IL PICCOLO – venerdì 31 gennaio 2014 Indice articoli

IL PICCOLO – venerdì 31 gennaio 2014
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal
sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
ECONOMIA (pag. 2)
Dove il lavoro costa meno: vince l’operaio di Danzica
Letta: «Su Electrolux non ci arrendiamo» (4 articoli)
REGIONE (pag. 7)
Il taglio delle Province passa all’unanimità
TRIESTE (pag. 8)
Ferriera, firmato l’Accordo (4 articoli)
«Piano Wärtsilä irricevibile. Ora la politica intervenga»
GORIZIA-MONFALCONE (pag. 12)
Ripresa per Nidec-Asi, premio ai lavoratori
Surfrigo, in bilico 140 lavoratori
ECONOMIA
Dove il lavoro costa meno: vince l’operaio di Danzica
di Piercarlo Fiumanò TRIESTE Come la Francia di qualche anno fa temeva l’arrivo del famoso
idraulico polacco, oggi l’Italia teme il metalmeccanico che è rimasto a lavorare a Danzica, nei cantieri
celebri per la protesta di Solidarnosc, e costa un terzo dell’operaio italiano. Il caso Electrolux, che
minaccia di trasferire gli stabilimenti in Polonia, rilancia il nodo della competitività del nostro Paese
frenata da un costo del lavoro eccessivo. Un fattore che pesa sulla competitività dell’Italia è il
cosiddetto cuneo fiscale e cioé i contributi pagati dal datore di lavoro e gli oneri sociali pagati dal
lavoratore sulla retribuzione lorda. Il cuneo fiscale italiano è il più alto assieme a quello di Francia e
Germania, paesi di antica tradizione manifatturiera e con un welfare strutturato. Questo «peso» sulle
buste paga è cresciuto in modo più veloce fra il 2000 e il 2012. Il cuneo più basso lo troviamo proprio
in Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia dove peraltro le condizioni di lavoro e sociali non sono poi
così favorevoli. Ma è quanto basta per esercitare una forte pressione competitiva sulle economie
manifatturiere della Vecchia Europa. E le grandi industrie si muovono a Est. Ma perchè Electrolux
fugge dall’Italia? Non conviene più fabbricare lavatrici nel nostro Paese? Il rischio delocalizzazione per
gli stabilimenti italiani non nasce oggi. «Abbiamo compreso che non era necessario spostare la
produzione in Cina perché è più conveniente localizzare gli stabilimenti nell’Est Europa per servire il
mercato europeo», in una rivelatoria intervista contenuta in un saggio sulla storia della Zanussi uscito
nel 2011 l’ex amministratore delegato del colosso di Stoccolma Hans Straberg aveva già preannunciato
le strategie successive del gruppo. Per Electrolux è molto più conveniente la paga di un operaio polacco
(5,5 euro) o turco (6,5 euro) rispetto ai 24 euro costo orario di un dipendente italiano. La disfida di
Porcia si gioca così sul costo del lavoro, un nodo cruciale accanto ad altre variabili come la qualità del
prodotto e l’organizzazione produttiva. Uno studio comparato pubblicato sul sito dell’Associazione
Norberto Bobbio e curato dal senatore Ludovico Sonego, considera il clup (costo per unità di prodotto)
e altri indici in dieci Paesi dell’Unione Europea e dell’Europa Centro-orientale dall’introduzione
dell’euro (1999) sino al 2012. Qui emerge una prima sorpresa: la Germania ha un costo superiore a
quello dell’Italia ma ciò non impedisce ad Angela Merkel di guidare la prima potenza manifatturiera e
commerciale d’Europa. Il costo tedesco è di 1.852 euro superiore a quello italiano, quelle francese che
è il più alto supera di 7.381 euro quello tedesco. Ma il vantaggio della Germania si gioca su un cuneo
fiscale basso che migliora il sostegno alla domanda e consente redditi netti più elevati. Ed è vero che
tutti i dieci Paesi considerati nel rapporto hanno attuato politiche di riduzione del cuneo, a parte l’Italia
che è rimasta ferma al palo. Con il paradosso che negli ultimi cinque anni il tasso di crescita delle
paghe italiane è il più basso in assoluto. Il vero freno alla competitività del nostro Paese deriva così dal
fatto che l’indicatore italiano peggiora nel tempo mentre quello degli altri Paesi migliora. Guardando ai
vari sistemi di protezione sociale rappresentati dal cosup (il costo degli oneri sociali) Francia, Italia,
Austria, Germania e Spagna hanno un welfare più avanzato mentre tutti gli altri Paesi scendono. Ma nel
nostro Paese finisce per gravare su un costo del lavoro già alto. L’operaio di Danzica vince anche
perchè nonostante il costo del lavoro nei Paesi dell’Est si stia allineando ai valori occidentali il divario
resta forte per cui gruppi come Electrolux accelerano nello spostamento delle basi produttive mettendo
a rischio il futuro di antichi caposaldi industriali come Porcia. Ma i fattori all’origine di queste strategie
sono diversi come dimostra il concorrente Wirlpool che chiude la fabbrica di Norrkoeping in Svezia
per trasferire la produzione di microonde ad incasso nel varesotto. In Polonia e Slovacchia c’è un forte
divario fra la crescita delle retribuzioni e produttività. I Paesi dell’Est hanno retribuzioni più basse di
quelle delle vecchie manifatture dell’Europa core ma il tasso di crescita delle buste paga è più alto
soprattutto in Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia. Nei prossimi anni, con l’integrazione di questi
Paesi nella zona euro, la situazione potrebbe cambiare di nuovo: la corsa delle retribuzioni nell’Est
Europa-si afferma nel rapporto-come del resto è avvenuto per il Pil, è stata più agevole nalla fase
iniziale dello sviluppo quando questi Paesi sono passati all’economia di mercato.
Letta: «Su Electrolux non ci arrendiamo»
di Massimo Greco TRIESTE «Non accettiamo di alzare bandiera bianca: seguiremo con il massimo
impegno questa vicenda, convinti che quel tipo di produzione in Italia si può e si deve fare». Così parlò
Enrico Letta. Il premier, il cui intervento sulla vertenza Electrolux era stato reiteratamente sollecitato,
ha colto l’occasione di affrontare lo spinoso dossier relativo alla presenza della multinazionale svedese
nel nostro Paese, parlando a Villa Madama nella Capitale, dove ieri si teneva una conferenza
sull’industria organizzata dallo Sviluppo Economico. «No ai ricatti insopportabili - ha aggiunto il
presidente del Consiglio - che a volte vengono fatti, faremo di tutto per convincere questa impresa a
restare». Le dichiarazioni di Letta, quasi rispettando un ideale timing, scoccano proprio il giorno dopo
del vertice romano, timonato dal ministro Flavio Zanonato, nel quale si è deciso di aprire la trattativa
sulle “ipotesi di lavoro” prospettate dal gruppo svedese, con un primo appuntamento per lunedì 17
febbraio. E tra le iniziative previste dal summit ministeriale campeggiava anche l’incontro tra il
premier e il management Electrolux. I sindacati - soprattutto Fiom e Cgil - e le Regioni - in particolare
il governatore Debora Serracchiani - avevano richiesto il “timbro” di palazzo Chigi per conferire
ulteriore forza politico-istituzionale alla vertenza con Electrolux. Ma nel racconto del day after c’è
anche la prosecuzione della protesta dei lavoratori in quasi tutti gli stabilimenti Electrolux. A Porcia
avanti con il blocco delle merci in uscita e con gli scioperi “a scacchiera” nei vari reparti, per rallentare
produzione e consegna delle lavatrici. Un presidio verifica il traffico dei camion: entrano solo quelli
che trasportano materia prima per la fabbrica, ma gli stessi autocarri debbono poi sortire
completamente vuoti. A Solaro, vicino a Milano, 500 lavoratori hanno presidiato i cancelli del sito,
organizzando un’assemblea nella strada: anche qui braccia incrociate in modo alternato. Nel
pomeriggio di ieri una delegazione di lavoratori Electrolux di Susegana è stata ricevuta dal console di
Svezia a Venezia: oggi in programma assemblee informative in vista del vertice Fiom-Fim-Uilm in
cartellone a Mestre lunedì prossimo. Davanti allo stesso consolato veneziano protesta a cura di
Rifondazione Comunista «contro i ricatti padronali». La rilevanza della posta in palio stimola i leader
sindacali a misurarsi su una vertenza molto delicata, che potrebbe assumere pericolose sembianze
“pilota”. Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, ritiene che sulla vicenda Electrolux si debba
fare come in Fiat, dove «gli stipendi non sono stati ridotti, però gli orari sono stati utilizzati in modo
tale che gli impianti robotizzati funzionino 24 ore su 24 con turni di otto ore». Bonanni ha chiesto al
ministro Zanonato e ai governatori Serracchiani (Fvg) e Zaia (Veneto) di «abbassare le tasse»: questo
sarebbe il vero aiuto, senza dare soldi alle imprese, semplice «pannicello caldo». Torna alla carica
anche Susanna Camusso, segretario della Cgil, che ribadisce l’irricevibilità del piano Electrolux e
ritiene necessario un confronto vero «per rideterminare gli investimenti». Terzo leader a intervenire è il
segretario Uil Luigi Angeletti, che reputa «ingiusta e pericolosa» la proposta di Electrolux, in quanto
scarica altrui responsabilità - dalle inefficienze burocratiche ailla bolletta energetica - sui salari dei
lavoratori. Una nota all’insegna dell’ottimismo viene dal governatore veneto Luca Zaia, che giudica
«non impossibile» il tavolo ministeriale inaugurato a Roma. Ma il governo deve muoversi con grande
velocità, riducendo le tasse e dichiarando la crisi di settore. Il presidente leghista è d’accordo con
Susanna Camusso sul fatto che non si debbano tagliare le paghe dei lavoratori e chiede mano libera per
le finanziarie regionali affinchè possano partecipare attivamente alla partita Electrolux.
Illy: la partita va giocata. Recuperare competività
di Luigi Dell’Olio TRIESTE «La partita non è ancora persa, ma è fondamentale uno sforzo condiviso
da tutte le parti in causa per evitare la desertificazione industriale del territorio». Riccardo Illy,
industriale del caffè, già sindaco di Trieste e governatore del Friuli Venezia Giulia, vede spiragli di luce
nella vicenda Electrolux. E invita a ripartire dal documento messo a punto dal comitato di saggi voluto
da Unindustria Pordenone, di cui fa parte con Tiziano Treu, Maurizio Castro e Innocenzo Cipolletta.
Dottor Illy, l’evolversi della vicenda rischia di travolgere il vostro documento, che propone al gruppo
svedese di mantenere tutti gli stabilimenti produttivi in Italia in cambio di un taglio del costo del lavoro
nell’ordine del 20%... La situazione è in evoluzione, si susseguono gli incontri e l’auspicio è che si
arrivi a una soluzione in grado di salvaguardare stabilimenti e occupazione. Occorre però evitare di
concentrarsi solo sul prospettato taglio retributivo, che è solo una parte di quella proposta. Ritiene che
vi siano altri punti della vostra proposta capaci di far cambiare idea alla Electrolux? Innanzitutto è bene
precisare che i saggi sono stati chiamati a elaborare un piano per affrontare una crisi più globale che
investe il territorio regionale, come si vede anche dai casi dell’Ideal Standard e del comparto legnoarredo. In questo scenario abbiamo un primo luogo diviso le questioni in due ambiti: da una parte c’è
una questione cost-driven, relativa alle aziende che minacciano di delocalizzare per ragioni
principalmente legate ai costi, ritenuti non competitivi rispetto ad altri Paesi. Dall’altra un tema qualitydriven, relativo all’importanza di attrarre e far crescere aziende a elevato valore aggiunto per il
territorio. Dobbiamo agire su entrambi i filoni per evitare che la situazione degeneri. Non si rischia in
tal modo di arrivare troppo tardi? Electrolux è un gruppo che si muove sui mercati mondiali, quindi non
è in mio potere, né dei saggi una soluzione capace, da sola, di modificare radicalmente le sue strategie.
Ci tengo, però, a sottolineare che la decisione sulla delocalizzazione è molto complessa, richiede
tempistiche e costi non proprio trascurabili, per cui un recupero di attrattività del territorio può giocare
un ruolo importante. E il discorso vale anche per altri gruppi industriali presenti nella regione. Si
riferisce all’impatto negativo degli scioperi o alla presenza nello stabilimento di Porcia di un know-how
in grado di fare la differenza rispetto alla soluzione polacca? Mi riferisco al primo aspetto, anche se la
questione dei costi non è legata solo alla mobilitazione del personale, ma anche alla necessità di
riorganizzazione della produzione e dei processi in un altro stabilimento. Il secondo tema è stato
affrontato dal comitato dei saggi, grazie anche alla collaborazione dell’ex-direttore generale di
Electrolux, Luigi Campello, ma è emerso che il gruppo svedese è dotato di procedure standardizzate
per tutti gli stabilimenti, che rendono simili i livelli di produttività. Vede il rischio che altre
multinazionali facciano una scelta simile? Il rischio è concreto ed è per questo che insisto
sull’importanza di adottare soluzioni strutturali per recuperare competitività. Ha in mente soluzioni in
questo senso, magari da proporre nel nuovo ruolo di presidente della Commissione paritetica StatoRegione Friuli Venezia Giulia? Alcune proposte sono già nel documento predisposto dai saggi. Le
faccio un esempio: occorre ridurre sensibilmente il costo della bolletta energetica, che in Italia è al top
in Europa. La Regione si è detta disponibile a intervenire, ma al momento non ha gli strumenti per
farlo. Aggiungo un altro elemento: l’ultima riforma pensionistica ha fatto dell’Italia l’unico Paese al
mondo con un sistema previdenziale legato alle aspettative di vita. Un fattore di competitività che,
tuttavia, non è sufficiente. Per incidere sensibilmente sul cuneo fiscale-previdenziale è utile recuperare
gli insegnamenti del premio Nobel Franco Modigliani, che proponeva di passare a un sistema in grado
di far fruttare i contributi dei lavoratori, riducendone al contempo l’impatto in busta paga, attraverso
forme di gestione privata, salvo prevedere una garanzia statale contro eventuali crisi sistemiche. Invece
nel nostro Paese i fondi pensione non sono ancora decollati e il costo del lavoro resta più alto che
altrove. Per questo motivo è fondamentale che tutto il Paese si faccia carico della situazione di
emergenza in cui ci troviamo e faccia fronte comune. Vede spiragli nei tentativi di riforme ai quali
stanno lavorando Renzi e Berlusconi? Si tratta di un passo in avanti importante. Dal mio punto di vista,
questa legislatura deve essere finalizzata a fare le riforme necessarie per rilanciare il Paese. Penso
anzitutto alla riforma elettorale, ma anche a quella del mercato del lavoro. Occorre creare le condizioni
perché dalle prossime elezioni emerga una maggioranza chiara, chiamata a restituire competitività al
Paese.
Rilancimpresa, è scontro con Stoccolma
TRIESTE Tutto nacque da una dichiarazione resa dall’amministratore delegato di Electrolux Italia
Ernesto Ferrario, pubblicata sul “Sole 24 Ore” di mercoledì scorso. Il tema riguarda il piano da 98
milioni messo in campo dalla Regione Friuli Venezia Giulia per salvaguardare lo stabilimento di
Porcia, il più “pericolante” tra i 4 siti Electrolux in Italia. Commentava a tale proposito Ferrario:
«Prendo atto dell’iniziativa del Governatore, ma quelli sono fondi il cui utilizzo non dipende dalla
Regione Friuli (sic)». «A noi serve - proseguiva il manager - tagliare in misura strutturale il costo del
lavoro: quello medio varia da 20 a 25 euro e con gli automatismi contrattuali salirà fino a 27 euro. Il
quadruplo della Polonia». La questione sollevata da Ferrario non è dappoco, perchè tende a
ridimensionare la capacità d’intervento della Regione Fvg. Che risponde ripetendo l’articolazione
dell’intervento stesso previsto nel recente documento “Fvg rilancimpresa”: su un totale di 98 milioni,
29 sono immediatamente gestibili da parte della Regione. Si tratta di 10 milioni di extra gettito per aree
di crisi, di 12 milioni correlati a Progetto formazione Fvg e di 7 milioni legati a Progetto occupazione
Fvg. Gli uffici regionali spiegano inoltre che i fondi europei, di cui si scrive in “Rilancimpresa”, sono
«nella disponibilità» della Regione stessa, ovvero da essa utilizzabili previa stesura di adeguata
progettazione. In questo caso avremo 62 milioni richiamati da “Obiettivo 1 Por Fesr” e 7 milioni
attivabili da “Obiettivo 3 Por Fesr”: ricerca, sviluppo, innovazione sono le aree dove sviluppare la
specifica progettualità. E’chiaro - sostengono in Regione - che non tutte queste risorse sono destinate
all’Electrolux, ma partecipano a determinare condizioni favorevoli per la salvaguardia del settore
elettrodomestico in Friuli Venezia Giulia. In “Fvg Rilancimpresa” gli argomenti richiamati - prosegue
l’ufficiosa risposta regionale - sono esplicitamente “bolletta energetica”, “politiche del lavoro”, “fisco e
semplificazione”: su quest’ultimo punto si parla di «abbattimento del cuneo fiscale al fine di ridurre i
costi per l’impresa e i lavoratori». Sul tema del costo del lavoro, con riferimento al caso Electrolux,
interviene anche il ministro del Lavoro Enrico Giovannini. «Per la prima volta da anni, questo governo
ha abbassato il costo del lavoro, riducendo la contribuzione Inail - spiega il ministro - faccio notare che
dal 2007 il livello dei salari reali si è già ridotto di oltre il 10%. Il nodo è il costo del lavoro per unità di
prodotto, perché la produttività è calata, avendo limitato i licenziamenti. Ma non possiamo pensare di
reggere la concorrenza dei Paesi emergenti solo sui costi. Servono innovazione e investimenti». magr
Ichino: nuovi contratti per chi perde il lavoro
di Giovanni Tomasin TRIESTE Fare come nel Nord Europa. Nel pieno della crisi Electrolux, il
giuslavorista e senatore di Scelta civica Pietro Ichino propone un modello di risposta alla
disoccupazione «che può essere applicato in caso di aziende che operano ampi tagli per motivi
economici: il contratto di ricollocazione». Ichino si è confrontato sull'argomento ieri a Trieste assieme
ad Alessandro Maran, senatore di Scelta civica, Loredana Panariti, assessore regionale al Lavoro, e
Carlos Corvino, ricercatore del servizio osservatorio del mercato del lavoro della Regione. Ichino ha
bocciato il sistema vigente in Italia: «Ricorriamo in modo smisurato della cassa integrazione, che per
sua natura dovrebbe intervenire in caso di difficoltà temporanea delle aziende». In alternativa Ichino
lancia il contratto di ricollocazione: «Si tratta di un sistema già avviato in Lazio e nella Provincia
autonoma di Trento, con l'interessamento di Piemonte e Lombardia - ha spiegato -. E' il frutto di una
fusione dei sistemi attivi in Olanda, Regno unito e Svezia». La proposta di Scelta civica, prevista come
possibilità per le Regioni in sede di legge di stabilità, consiste in un'ampia ristrutturazione del sistema
di ricollocazione, basato su tre cardini. Il primo è il servizio pubblico, incaricato di ricevere il
lavoratore disoccupato, tracciare il suo profilo e la sua ricollocabilità, e di informarlo poi su una serie di
operatori privati (convenzionati con la Regione) a cui il lavoratore può rivolgersi per essere ricollocato.
Il secondo cardine sono proprio i servizi privati convenzionati, cui lavoratore si rivolge per trovare
ricollocazione. I servizi vengono pagati dalla Regione (tramite voucher) una volta trovato al
disoccupato un nuovo posto di lavoro della durata almeno sei mesi. Il terzo cardine è il lavoratore
stesso, incaricato di cercare a sua volta un nuovo impiego: attività che viene sorvegliata da un tutor che,
in caso di mancata disponibilità, può denunciare il lavoratore perché venga privato delle misure di
sostegno al reddito come la cassa integrazione. «Le misure di sostegno devono essere condizionate alla
disponibilità del lavoratore a cercare un'altra occupazione». L'assessore Panariti ha accolto la
possibilità di sperimentare un simile sistema, «i fondi a disposizione della Regione attualmente sono di
300mila euro», esprimendo però alcuni dubbi: «Il minimo di sei mesi nella definizione del nuovo
contratto da trovare mi trova perplessa, perché non credo, e con me diversi studiosi, che la precarietà
rafforzi il mercato del lavoro: la pluridecennale sperimentazione italiana in questo ambito mi pare
l'abbia dimostrato». Corvino ha ricordato come dagli studi sull'argomento «sia stato sottolineato il
rischio di opportunismo da parte degli operatori privati: ovvero che scelgano soltanto i lavoratori
qualificati, più facili da ricollocare».
REGIONE
Il taglio delle Province passa all’unanimità
di Gianpaolo Sarti TRIESTE La ghigliottina di Debora Serracchiani piomba poco prima dell’una e
manda di traverso il pranzo a Maria Teresa Bassa Poropat, Enrico Ghergetta, Pietro Fontanini e
Alessandro Ciriani. Presidenti, adieu. La Regione vara all’unanimità, con 37 voti favorevoli e nessun
contrario, la tanto discussa e attesa legge che cancella le quattro Province del Friuli Venezia Giulia:
Trieste, Gorizia, Udine e Pordenone. Un’operazione storica, ma per il momento ancora virtuale: spetta
al Parlamento a scrivere la parola fine. Questo perché per l’abrogazione effettiva serve un doppio
passaggio alla Camera e al Senato, trattandosi di una modifica dello Statuto del Fvg, norma di rango
costituzionale. Roma, già alle prese con un provvedimento nazionale analogo del ministro Delrio, ha le
sue lungaggini e piazza Oberdan vuole accelerare. Il pressing che si intende fare su Montecitorio è stato
formalizzato in un emendamento proposto da Pd e Cittadini che impegna il presidente del Consiglio
Franco Iacop a chiedere «con sollecitudine» un incontro tra i presidenti dei due rami del Parlamento
«per consegnare la proposta di legge e per domandare la sua rapida approvazione». Quanto tempo ci
vorrà? «Forse un anno -, ha osservato l’assessore Paolo Panontin -. Ma è solo l’inizio di un cammino.
Oggi posiamo la prima tessera di un percorso che mi auguro possa trovare la sufficiente condivisione».
La svolta di ieri segna il primo passo di quell’ampia riforma immaginata dall’esecutivo Serraccahini.
L’architettura istituzionale si fonderà esclusivamente su Regione e Comuni chiamati, anche in forma
aggregata, a gestire le funzioni finora appannaggio delle Province. La norma prevede, peraltro, pure
l’abbassamento dell’età, attualmente fissata a 25 anni, per gli aspiranti futuri eletti in Consiglio
regionale: basterà essere maggiorenni per candidarsi. Chiusa la legge che taglia gli enti, l’aula ha
iniziato la discussione e il voto sull’altro ddl, quello che istituirà in via provvisoria gli organismi di
secondo livello al posto delle Province. Una mossa pensata, oltre che per avviare il passaggio di
competenze, soprattutto per evitare il voto di primavera a Pordenone. Le strutture di secondo livello
saranno a elezione indiretta, cioè non più a carico dei cittadini bensì dei consiglieri comunali del
territorio. Per chi dovrà presiederle, e gli assessori (non più di due), la giunta regionale stabilità un
riconoscimento economico (non cumulabile con altri incarichi), che invece viene escluso per i
consiglieri. La partita, quindi, non sarà a costo zero sebbene Panontin abbia stimato in 26 milioni di
euro all’anno il risparmio ottenuto cancellando le quattro amministrazioni. Creata in appoggio pure una
“conferenza dei sindaci” che potrà esprimersi sul bilancio, esercitare poteri consultivi e di controllo.
Rimodulato anche il numero dei consiglieri provinciali. Rispetto al ddl originario partorito dalla giunta,
Trieste passa da 16 a 24 (confermato quindi l’attuale) Udine resta con 30, Pordenone da 20 a 26,
mentre Gorizia da 10 a 22. La riforma delle autonomie locali Serracchiani-Panontin promette altri
interventi: lo spacchettamento di funzioni, innanzitutto. L’intero 2014 sarà dedicato all’individuazione
di ruoli, personale, risorse e mezzi da trasferire ai municipi. Mansioni di carattere ambientale, ad
esempio, come bonifiche, scarichi di acque reflue urbane e industriali, passeranno alla collaborazione
tra Comuni; così la cultura. Una vera e propria rivoluzione è attesa nella viabilità: la motorizzazione
farà riferimento alla Regione, mentre la manutenzione dei manti stradali andrà a Fvg Strade e ai
Comuni associati. Il terzo step, stando alle linee guida disegnate da Panontin, toccherà il sistema di
finanziamento regionale degli enti, alle fusioni dei Comuni e ai dipendenti pubblici del Comparto unico
nell’ottica della “flessibilità”.
TRIESTE
Ferriera, firmato l’Accordo
di Silvio Maranzana INVIATO A ROMA Quattro ministri e un sottosegretario hanno messo la firma
ieri pomeriggio a Roma sotto l’Accordo di programma che prevede un investimento complessivo di 72
milioni di cui ben 57 pubblici per il risanamento e il rilancio produttivo non solo dell’area di Servola su
cui è insediata la Ferriera, ma anche dell’intero comprensorio dell’Ezit. Flavio Zanonato (Sviluppo
economico), Andrea Orlando (Ambiente), Enrico Giovannini (Lavoro) e Carlo Trigilia (Coesione
territoriale), unitamente al sottosegretario di Infrastrutture e trasporti Rocco Girlanda si sono dati
appuntamento a Villa Madama, sede di rappresentanza sulle pendici di Monte Mario della presidenza
del Consiglio e del Ministero degli esteri per dare una svolta fondamentale al risanamento ambientale e
al rilancio industriale di Trieste. Accanto alle loro, la firma della presidente della Regione Debora
Serracchiani, del sindaco Roberto Cosolini, dell’assessore provinciale Vittorio Zollia in rappresentanza
della presidente Maria Teresa Bassa Poropat e anche dell’amministratore delegato di Invitalia (Agenzia
nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa) Domenico Arcuri. Clamoroso il
comportamento dell’Autorità portuale: la presidente Marina Monassi ha inviato il segretario generale
facente funzioni Walter Sinigaglia che dopo fitti conciliaboli al cellulare da una sala vicina che si
protraevano anche quando la brevissima cerimonia era già iniziata, ha deciso di non firmare.
L’Accordo, in maniera per certi versi sorprendente, è articolato in due assi di intervento: il primo è
costituito dal progetto integrato di messa in sicurezza e reindustrializzazione del sito della Ferriera di
Servola, il secondo prevede un intervento di riconversione e riqualificazione produttiva dell’area di
crisi industriale complessa di Trieste e in quest’area è stato fatto rientrare l’intero territorio oggi
compreso nel perimetro dell’Ente zona industriale. Da tutto questo è esclusa soltanto l’area dove dovrà
invece sorgere la Piattaforma logistica. Alla fine l’Accordo specifica quali devono essere gli interventi
rispettivamente a carico del privato e del pubblico. Al privato spetterà la rimozione dei rifiuti nelle aree
private e in quelle in concessione della Servola spa per una spesa complessiva stimata in 2 milioni e
mezzo - 3 milioni, la messa in sicurezza operativa di questi terreni con 10mila euro di spesa per
l’analisi di rischio, le misure di prevenzione sanitaria in area Servola per un milione e mezzo, le misure
di prevenzione sanitaria in area demaniale per 10 milioni, il marginamento fisico, barrieramento
idraulico e trattamento in impianto di depurazione delle acque contaminate per 2 milioni, il
monitoraggio per una spesa di 300mila euro. L’amministrazione pubblica interverrà con 23milioni e
500mila euro per il marginamento fisico e con 18 milioni per l’impianto di depurazione per trattamento
delle acque di falda contaminate. L’Accordo cita anche gli interventi considerati necessari per il
rilascio della nuova Autorizzazione integrata ambientale alla Ferriera: sia nella cokeria che
nell’altoforno revamping completo e automazione delle operazioni con attenzione alla captazione
completa delle emissioni diffuse e sistema di trattamento dedicato, nell’agglomerato captazione
localizzata, prevede la pavimentazione di tutte le strade interne allo stabilimento, la pavimentazione, il
confinamento e la copertura di tutte le aree di messa a parco, l’adozione di sistemi di contenimento
delle polveri durante lo scarico dalle navi, la captazione e depurazione delle acque meteoriche.
Serracchiani: «Vera impresa. Tutelati ambiente e lavoro»
DALL’INVIATO A ROMA Non sta in sè dalla contentezza Debora Serracchiani nella sede romana di
piazza Colonna della Regione Friuli Venezia Giulia dopo la firma dell’Accordo per Servola e per la
crisi complessa di Trieste. «Abbiamo stabilito un primato perchè si tratta del primo Accordo firmato in
Italia a livello governativo che coniuga ambiente e occupazione. È finalizzato a un obiettivo di
industria sostenibile che non rimarrà ristretto all’area di Servola, ma coinvolgerà l’intera zona
industriale triestina. La soddisfazione è tanta perché vi ho lavorato molto anche personalmente, ma il
ringraziamento più forte va agli uffici della Direzione regionale. Ci siamo riusciti nei tempi promessi
che erano appunto quelli del 31 gennaio». Adesso l’iter può proseguire anche se le tappe da percorrere
sono ancora molte e i politici incominciano a sentire sul collo il fiato dei lavoratori della Ferriera per i
quali sta già per scattare la cassa integrazione. «Abbiamo sbloccato 72 milioni - dice Serracchiani, di
cui 57 per Servola. Di questi 57, 15 devono essere messi dal privato, ma 42 sono pubblici e di questi
42, 26 sono della Regione. Poi vi saranno altri 15 milioni pubblici per la zona industriale, per questo
l’Accordo è stato firmato anche dall’amministratore delegato di Invitalia.» Fatto l’Accordo di
programma, il commissario straordinario Piero Nardi, può predisporre il bando per la vendita dello
stabilmento. «Nel corso dell’ultimo Tavolo in Regione - ricorda la governatrice - Nardi aveva parlato di
metà febbraio, poi il bando resterà aperto da trenta a sessanta giorni». È in questa fase che dovrebbe
rifarsi ufficialmente vivo il Gruppo Arvedi che aveva già avviato le trattative per l’affitto, fase poi
saltata. Quindi una Conferenza dei servizi dovrà approvare la vendita e si passerà alla fase due con un
Accordo quadro sulla zona industriale, l’entrata in scena di Invitalia e lo sblocco degli ulteriori 15
milioni pubblici. È a questo punto che entrerà in azione, su tutta l’area (Ezit compresa) il commissario
straordinario deputato all’attuazione dell’Accordo di programma, sempre nella persona di Debora
Serracchiani. «È un primo risultato, ma di rilevanza straordinaria - il commento del sindaco Roberto
Cosolini - solo un anno fa stavamo quasi per arrenderci davanti alla prospettiva della perdita di
centinaia di posti di lavoro e di un’ampia area di Trieste destinata a un pericoloso abbandono.
Serracchiani è stata particolarmente incisiva nei confronti del governo e il gioco di squadra messo in
atto dalla città quasi al completo ha funzionato. Oggi anche il potenziale acquirente ha capito che non è
da solo in questa ambiziosa operazione, ha chiaro ciò che resta a carico del privato e dove interviene la
mano pubblica, ma certamente si trova di fronte a condizioni allettanti per entrare in campo. Ma la
vittoria è di tutta la città sia per l’obiettivo raggiunto che per le risorse portate a casa.» «Siamo
realmente di fronte a un repentino cambio di passo - l’opinione dell’assessore provinciale Vittorio
Zollia - l’Accordo copre pressoché tutto il quadro istituzionale e offre una soluzione globale in un
quadro normativo obiettivamente complesso. In primo piano viene posta la tutela della salute e
dell’ambiente che diviene anche la condizione base per la prosecuzione dell’attività produttiva, si
definiscono i ruoli e per la prima volta si definiscono quali sono le risorse pubbliche da investire sul
territorio. Nell’ultima fase si prevedono anche scelte di riconversione industriale». Silvio Maranzana
L’Authority si smarca e convoca il Comitato
DALL’INVIATO A ROMA Era parzialmente nell’aria soprattutto a seguito della questione del
commissariamento, ma ha comunque contorni da “giallo” per il modo in cui è maturata, la mancata
firma dell’Autorità portuale sull’Accordo di programma per la riconversione dell’area di crisi
industriale complessa di Trieste. Assieme ai ministri e ai rappresentanti delle amministrazioni cittadine
coinvolte era presente ieri a Villa Madama a Roma anche il segretario generale facente funzioni
dell’Autorità portuale Walter Sinigaglia che però, anziché confrontarsi con gli altri firmtari, si è
intrattenuto a lungo al cellulare in a una stanza vicina, declinando infine l’invito a firmare. Una
spiegazione la dà la stessa presidente della Regione Debora Serracchiani: «Stamattina ero nello studio
del ministro di Infrastrutture e trasporti Maurizio Lupi per lavorare fino all’ultimo sul testo
dell’Accordo e limarlo proprio per aderire a una serie di richieste di modifica che erano state avanzate
dall’Autorità portuale. Al momento della firma però - prosesegue la governatrice - il segretario
dell’Authority ha chiesto un’ulteriore modifica che logicamente tutti gli altri non hanno potuto
accettare. L’Autorità portuale in particolare chiedeva che venisse inserito nel testo dell’Accordo un
paragrafo per cui la quantificazione dei canoni di concessione dovesse spettare al Comitato portuale,
quando tutti sanno - aggiunge Serracchiani - che sono invece previsti e definiti da tabelle ministeriali.
Poi il segretario generale ha aggiunto che non avrebbe comunque potuto firmare in assenza di un
mandato specifico da parte dello stesso Comitato portuale». E il Comitato, di cui del resto fanno parte
anche Serracchiani, Cosolini e Bassa Poropat che l’Accordo l’hanno firmato, è stato convocato in
seduta straordinaria per lunedì mattina. Questa la versione di Marina Monassi, affidata a una nota, per
la mancata firma dell'Accordo di Programma per la Disciplina degli interventi relativi alla
riqualificazione delle attività industriali e portuali e del recupero ambientale nell'area di crisi industriale
complessa di Trieste. «Il testo emendato dell'Accordo avrebbe portato a una diminuzione di entrate al
bilancio dell'Ente non quantificabile (l'attuale canone annuale è pari a 1,6 milioni euro) ed un accollo
straordinario di oneri ambientali (circa 10 milioni di euro) non di competenza Apt. Spiace che coloro i
quali hanno redatto il testo finale dell'Accordo in oggetto non abbiano tenuto conto delle osservazioni
trasmesse dall'Autorità Portuale», si legge nella nota dell’Autorità portuale che non considera chiusa la
partita. (s.m.)
«Fuga in avanti sul decreto per il commissario»
«La trovo una circostanza particolare, una situazione inusuale». Aris Prodani, deputato del Movimento
e Stelle, commenta un risvolto particolare delle recentissime vicende romane riguardanti la Ferriera di
Servola. Nell’Accordo di programma raggiunto e firmato al tavolo delle trattative a Villa Madama ma
senza la sottoscrizione da parte dell’Aurorità portuale, è previsto il passaggio di competenze di alcune
competenze su alcune aree del Demanio portuale dall’Authority del porto al commissario straordinario
per la cosiddetta Area di crisi complessa di Trieste, Debora Serracchiani. Ebbene, nell’Accordo vi sono
precisi riferimenti al connesso Decreto Fase 2 Destinazione Italia. «Il fatto perlomeno curioso è che si
dà come già perfettamente “sdoganato” tale decreto mentre in verità il documento è attualmente al
vaglio della Commissione attività produttive, della quale faccio parte» afferma Prodani. «Sono sicuro
che il decreto verrà approvato tra domani e dopodomani ma formalmente a tutt’oggi non lo è ancora»
conclude l’esponente dei grillini: «Il decreto è già valido, in quanto uscito sulla Gazzetta Ufficiale alla
vigilia di Natale, ma deve ancora essere convertito in legge, dopo il “sì” della Commissione di cui
faccio parte». In definitiva una sorta di “fuga in avanti”, detatta probabilmente dalla scadenza del 31
gennaio che ngli interlocutori si erano dati, ma che non cambia la sostanza o la validità del patto siglato
nella Capitale. Quattro ministri, un sottosegretario e i loro Gabinetti - si pensa - avranno verificato la
validità legale degli atti che stavano compiendo, alla luce dell’ancora mancante conversione in legge
del decreto in questione. L’Accordo siglato a Villa Madama si compone di due linee d’intervento: la
prima riguarda il progetto integrato di messa in sicurezza e reindustrializzazione del sito della Ferriera
di Servola. La seconda concerne interventi di riconversione e riqualificazione produttiva dell’Area di
crisi industriale complessa di Trieste. In tale ambito d’intervento è stato fatto rientrare l’intero territorio
attualmente nel perimetro dell’Ente zona industriale. (p.p.g.)
«Piano Wärtsilä irricevibile. Ora la politica intervenga»
Il ritiro immediato dei 130 esuberi annunciati, un forte appello lanciato alle istituzioni locali e, nel caso
non dovessero arrivare risposte chiare e soddisfacenti da parte dell’azienda, la messa in campo di
qualsiasi azione, dai presidi fino allo sciopero. Le rappresentanze sindacali dello stabilimento triestino
di Wärtsilä Italia dettano l’agenda, dopo che i vertici del gruppo finlandese, leader nella produzione di
motori navali, hanno annunciato un piano di riorganizzazione che prevede un migliaio di esuberi a
livello mondiale, 130 di questi in Italia, la gran parte dei quali quasi certamente interesserà lo
stabilimento ex Grandi Motori, dove sono impiegati 1100 dei 1350 dipendenti presenti sul territorio
nazionale. Dopo l’incontro di ieri, al quale hanno partecipato anche le segreterie di categoria e
territoriali, mercoledì prossimo è già fissato l’appuntamento con il coordinamento sindacale nazionale,
cui seguirà un tavolo di discussione con l’azienda, mentre giovedì 6 febbraio è prevista un’assemblea
con i lavoratori nella sede di San Dorligo della Valle. «Siamo di fronte a una situazione grave - ha
sottolineato Fabio Kanidisek, della Fim Cisl -. Questi tagli non sono motivati da una crisi reale: di
solito le aziende tagliano per delocalizzare, ma qui il problema non sembra industriale quanto piuttosto
finanziario. Si punta in sostanza ad ottimizzare le lavorazioni per risparmiare 60 milioni di euro
all’anno e per continuare a dare agli azionisti dei dividendi che li soddisfino». Tra i punti toccati in
sede di conferenza stampa, anche la richiesta di un impegno forte da parte del mondo politico. In
questo senso è stato programmato a breve un incontro con il sindaco Cosolini, mentre martedì prossimo
- sulla vertenza Wärtsilä - si riunirà la Terza Commissione consiliare presieduta da Marco Toncelli
(Pd): è prevista l’audizione delle stesse rappresentanze sindacali. «Siamo molto preoccupati per quello
che è il futuro di una realtà così importante e per le relative ripercussioni - ha affermato Sasha Colautti,
Fiom Cgil -. Un’ulteriore ombra che va a calare sulle prospettive industriali di un territorio già
profondamente minato. Sia chiaro: questa non è una riduzione degli organici dovuta alla crisi, ma
decisa solo per aumentare i profitti degli azionisti. La politica non può più stare a guardare e deve
iniziare ad intervenire». Concetti ripresi anche da Giacomo Viola, della Uilm: «Alle istituzioni
chiediamo il massimo impegno, il che significa in qualche modo esporsi. Serve la partecipazione di
tutti e il coinvolgimento della città. Dall’azienda vogliamo invece chiarezza sul piano industriale, per
capire cosa si vuole fare in futuro di questo stabilimento». (p.p.)
GORIZIA-MONFALCONE
Ripresa per Nidec-Asi, premio ai lavoratori
di Giulio Garau La strategia dell’Electrolux punta tutto al taglio dei salari degli operai per contenere il
costo del lavoro e mantenere utili e competitività (oltre che la presenza in Italia delle fabbriche), AsiNidec (ex Ansaldo) invece studia accordi innovativi, sperimentali con indici di efficienza, economici e
di produttività e offre ai suoi dipendenti un premio di produzione. Ieri pomeriggio, dopo lunghe e
complesse trattative con i sindacati (Fim, Fiom e Uilm), l’intesa con l’azienda sulla bozza
dell’integrativo che dovrà essere sottoposta ai lavoratori nelle assemblee delle prossime settimane. Il
premio teorico, lordo, medio che potrebbe essere pagato a luglio, se saranno soddisfatti gli indici
dell’accordo, raggiungerà i 1300 euro. Ma non si tratta della sola nota positiva. Dall’incontro di gruppo
sono giunte anche notizie confortanti sulla situazione dell’Asi-Nidec di Monfalcone che occupa circa
450 persone impegnate nella realizzazioone di motori elettrici. Da inizio anno sono giunte nuove
commesse, si sta aspettando la conferma di altri ordini, c’è stata una forte ripresa dell’attività, la
produzione ha ripreso a pieno regime e soprattutto sono rientrate le cassintegrazioni e le maestranze
hanno ricominciato a fare straordinari. «Siamo ancora cauti sui risvolti di questo integrativo - spiega il
segretario della Fiom Thomas Casotto - è un accordo nuovo con indici sperimentali che deve essere
ancora valutato e approvato dai lavoratori in assemblea. Quello che è certo è che l’azienda è in una fase
positiva, sta arrivando un po’ di lavoro e siamo riusciti a trovare un accordo con l’azienda perchè sia
remunerato. In questi momenti tutte le discussioni, a causa della crisi, sono complicate, ma con
l’azienda siamo riusciti alla fine a portare avanti una discussione positiva, la trattativa è stata gestita in
maniera intelligente e abbiamo portato a casa un risultato positivo per i lavoratori». L’accordo presenta
aspetti molto complessi, c’è una nuova forma di responsabilizzazione dei lavoratori e di partecipazione
più attiva nella produzione, si parla di indici di efficienza ed economici, ci sono parti che riguardano la
produttività, il risparmio da parte dell’azienda nella gestione delle risorse umane e altri indici che
“creano” il premio di produzione previsto dall’integrativo. Il primo premio dovrebbe essere pagato a
luglio nell’anno di produzione calcolato tra 2013 e 2014, ci sarà poi una fase sperimentale con nuovi
parametri per l’anno tra 2014 e 2015. «A luglio faremo un nuovo incontro per fare un monitoraggio
sull’effettivo rispetto degli indici e il raggiungimento dei parametri economici - aggiunge il segretario c’è ottimismo e soprattutto abbiamo notato che da parte dell’azienda c’è molta fiducia». Mancano
ancora alcune conferme sugli ultimi ordini dell’azienda, altri sono stati confermati e Monfalcone sta
lavorando, ma c’è concreto ottimismo sulla ripresa e a dimostrazione di tutto questo c’è l’aumento del
premio di produzione che lo scorso anno, con tutta la cassintegrazione, era fermo a 250 euro mentre ora
potrebbe salire mediamente fino a 1300 euro. «Se guardiamo alla gravissima situazione dell’Electrolux
sulla quale non vogliamo parlare in questa sede - conclude Casotto per Nidec-Asi il panorama è in netta
controtendenza e anche l’accordo lo dimostra. Ma la trattativa e il risultato dimostrano anche che con
certe aziende si può trattare e lavorare facendo accordi senza tagliare le buste paga ai dipendenti».
Surfrigo, in bilico 140 lavoratori
di Luca Perrino RONCHI DEI LEGIONARI Cresce la preoccupazione tra i 140 lavoratori della
Surfrigo Refrigeration di Ronchi dei Legionari, azienda conosciuta con lo storico marchio Detroit. A
maggio, infatti, scade il contratto di solidarietà che, dai mesi scorsi, ha coinvolto impiegati e operai. Ma
mentre il tempo vola, nessuno sa che cosa succederà dopo quella data, visti anche i segnali per nuilla
positivi che si profilano all’orizzonte. «Non esiste alcuna certezza su che cosa ci aspetta a maggio –
sono le parole dei rappresentanti sindacali aziendali – e ci sono molte cose che stanno accadendo che
pare vadano tutto a nostro svantaggio. Presto incontreremo i vertici dell’azienda e vedremo di fare
chiarezza, perché ne va del nostro posto di lavoro e della vita delle nostre famiglie». L’ufficio
progettazione è stato trasferito interamente nello stabilimento attivo nella provincia di Belluno. E’ qui
che vengono studiati ed elaborati prodotti innovativi ed è qui che vengono ovviamente realizzati. E a
Ronchi dei Legionari resta la produzione di banchi frigo che, va da sé, appaiono superati e non in linea
con le richieste del mercato. «Abbiamo la sensazione – continuano i sindacalisti – che ciò che oggi
realizziamo nello stabilimento di via Redipuglia sia ormai sorpassato, finendo con l’essere poco
appetibile per una clientale sempre piò esigente. E a ciò va aggiunto che, nonostante le nostre ripetute
richieste, alcune lavorazioni che vengono fatte all’esterno non sono ancora state riportate in casa,
creando quindi altri vuoti di produzione che potrebbero, invece, far comodo». Le stesse organizzazioni
sindacali, poi, denunciano «sospetti e anomali spostamenti di materiali che se ne vanno, senza
spiegazione, da Ronchi dei Legionari». Ciò fa crescere la paura dei lavoratori che temono per il loro
futuro. «Siamo consapevoli delle problematiche del settore – aggiungono – ma anche della nostra
serietà e della nostra professionalità, non abbiamo avuto risposte e maggio si avvicina, con tutti i suoi
punti di domanda. Ci chiediamo ancora quali siano le intenzioni dell’azienda». Una questione, quella
della Surfrigo Refrigeration, che viene monitorata in maniera costante anche dall’amministrazione
comunale. Già nei mesi scorsi la giunta cittadina ha incontrato i rappresentati sindacali raccogliendo
tutte le loro preoccupazioni. Ma ora, com’è stato di recente per lo stabilimento di Selex ES, il sindaco,
Roberto Fontanot, potrebbe coinvolgere anche le altre municipalità del mandamento, tenendo conto del
fatto che i 140 lavoratori risiedono non solo a Ronchi dei Legionari, ma anche a Staranzano,
Monfalcone, Turriaco e via discorrendo. C’è la necessità di fare fronte comune e di coinvolgere tutti. E
nella strategia trova posto anche un incontro che potrebbe essere convocato, a brevissima scadenza, con
l’assessore regionale al Lavoro, Loredana Panariti. Non c'è tempo da perdere, nemmeno questa volta e
140 famiglie aspettano.