MESSAGGERO VENETO – venerdì 14 febbraio 2014

MESSAGGERO VENETO – venerdì 14 febbraio 2014
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal
sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
REGIONE (pag. 2)
Safilo, 500 a casa. «Lasciati da soli» (4 articoli)
Electrolux, da Regione e Cgil ultimo affondo a Zanonato
Da Serracchiani la spallata a Letta
Thermokey, dalla crisi al rilancio
Latterie, il Consorzio trova nuovi alleati ma non tra i dirigenti
UDINE (pag. 8)
Il Copernico farà a luglio gli esami di riparazione
Aussa Corno, divampa la polemica
PORDENONE (pag. 10)
Unione il primo passo per la città dei 100 mila
«Voglio bene alla fabbrica. Electrolux non si spegne»
Maxi-istituto sul Livenza: i sindaci litigano per la sede (2 articoli)
Europeo, l’azienda non firma i moduli. La “cassa” in ritardo
Sintesi, il giudice prende tempo. Fa ben sperare la solidità di Ikf
Schiacciato dai debiti, si uccide in azienda (2 articoli)
REGIONE
Safilo, 500 a casa. «Lasciati da soli»
MARTIGNACCO È’ stata la prima, grande azienda che ha pagato dazio in regione alla crisi
economica. La prima a denunciare la necessità della delocalizzazione e a ruota il licenziamento di
centinaia di persone. Cinquecento in Fvg, tra Martignacco e Precenicco. A 5 anni dall’esplosione della
vertenza Safilo, gestita fin qui ricorrendo a periodi di ammortizzazione e formazione, i 500 lavoratori
in esubero nei due stabilimenti friulani sono arrivati al “capolinea”: la Cigs scadrà il 27 febbraio e dal
28 scatteranno il licenziamento e il conseguente passaggio alla mobilità. Le maestranze ne
beneficeranno per un massimo di tre anni, a seconda dell’età, ma a guardare le due folte platee riunite
ieri rispettivamente al cinema ex Impero di Martignacco e nell’aula magna delle scuole di Palazzolo
dello Stella saranno in pochi quelli che riusciranno ad usufruire del periodo massimo. La maggior parte
dei lavoratori non supera infatti i 50 anni e una consistente fetta nemmeno i 40. Ne deriva una
contrazione del periodo indennizzabile: 24 mesi per i primi, 12 per i secondi, che a marzo 2015 saranno
dunque “a piedi”. In cerca di un’occupazione non facile da trovare, per la crisi e per il genere.
L’esercito dei lavoratori Safilo si compone infatti al 90% di donne, di cui il 30% separate con bambini.
Donne per cui la sfida della ricollocazione è ancora più difficile. Ecco perché ieri, il sindacato ha
puntato lo sguardo al futuro, chiamando in causa la Regione «che in passato ha dato milioni di euro, a
pioggia, ad aziende che poi ci hanno salutato», ha tuonato Luigi Oddo per Uiltec Uil Udine rilevando
che «nell’ultimo quadriennio regione e provincia hanno continuato a perdere posti di lavoro». «La
politica non è stata in grado di trattenere le aziende che spesso hanno ceduto al richiamo della vicina
Austria», ha proseguito Oddi indicando quale priorità una chiara politica industriale per il Fvg:
«Abbiamo un anno di tempo per far ritornare il lavoro», ha aggiunto il sindacalista, dicendo le parti
sociali, se necessario, «pronte a nuove proteste, anche contro la Regione, colpevole d’aprire spesso il
portafoglio senza chiedere contropartite. I fondi li stanzino, ma solo a fronte di precise garanzie sul
permanere delle aziende o sul rientro di attività delocalizzate. Tornare a essere attrattivi si può,
abbassando il costo del lavoro che non significa incidere sulla busta paga dei lavoratori, ma su energia,
trasporto, logistica e le tasse». Augusto Salvador, segretario di Femca Cisl, ha definito inutile la partita
delle politiche attive – cui la Regione si è già impegnata con l’assessore Panariti – se non sarà
strettamente correlata alla ricezione. «Bisogna sposare domanda e offerta e attirare nuovamente le
aziende, destinando risorse pubbliche all’attrattività e al calmieramento dei costi dell’energia. Perché
far fronte alle sole emergenze non basta più». Maura Delle Case
«I corsi per la formazione? Tante ore, pochi risultati»
di Domenico Pecile MARTIGNACCO Luisa ha due figli, 11 e 9 anni. È separata. Vive nell’hinterland
udinese, in un appartamento. L’affitto le costa 450 euro al mese. Tra cassa integrazione e assegni
familiari supera mille euro. L’ex marito provvede alle spese dei figli. In questi ultimi 4 anni ha
raschiato il fondo al barile dei risparmi. Ora sopravvive: niente ferie, niente sfizi, nessun capriccio,
consumi controllati. Il necessario, insomma, dove «anche un caffè al bar può essere un lusso». Talvolta
effettua qualche lavoro saltuario che le pagano con i voucher. Palliativi, comunque. Nulla mai di certo.
«Questo sistema – rivela – agevola soltanto il lavoro nero. E non è certo la Formazione a garantirti il
futuro. Quello, me lo sto inventando. Ho un progetto, ci sto lavorando, spero vada in porto. Non mi dò
per vinta. Di sicuro, con due figli qualcosa m’inventerò». Già, i corsi di Formazione. Luisa fa
spallucce, sorride e li definisce «il nulla». Le prime 400 ore all’Enaip sono obbligatorie. «Sono corsi di
poche ore e quindi non formano un bel niente. Si studia lingue, comunicazione, computer, informatica,
cucina, assistenza agli anziani. Di tutto e di più – dichiara rammaricata Anna - in un concentrato di
poche ore. E quindi alla fine cos’hai imparato? Poco e niente. Ti consegnano un attestato che nessun
datore di lavoro si sogna di apprezzare». «Il secondo anno di Cassa integrazione – interviene
nuovamente Luisa – ho avuto la fortuna di trovare un corso al Centro solidarietà giovani di 800 ore,
comprensive di uno stage, per addetto alla contabilità che mi ha garantito una qualifica di secondo
livello e alcuni mesi di lavoro». Sonia, che convive con un disoccupato, di corsi ne ha fatti altri due
oltre al primo all’Enaip. Si è occupata soprattutto di cucina al Civinform di Cividale. E per 4 mesi ha
pure trovato occupazione come par-time in una cucina d’albergo. «L’ansia di arrivare a fine mese –
dice – è davvero una compagna di vita quaotidana. Speri sempre che qualcosa accada. Io e il mio
compagno ci diamo da fare, ci buttiamo su tutti i corsi... Speriamo! Speriamo davvero perchè abbiamo
bisogno di lavoro. E fortuna che la casa è di nostra proprietà». Storie in fotocopia. Di precariato. Di
paura. Di ansia. Sono soprattutto storie di donne quella della Safilo dove la componente femminile era
la stragrande maggioranza. Di circa mille esuberi, 500 dipendenti hanno trovato una via di uscita.
Augusto Salvador della Femca Cisl non ha dubbi: «Le donne hanno più grinta, maggiore
determinazione. Non si danno mai per vinte e questa è la chiave di lettura per capire perché a parità gli
uomini fanno molta più fatica a ricollocarsi sul mercato del lavoro. Va detto però che molte donne si
trovano in situazioni difficili. Mi riferisco ad esempio a quelle separate con figli». Per loro la Cassa
integrazione è una sorta di via crucis, un incubo quotidiano. Un nemico da battere giorno dopo giorno.
Mara è una di queste. Ma non se la sente di parlare e si limita a dire che «è durissima», che «ogni
giorno è una battaglia», che «non devi mai mollare perché devi crescere i tuoi figli». Preoccupate, ma
non rassegnate. Disincantate, ma determinate a non darsi per vinte. «Anche se – obietta Giusy – chi ha
la mia età è perfettamente consapevole che la possibilità di riciclarsi è straordinariamente difficile. Ma
noi sappiamo adattarci e per fare andare avanti la famiglia siamo disposte a fare qualsiasi lavoro».
Lourdes Andrea e suo marito Daniele sono di origine sudamericana. Entrambi lavoravano alla Safilo.
Tutti e due percepisco circa 700 euro ai quali si aggiungono i 400 che il marito di Lourdes guadagna
con i Lsu (Lavori socialmente utili). Eppure si ritengono fortunati. «Noi non abbiamo figli e questo fa
sì che tirare avanti sia meno gravoso rispetto a molti nostri colleghi. Ceto, è dura ugualmente. Un bel
giorno ti dicono che non c’è più lavoro e pochi mesi dopo ti accorgi che devi rinunciare a tutto quello
che potevi permetterti: le ferie, le cene al ristorante, un paio di scarpe. Le cose che fanno più bella la
vita, insomma. Ma quello che ti mette più ansia è non sapere come sarà il tuo futuro, sapere cioè se
tornerai a lavorare e a percepire uno stipendio che ti consenta nuovamente di sognare e soprattutto di
fare progetti». La mancanza di futuro, l’assenza di progettualità, la precarietà che ti abbraccia a ogni
risveglio: questo il refrain di chi si trova improvvisamente casa. Dal 28 febbraio cessa la Cassa
integrazione e comincia la mobilità. Un’altra corsa a ostacoli. Un altro spezzone di vita zigzagando tra
incertezze e speranze.
L’unica speranza è l’iscrizione alle liste di mobilità
Scaduta la Cigs, per passare alla mobilità i 500 lavoratori dovranno iscriversi alle apposite liste. I
sindacalisti hanno sviscerato e fornito dettagliate «istruzioni per l’uso. Si tratta di passaggi
fondamentali per rendere esigibile la domanda», ha spiegato Andrea Madotto di Filca Cgil Udine:
«Terminata la Cigs, dal 28 febbraio in poi dovrete recarvi al centro per l’impiego di riferimento muniti
della lettera di licenziamento. Una volta iscritti alle liste di mobilità, andrete poi ai patronati, con
codice Iban e documento d’identità, per ottenere l’indennità». Da gennaio vale in media 913 euro al
mese al netto dei contributi previdenziali. Considerata la mole di persone, l’iscrizione alle liste
dovrebbe concludersi nel giro di 8/10 giorni al massimo. (m.d.c.)
Muradore (Cisl): mancano indirizzi per la competitività
L’uso della cassa integrazione in Fvg continua a crescere. Specie nella provincia di Udine dove le ore
utilizzate a gennaio 2014 sono state 1.732.168, il 3,4% in più rispetto allo stesso mese del 2013. Lo
denuncia, sfatando le voci di una prossima ripresa, Roberto Muradore, il segretario generale della Cisl
di Udine ricordando che se nel quinquennio 2004-08 le ore di cassa utilizzate in provincia furono 5,66
milioni, nel 2009-13 sono balzate, crescendo nell’ordine delle nove volte, a 50,9 milioni, per una media
di 10,2 annue e 6.197 lavoratori sospesi. L’esordio del 2014 ha visto come detto accresciuto il ricorso
alla cassa che interessa più pesantemente i settori del legno-arredo (32% del totale), la meccanica
(31,3%), la chimica (8,2), l’edilizia (12,8) e una categoria, i colletti bianchi, che fino a poco tempo fa
era immune dal ricorso agli ammortizzatori usati oggi invece per il 24,5% delle ore complessivamente
autorizzate. Ecco perché per Muradore «è urgente che la Regione decida e faccia ciò che serve per
innalzare la competitività di sistema supportando così le aziende che già insistono nei nostri territori e
attraendone altre da fuori regione e da fuori Italia». Il segretario generale di Cisl Udine indica una serie
di priorità che vanno dal radicale riassetto delle partecipate regionali all’invocata riforma degli enti
locali, e ancora dall’istituzione di un osservatorio regionale delle imprese alla riattivazione dell’agenzia
del lavoro. (m.d.c.)
Electrolux, da Regione e Cgil ultimo affondo a Zanonato
PORDENONE Le dimissioni che il presidente del consiglio Enrico Letta presenterà stamane al Colle
pongono una seria ipoteca sul vertice di Electrolux, programmato al Ministero dello sviluppo
economico lunedì pomeriggio. Incontro in cui la multinazionale svedese ha promesso di presentare il
piano industriale per lo stabilimento di Porcia. Formalmente il ministro Flavio Zanonato rimarrà in
carica fino alla nomina del nuovo esecutivo, ma l’incertezza politica inevitabilmente potrebbe
ripercuotersi sull’incontro anche perché nel Governo Renzi difficilmente potrà mantenere il posto. In
vista dell’appuntamento, politica e sindacati chiedono che il Governo trovi le risorse per la
decontribuzione, strada considerata difficile da percorrere secondo il ministro Zanonato. «Il Governo afferma il vicepresidente della Regione, Sergio Bolzonello - deve trovare i soldi, esattamente come ha
fatto per Alitalia. Quello che noi proponiamo non è un’operazione destinata solo a Electrolux, ma
complessiva: c’è una legge finanziata fino al 2005 e poi abbandonata che va rimpinguata di risorse per
tutti i settori in crisi». Per Franco Belci, segretario regionale della Cgil «non è serio che il Governo
scopra improvvisamente di non avere le risorse disponibili per la decontribuzione dei contratti di
solidarietà, dopo aver prefigurato questo tipo di intervento sul costo del lavoro e dopo che la Regione
ha dichiarato la propria disponibilità a innalzare il proprio contributo. Da questo punto di vista sottolinea - l’ottimismo di maniera del ministro Zanonato pare accompagnarsi a una povertà di idee e a
un’inerzia di iniziativa. Lo strumento della decontribuzione è indispensabile per gestire tutte le crisi e il
Governo deve affrontare seriamente il problema». A chiedere un cambio di rotta del Governo è la
stessa commissione Industria del Senato, la quale, in presenza della disponibilità di Electrolux a non
chiudere e non licenziare, ha chiesto all’esecutivo di «incrementare urgentemente le risorse destinate al
fondo per gli sgravi contributivi per i contratti di solidarietà legando l’intervento statale, nei modi che il
Governo definirà, alle misure che ciascuna Regione autonomamente prenderà». Tornando in regione, il
consigliere di Forza Italia, Riccardo Riccardi, ha chiesto che la presidente, Debora Serracchiani,
riferisca in consiglio regionale sullo stato della trattativa. Lunedì - in mattina a Trieste per la Detroit e
nel pomeriggio a Pordenone per Electrolux - ha annunciato una commissione Lavoro della Camera in
regione, sollecitata dalla deputata Serena Pellegrino. Fuori dall’Electrolux a Porcia, intanto, il presidio
prosegue, mentre prende corpo la manifestazione di solidarietà attraverso l’affissione di bandiere sulle
finestre delle case a Porcia. Donatella Schettini
Da Serracchiani la spallata a Letta
di Maurizio Cescon UDINE La scossa al Pd nazionale (e la spallata a Letta) arriva dal profondo
Nordest. E’ la presidente del Fvg Debora Serracchiani, nel suo discorso in direzione, a dare un via
libera che pesa al governo Renzi prossimo venturo. «Il cambiamento è dettato da quello che il Paese ci
sta chiedendo. Oggi il Pd decide di correre un grande rischio - ha detto -: lo fa per dare all’Italia
risposte vere. Non c’è più tempo». Quello di Serracchiani è stato un intervento tutto centrato
sull’emergenza lavoro che corrode le certezze del Paese. E in proposito ha portato alla ribalta nazionale
il caso della Safilo, dove 500 operai saranno licenziati dopo 5 anni di cassa integrazione. «Dobbiamo
pensare politiche attive per il lavoro - ha aggiunto davanti al “parlamentino” democratico -, perchè
persone che stanno fuori dal ciclo produttivo per tanti anni poi sono dequalificate». Quindi ha ribadito
la necessità di scelte importanti, a livello centrale, come il taglio della spesa pubblica «che fanno tutti
tranne noi». Infine il rapporto con l’Unione europea. «No ai fondi strutturali a Paesi che si fanno
concorrenza l’uno con l’altro e si portano via le fabbriche - ha spiegato Serracchiani -. E
riconoscimento del ruolo del Made in Italy, perchè noi siamo un Paese produttore, non solo di
consumatori». In direzione Pd il documento che di fatto “licenzia” il Premier Enrico Letta e spalanca le
porte all’esecutivo Renzi è passato con 136 sì, 16 no e 2 astenuti. Nella pattuglia dei regionali hanno
votato sì Renzo Travanut all’ultima direzione nazionale (domenica Antonella Grim diventerà segretario
regionale), Cosolini, Serracchiani, De Monte che afferma «il Paese ha bisogno di cambiare verso, il Pd
lo avevo promesso a partire dalle sue primarie», e Rosato. Unico contrario Vincenzo Martines, vicino
alle posizioni di Civati. Ma c’è un altro fronte che mette in fibrillazione la politica. E cioè il futuro
della presidente. Lei, per l’ennesima volta smentisce, ma autorevoli voci e testate giornalistiche
continuano a inserirla tra i possibili ministri di Matteo Renzi. Serracchiani giura che vuole restare in
Friuli a continuare un lavoro iniziato solo pochi mesi fa. Leader e funzionari vicinissimi alla
governatrice assicurano «che il Friuli Venezia Giulia non tornerà a votare a maggio». «Lei ha detto di
no e io le credo», sostiene Vincenzo Martines, corroborando la tesi di una Serracchiani saldamente
ancorata alla realtà friulana e giuliana. Ma anche se non sarà nella squadra del sindaco di Firenze, la
presidente potrebbe ricoprire un incarico di primissimo piano dentro il Partito democratico. Un ruolo da
vicario, una sorta di segretario in pectore, visto che Renzi sarà assorbito dall’impegno di primo
ministro. Nel toto governo entrano anche altri nomi legati alla nostra regione. Il più quotato, almeno al
momento, è quello del deputato udinese Paolo Coppola, renziano della prima ora e ben accreditato nei
palazzi romani per le sue capacità professionali. Sottosegretario con delega all’innovazione informatica
potrebbe essere una sorta di vestito su misura per lui. Controindicazione: è alla Camera da appena un
anno, altri parlamentari con più “anzianità” potrebbero sfilargli il posto. L’interessato è sereno. «Sarei
onorato di far parte di una compagine di Governo guidata da Renzi - dichiara -. Già il mio nome che
gira è una cosa che fa piacere, poi vedremo se la cosa si concretizzerà. Il contributo che potrei dare è
quello riguardo l’agenda digitale, il Paese è ancora un po’ indietro». Un altro leader più volte dato per
vicino al Governo è Riccardo Illy. Ma fonti attendibili danno per «improbabile» una sua “chiamata”.
Per due motivi: si è appena insediato alla presidenza della Paritetica Stato-Regione e non è
«politicamente connotato». A differenza di coloro che entreranno nel Renzi uno.
Thermokey, dalla crisi al rilancio
UDINE In mezzo a tante crisi industriali, c’è un’azienda che si rilancia sul mercato nazionale e
internazionale grazie all’investimento di un imprenditore friulano. La Thermokey di Rivarotta di Teor,
specializzata in progettazione e realizzazione di macchine per lo scambio termico, è stata salvata dalla
società finanziaria “InvestoUno” rappresentata da Giorgio Visentini, che con un impegno diretto di 5
milioni di euro ha ricapitalizzato l’azienda (salvando 160 dipendenti). Pagando fornitori e assumendosi
la responsabilità di fronte alle banche, è riuscito a ridare credibilità alla Thermokey, rilanciandola sul
mercato. Un’operazione che è stata presentata ieri nella sede di Confindustria Udine da Giorgio
Visentini e dal figlio Giuseppe, dal vice-presidente vicario di Confindustria Udine Michele Bortolussi e
dal vicepresidente della giunta regionale Sergio Bolzonello. «La ricapitalizzazione di una storica
azienda di termoelettromeccanica da parte di una cordata di imprenditori locali – commenta Bolzonello
– è un esempio confortante di questi tempi, soprattutto perché si tratta di un’operazione industriale e
non finanziaria: un sistema produttivo che cerca di riportare il Fvg ad alti livelli di competitività merita
una Regione impegnata ad accompagnare questo sforzo con norme e risorse adeguate». Un modello
virtuoso quello di Thermokey, che Bolzonello si è augurato possa essere replicato in altre parti del Fvg.
«La nostra idea è che valga la pena puntare su qualità e sviluppo del manifatturiero made in Italy.
Speriamo sia una sfida che dia fiducia al sistema Italia – auspica l’amministratore delegato Visentini,
dopo aver illustrato i termini dell’operazione di salvataggio e il piano di sviluppo per Thermokey anche perché poggia su un ingente investimento in ricerca e innovazione». Alessandro Cesare
Latterie, il Consorzio trova nuovi alleati ma non tra i dirigenti
UDINE A meno di 24 ore dalla decisione finale, che domani mattina vedrà l’assemblea dei soci di
Latterie friulane esprimersi sul futuro della coop, il progetto industriale elaborato a tempo record dal
Consorzio agrario Fvg è stato presentato ieri al vicepresidente della Regione, Sergio Bolzonello che
l’ha definito «interessante. L’amministrazione regionale – ha aggiunto – vi presta tutta la sua
attenzione. Ci auguriamo che si possa proseguire su questa strada, poiché riteniamo importante la
costituzione di filiere regionali nel settore lattiero-caseario capaci di stare adeguatamente sul mercato».
Non equivale a una scelta di campo quella del vicepresidente, anche se le dichiarazioni di ieri, tra le
righe, lasciano trapelare una “simpatia”, forse naturale, per il progetto tutto friulano messo a punto dal
Consorzio che si appresta alla prova del nove. Il confronto con il piano di Granarolo. Paragone che ieri
è stato lo stesso Bolzonello a chiedere: «Invitiamo Latterie friulane a compiere prima della decisione
finale un’attenta analisi comparativa delle visioni strategiche contenute nelle due proposte in modo da
arrivare a una valutazione tecnica e obiettiva dei due piani». La Regione? Si dice pronta a fornire
assistenza esterna. «Qualora Latterie – ha aggiunto il vice di Serracchiani – ritenesse di doversi
avvalere di professionalità della Regione, quale ente terzo, per valutare i percorsi da seguire, diamo fin
d’ora la nostra piena disponibilità». A Bolzonello, Della Picca ed Ermacora hanno chiesto atti concreti
tra cui l’intervento di Friulia nella srl che dovesse formarsi se sabato l’assemblea dei soci sceglierà il
piano del Consorzio, oltre a un programma di promozione e sostegno del Montasio e ancora il supporto
al progetto di filiera del latte attraverso il Psr e il fondo di rotazione in agricoltura. Gli appuntamenti in
agenda del vicepresidente legati alla vertenza sono proseguiti nel pomeriggio con la consegna di quasi
1.200 firme “pro Latterie” che Bolzonello ha ricevuto dalle mani della promotrice Paola Vianello
assieme a una lettera in cui si spiegano le ragioni dell’iniziativa. Legata alla difesa dei dipendenti, ma
anche al «desiderio di un bacino di corregionali attenti a un prodotto locale, conosciuto e simbolo della
nostra tradizione». Ieri non sono mancati gli attriti tra Latterie e Consorzio. Per il dg della coop, Franco
Odorico, «il piano è arrivato in ritardo rispetto ai tempi pattuiti e consta di appena 8 pagine». Pronta la
risposta del direttore Della Picca: «Abbiamo mandato solo una breve presentazione, riservandoci di
entrare nel merito del progetto sabato con gli allevatori». Ai quali ieri si sono rivolti anche il presidente
della Provincia, Pietro Fontanini, e l’assessore Leonardo Barberio - «Scelgano nell’ottica di
salvaguardare un importante patrimonio del Friuli» - per poi schierarsi apertamente in favore del
Consorzio agrario il cui progetto - a giudizio di palazzo Belgrado - «consentirebbe a di mantenere le
nostre eccellenze in loco, di salvare i posti di lavoro». Il presidente dell’Agci, Adino Cisilino, chiede un
intervento forte della presidente Serracchiani perché «l’acquisizione di Latterie friulane servirà a
risolvere i problemi di Granarolo e non il contrario. Come ha fatto con Electrolux, la Regione deve
intervenire con forza per evitare un’ulteriore svendita del patrimonio economico dei friulani». Maura
Delle Case
UDINE
Il Copernico farà a luglio gli esami di riparazione
Rivoluzione al liceo Copernico: arrivano gli esami di riparazione a luglio. Una decisione che la scuola
ha preso di concerto con genitori e insegnanti, anche per evitare polemiche. Grazie a una gestione
oculata dei tempi, gli studenti di via Planis chiuderanno l’anno scolastico al più tardi entro metà luglio.
Invariato il calendario per gli altri istituti della città, con prove a cavallo tra fine agosto e settembre. «È
una decisione che arriva dopo una lunga preparazione all’interno del collegi docenti, che ha anche la
benedizione dei rappresentanti dei genitori», spiega il preside del Copernico, Andrea Carletti. E pare
che il salto piaccia pure ai ragazzi: «I rappresentanti di istituto si sono fatti cinghia di trasmissione della
novità con i compagni – aggiunge Carletti –, convinti che fosse uno strumento molto positivo.
Insomma, sento un clima molto costruttivo intorno al progetto: prima il recupero scolastico e poi quello
psico fisico». Terminate le lezioni ed esposti i quadri con i risultati finali, i ragazzi con “giudizio
sospeso” ritornano subito in classe per i corsi di recupero. E dopo le lezioni suppletive svolte in
contemporanea con le prove degli esami di Stato, è subito tempo di “dentro o fuori”. Un sistema lampo,
che entro la prima metà di luglio consente agli studenti di conoscere il proprio destino. E, nel
malaugurato caso di una bocciatura, regala anche un po’ di tranquillità per scegliere se proseguire il
liceo o cambiare scuola. Insomma, con tempi studiati al millisecondo, il Copernico ha trovato la
quadratura del cerchio. Perché già in passato alcuni istituti superiori avevano tentato di anticipare gli
esami di settembre. Ma con l’unico risultato di sollevare le ire dei sindacati: in caso di esami a
settembre, infatti, si contraddice il contratto degli insegnanti cui spettano 32 giorni di ferie (di cui
almeno 15 di seguito). La rivoluzione del Copernico contiene anche un messaggio. E a lanciarlo sono
gli stessi insegnanti: «Gli allievi devono studiare da settembre a giugno, approfittando delle numerose
opportunità di recupero che la scuola offre nel corso dell’anno scolastico per poi godersi in estate il
meritato riposo – spiegano dal liceo –. Il piano delle attività proposte dal Copernico per il superamento
delle lacune già da ottobre e fino a maggio prevede, sportelli, corsi, lezioni di potenziamento in tutte le
discipline e in particolare quelle caratterizzanti il corso di studi. Tutte attività da quest’anno potenziate
e nelle quali l’istituto investe da sempre molte risorse». Il debito di fine anno deve quindi essere
un’eccezione e non la regola. Perché gli insegnanti hanno notato che «diversi allievi si impegnano in
modo saltuario e tardivo durante l’anno, contando magari sul fatto di avere l’estate a disposizione per
recuperare». E le famiglie hanno già promosso la novità: «Gli studenti hanno la possibilità di
recuperare in itinere eventuali lacune nella loro formazione – sottolinea la presidente del consiglio di
istituto, Patrizia Beltrame, in rappresentanza dei genitori –. La collaborazione in questo caso tra allievi,
scuola e la famiglia è fondamentale per un intervento tempestivo e finalizzato alla crescita intellettiva e
culturale dei ragazzi. Questa piccola “rivoluzione didattica” è una preziosa occasione per dare maggior
luce e rilievo al percorso formativo al quale la scuola è chiamata a dare risposte. E potrebbe avviare un
importante cambiamento culturale con la valutazione subordinata alla formazione e non, come
avvenuto finora, fine a se stessa». Michela Zanutto
Aussa Corno, divampa la polemica
SAN GIORGIO DI NOGARO «La Regione non può chiamarsi fuori dalla vicenda del Consorzio
Aussa Corno: ci sono in piedi progetti che hanno già copertura finanziaria come la viabilità di accesso
alla Ziac, ma anche quelli sui dragaggi, o la fusione con l'Interporto, che devono essere portati avanti.
Non capisco, quindi, a chi serva “smembrare” la più bella zona industriale della regione: chiudere non è
una soluzione». Pietro Fontanini, presidente della Provincia di Udine, socio di maggioranza del
Consorzio Aussa Corno, commenta la dichiarazione della presidente della Regione, Debora
Serracchiani, che intende “far sparire” i Consorzi: «Ci lasceranno i debiti - ha detto - ma almeno li
elimineremo». Una posizione, quella della presidente regionale, che ha creato una certa agitazione
anche tra gli imprenditori, già penalizzati dalla difficile situazione che sta attraversando il Consorzio
Ziac a causa del forte indebitamento e che si troverebbero a non avere più un riferimento sul territorio.
Intanto, per lunedì, è stata convocata l'assemblea delle imprese insediate per nominare il presidente, che
sarà, di diritto, uno dei componenti del futuro consiglio di amministrazione dell'ente. L'assemblea dei
soci del Consorzio Aussa Corno, invece, è stata convocata per mercoledì 19: in quell'occasione,
probabilmente, si discuterà del piano industriale che prevede anche la fusione con l'Interporto di
Cervignano, da tempo richiesto dalle banche creditrici, dalla Provincia di Udine e dalla Ccia, ma anche
dalla Regione, ritenuto prioritario per dare un futuro alla Ziac, attraverso il paventato aumento del
fondo di dotazione. Va evidenziato che il mandato del commissario del Consorzio Aussa Corno, Lucio
Chiarelli, scade a marzo, per cui se non si arrivasse ad una soluzione per allora, già qualcuno ipotizza la
messa in liquidazione. Ricordiamo che i sindaci della Bassa friulana, a fronte del perdurare di una
situazione di empasse, a fine gannaio hanno inviato alla presidente Serracchiani e all'assessore alle
Attività produttive Bolzonello, un documento per impegnare la Regione a «promuovere nuove
iniziative industriali e produttive; rivitalizzare il sistema imprenditoriale locale; creare nuova
occupazione; dare risposte immediate su costi dell'energia, secondo accesso ferroviario, dragaggi,
potenziamento del trasporto su rotaia e via mare; semplificazione burocratico-fiscale e incentivazione
economica; promozione del compendio chimico industriale per diventare un polo di interesse
nazionale». Francesca Artico
PORDENONE
Unione il primo passo per la città dei 100 mila
Città unica: si parte. I sindaci dei cinque Comuni ospiti della lista civica Il Fiume e pungolati da
Giuseppe Ragogna, vicedirettore del Messaggero Veneto, si dichiarano a favore della fusione, ma
preferiscono partire dall’unione. «Se vogliamo avere il peso politico che ci spetta o riusciamo a fare
un’azione come città dei 100 mila – lancia la sfida Claudio Pedrotti – o scompariremo in questa
regione». E Luciano Zanon, presidente della Federazione del Camposampierese (relatore dell’unione
veneta assieme al direttore Luciano Gallo), li incoraggia a guardare oltre: «Anche il mio sogno oggi è
arrivare a un Comune unico». Panontin. Non è soltanto la crisi a mettere fretta ai Comuni. E’ pure la
scomparsa della Provincia. Anche se l’assessore regionale Paolo Panontin, come ha annunciato ieri
sera, ha ricevuto la diffida ufficiale dal presidente della Provincia Alessandro Ciriani a non proseguire
nella riforma, l’ente di area vasta sparirà. Panontin ha spiegato anche che la nuova legge sul
referendum introduce la possibilità che i cittadini possano prendere in mano l’iniziativa che porta alla
fusione. L’unione. La tappa intermedia è l’unione: un ente di secondo livello con presidente, giunta dei
sindaci e consiglieri. Costo della politica? Nel Camposampierese, a ridosso di Padova, zero. Neanche i
rimborsi spese. In dieci anni, in compenso è stata ridotta la spesa corrente del 36 per cento. La spesa
pro capite è il 51 per cento dell’Italia: 100 euro in meno di tasse. Il rapporto è di un dipendente ogni
316 abitanti. Cordenons. Entusiasta Mario Ongaro. «I veri nemici di questo progetto sono i partiti che
pensano soltanto a chi sarà il prossimo sindaco. Per i miei figli non fa differenza tra vivere a
Pordenone, Cordenons o San Quirino. I cittadini sono già pronti a questo», rilancia il sindaco. San
Quirino. Il futuro «forse è la fusione – dice Corrado Della Mattia –, ma prima bisogna fare l’unione. Io
spendo un milione 160 mila euro per gli stipendi del personale. Se potessi spendere il 5 per cento in
meno di personale, potrei liberare risorse». Roveredo. La convenzione con Pordenone che ora riguarda
sei servizi «mostra che all’unione crediamo – ha detto Paolo Nadal, in rappresentanza del sindaco
Sergio Bergnach –. Il problema spesso è tra personale di Comuni diversi, bisogna imparare a lavorare
insieme, per questo dobbiamo agire per tappe». Porcia. Stefano Turchet si dice pro fusione, ma
consapevole «che prima bisogna passare attraverso l’unione. Come cinque Comuni potremmo erogare
gli stessi servizi con 600 persone in tutto, ma gli altri 500 si sommerebbero ai 1.100 che la famiglia
Wallemberg vuole lasciare a casa». Pordenone. E Pedrotti: «Siamo tutti a favore, ma a differenza del
Camposampierese non abbiamo lo stesso tempo e non possiamo nemmeno pensare che si tratti soltanto
di servizi. E l’identità del nostro territorio può essere davvero il motore di questo percorso politico». Il
Camposampierese. Il precedente da cui partire è la federazione del Camposampierese. Abitanti 100
mila, 12 mila imprese (il 60 per cento manifatturiero), una ogni 8,5 abitanti. E poi un record: quello da
suicidi per crisi. Siamo in un francobollo strategico che rappresenta il Veneto manifatturiero. «Siamo
un’unione tecnicamente parlando (che nasce da due unioni precedenti) – ha precisato Lorenzo Zanon –,
ma ci siamo voluti chiamare federazione perché questo indica la volontà di mantenere l’identità di
ciascun Comune». Le difficoltà. Le resistenze maggiori «non sono della politica, ma all’interno della
macchina amministrativa», ha detto il sindaco Zanon. Per questo è importante creare un percorso
organizzativo per chi lavora. «Noi abbiamo impostato tutto su un modello di rete, anche telematica». E
poi «ogni Comune mantiene una funzione in capo». I vantaggi. Ma i vantaggi prevalgono. «Non
saremmo riusciti a gestire certi servizi da soli – ha chiarito Zanon – nemmeno aumentando i costi». Ma
l’aspetto economico è l’unico? «E’ fondamentale, ma il vero scopo dell’unione è quello di rifondare il
territorio». Perché oggi i sindaci dovrebbero mettersi assieme? Perché dopo la crisi molte cose saranno
«mai più come prima», dice il direttore della federazione, Luciano Gallo. Oggi «le economie cercano i
territori e i problemi si governano sul territorio», ma «il sindaco da solo non basta: serve un’alleanza
con il sistema territoriale». Occorrono progetti che partano da un’identità distintiva. E l’identità su cui
costruire il Comune, come ha ricordato Ragogna, il Pordenonese l’ha già: il fiume Noncello. Martina
Milia
«Voglio bene alla fabbrica. Electrolux non si spegne»
PORCIA «Vogliamo bene alla Zanussi, fa parte della storia del nostro territorio e delle nostre famiglie.
Non possiamo accettare che la fabbrica nella quale noi, e i nostri genitori prima di noi, abbiamo passato
una vita intera possa scomparire». È commossa Laura Zaramella, 32 anni vissuti negli uffici dello
stabilimento purliliese, dove è entrata nel 1972, appena 19enne. Alla sua finestra espone orgogliosa la
bandiera con la scritta “Electrolux non si spegne”. Sua l’idea che ha dato il là all'iniziativa “Seimila
bandiere giallo Zanussi”, per colorare balconi e finestre delle abitazioni di Porcia con un segno (un
drappo della tinta del marchio) di solidarietà ai lavoratori in lotta. In tanti stanno raccogliendo
l’“invito”, a sottolineare come questa fabbrica sia un patrimonio di tutti, un pezzo irrinunciabile di
storia, «quella storia che ci appartiene e che vogliamo trasmettere a nostri figli». La speranza è che ogni
famiglia purliliese possa appendere la bandiera, dimostrando in modo “visibile” la propria vicinanza
agli operai e rivendicando il senso di appartenenza a quella che gli abitanti di questo comune sentono
come la “propria” fabbrica. «È un gesto di cuore, per dire ai lavoratori “tenete duro, non mollate, siamo
con voi”. È chiaro che l’Italia non può competere con il costo del lavoro che offre la Polonia, ma la
qualità e sicurezza dei nostri apparecchi è sicuramente unica. Ritengo che gli operai abbiano dato
abbastanza, in termini di sacrifici. Ora tocca alle istituzioni fare la loro parte». La memoria di questa
signora, madre di due figli – il marito, neanche a dirlo, l’ha conosciuto nelle linee produttive dello
stabilimento purliliese – va alla sua giovinezza, alle feste di Natale con il panettone regalato
dall’azienda, al vestito della cresima comperato dalla famiglia Zanussi, «noi operai e figli di operai,
loro i “padroni”, ci si frequentava in maniera cordiale e amichevole». «Mio padre – ricorda ancora
Zaramella – ha passato 40 anni nello stabilimento, anzi ha cominciato quando l’officina di Lino
Zanussi si trovava in via Montereale. Quella volta non c’era sabato o domenica che tenesse, si lavorava
anche il fine settimana. Papà andava in fabbrica sempre col sorriso sulle labbra». Suo zio, Antonio
Zaramella, alla Zanussi ci ha passato quasi 50 anni. «Era un sindacalista noto per le sue battaglie». Non
era tutto rose e fiori in fabbrica, si lottava anche allora come oggi per i propri diritti. «Certo, sono
cambiati i metodi: ricordo ancora la scena di un dirigente portato fuori dal suo ufficio, seduto sulla
sedia, dai dipendenti poiché si rifiutava di scioperare». Dopo gli anni bui, la rinascita, la costruzione
della nuova fabbrica e ancora l’acquisizione da parte di Electrolux, un momento difficile che non ha
però tolto alla Zanussi la sua identità: cambiava il proprietario, ma l’impronta del fondatore rimaneva,
come testimonia l'attaccamento dei purliliesi al “loro” stabilimento e soprattutto lo slogan degli operai
in lotta “Noi siamo la Zanussi”. «Tra quelle mura sono cresciuta, ho imparato a vivere. Ricordo ancora
quando mia madre prese il telefono e chiese se c’era posto per me: allora funzionava così, i genitori
chiedevano e i figli venivano accolti in fabbrica. Ecco perché tante famiglie sono nate e cresciute tra le
mura dello stabilimento purliliese. Ecco perché non vogliamo rinunciare alla nostra Zanussi».
Miroslava Pasquali
Maxi-istituto sul Livenza: i sindaci litigano per la sede
SACILE I sindaci di Brugnera e Sacile non si mettono d’accordo a scuola. Risultato: deciderà la
Regione la sede di titolarità 2014-2015 del nuovo Isis Marchesini-Carniello-Della Valentina. Entro 48
ore: Sacile o Brugnera? Accordo impossibile tra il sindaco di Sacile Roberto Ceraolo e di Brugnera Ivo
Moras: il tiro alla fune è andato avanti anche al tavolo aperto a Trieste dall’assessore regionale
all’istruzione Loredana Panariti. «Mi dispiace che uno dei due sindaci resterà scontento qualunque sia
la scelta». Panariti ci ha provato, due giorni fa: convergenze parallele impossibili. Resa dei conti, oggi
in Regione, sulla sede dell’Isis che debutterà a ponte tra Sacile e Brugnera, il primo settembre. Il tempo
stringe, incalzato dalle operazioni di organico e trasferimenti 2014-2015. Fumata nera tra i primi
cittadini Ceraolo e Moras, arroccati sulla difesa del principio di territorialità ristretta. «Il rischio – dice
Ivo Moras, sindaco Moras – è la fuga degli iscritti nelle scuole venete: serve un dirigente all’Ipsia
Carniello con titolarità in via Galilei». A Sacile, invece, chiedono la stabilità gestionale e la sede in via
Stadio. Il piano dell’accorpamento ha incassato il “placet” dalla Regione Fvg e la Provincia di
Pordenone lo aveva sostenuto anche due anni fa. Le famiglie, intanto, fanno pressing a Sacile.
«Chiediamo un dirigente titolare nell’Isis Marchesini – è il pressing dei genitori con il sindaco Roberto
Ceraolo –. Il polo tecnico-professionale va potenziato». «Non accetto ingerenze di Sacile a Brugnera».
A ciascuno il suo: il sindaco Moras aveva messo i confini al piano territoriale delle scuole. E alla
titolarità della dirigenza scolastica a Brugnera, non rinuncia. «Non ne facciamo una questione di
numeri e di ragioneria – dicono a Brugnera –. Bisogna pensare al bene del territorio allargato: l’Ipsia
Carniello è un professionale unico in tutta la provincia e ha un’utenza dal Veneto». Frizioni di vicinato,
tra i due Comuni sulle sponde opposte del Livenza, per ragioni di scuola. Il primo piano di
dimensionamento scolastico era stato bocciato dalla Regione Fvg dopo Natale. Approvato dalla
Provincia metteva in conto due istituti titolari per i dirigenti a Brugnera (omnicomprensivo in verticale
dalle primarie con media e Ipsia Carniello) e Sacile (Isis Marchesini con Ipsia Della Valentina).
Naufragata la prima proposta, l’alternativa è stata l’accorpamento delle tre superiori Marchesini, Della
Valentina e Carniello. Un’idea nata a Sacile per scongiurare un altro anno scolastico di reggenze dei
dirigenti: a mezzo servizio. «Sacile ha un primato di iscritti e due sedi su tre – difende le sue ragioni
Roberto Ceraolo –. L’assegnazione della titolarità al giardino della Serenissima è scelta logica e
funzionale». Fine del “feeling” tra i due Comuni. «Nel pieno rispetto delle municipalità vicine e del
bene della scuola – dicono i sindaci – collaboreremo. Di fronte a qualsiasi scelta della Regione e
dell’assessore Panariti». Chiara Benotti
I sindacati: «Dovete mettervi d’accordo»
SACILE La gatta da pelare è la questione della sede di titolarità: Sacile o Brugnera per l’Isis
Marchesini-Carniello-Della Valentina? I sindacati Flc Cgil e Uil intervengono e difendono la scuola.
«L’istruzione e gli studenti al centro – dicono Natalino Giacomini e Adriano Zonta vertici regionale e
provinciale Flc Cgil –. La scuola è la priorità: i sindaci di Sacile e Brugnera devono pensare al rapporto
costi-benefici a carico dell’istruzione e mettersi d’accordo». I sindaci di Brugnera (Ivo Moras) e di
Sacile (Roberto Ceraolo) vogliono soluzioni diverse. «Serve una scala di criteri – suggeriscono i
sindacalisti della triplice confederale – per orientare alla scelta giusta. La questione politica, è
secondaria». La Provincia nel 2012 aveva ideato l’accorpamento tris: Marchesini-Carniello-Della
Valentina. Niente da fare e l’attendismo politico-amministrativo ha condannato per 24 mesi alla
reggenza di dirigenti a mezzo servizio, i due istituti. Due anni dopo, il gol è quello dell’accorpamento
ma lo scontro è sulla sede di titolarità tra Sacile e Brugnera. A chi andrà la titolarità della dirigenza?
«Voce del verbo razionalizzare con buon senso – dice Ugo Previti vertice regionale Uil scuola –.
Diamo la possibilità ai Comuni e sindaci di trovare un accordo che dia benessere e forza alla scuola».
L’incognita politica da mettere in conto? Le elezioni comunali 2014 a Sacile: pare che l’“affaire”
istruzione abbia un peso anche nelle urne. I galloni della sede di titolarità del nuovo Isis CarnielloMarchesini-Della Valentina, valgono un pugno di voti. «Suggeriamo di mettere a confronto i costi
diversi di una sede di titolarità a Sacile oppure a Brugnera – vanno avanti Giacomini e Zonta –. I costi
dei traslochi delle segreterie, i tempi di accesso allo sportello amministrativo, i trasporti. Poi, il fattore
degli spazi di una sede e dell’altra: sono da valutare in numeri». I sindacalisti non mollano. «Scorporare
l’istituto comprensivo della Balliana Nievo e Centro per adulti – invocano in casa Cgil –. Ha
dimensioni gigantesche uniche in regione». Un anno fa, il “taglia e cuci” sulle autonomie sembravano
cosa fatta. Invece, niente. «Strangolato dai numeri giganteschi l’istituto comprensivo di viale
Zancanaro ha 1.700 iscritti e altre centinaia di adulti nei corsi serali».(c.b.)
Europeo, l’azienda non firma i moduli. La “cassa” in ritardo
PRATA Situazione sempre più tesa al mobilificio Europeo: per questa mattina è stata convocata
un’assemblea dei lavoratori presso la sede di via delle Industrie a Cessalto per discutere dei ritardi
nell’erogazione della casa integrazione. Secondo alcuni lavoratori la responsabilità per il ritardo
sarebbe dovuto ad una mancanza da parte dell’azienda nella presentazione dei cosiddetti modelli
“SR41” senza i quali l’Inps non può procedere alla liquidazione degli ammortizatori sociali. Continua
inoltre l’attesa per quanto riguarda l’approvazione o meno del concordato preventivo. I lavoratori sono
senza stipendio da luglio dell’anno scorso e la tensione ha quindi comprensibilmente raggiunto le
stelle. «Abbiamo convocato una riunione di tutti i lavoratori per questa mattina – spiega la portavoce
Roberta Rocco –. Vogliamo capire come mai ci sono questi ritardi nell’erogazione della cassa
integrazione. A noi risultano ritardi riferibili all’azienda nella preparazione dei modelli SR41 senza i
quali l’Inps non può procedere alla liquidazione delle somme spettanti ai lavoratori». Gli ormai ex
dipendenti di Europeo hanno informato della situazione la senatrice di Fontanelle Paola De Pin, che si è
attivata per risolvere la questione contattando un rappresentante della proprietà, il quale ha assicurato
che Europeo sta provvedendo alla compilazione di tutta la documentazione necessaria per far avere gli
ammortizzatori sociali ai lavoratori. La cassa integrazione per dodici mesi per i circa 200 lavoratori di
Europeo era stata approvata a Roma soltanto tre settimane fa, ma con valore retroattivo a partire dal
luglio 2013 e valevole quindi fino a luglio di quest’anno. Solo dopo l’approvazione da parte del
ministero l’azienda ha potuto iniziare a predisporre tutta la documentazione da inviare all’Inps. I nervi
sono parecchio tesi in attesa anche del pronunciamento del tribunale fallimentare di Treviso sulla
richiesta di concordato preventivo presentato dall’azienda. Il piano prevede il pagamento del 32 per
cento dei crediti vantati dai fornitori, ma il tribunale avrebbe chiesto un’integrazione alla
documentazione prima di esprimersi. Se verrà approvato il piano concordatario, i lavoratori avranno la
possibilità di richiedere una nuova approvazione della cassa integrazione, allungando così di sette mesi
il periodo coperto dagli ammortizzatori sociali. Nel caso invece in cui il concordato venisse bocciato, si
vedrebbe decretato il fallimento del mobilificio Europeo, al quale seguirebbe la messa all’asta
dell’azienda. Il mobilificio Europeo vantava una storia ultraquarantennale, prima come azienda
indipendente, poi, a partire dagli anni ’80, è entrato a far parte del gruppo Petrovich. Tre le sedi
aziendali: oltre a Cessalto, dove è posta la sede legale, ci sono gli stabilimenti di via Istria a Motta di
Livenza e di via Silvio Pellico a Prata di Pordenone, dove aveva sede un reparto di verniciatura,
ridimensionato negli ultimi anni. Claudia Stefani
Sintesi, il giudice prende tempo. Fa ben sperare la solidità di Ikf
SPILIMBERGO Il giudice delegato si è riservato la decisione. Dovrebbe essere resa nota oggi o al più
tardi lunedì la scelta del tribunale di Pordenone sull’omologa del concordato Ame (ex gruppo Sintesi).
Nessuno fa pronostici – la scaramanzia è d’obbligo – ma a far ben sperare è la solidità di Ikf spa,
società che controlla Sintesi Srl (nata la scorsa estate) e già quotata nel mercato Aim gestito da Borsa
Italiana. Proprio Ikf si è impegnata a rilasciare in favore della procedura una garanzia fideiussoria che
sfiora i 6 milioni di euro. La nuova realtà di Spilimbergo – ripartita con la metà degli 82 dipendenti
dello stabilimento della zona industriale Cosa – sembra peraltro aver trovato nuovo slancio in un
mercato che resta, per tutti, difficile. L’azienda che produce complementi d’arredo (sedie, librerie e
mobili d’ufficio), era stata ammessa al concordato preventivo dal tribunale, nel luglio 2013, e a
settembre il commissario giudiziale, Alberto Cimolai, dopo l’analisi dei bilanci e dello stato
patrimoniale e finanziario dell’attività aveva dato via libera alla procedura. Dopo un’udienza, a
dicembre, in cui c’è stato un rinvio tecnico, ieri c’è stata l’udienza che deciderà del futuro del della
nuova società. Il progetto di rilancio parte dall’affitto d’azienda – con prelazione sull’acquisto – e
l’ingresso nella compagine della Ikf (con il 70 per cento di Ame). Il contratto d’affitto di durata
triennale, ad un canone annuo che si aggirerebbe sui 240 mila euro, ha permesso fin da luglio
l’assunzione di una quarantina dei dipendenti del gruppo, mentre gli altri sono rimasti a casa con la
speranza, qualora la nuova società possa guadagnare nuove fette di mercato, soprattutto all’estero, di
poter essere riassorbiti in un secondo momento. Questi nove mesi sono stati duri per i lavoratori rimasti
esclusi dalla ripartenza della nuova società, e questo perché la domanda di cassa integrazione
straordinaria presentata contestualmente all’avviamento della procedura di concordato – in questo caso
al ministero del Lavoro, che è l’organo competente – è rimasta ferma sino a qualche giorno fa nelle
maglie ministeriali. A Roma, Sintesi era solo una delle centinaia di situazioni da esaminare, e così solo
due giorni fa è arrivata l’ufficialità rispetto all’accoglimento della domanda. Da quel momento passano
normalmente una ventina di giorni prima che l’Inps eroghi la cassa integrazione straordinaria. Per i
lavoratori che hanno potuto ottenere l’anticipo provvidenziale della cassa, attraverso le banche di
credito cooperativo, la situazione cambia poco, ma per quei lavoratori – fortunatamente la minoranza –
che non hanno potuto ottenere l’anticipo per mancanza di garanzie, lo sblocco del Ministero è una
manna dal cielo. Martina Milia
Schiacciato dai debiti, si uccide in azienda
MANIAGO Un’azienda sommersa dai debiti e difficoltà economiche diventate ostacoli insormontabili.
La frustrazione di vedere un gruppo, un tempo prestigioso, crollare pian piano. Essere costretto a porre
in cassa integrazione buona parte dei 110 dipendenti, tra cui la moglie e le due figlie, e a lasciare quelli
in attività senza paga per mesi. Queste le ragioni che avrebbero spinto l’imprenditore Giorgio Zanardi,
73 anni, uno dei titolari dell’omonimo Gruppo editoriale, con stabilimento a Padova – e sino a luglio
2012 anche a Maniago – a togliersi la vita nelle prime ore di ieri. L’uomo è stato trovato con una corda
legata al collo, dentro la sede veneta, poco lontano dal suo ufficio. Sul tavolo, un biglietto in cui ha
spiegato le motivazione all’ordine del tragico gesto: problemi economico-finanziari e di salute. A fare
la scoperta il capo reparto. Zanardi è l’ennesima vittima della crisi. Un altro imprenditore schiacciato
da pesanti difficoltà economiche, che ha deciso di mettere la parola fine alla sua esistenza. Nessuna
speranza per il futuro: il 73enne, titolare del Gruppo assieme ai fratelli Antonio e Rodolfo, da anni
vedeva navigare in cattive acque un’azienda un tempo prestigiosa nel mondo dell’editoria, a causa dei
debiti sempre più elevati e della chiusura delle linee di credito da parte delle banche. «Una montagna di
debiti»: così Mario Grillo, amministratore unico, ha inquadrato la situazione finanziaria dell’impresa.
Una dichiarazione che lascia ben immaginare quale fosse lo stato d’animo di Zanardi. L’azienda in
pochi anni era passata da 300 a 110 dipendenti, la stragrande maggioranza dei quali oggi è in cassa
integrazione. Nel luglio 2012, dopo oltre cinque mesi di trattative, la proprietà aveva deciso di chiudere
i due stabilimenti maniaghesi (legatoria e stampa), in cui lavoravano 75 persone, tra operai e impiegati,
per concentrare l’attività produttiva nell’unità di Padova. Era stata così aperta la procedura della cassa
straordinaria per le maestranze. Una situazione di difficoltà, come quella che stanno attraversando
molte altre realtà, da cui sembra impossibile uscirne. Una carta da giocare c’era ancora, però. Il 9
gennaio, la proprietà aveva infatti presentato in tribunale richiesta di ammissione al concordato
preventivo, con l’obiettivo di puntare a un rilancio dell’attività. L’ultimo tentativo per cercare di dare
una svolta, nonostante le speranze ridotte al lumicino. Ma Zanardi ha deciso di farla finita prima di
conoscere gli esiti del possibile piano salva-azienda. L’imprenditore era noto in Friuli e Veneto: con i
fratelli aveva dato avvio all’attività negli anni Sessanta. Prima era nata a Padova la Legatoria Zanardi,
poi nuove realtà come la Legatoria Friulia di Maniago e collaborazioni societarie con Grafiche Lema,
trasformatasi in Ipf e infine in Esaprint, sempre nella città del coltello, nonché l'Editoriale Lloyd di
Trieste e l’Ergon a Ronchi dei Legionari. Si è arrivati così alla costituzione del Gruppo editoriale
Zanardi, che ha accorpato tutte le aziende. Giulia Sacchi
Operai da 8 mesi senza stipendio. «In città è un dramma sociale»
MANIAGO Dolore per la tragica notizia del suicidio del titolare dell’azienda in cui lavoravano e al
contempo forte preoccupazione per il proprio futuro. Sono i sentimenti diffusi tra la cinquantina di
dipendenti del vecchio sito maniaghese della Zanardi, da otto mesi sono senza soldi. Il secondo anno di
cassa integrazione straordinaria non è stato, infatti, ancora approvato per ritardi del ministero e «ci sono
addetti che non hanno la possibilità di comprare nemmeno un quaderno ai figli», come denuncia il
sindacalista di Cgil Claudio Pettovello, che ha seguito le evoluzioni della vertenza Zanardi. Alla
cinquantina di dipendenti in difficoltà economica, se ne aggiunge una dozzina che aveva accettato il
trasferimento da Maniago a Padova in seguito alla chiusura del sito della città del coltello nel 2012 –
alcuni avevano optato per fare la spola quotidianamente tra Friuli e Veneto, mentre altri si erano
trasferiti –, e che da quattro mesi, pur lavorando, non percepisce lo stipendio. Mutui e bollette da
pagare, spese per i figli e per la vita di tutti i giorni da sostenere senza un euro: questa la situazione che
stanno vivendo lavoratori ed ex addetti del vecchio stabilimento maniaghese del Gruppo editoriale.
«Un dramma umano, quello di Giorgio Zanardi, e un dramma sociale, quello che stanno vivendo i
lavoratori – dice Pettovello –. Quanto sta accadendo alla Zanardi, così come in altre realtà, è una
vergogna di Stato. Non è né umanamente né civilmente pensabile che i lavoratori debbano attendere
otto mesi per vedersi riconosciuto il dovuto, ossia la cassa integrazione, per ritardi del ministero. Questi
rimandi favoriscono solamente il lavoro nero, perché una famiglia non può vivere senza soldi, siano
essi derivanti da uno stipendio o dalla quota di ammortizzatore sociale». Pettovello è rimasto costernato
dinanzi alla notizia del suicidio di Zanardi, «imprenditore che soffriva per una situazione aziendale
molto complicata. È stato un grave errore imprenditoriale chiudere il sito di Maniago, perché era uno
stabilimento molto performante, che avrebbe potuto risollevare le sorti del Gruppo – osserva il
sindacalista –. I titolari non hanno voluto credere nel progetto che avevamo proposto, che prevedeva il
mantenimento della realtà maniaghese in un'ottica però di abbassamento dei costi, con l'impiego pure
dei contratti solidarietà. Un piano in cui avevamo coinvolto Provincia e Regione. Hanno preferito
chiudere e trasferire tutto a Padova, considerandola la via migliore. Invece, si è rivelata una scelta
sbagliata, tant’è che l'azienda ha consegnato i libri in tribunale. Mi dispiace sia finita così: mi riferisco
sia alla vicenda aziendale sia a quella umana». (g.s.)