nome l’operazione - che acquistava a sua volta da Onda. Alla fine del "carosello" l’Iva sarebbe rimasta nelle Isole Vergini. Il legame tra Onda Communication e le Isole Vergini sarebbe costituito, secondo l’accusa, dalla Kermari Sa. Si tratta di una società lussemburghese che detiene l’80% di Onda e a sua volta posseduta da due fiduciarie, la panamense Daedalus Overseas inc con sede a Panama (50%) e la Bright Global sa delle Isole Vergini (50%). Il restante 20% di Onda è costituito per poco più del 10% dala finanziaria regionale Friulia, il restante da altri imprenditori locali. Agrusti: «Sono fantasie, ma ora indagate in fretta» PORDENONE - Colpito al cuore. Michelangelo Agrusti, alle prese con le drammatiche crisi di Electrolux e Ideal Standard nelle vesti di presidente di Unindustria, fa fatica a raccapezzarsi tra i meandri di un’inchiesta di cui si conosce ancora poco, perchè le carte sono ancora coperte dal segreto istruttorio e non è stato notificato il decreto di conclusione delle indagini preliminari. «Ho firmato sulla fiducia, un atto dovuto. Io le tasse e l’Iva le ho sempre pagate in Italia», dice riferendosi alle denunce dei redditi siglate in un periodo di interregno, prima della nomina ad amministratore delegato di Giuseppe D’Anna, ex finanziere di origine siciliana. Il suo difensore, Bruno Malattia, pur rispettando il lavoro di Procura e Fiamme Gialle, punta l’indice contro il clamore mediatico dato a un’ipotesi accusatoria «ancora tutta da dimostrare». «Il sequestro preventivo che è stato ottenuto - scrive in una nota diffusa ieri sera - è un provvedimento cautelare che può essere adottato e reggersi solo sull'astratta possibilità che un fatto attribuito a una persona rientri in una determinata ipotesi di reato. Nulla di più. Michelangelo Agrusti, che respinge con forza ogni accusa e rivendica la correttezza del suo operato, chiede che la Procura proceda con sollecitudine agli adempimenti necessari per giungere ad una verifica dei fatti in contraddittorio tra accusa e difesa. Si vedrà solo allora quale sia la verità». Malattia interviene anche con precisazioni sulle società che porterebbero a pensare a operazioni in paradisi fiscali. «Per adesso basterà rilevare come sia del tutto fantasiosa e tale da creare un discredito indebito l’affermazione che la società lussemburghese Kermari, che controllava Onda Communication, appartenesse a una società panamense e a una società delle Isole Vergini. Non è così. Errare è umano. Ciascuno di noi può sbagliare, anche la Guardia di Finanza e la Procura. Quello che non può essere accettato è che la presunzione di colpevolezza abbia la meglio su uno dei cardini della nostra democrazia e del nostro vivere civile che è costituito dalla presunzione di innocenza. Il buongiorno in questo caso non si vede dal mattino». Lo stesso Agrusti assicura di essere in grado di far chiarezza sulla Kermari, società lussemburghese acquisita attraverso uno studio legale pordenonese, un capitale sociale di 300 mila euro (tra gli azionisti nomi di spicco a livello regionale), poi chiusa e portata in Italia. «Non escludo - afferma Agrusti - che le società a cui si riferisce la Finanza avessero a che fare con il precedente proprietario». Ha invece già fatto ricorso al Tribunale del Riesame il legale del pordenonese Giorgio Costacurta. E sta per essere depositata un’istanza anche per Sergio Vicari, che con Agrusti fondò Onda Communication. È coinvolto per operazioni fatte nell’arco di tre mesi, nel 2011, prima di uscire dalla società. «Mi sento di oppormi a questo sequestro - afferma il suo avvocato, Francesco Santini - Vicari lo ritiene illegittimo. È coinvolto nell’indagine in qualità di consigliere con delega alla ricerca e sviluppo. Era un tecnico del prodotto, non conosce le operazioni contestate. Non era il suo ruolo». C.A. Ospedale, pochi dipendenti: «Emergenza in tutti i reparti» Loris Del Frate L’allarme lo lanciano le organizzazioni sindacali: oramai è emergenza personale in tutti i reparti del Santa Maria degli Angeli e delle altre strutture degli Ospedali riuniti. Servizi in sofferenza, problemi a garantire i turni di riposo, appesantimento dei tempi di attesa perchè non è possibile garantire gli stessi volumi con meno gente al lavoro. «Una emergenza continua - spiega Pierluigi Benvenuto della Cgil - che oramai sta interessando tutti i reparti e sta mettendo in grossa difficoltà l’operatività di diversi Servizi. A questa situazione già di fatto compromessa c’è da aggiungere che ci sono almeno una quarantina di interinali ai quali scade il contratto ad aprile. Diversi di loro mandano avanti interi servizi, sia sul fronte amministrativo che su quello sanitario. Senza di loro ci sarebbero grossissimi problemi di gestione. Eppure - conclude - l’azienda ha garantito la loro presenza sino alla fine di aprile, poi sarà tutto da vedere. In queste condizioni è praticamente impossibile mantenere qualità e quantità di prestazioni. C’è la necessità di intervenire in tempi brevi». Non a caso l’altro giorno i rappresentanti degli infermieri hanno fatto un incontro con i vertici aziendali per far presente le situazioni ad alta criticità. Area dell’emergenza, chirurgie, ma anche medicine e riabilitazione sono in sofferenza. Secondo il piano aziendale sottoscritto dal direttore Paolo Bordon il Santa Maria degli Angeli avrebbe allo stato una carenza di almeno 29 posti. «A nostro avviso - spiega invece il rappresentante della Cgil - sono molti di più. Forse arriviamo vicini ai cinquanta». Non nega le criticità il direttore. «Sappiamo che ci sono problemi, ma sappiamo anche che i vincoli posti sono rigidissimi: mantenere gli stessi livelli con meno soldi e meno personale è difficilissimo, ma è quello che cerchiamo di fare. Per quanto ci riguarda - conclude - abbiamo appena bandito un concorso per l’assunzione a tempo determinato di infermieri, ma ci candidiamo a realizzare il bando per l’intera area vasta in modo da avere una lista dalla quale pescare per garantire l’operatività». Ieri a Pordenone c’era l’assessore regionale alla Salute, Maria Sandra Telesca. Zml, nuovi impianti per abbattere i fumi MANIAGO - «Vogliamo lavorare, ma in sicurezza e garantendo agli addetti la massima tranquillità, sia professionale, sia personale, sotto il profilo della tutela della salute»: lo ha affermato Roberto Zaami, segretario provinciale della Uil, in relazione alla situazione che si sta verificando, da qualche tempo, alla Zml di Maniago, nella quale la presenza ripetuta di fumi nelle fasi di lavorazione della ghisa ha allarmato le maestranze, che hanno sollecitato verifiche, magari col coinvolgimento e le specifiche misurazioni dell'Azienda sanitaria. «Dopo l'episodio di martedì - ha aggiunto Zaami - va dato atto all'azienda di aver immediatamente convocato un tavolo di concertazione per condividere azioni che possano scongiurare il ripetersi del problema, quanto meno con la medesima preoccupante cadenza degli ultimi giorni. La presenza di fumi - ha spiegato il rappresentante sindacale - deriva dal processo di scorificazione della bocca dei forni. In pratica, per dare corso ad una maggior produzione dell'attività di fusione, sono stati fatti degli investimenti che hanno incrementato tale capacità. Ora serve l'utilizzo di risorse significative anche per l'adeguamento degli impianti di ventilazione». Già pronto un nuovo summit, durante il quale Zml darà il cronoprogramma degli investimenti e dell'installazione delle idonee apparecchiature: si terrà il prossimo 20 febbraio. «Attendiamo quella data con ansia - hanno aggiunto le rsu aziendali, che martedì avevano segnalato il disagio -: ormai lavoriamo con le mascherine tutto il giorno e temiamo per il livello di inquinamento che si è notevolamente innalzato. Lavorare in questo periodo storico è diventata quasi una fortuna, ma non possiamo abdicare al farlo in condizioni di totale sicurezza. Servono adeguate cappe aspiranti, perché in certe ore il fumo diviene asfissiante e non vogliamo più essere costretti, come 48 ore fa, ad uscire dalla fabbrica per scappare da quel concentrato di polveri». L.P.
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