GAZZETTINO – giovedì 6 febbraio 2014 Indice articoli

GAZZETTINO – giovedì 6 febbraio 2014
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal
sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
ECONOMIA (pag. 2)
«Popolare Cividale resterà autonoma»
REGIONE (pag. 3)
Fine vita, la nuova battaglia di Englaro
C’era una volta l’apprendista (2 articoli)
UDINE (pag. 5)
«Più attenti alle piccole imprese»
Senza dragaggi il porto muore
PORDENONE (pag. 7)
Blocco delle merci ai cancelli. Electrolux denuncia gli operai (2 articoli)
Ideal, sul patto dubbi veneti
«Rivediamo i contratti dei dipendenti»
Onda, l’inchiesta porta anche nei paradisi fiscali (2 articoli)
Ospedale, pochi dipendenti: «Emergenza in tutti i reparti»
Zml, nuovi impianti per abbattere i fumi
ECONOMIA
«Popolare Cividale resterà autonoma»
Maurizio Crema CIVIDALE DEL FRIULI - «Sono pronto a passare il testimone ma solo se sarò sicuro
che non ci sarà nessuno che vorrà approfittarne per minare l’indipendenza della banca. Popolare
Cividale è l’ultimo istituto friulano rimasto sul territorio e questo è un bene da tutelare a ogni costo».
Lorenzo Pelizzo, 74 anni, dal 1971 è presidente della Popolare di Cividale, istituto fondato nel 1886,
più di 15mila soci in un paese da 12mila abitanti che ha avuto sindaco per anni suo padre, ex senatore
Dc. «Allora avevamo 4 sportelli - dice il presidente più longevo d’Italia che ha assistito al crollo del
muro, alla nomina di cinque papi ed è sotto inchiesta da parte della magistratura per una storiaccia di
mala finanza e affari edilizi andati a male ("ma sono estraneo completamente ai fatti che mi sono stati
contestati, la mia colpa principale è essermi fidato del mio ex direttore generale, Luciano Di Bernardo")
- oggi, con quello appena inaugurato nella nuova sede direzionale (costata una quarantina di milioni,
ndr), arriviamo a 75».
Presidente, dunque è pronto a lasciare con la prossima assemblea di aprile? Perché?
«La scorsa assemblea e il consiglio d’amministrazione dell’istituto mi hanno confermato la fiducia
malgrado l’inchiesta della magistratura e gli atteggiamenti di qualche socio. Ora sono in attesa della
decisione dei giudici. Farei ben volentieri un passo indietro ma solo se non vedrò all’orizzonte nessuno
che vorrà approfittarne. Viviamo una fase di transizione, la crisi economica morde, il bilancio 2013
dovrebbe chiudersi con una forte perdita per via dei tanti accantonamenti consigliati dalla Banca
d’Italia (90 milioni solo nel primo semestre). Non ci sarà distribuzione di dividendi».
Ha mai vissuto tempi peggiori?
«Alla fine degli anni ’90 c’era un’altra forsennata campagna a favore delle aggregazioni. Nel Duemila
stoppammo l’offerta del presidente della Vicentina, Gianni Zonin, che aveva già preso la Popolare
Udinese. E ci dedicammo alle alleanze, prima con Deutsche Bank e poi col Credito Valtellinese. Oggi
si vive un clima simile, con manovre di disturbo e tante voci malevole. La realtà però è ben diversa:
l’ispezione della Banca d’Italia ha sancito che siamo un istituto solido, con un patrimonio di vigilanza
di 300 milioni e sofferenze per 130. La stessa Banca d’Italia ci ha detto che possiamo andare avanti da
soli».
Tra i possibili pretendenti alla sua presidenza si parla di Luigi de Puppi, l’ex leader di FriulAdria, Ad di
Benetton e Toro Assicurazioni...
«Lo conosco personalmente diciamo fin da bambino (de Puppi ha quasi 72 anni, ndr), lo stimo e lo
apprezzo. L’ho iscritto nella rosa dei nomi che tengo aggiornata per fare delle proposte al cda».
Gli altri nomi della sua rosa?
«Preferisco non farne. La questione fondamentale è che chiunque verrà eletto difenda l’indipendenza
della nostra banca. Oggi più che mai necessaria: anche la Cassa di risparmio di Udine e Pordenone, che
fa parte già del gruppo Intesa, rischia di essere fusa in Cassa del Veneto. Il Friuli, le nostre piccole e
medie imprese, le famiglie, hanno bisogno di un istituto autonomo. L’Electrolux è solo il caso più
eclatante, la nostra regione rischia di tornare a essere marginale e la politica non ha ancora preso
coscienza della crisi attuale ».
La Banca d’Italia però raccomanda aggregazioni a istituti anche molto più grandi del vostro come
Veneto Banca. Come può una piccola Popolare confrontarsi con la concorrenza attuale?
«Crescendo in maniera equilibrata, senza avventure. Attuando sinergie mirate con il resto del sistema
delle Popolari, il Credito Valtellinese resta per esempio un nostro socio importante con l’1% del
capitale. Sviluppando nuovi settori come la green economy o aiutando le imprese, per esempio quelle
agroalimentari, a internazionalizzarsi. Il piano industriale triennale prevede uno sviluppo attento e
misurato, meno impieghi (che comunque sono scesi solo dell’1,33% contro un - 3,93% del sistema e un
- 3,05% del Nordest) e più raccolta».
Teme sempre l’offerta mirabolante dall’estero? O è più tangibile il pericolo è che vi compri qualche
altra banca italiana?
«Mi sembra che tutto il sistema del credito italiano stia vivendo un momento difficile e anche
dall’estero non vedo grandi manovre. E lo dice uno che ha trattato a suo tempo in prima persona con la
Deutsche Bank. Non vedo banche pronte a pagare le nostre azioni al giusto valore».
REGIONE
Fine vita, la nuova battaglia di Englaro
David Zanirato Una nuova «battaglia di libertà», che parte ancora una volta da Udine. Beppino
Englaro, a cinque anni di distanza dalla scomparsa della sua Eluana, non ha voluto mancare alla
presentazione ufficiale delle oltre 5mila firme raccolte in Friuli Venezia Giulia per chiedere alla
Regione di istituire il registro regionale delle Dat (dichiarazioni anticipate di trattamento) da pianificare
su base informatica tramite le strutture sanitarie regionali pubbliche e convenzionate, con conseguente
accesso ai dati personali mediante la Carta regionale dei servizi, ovvero la tessera sanitaria. «Un
registro regionale dei testamenti biologici sarebbe un nuovo passo importante nella direzione di poter
agire in tempi reali quando si è nella situazione di non poter intendere e volere» ha spiegato Englaro,
aggiungendo poi che così il cittadino si sentirebbe veramente tutelato: «L'opinione pubblica è bene
informata e non vuole più trovarsi scoperta in questa situazione, com'è accaduto a Eluana». Ad
affiancarlo in questa campagna il primario Amato De Monte, colui che con il suo staff seguì gli ultimi
giorni di Eluana alla clinica La Quiete di Udine nel febbraio 2009, applicando il decreto della Corte
d'Appello di Milano, in base al quale si autorizzava la disattivazione della nutrizione artificiale alla
donna in stato vegetativo da più di 17 anni. «L'obiettivo - ha spiegato il medico anestesista, vicepresidente dell'associazione "Per Eluana" - è scrivere sulla tessera sanitaria regionale elettronica il fatto
che una persona ha depositato il testamento biologico presso il proprio Comune o notaio e far sì che le
strutture sanitarie possano disporre subito di queste informazioni».
Del resto già il 40% della popolazione regionale ha la possibilità di rilasciare presso i Comuni di
residenza le proprie Dat. «Uno strumento per garantire la libertà di tutti - ha aggiunto De Monte - sia
nel senso della sospensione dei trattamenti e delle terapie, sia nel senso del loro mantenimento. Un
diritto alla scelta inserito nella Carta costituzionale che deve essere garantito anche a chi non è in grado
di intendere e di volere».
Ora il Consiglio regionale presieduto da Franco Iacop, depositario da ieri delle firme, dovrà decidere se
trasformare la petizione in un provvedimento, come ha fatto di recente la Provincia autonoma di Trento
che attiverà un registro regionale la prossima primavera, gestito dalle aziende sanitarie con metodologia
informatica, o ancora la Regione Toscana nella quale l'iter è in corso. La petizione, sostenuta tra l'altro
dai consiglieri regionali Stefano Pustetto (Sel) e Renzo Liva (Pd), sarà passata alle commissioni
consiliari competenti per incardinarne l'iter.
Apprezzamento per l'iniziativa dal sindaco di Udine, Furio Honsell: «Sono lieto che il percorso di
civiltà iniziato a Udine offrendo ci cittadini, con l'ordine provinciale dei notai, il servizio di raccolta del
testamento in vita, possa proseguire ora anche in Consiglio regionale». Nella giornata di domenica, a
cinque anni esatti da quel 9 febbraio 2009, su iniziativa del fratello di Beppino, Armando, nel Duomo
di Paluzza in Carnia (dove la donna è sepolta), alle ore 18, verrà celebrata una nuova messa in suffragio
di Eluana.
C’era una volta l’apprendista
Riccardo De Toma Continua a precipitare l’occupazione giovanile, e crolla anche l’apprendistato.
Colpito non soltanto dalla crisi, ma anche dalla diffusione dei contratti atipici, divenuti ormai, a
dispetto della definizione, lo strumento più tipico per l’ingresso nel mondo del lavoro.
IL LAVORO INVECCHIA. La caduta dell’apprendistato è solo un aspetto di un fenomeno più ampio e
ormai noto a tutti, anche se poco approfondito nei numeri. Se è di percezione comune che il tasso di
disoccupazione giovanile abbia superato il 40% in Italia e il 30% in Fvg, forse non tutti sanno che si
tratta del dato riferito alla fascia 15-24 anni. Tra i 25 e i 34 siamo attorno al 10%, contro un dato
complessivo del 7,5%, ma questo non attenua la portata dell’allarme. Le medie relative alle fasce di età,
infatti, sono ferme allla fine del 2012, e nel 2013 la situazione è continuata a peggiorare: nella prima
metà dell’anno (ancora non note le cifre del secondo semestre) hanno fatto segnare una flessione media
dell’8%, tra gli under 30, risultando invece stabili nella fascia 30-55 anni e addirittura in aumento (+5%
nel 2° trimestre) tra gli over 55. Segno che la riforma Fornero, se da un lato ha effetti di cassa positivi
sui conti dell’Inps, dall’altro sta aggravando l’emergenza occupazione.
APPRENDISTATO SGONFIO. Tra gli specchi di questo corto circuito che colpisce i giovani, come
detto, la caduta libera dell’apprendistato. Se già prima della crisi lo strumento mostrava la corda,
soprattutto per la bassa percentuale di conversione (circa un contratto su 6) in rapporti a tempo
indeterminato alla fine del percorso professionalizzante, a testimoniare lo scarso feeling con
l’apprendistato adesso c’è anche il crollo dei contratti: dagli 8.700 avviamenti del 2008 siamo scesi ai
5.300 del 2012, quasi il 40% in meno, e un’analoga flessione, ovviamente, si registra sul numero
complessivo dei rapporti in essere, scesi dai 13.500 del 2008 ai poco più di 9mila del 2012. E nel 2013
la tendenza appariva ancora al ribasso (-5,3% nei primi due trimestri). Il lieve aumento delle
percentuali di conversione in contratti stabili (salite dal 15% pre-crisi all’attuale 20%) non basta a
compensare la flessione di uno strumento che resta del tutto residuale, in un mercato del lavoro dove
l’apprendistato rappresenta solo il 2,9% delle assunzioni, contro il 20% dei contratti atipici.
Appena il 10% delle assunzioni è a tempo indeterminato
UDINE - (rdt) Calano gli occupati, 25mila in meno tra il 2008 e il 2012, ma non solo: l’altro effetto
della crisi è una costante precarizzazione del lavoro. Più di un’assunzione su due, in Fvg, avviene
infatti con contratto a termine, con una quota pari al 51% del totale degli ingressi, mentre il vecchio,
caro lavoro a tempo indeterminato è sceso a una quota davvero minima, pari soltanto al 10% delle
assunzioni. Nettamente più diffuso il lavoro somministrato (17%), cioè le assunzioni attraverso agenzia
interinale, e i vari contratti atipici, parasubordinati o intermittenti, che sommati al lavoro domestico
rappresentano ormai esattamente un quinto della torta, cioè il 20%. Residuale l’apporto
dell’apprendistato, con una quota che non arriva al 3% dei movimenti di assunzione. Impressionante il
confronto con la situazione pre-crisi: rispetto al 2008, infatti, il numero di contratti a tempo
indeterminato è sceso del 67%, riducendosi in sostanza a un terzo: nel 2013 circa 24mila assunzioni,
contro le 92mila a tempo determinato (doppioni compresi, ovviamente). Pesantissima la flessione
anche per l’apprendistato, che rispetto al 2008 ha registrato un calo di circa 40 punti.
UDINE
«Più attenti alle piccole imprese»
Andrea Valcic UDINE - Appare logico che i riflettori siano puntati sulla crisi dei grandi gruppi
industriali, vuoi per la potenza degli stessi vuoi per il numero delle persone occupate direttamente o
indirettamente da quelle aziende. Ancor di più se si tratta di multinazionali che decidono il futuro delle
loro fabbriche come uno scacchiere internazionale. È sicuramente il caso dell’Electrolux e dei suoi
stabilimento italiani, compreso quello friulano di Porcia. Sul caso della sede pordenonese l’attenzione è
stata sin dall’inizio massima, tanto che più volte la presidente Serracchiani ha chiesto l’intervento
diretto del governo e dello stesso Letta.
Questo focalizzare gli sforzi sulle grandi imprese comporta però un rischio non indifferente per il Friuli
che fonda la sua base industriale e produttiva su una realtà formata da migliaia di piccole imprese in
tutti i comparti. Di una visione che potrebbe tralasciare questo versante fondamentale se ne fa interprete
il presidente di Unioncamere del FVG, Giovanni Da Pozzo che, partendo proprio da questi presupposti,
chiede una maggior attenzione verso queste realtà. « Migliaia di piccole aziende- spiega il presidentestanno fronteggiando enormi difficoltà. Soprattutto quelle che operano sul mercato interno, e sono la
maggior parte, si trovano a convivere con una complessità di problemi, di mercato, di credito, di
burocrazia, di asfissia fiscale, che portano troppi imprenditori a chiudere e fanno desistere tanti giovani
dall’aprire un’attività economica. Gli investimenti importanti di denaro pubblico verso le principali
situazioni di crisi, che pur restano fortemente preoccupanti, non devono trascurare questa miriade di
micro imprese e Pmi che, aggregate nei numeri, sia in termini occupazionali sia di produzione e
partecipazione al Pil, nulla hanno di meno di quelle realtà che ampiamente e giustamente vengono
portate quotidianamente all'attenzione dei massimi livelli politici e dell’opinione pubblica».
Da qui un appello alla politica regionale: «Oltre a intervenire giustamente sulle gravi situazioni di crisi
industriali, anche se, nel caso di Electrolux, più che di crisi industriale sarebbe il caso di parlare di
riposizionamento strategico ed economico della proprietà, è necessario- sottolinea ancora Da Pozzomettere al centro quella piccolissima, piccola e media impresa che non abbandona il proprio territorio,
che con le proprie maestranze, dipendenti e collaboratori vive molte volte un rapporto di familiarità e
attaccamento reciproco».
Senza dragaggi il porto muore
Paola Treppo Parte con un grave segno meno il movimento 2014 delle merci nel porto canale di San
Giorgio. I primi 30 giorni del nuovo anno, infatti, non evidenziano alcun accenno di ripresa sul fronte
traffico via mare da e per la Ziac della Bassa Friulana, un tempo area strategica non solo per le aziende
insediate nel polo industriale dell'Aussa Corno, ma anche per quelle attive nell'Udinese. A denunciarlo
è Ernesto Milan, presidente dell'impresa portuale "Porto Nogaro", che punta il dito contro la Regione:
«Per settimane siamo stati rassicurati circa l'avvio dei dragaggi del Corno, che non vengono effettuati
come si deve ormai dal 1995-1996 - dice -; si parlava di un intervento da eseguire, finalmente, entro la
fine dello scorso mese di gennaio. Ma qui non si è mosso alcunché e di draghe non se ne vedono». Il
problema è legato alle normative che, di fatto, non danno indicazioni certe in merito a dove gettare i
fanghi una volta asportarti dal fondale. «Il risultato di questa situazione di stallo, ormai cronica, è un
pauroso calo di movimentazione merci, dovuto solo in minima parte alla crisi. Nel 2014 abbiamo
subito gli effetti della chiusura della Palini&Bertoli ma il nodo resta il pescaggio limitato che dirotta i
movimenti su Monfalcone e in particolare sul porto estero di Capodistria. Se andiamo avanti così
assisteremo inevitabilmente al declino del porto-canale di San Giorgio». I dati parlano chiaro: nel 2013,
rispetto all'anno precedente, l'impresa ha registrato un meno 37%: «Un calo drastico con migliaia di
tonnellate in meno di merce in uscita e in entrata - dice Milan -. Se è vero che la Vetreria Sangalli e
l'Oleificio San Giorgio non sono ancora entrati a pieno regime come produzione, è altrettanto vero che
se i dragaggi non saranno effettuati subito, nel corso del 2014 il traffico via mare potrebbe ridursi
ulteriormente, con la stessa gravità registrata nel 2013». Il declassamento da 7 a 6 metri di pescaggio è
del 2004. Da allora un gran numero di navi non ha potuto fare ingresso in porto: «È stato l'inizio di
questa crisi senza fine». Dello stesso avviso il sindaco di San Giorgio, Pietro Del Frate, che chiede alla
Regione di attivare immediatamente un sistema di trasporto merci alternativo che prevede l'utilizzo di
chiatte, adatte anche a fondali bassi: «Soluzione tampone - dice il primo cittadino - in attesa dell'avvio,
urgentissimo e inderogabile, dei dragaggi». L'istanza è contenuta in un documento sottoscritto anche
dalle associazioni sindacali e di categoria.
PORDENONE
Blocco delle merci ai cancelli. Electrolux denuncia gli operai
Davide Lisetto "Perdurando l’illegittimo blocco ai cancelli dello stabilimento e l’impedimento alla
fuoriuscita dei mezzi caricati con il prodotto finito e destinato alle immissioni sul mercato, ci vedremo
costretti a intraprendere ogni più opportuna iniziativa, anche giudiziaria, a tutela della società". La
lettera inviata ieri sera da Electrolux alle Rsu delle fabbriche e al sindacato dei metalmeccanici è
stringata, ma perentoria. E non lascia molte interpretazioni. La multinazionale "gentile" (per la lunga
tradizione di buone relazioni sindacali e i codici etici che si era data) sta mostrando un’altra faccia.
Rispetto ai blocchi ai cancelli che impediscono la fuoriuscita dei Tir ha deciso di passare alle maniere
forti. E se i picchetti per fermare i camion continueranno farà partire le denunce dei lavoratori. A
Porcia i dipendenti sono all’ottavo giorno di presidio continuo: al blocco oltre a operai e impiegati
partecipano anche i capilinea e i capiturno. E la decisione della società (proprio mentre la presidente
Serracchinai riferiva al Senato sul caso Electrolux) ha fatto salire ulteriormente la tensione. Gli operai
non hanno intenzione di mollare: «Noi staremo qui a difendere la nostra fabbrica», sono state le prime
reazioni a caldo dei tanti che si trovavano in serata davanti alla fabbrica. Questa mattina ci saranno le
assemblee: bisognerà decidere come proseguire nella protesta e come continuare a mantenere il
presidio. Il giorno prima l’azienda aveva lanciato un messaggio chiaro con l’intento di fare desistere gli
operai dalla linea dura. Aveva infatti comunicato l’impossibilità di continuare a immagazzinare le
troppe lavatrici (quasi 40 mila) che si stanno accumulando sostenendo la necessità di interrompere la
produzione e mandare i lavoratori a casa senza stipendio. Nelle ultime ore il blocco delle merci era
scattato anche negli stabilimenti di Forlì e di Solaro (Milano). Mentre a Susegana l’azione di stop
prosegue da qualche giorno. Ma la situazione più difficile è proprio quella di Porcia. Dove gli operai
stanno presidiando - sia i cancelli sia il raccordo ferroviario interno - da otto giorni. Ma pare che la
determinazione a proseguire non venga meno. Oggi le decisioni in assemblea.
L’impresa cerca il patto con Regione e fornitori
PORCIA - La svolta di Electrolux sul piano industriale per Porcia ha aperto un nuovo scenario per il
futuro dello stabilimento. L’azienda ha annunciato - usando anche una dose di tattica e facendo
retromarcia anche sulle sei ore - un progetto industriale anche per la fabbrica pordenonese. Cosa che
non aveva fatto solo qualche giorno fa quando aveva illustrato le strategie per gli altri tre stabilimenti.
Nel vertice ministeriale, il 17 febbraio, Electrolux dovrà spiegare quale sarà la strategia per Porcia. Nel
documento diffuso lunedì sera, al punto che riguarda Porcia, ci sono due "messaggi" evidenti. Il piano
industriale per Porcia non potrà non passare per le risorse che la Regione (nel piano Rilancimpresa ci
sono 98 milioni di euro) potrà mettere "in tempo utile nei calcoli aziendali - precisa l’azienda - di
contenimento del costo del prodotto". Come dire: l’impresa potrebbe essere disposta a valutare la
possibilità di mantenere a Porcia investendo sulla nuova piattaforma per il futuro modello di lavatrice
"Project One" (ora in ballo con Olawa) anche sulla base degli eventuali incentivi all’innovazione di
prodotto che la Regione metterà in campo. Una leva che modificherebbe quel "delta" di costo tra Porcia
e la fabbrica polacca. Inoltre nel piano industriale potrebbe avere un peso rilevante anche il piano di
Unindustria («se avrà successo», precisa la multinazionale svedese nel documento) che potrebbe
portare effetti anche indiretti sull’abbattimento del costo sul prodotto se applicato "anche al sistema
delle forniture". Se il piano di riduzione del costo del lavoro rientrasse in una sorta di patto fornitoriElectrolux si potrebbero ottenere abbattimenti dei costi tali da poter raggiungere quel risparmio del 1015 per cento (di costo del lavoro sul costo del prodotto) che l’azienda indica come "necessario a
garantire la sostenibilità del settore". Ed è proprio sulla "filiera" e sulla rete dei fornitori che si sta
lavorando. È su questi punti che il piano potrebbe fare leva. Non tanto sul trasferimento di produzioni
dell’alto di gamma: a Porcia l’alto di gamma già si produce in buona parte. Anche se - secondo alcune
fonti vicine all’azienda - ci sarebbe ancora qualche margine: piccole quantità di volumi di produzione
con marchio AeG finite in Polonia potrebbero essere dirottate a Porcia. Ma la via maestra per un
possibile piano resta quella di sviluppare a Porcia i nuovi prodotti ad alto valore aggiunto. Fermo
restando che la fabbrica non può scendere sotto un livello di volumi che si aggirerebbe sul milione e
200 mila pezzi (con relativa occupazione) senza correre il rischio di generare diseconomie. Altro
elemento è quello legato all’orario e agli ammortizzatori: la proroga del contratto di solidarietà con
orario di lavoro giornaliero "6+2" potrebbe consentire la prosecuzione dell'attività a Porcia. «Ma noi su
questo - ha detto ieri l’ad Ernesto Ferrario - vogliamo prima vedere la proposta esatta dei sindacati e del
Governo». D.L.
Ideal, sul patto dubbi veneti
Davide Lisetto Cassa in deroga per i lavoratori Ideal Standard: la speranza è che lunedì 10 al ministero
del Lavoro si firmi finalmente il provvedimento. Ma le preoccupazione dei 450 dipendenti di Orcenico
(che senza il provvedimento rischiano l’immediato licenziamento) non sono del tutto rientrate. Il "veto"
del Veneto potrebbe infatti fare saltare il tavolo: in quel caso la strada del licenziamento sarebbe
segnata. Ma qual è la questione dirimente? Esattamente quella che ha fatto saltare la firma della cassa
lo scorso 13 gennaio.
Sulla fabbrica di Trichiana l’assessore veneto Elena Donazzan insiste: «È necessario che si proceda con
quanto previsto dal piano industriale di Ideal Standard, cioé che volumi produttivi e impianti di
Orcenico vengano trasferiti in Veneto. Va poi velocizzata la verifica sull’ipotesi dell’acquirente sul
quale non c’è ancora certezza». Non c’è una pregiudiziale a firmare la cassa e a partecipare all’incontro
romano di lunedì. Ma dal Veneto il messaggio è chiaro: va applicato quanto previsto dal piano
aziendale (è del luglio dell’anno scorso) e quindi deve esserci il "trasloco" da Orcenico. A Pordenone e
in Regione però non la pensano proprio così. E si teme che il "veto" veneto in qualche modo possa
compromettere il primo passaggio, cioé la firma della cassa. «Quell’accordo - precisa il sindacato di
categoria provinciale - basato sul piano industriale del luglio scorso è stato superato dalla presenza di
un acquirente che ha avviato le trattative con la società per l’eventuale acquisto. La cassa serve proprio
a questo e lo scenario è cambiato. Finché non ci sarà il piano industriale dell’acquirente e non si capirà
esattamente quali impianti saranno necessari e che tipo di produzione e con quanti organici non saranno
possibili le scelte successive legate ai trasferimenti di linee e volumi nel sito bellunese». Come dire: lo
stabilimento di Orcenico non può essere messo in vendita vuoto. È determinante conoscere quali
saranno le necessità del compratore (l’interessato l’imprenditore Stefano Boccalon con una società
tedesca alle spalle) per poi decidere quali impianti trasferire. In ogni caso nell’ultimo vertice al Mise
del dicembre scorso Ideal Standard aveva cercato di sciogliere questo nodo con l’impegno ad
acquistare tutte le linee produttive di cui Trichiana avesse bisogno. Basterà al sindacato e alla Regione
come garanzia? Finora sembra di no. Per questo a Orcenico resta la preoccupazione. Che potrebbe
trasformarsi immediatamente in nuove tensioni. E non è un caso se solo tre giorni fa il prefetto
Pierfrancesco Galante, dopo aver mediato per togliere il blocco merci, ha inviato un nuovo appello
scritto a tutte le parti in causa affinché lunedì si firmi la cassa in deroga.
«Rivediamo i contratti dei dipendenti»
Valentina Silvestrini Ridotti al limite delle forze, afflitti da burocrazia e da una pressione fiscale
devastanti: i commercianti non ne possono più. «Sembra che a risolvere tutti i problemi finanziari di
Stato, Regione e Comuni, ci debbano pensare solo i commercianti» denunciano Maurizio Fioretti e
Alberto Marchiori, rispettivamente presidente del comparto Abbigliamento e presidente dell'Ascom di
Pordenone. Un'asfissia che ancora una volta trova conferma nei dati: «Proveniamo da una stagione di
saldi negativa», ha spiegato Fioretti. Pordenone con le sue 22mila imprese attive (stando ai dati Istat,
sebbene il dato differisca di qualche migliaio di unità rispetto a quello Unioncamere), è la provincia
italiana col maggior numero di fallimenti, pari al 5,9%. Eppure «un po’ di voce in capitolo ce
l'abbiamo, visto che il terziario nella nostra provincia produce il 65% del Pil, che a questo settore
afferiscono oltre il 70% delle imprese e cioè il 42% nei servizi, il 14% nel turismo, il 24% del
commercio, che danno lavoro al 45% degli occupati», ha aggiunto ieri Massimo Giordano, direttore di
Ascom, nel presentare lo scenario economico territoriale.
Alla pressione fiscale si aggiunge il peso del costo del lavoro, tema caldo non solo nel settore
industriale. Tanto che Marchiori ha colto l'occasione per lanciare una proposta di lavoro proprio ai
sindacati, a iniziare da una rimodulazione dei contratti che comprenda anche l'abbattimento dei giorni
di ferie e dei permessi: «I nostri stessi dipendenti non riescono ad esaurirli. Così come sono formulati
sono svantaggiosi sia per l'impresa che per i lavoratori».
«Scenderemo in piazza a Roma il 18 febbraio partecipando alla manifestazione di Rete Imprese Italia.
Lo faremo per tutte quelle
artigiane e del commercio, che ogni giorno chiudono, così come per i lavoratori di Electrolux e di Ideal
Standard - ha aggiunto Marchiori - Oggi le perle della nostra imprenditoria vengono acquistate e poi
esportate. Protestiamo per difendere l'economia intera del territorio». Quello dell'Ascom è un manifesto
di protesta, soprattutto contro l'alibi Europa per nascondere l'incapacità di tagliare gli sprechi, «stufi di
un sistema di polizia e controlli che impedisce il lavoro». Proprio in riferimento agli esiti pubblicati ieri
relativi alle ispezioni della Guardia di Finanza ,che su oltre 4000 controlli degli scontrini in provincia
ha verificato oltre 500 violazioni, i rappresentanti dell'Ascom replicano: «Noi paghiamo le tasse in base
agli studi di settore. Non emettere lo scontrino è controproducente e si tratta comunque di un dato
irrisorio. Questi controlli sono solo un ulteriore strumento punitivo».
Onda, l’inchiesta porta anche nei paradisi fiscali
Cristina Antonutti Una verifica fiscale ordinaria, cominciata negli uffici della Onda Communication di
Roveredo in Piano nel dicembre 2011, avrebbe scoperchiato una presunta frode fiscale che ha portato il
Nucleo di polizia tributaria a occuparsi anche di società che hanno sede in paradisi fiscali come Panama
o Isole Vergini.
Lo schema sarebbe quello delle società cartiera, scatole vuote usate per l’emissione di fatture per
operazioni inesistenti. Venticinque - tra cui il presidente di Unindustria Michelangelo Agrusti, manager
e prestanome - sono le persone iscritte sul registro degli indagati. Le indagini del pm Annita Sorti non
sono chiuse, ma il sequestro per equivalente ottenuto dal gip Piera Binotto ha segnato un passaggio
importante nell’inchiesta. Su un’imponibile di 25 milioni di euro, relativo alle annualità 2010 e 2011,
sarebbe stata evasa Iva per 2 milioni 470 mila euro (1,9 milioni nel 2010 e 565 mila nel 2011). In questi
casi la sanzione sull’Iva evasa è pari al 100%, quindi la cifra è lievitata enormemente. La Procura come hanno spiegato ieri il procuratore Marco Martani e il colonnello della Finanza, Fulvio Bernabei ha ottenuto il congelamento della somma che spetterebbe al Fisco. Gli inquirenti avevano chiamato a
rispondere 10 persone, ma il giudice dell’indagine preliminare ha accolto il sequestro solo per sei. Fino
a 4 milioni 940 mila euro sono stati sequestrati beni: ad Agrusti in qualità di presidente del Cda di
Onda e per aver firmato le dichiarazioni dei redditi 2010 e 2011; all’ex amministratore delegato di
Onda, Giuseppe D’Anna di Trieste; all’ex direttore commerciale e generale Renato Tomasini di
Trieste; agli ex consiglieri Sergio Vicari di Cittaducale (limitatamente a 1,9 milioni) e Giorgio
Costacurta di Pordenone; infine, all’impiegato dell’ufficio vendite Giuseppe Zacchigna di Monfalcone.
Sotto sequestro ai fini della confisca (provvedimento di natura temporanea che, come ha evidenziato il
procuratore, è soggetto al riesame) ci sono sei terreni, 19 abitazioni (tra cui due ville), tre auto, tre moto
(tra cui due Harley Davidson), depositi bancari e azioni per circa 1,5 milioni di euro. Per raggiungere la
presunta somma evasa devono essere individuati ancora beni per 1,5 milioni. Il sequestro è in solido,
basta che a garantire la somma sia uno dei destinatari del provvedimento.
L’ipotesi di accusa riguarda il giro di fatture false. Secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza,
Onda Communication, fornitrice dei maggiori operatori telefonici nazionali e fallita dopo un sofferto
concordato preventivo lo scorso novembre, avrebbe acquistato da società cartiere materiali informatici
e di telefonia per poi cederli a società comunitarie ed extracomunitarie pagando l’Iva solo per gli
acquisti da società italiane. «Per dare una parvenza di legittimità - ha spiegato il colonnello Bernabei avrebbe pagato i fornitori che avrebbero a girato il denaro a società di diritto svizzere, quest’ultime
avrebbero versato le somme a una società delle Isole Vergini su conti correnti di Lugano. La stessa
somma sarebbe stata poi versata a una cartiera - la Grifone, da cui prende il nome l’operazione - che
acquistava a sua volta da Onda. Alla fine del "carosello" l’Iva sarebbe rimasta nelle Isole Vergini.
Il legame tra Onda Communication e le Isole Vergini sarebbe costituito, secondo l’accusa, dalla
Kermari Sa. Si tratta di una società lussemburghese che detiene l’80% di Onda e a sua volta posseduta
da due fiduciarie, la panamense Daedalus Overseas inc con sede a Panama (50%) e la Bright Global sa
delle Isole Vergini (50%). Il restante 20% di Onda è costituito per poco più del 10% dala finanziaria
regionale Friulia, il restante da altri imprenditori locali.
Agrusti: «Sono fantasie, ma ora indagate in fretta»
PORDENONE - Colpito al cuore. Michelangelo Agrusti, alle prese con le drammatiche crisi di
Electrolux e Ideal Standard nelle vesti di presidente di Unindustria, fa fatica a raccapezzarsi tra i
meandri di un’inchiesta di cui si conosce ancora poco, perchè le carte sono ancora coperte dal segreto
istruttorio e non è stato notificato il decreto di conclusione delle indagini preliminari. «Ho firmato sulla
fiducia, un atto dovuto. Io le tasse e l’Iva le ho sempre pagate in Italia», dice riferendosi alle denunce
dei redditi siglate in un periodo di interregno, prima della nomina ad amministratore delegato di
Giuseppe D’Anna, ex finanziere di origine siciliana. Il suo difensore, Bruno Malattia, pur rispettando il
lavoro di Procura e Fiamme Gialle, punta l’indice contro il clamore mediatico dato a un’ipotesi
accusatoria «ancora tutta da dimostrare». «Il sequestro preventivo che è stato ottenuto - scrive in una
nota diffusa ieri sera - è un provvedimento cautelare che può essere adottato e reggersi solo sull'astratta
possibilità che un fatto attribuito a una persona rientri in una determinata ipotesi di reato. Nulla di più.
Michelangelo Agrusti, che respinge con forza ogni accusa e rivendica la correttezza del suo operato,
chiede che la Procura proceda con sollecitudine agli adempimenti necessari per giungere ad una
verifica dei fatti in contraddittorio tra accusa e difesa. Si vedrà solo allora quale sia la verità».
Malattia interviene anche con precisazioni sulle società che porterebbero a pensare a operazioni in
paradisi fiscali. «Per adesso basterà rilevare come sia del tutto fantasiosa e tale da creare un discredito
indebito l’affermazione che la società lussemburghese Kermari, che controllava Onda Communication,
appartenesse a una società panamense e a una società delle Isole Vergini. Non è così. Errare è umano.
Ciascuno di noi può sbagliare, anche la Guardia di Finanza e la Procura. Quello che non può essere
accettato è che la presunzione di colpevolezza abbia la meglio su uno dei cardini della nostra
democrazia e del nostro vivere civile che è costituito dalla presunzione di innocenza. Il buongiorno in
questo caso non si vede dal mattino». Lo stesso Agrusti assicura di essere in grado di far chiarezza sulla
Kermari, società lussemburghese acquisita attraverso uno studio legale pordenonese, un capitale sociale
di 300 mila euro (tra gli azionisti nomi di spicco a livello regionale), poi chiusa e portata in Italia. «Non
escludo - afferma Agrusti - che le società a cui si riferisce la Finanza avessero a che fare con il
precedente proprietario».
Ha invece già fatto ricorso al Tribunale del Riesame il legale del pordenonese Giorgio Costacurta. E sta
per essere depositata un’istanza anche per Sergio Vicari, che con Agrusti fondò Onda Communication.
È coinvolto per operazioni fatte nell’arco di tre mesi, nel 2011, prima di uscire dalla società. «Mi sento
di oppormi a questo sequestro - afferma il suo avvocato, Francesco Santini - Vicari lo ritiene
illegittimo. È coinvolto nell’indagine in qualità di consigliere con delega alla ricerca e sviluppo. Era un
tecnico del prodotto, non conosce le operazioni contestate. Non era il suo ruolo». C.A.
Ospedale, pochi dipendenti: «Emergenza in tutti i reparti»
Loris Del Frate L’allarme lo lanciano le organizzazioni sindacali: oramai è emergenza personale in tutti
i reparti del Santa Maria degli Angeli e delle altre strutture degli Ospedali riuniti. Servizi in sofferenza,
problemi a garantire i turni di riposo, appesantimento dei tempi di attesa perchè non è possibile
garantire gli stessi volumi con meno gente al lavoro. «Una emergenza continua - spiega Pierluigi
Benvenuto della Cgil - che oramai sta interessando tutti i reparti e sta mettendo in grossa difficoltà
l’operatività di diversi Servizi. A questa situazione già di fatto compromessa c’è da aggiungere che ci
sono almeno una quarantina di interinali ai quali scade il contratto ad aprile. Diversi di loro mandano
avanti interi servizi, sia sul fronte amministrativo che su quello sanitario. Senza di loro ci sarebbero
grossissimi problemi di gestione. Eppure - conclude - l’azienda ha garantito la loro presenza sino alla
fine di aprile, poi sarà tutto da vedere. In queste condizioni è praticamente impossibile mantenere
qualità e quantità di prestazioni. C’è la necessità di intervenire in tempi brevi». Non a caso l’altro
giorno i rappresentanti degli infermieri hanno fatto un incontro con i vertici aziendali per far presente le
situazioni ad alta criticità. Area dell’emergenza, chirurgie, ma anche medicine e riabilitazione sono in
sofferenza. Secondo il piano aziendale sottoscritto dal direttore Paolo Bordon il Santa Maria degli
Angeli avrebbe allo stato una carenza di almeno 29 posti. «A nostro avviso - spiega invece il
rappresentante della Cgil - sono molti di più. Forse arriviamo vicini ai cinquanta». Non nega le criticità
il direttore. «Sappiamo che ci sono problemi, ma sappiamo anche che i vincoli posti sono rigidissimi:
mantenere gli stessi livelli con meno soldi e meno personale è difficilissimo, ma è quello che
cerchiamo di fare. Per quanto ci riguarda - conclude - abbiamo appena bandito un concorso per
l’assunzione a tempo determinato di infermieri, ma ci candidiamo a realizzare il bando per l’intera area
vasta in modo da avere una lista dalla quale pescare per garantire l’operatività». Ieri a Pordenone c’era
l’assessore regionale alla Salute, Maria Sandra Telesca.
Zml, nuovi impianti per abbattere i fumi
MANIAGO - «Vogliamo lavorare, ma in sicurezza e garantendo agli addetti la massima tranquillità, sia
professionale, sia personale, sotto il profilo della tutela della salute»: lo ha affermato Roberto Zaami,
segretario provinciale della Uil, in relazione alla situazione che si sta verificando, da qualche tempo,
alla Zml di Maniago, nella quale la presenza ripetuta di fumi nelle fasi di lavorazione della ghisa ha
allarmato le maestranze, che hanno sollecitato verifiche, magari col coinvolgimento e le specifiche
misurazioni dell'Azienda sanitaria. «Dopo l'episodio di martedì - ha aggiunto Zaami - va dato atto
all'azienda di aver immediatamente convocato un tavolo di concertazione per condividere azioni che
possano scongiurare il ripetersi del problema, quanto meno con la medesima preoccupante cadenza
degli ultimi giorni. La presenza di fumi - ha spiegato il rappresentante sindacale - deriva dal processo di
scorificazione della bocca dei forni. In pratica, per dare corso ad una maggior produzione dell'attività di
fusione, sono stati fatti degli investimenti che hanno incrementato tale capacità. Ora serve l'utilizzo di
risorse significative anche per l'adeguamento degli impianti di ventilazione».
Già pronto un nuovo summit, durante il quale Zml darà il cronoprogramma degli investimenti e
dell'installazione delle idonee apparecchiature: si terrà il prossimo 20 febbraio. «Attendiamo quella
data con ansia - hanno aggiunto le rsu aziendali, che martedì avevano segnalato il disagio -: ormai
lavoriamo con le mascherine tutto il giorno e temiamo per il livello di inquinamento che si è
notevolamente innalzato. Lavorare in questo periodo storico è diventata quasi una fortuna, ma non
possiamo abdicare al farlo in condizioni di totale sicurezza. Servono adeguate cappe aspiranti, perché
in certe ore il fumo diviene asfissiante e non vogliamo più essere costretti, come 48 ore fa, ad uscire
dalla fabbrica per scappare da quel concentrato di polveri». L.P.