Cohabitamus hoc saeculum, navigamus et nos

Pietro Pozzoli
Anno Scolastico 2013/2014
Classe VK - iceo Classico Alexis Carrel
"Cohabitamus hoc saeculum, navigamus et
nos vobiscum et militamus et rusticamur et
mercatus proinde miscemus"
[Ter. Ap. 42.1]
"Cohabitamus hoc saeculum, navigamus et nos vobiscum et militamus et rusticamur et mercatus
proinde miscemus". Così scriveva Tertulliano, scrittore e apologeta cristiano vissuto tra il I e il II
Pietro Pozzoli 2
Cohabitamus hoc saeculum
"Cohabitamus hoc saeculum, navigamus et nos vobiscum et militamus et rusticamur et mercatus
proinde miscemus". Così scriveva Tertulliano, scrittore e apologeta cristiano vissuto tra il I e il II
sec. d.C., per definire il rapporto tra cristiani e pagani. Come osserva argutamente M. Morani: "è
l’affermazione di una condivisione e di una separatezza insieme: […] nello stesso tempo, oltre ad
affermare già con questo «noi» contrapposto a un «voi» irriducibile la propria diversità,
[possono] ribadire il carattere transeunte della propria presenza sulla terra".
INTRODUZIONE
L'approfondimento che ho deciso di presentare nasce da una passione maturata in particolare
nell'esperienza all'estero che ho avuto la fortuna di vivere tra la fine del terzo e l'inizio del quarto
anno di liceo.
Modo privilegiato per imparare nuove parole era per me conversare con gli amici conosciuti negli
Stati Uniti; in particolare, un giorno, mi sono imbattuto nel termine "kosher", che ho appreso
indicare non solo il cibo consentito agli ebrei di mangiare: esso, nell'area di New York, è passato
ad indicare tutto ciò che è consentito fare, tutto ciò che, in un certo senso, è ortodosso. Il motivo
dell'adozione, nella lingua comune, di questo termine mi è stato facile da individuare: a New York
è da tempo radicata una forte comunità ebraica, la quale ha avuto una notevole influenza sugli usi
americani e persino sulla lingua stessa. Nel contempo mi ha sorpreso osservare che tale
adattamento è molto circostanziato, poiché la parola "kosher" ha assunto quel significato solo
nell'area limitrofa allo Stato di New York; se per esempio fosse utilizzata nel medesimo contesto
in uno stato del sud, per esempio in Arizona, nessuno capirebbe cosa si intende.
Questa vicenda mi ha dato modo di riflettere sulla natura della lingua, in particolare sulla sua
evoluzione, facendomi appassionare ancor più alle lingue classiche che studio.
Vorrei ora prendere in esame, a titolo di esempio, l'estensione di significato che ha interessato
alcune parole greche e latine nella peculiare nascita della lingua dei cristiani, un popolo
rivoluzionario per il tipo di messaggio, ma non contrapposto agli altri, da cui, anzi, spesso
"prendeva in prestito" la cultura.
UN BREVE ACCENNO STORICO
Per comprendere adeguatamente lo sviluppo della lingua dei cristiani, è anzitutto necessario
soffermarsi sul clima sociale e culturale dell'epoca storica e del luogo in cui essa è nata e si è
affermata: la regione orientale dell'Impero romano del I sec. d.C.
Passiamo rapidamente in rassegna la storia della letteratura dei giudei, "fratelli maggiori" dei
cristiani: il primo incontro della cultura ebraica con la civiltà greca avvenne agli inizi
dell'Ellenismo ad Alessandria. L'Egitto fu infatti la regione ove in gran numero gli ebrei si
trasferirono in seguito alla Diaspora. Essi si integrarono totalmente, tanto da abbandonare l'uso
della lingua madre per il greco e, a poco a poco, non furono più in grado di leggere i testi sacri
originali e di usarli nelle cerimonie di culto. Ebbero così bisogno di una traduzione del testo base
della propria millenaria tradizione culturale: la Bibbia, ovvero "insieme di libri" (da "τὰ βιβλία",
"i libri"). La sua stesura durò dal III al II sec. a.C. e fu chiamata Bibbia dei Settanta per via della
Pietro Pozzoli 3
Cohabitamus hoc saeculum
leggenda secondo la quale sarebbe stata scritta in settantadue giorni da settantadue saggi convocati
da Tolomeo II, sovrano d'Egitto. Dopo questo primo incontro, si osserva un sempre più marcato
sincretismo tra le due culture: gli ebrei infatti cominciarono a dedicarsi anche alla filosofia, con
uno sguardo critico nei confronti dei testi sacri. Esempio di questo fenomeno è Filone di
Alessandria, vissuto tra I sec. a.C. e I sec. d.C., di cui è importante la cosiddetta "dottrina del
Logos", su cui mi soffermerò in seguito.
Nel 168 a.C., con la battaglia di Pidna, i Romani assoggettarono l'intera penisola greca e, nel 31
a.C., anche il regno d'Egitto, compresa la sua florida e vivace Alessandria, maggior centro culturale
del modo ellenistico. Questa conquista del mondo greco fu decisiva per il futuro sviluppo della
Repubblica e poi dell'Impero, in quanto permise ai Romani di appropriarsi dell'immenso
patrimonio artistico e culturale che i Greci avevano conseguito, insieme ai loro usi e costumi,
"ellenizzando" di fatto Roma ("Graecia capta ferum victorem cepit et artes / intulit agresti Latio;",
Orazio, Ep. II v.156), tanto da creare, con il passare del tempo, un vero e proprio bilinguismo.
Quello che oramai era un Impero governava ora tutto il mondo conosciuto.
È in questo contesto che si inserisce la nascita del cristianesimo; esso non ha avuto subito bisogno
della letteratura, poiché si diffuse innanzitutto oralmente, grazie alla semplicità del messaggio e
alla struttura comunitaria che lo diffondeva (prima gli Apostoli, poi i discepoli). Vediamo ora sotto
quali esigenze è fiorita la letteratura cristiana.
LA NASCITA DELLA LETTERATURA CRISTIANA
Il più antico documento cristiano giunto fino a noi è la lettera ai Tessalonicesi di San Paolo, scritta
intorno al 52 d.C., in cui l'Apostolo scrive alla piccola comunità, da lui istituita poco prima, per
consolidarla e confortarla. Difficilmente sarà stato il primo scritto cristiano, ma con ogni
probabilità, se prima qualcosa c'è stato, non può essere stato molto.
Le esigenze che spinsero Paolo e i primi cristiani a scrivere sono principalmente due: da un lato il
missionario poteva sentire l'esigenza di mantenersi in contatto epistolare con le comunità che
istituiva nei suoi viaggi e da ognuna delle quali si allontanava temporaneamente per continuare la
sua missione; dall'altro la comunicazione del messaggio, poiché fondato sulla figura e l'opera di
Cristo, richiedeva che se ne conservasse la memoria e perciò si cominciò a fare spazio a prime
embrionali raccolte di detti e fatti di Gesù. Non conosciamo nulla delle raccolte più antiche, ma
sappiamo che esse fornirono il materiale che, gradualmente elaborato e amplificato, ha finito per
prendere la forma dei correnti quattro vangeli canonici.
I Vangeli
Nel mentre che Paolo portava avanti la sua azione missionaria, progrediva l'elaborazione delle
raccolte di detti e fatti di Gesù. La coscienza che i cristiani avevano di possedere lo stesso spirito
divino che aveva ispirato il Messia favorì una rielaborazione e un'amplificazione dei dati storici
disponibili alla luce dell'esperienza pasquale, chiave di lettura per tutta la vicenda di Cristo.
Questo lavoro di raccolta e stesura prese forma nei vangeli di Marco, Luca e Matteo, scritti
probabilmente tra il 60 e il 90 d.C., definiti sinottici per la vasta parte che hanno in comune; essi
organizzano l'attività pubblica di Gesù in uno schema molto semplice: preannuncio della missione
di Gesù da parte di Giovanni il Battista, battesimo di Gesù nel Giordano a opera dello stesso
Pietro Pozzoli 4
Cohabitamus hoc saeculum
Giovanni, attività evangelizzatrice di Gesù in Galilea, viaggio a Gerusalemme, arresto, processo,
passione, morte, risurrezione e apparizioni ai discepoli.
Il Vangelo di Giovanni e la sua Apocalisse, datati tra il I e il II secolo, furono scritti in Asia minore,
probabilmente in un ambiente cristiano in qualche modo connesso alla figura dell'Apostolo.
Questo Vangel si differenzia dagli altri tre, nonostante la simile trama narrativa, poiché l'accento
è posto sulla persona di Cristo, che è insieme soggetto e oggetto della rivelazione divina al mondo:
il Cristo giovanneo annunzia se stesso, Λόγος (Lògos) divino personalmente esistente dall'eternità,
che si è fatto uomo al fine di rivelarsi agli uomini.
Scritti apologetici
Con la rapida espansione del cristianesimo nel bacino del Mediterraneo, la società dei cristiani si
presentava variegata. Al dinamismo e alla forza di attrazione che dilatavano di giorno in giorno le
comunità, si contrapponeva, da parte pagana, la presa di coscienza del pericolo che la nuova
religione poteva rappresentare per la coesione dell'impero: i cristiani infatti rifiutavano la religione
dello stato, avvertita dai pagani come ciò che aveva reso grande Roma. Proscritti ufficialmente in
quanto adepti di una religio illicita e perciò punibili con la pena capitale, essi erano anche
profondamente lacerati al proprio interno a causa di una crescita esponenziale dei fedeli: l'incontro
non sempre facile con altre culture fu uno dei fattori che portò alla nascita di diverse eresie, tra le
quali il docetismo e il cristianesimo gnostico.
A onor del vero bisogna dire che i cristiani non furono cercati e perseguitati sotto tutti gli
imperatori. Traiano ad esempio, come ci testimonia lo scambio epistolare tra l'imperatore e Plinio
il Giovane, governatore del Ponto e della Bitinia, esige che i cristiani siano giudicati solo se portati
in tribunale, ma che non siano ricercati sistematicamente dalle autorità.
In quest'epoca, la massa dei cristiani è ancora di estrazione medio-bassa, ma c'è anche un nucleo
non indifferente di persone colte che si sentono chiamate a dare un contributo alla difesa della
comunità contro i pericoli interni ed esterni, mettendo a frutto l'educazione classica che avevano
ricevuto. C'era chi temeva che questo influsso greco deformasse il messaggio cristiano, tanto che
alcuni di questi letterati assunsero un atteggiamento di condanna nei confronti della cultura greca;
c'era anche chi invece riteneva di potersi avvicinare a questa grazie ai punti di contatto tra la fede
cristiana e la filosofia greca, uno su tutti la dottrina del Lògos.
All'esigenza di difendere la religione cristiana dalle accuse di pagani ed eretici risponde la nascita
di un genere letterario nuovo per i cristiani: l'apologia. La difesa tiene conto in primo luogo della
posizione ufficiale assunta dall'autorità nei confronti dei cristiani: la loro è una religione vietata,
perciò essi sono giudicati colpevoli e condannati proprio in quanto cristiani; non trascura però le
accuse di carattere popolare (per esempio il presunto cannibalismo o il sacrificio umano). Contro
l'accusa ufficiale, gli apologisti si appellano all'innocenza del cristiano, condannato solo per un
reato d'opinione e non per crimini effettivi. Lo scopo delle apologie era spesso, più che la difesa
poco consistente di fronte alle autorità, quello di suscitare ripugnanza nei pagani di buona
condizione sociale. Per questo motivo l'apologista spesso aggiungeva una parte dichiarativa in cui
cercava il contatto con la religione dei filosofi.
Pietro Pozzoli 5
Cohabitamus hoc saeculum
Scritti antieretici
Vale ora la pena, se prima ci si è concentrati soprattutto sulla risposta ai nemici esterni della fede
cristiana, soffermarsi ora sulle divisioni interne che laceravano la Chiesa primitiva.
"Eresia" (da "αἳρεσις", airesis: "scelta") è il termine con il quale i cristiani, fin dagli inizi del II
secolo, indicarono le deformazioni dottrinali che ritenevano incompatibili con la retta fede. Coloro
che le professavano erano quindi chiamati "eretici" e, se perseveravano nell'errore, venivano
espulsi dalla comunità.
Tra le prime eresie documentate si ritrova il docetismo, che considerava solo apparenti e non reali
l'umanità di Cristo e la sua passione e morte. Esso tuttavia non fu, sul momento, la principale fonte
di dissidio interno alla cristianità, che invece riguardò l'estensione ai pagani della fede cristiana: i
primi cristiani avevano infatti continuato naturalmente a fondare la propria fede sull'Antico
Testamento e sulla Legge, essendo essi di estrazione giudaica, ma, a causa della conversione di un
numero sempre maggiore di pagani, i seguaci di Cristo cominciarono ad interrogarsi su quali
fossero i fondamenti della tradizione ebraica, imprescindibili dal nuovo credo. Già Paolo
sosteneva di dover slegare la nuova fede dagli aspetti più gravosi di questa tradizione, compendiati
nella legge mosaica, ma molti si spinsero oltre, fino all'aperto rifiuto dell'Antico Testamento.
Lo gnosticismo, dottrina nata nei secoli precedenti e che era già entrata in contatto con l'ebraismo,
si incontrò quindi con una visione cristiana spiritualista, che vedeva il mondo materiale come
negativo, a partire da una visione estremizzata di un concetto presente anche in Paolo e Giovanni
(i. e. "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra
mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" [1], "lo
Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo
conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi" [2], ecc.). Nacque così lo gnosticismo
cristiano (da γνῶσις, gnosis: conoscenza). Suoi caratteri costitutivi furono la contrapposizione
dualistica tra il mondo divino, cui presiede il Dio sommo assolutamente trascendente, e il mondo
della creazione, considerato opera di un dio inferiore, quello dell'Antico Testamento, e la
convinzione che nella gran massa di uomini materiali fossero dispersi alcuni spirituali, gli gnostici
per l'appunto, uomini dotati di un principio divino incarcerato in un corpo materiale, dal quale
sarebbe destinato a liberarsi per ricongiungersi al mondo divino da cui deriva: la liberazione
avverrebbe grazie a una rivelazione soprannaturale operata da Cristo, figlio del Dio sommo. Essi
si ponevano di fatto come un'élite nell'ambito ecclesiale.
La Chiesa reagì con massima energia anche su questo fronte, espellendo gli eretici dalle varie
comunità e incoraggiando la produzione di un tipo di letteratura che si opponeva alle dottrine
eretiche, letteratura sviluppatasi soprattutto in ambiente asiatico. L'argomento di punta di queste
trattazioni era quello della rivelazione progressiva, che si opponeva alla visione divisionistica degli
avversari unificando Antico e Nuovo Testamento: il Lògos divino ha recuperato l'uomo, decaduto
a causa del peccato, attraverso una lenta azione pedagogica che dura lungo tutto l'arco cronologico
veterotestamentario, al fine di preparare progressivamente l'uomo ad accogliere il grande mistero
dell'Incarnazione: lo stesso Lògos divino, ricapitolando in sé tutta l'umanità, si è voluto fare figlio
dell'uomo, umiliandosi fino alla morte in croce, perché l'uomo potesse diventare figlio di Dio. In
questa ottica, la resurrezione finale dei corpi, negata dagli avversari, rappresenterà il coronamento
finale della grandiosa opera realizzata dal Lògos.
La scuola di Alessandria
Pietro Pozzoli 6
Cohabitamus hoc saeculum
Con la fine del II secolo sembra esaurirsi lo slancio più vitale della cultura asiatica, protagonista
indiscussa di questo primo periodo del cristianesimo. Proprio quando la religione cristiana
conosce, soprattutto in Oriente, un progressivo incremento, comincia a emergere culturalmente
l'ambiente cristiano di Alessandria d'Egitto. Qui, come detto sopra, era stata da sempre attiva una
forte e numerosa comunità giudaica, che aveva portato molto avanti il progetto di rendere
reciprocamente compatibili giudaismo ed ellenismo. Come strumento fondamentale avevano
adottato il metodo allegorico, sviluppato e perfezionato soprattutto dagli stoici, ai libri che
componevano l'Antico Testamento.
Alla metà del II secolo vediamo questa comunità dominata culturalmente dagli gnostici, i quali si
proponevano come depositari di una rivelazione religiosa di livello superiore rispetto a quella dei
cristiani semplici. La reazione da parte cattolica si sviluppò a partire dagli ultimi decenni del secolo
e vide come protagonisti persone del calibro di Panteno, noto a noi solo come nome, Clemente e
Origene. Loro attività fondamentale fu l'insegnamento scolastico, fine della loro attività il recupero
all'ortodossia di quanti si fossero fatti sedurre dallo gnosticismo.
LO SVILUPPO DELLE PAROLE
Parliamo ora dell'argomento centrale di questo approfondimento: la risemantizzazione di alcune
parole che questi autori, fondamentali per l'ordinamento della fede cristiana, hanno operato per
poter meglio esprimere il proprio messaggio rivoluzionario. Per fare questo ho voluto prendere in
esame tre parole: βαπτίζω (baptìzo), παραβολὴ (parabolè), λόγος (lògos).
Βαπτὶζω [frequentativo di βὰπτω]
La prima parola che analizziamo è baptìzo. In greco questo termine è usato da vari autori e
significa "immergere" e presuppone quindi che ci sia qualcuno che immerga qualcosa e un liquido
in cui questo qualcosa è immerso, come ci testimonia Plutarco nella "Vita di Cesare" ("Si dice che
anche stringendo in mano molti documenti non li lasciasse nonostante continuasse ad essere
colpito e fosse immerso nel mare, ma anzi li tenesse sopra il mare con una mano e che nuotasse
con l'altra; la sua barchetta era stata subito affondata" [3]) e nella "Vita di Alessandro" ("Non
vide uno scudo, non un elmo, non una lancia, ma lungo tutta la marcia con coppe, i soldati
bevevano alla salute l'uno dell'altro attingendo a un enorme giara di vino e da un cratere, alcuni
nel procedere e nel camminare, altri rimanendo a terra [4]).
Nei testi cristiani greci, già a partire dal Vangelo di Matteo, il suo significato viene esteso
notevolmente, passando dalla "immersione nell'acqua" o "immersione nel vino" al corrente
significato di battesimo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo [5]: acquista quindi
un carattere decisamente tecnico e rimane nella tradizione, come ci testimoniano le riflessioni
teologiche di Gregorio di Nazianzo (Or. 39.17).
Nei primi scrittori cristiani latini il tentativo di sostituire il termine greco con tingere (o tinguere)
è frequente. Tertulliano ad esempio, citando la Bibbia, spesso usa la parola latina: non ... me ad
tinguendum Christus misit (citazione di I Cor. 1, 14); in Christum Iesum tincti sumus (citazione di
Rm. 6, 3): in entrambi i passi le versioni anteriori alla Vulgata riportano baptizare.
Pietro Pozzoli 7
Cohabitamus hoc saeculum
La fortuna del tremine "baptizare" è dovuta in parte, come abbiamo visto, al contenuto fortemente
tecnico del verbo, che designa un’azione e un concetto che non esistono al di fuori del
Cristianesimo, e necessitano quindi una parola appropriata ed esclusiva (come rileva Agostino),
ed in parte al contenuto negativo che il verbo tingere aveva già assunto nel latino pagano, che
andava sviluppando in senso sempre più netto il significato di "alterare" (ad esempio
nell’espressione tingere nummos "falsificare moneta"). L’esistenza della coppia di termini e
l’accezione negativa percepita in tingere ha permesso agli scrittori cristiani di attuare una
particolare specializzazione terminologica: con baptizare si indica il battesimo conferito dalla
Chiesa, con tingere il battestimo degli eretici: foris extra ecclesiam tincti (Cipr., ep. 72) o ut putent
eos, qui apud haereticos tincti sunt, quando ad nos venerint, baptizari non oportere (Cipr., ep. 71).
Παραβολὴ
Passiamo ora al termine "parabolè": più di una ragione ha indotto Gerolamo a preferire il grecismo
parabola rispetto alla parola schiettamente latina similitudo: innanzitutto l'espressione "parabola"
non era stata introdotta in latino dal Cristianesimo, trovandosi già in autori dell’età neroniana come
Seneca [6], o Quintiliano [7]; in secondo luogo "παραβολὴ" nella versione dei Settanta era venuta
ad assumere un significato più vasto di quello che aveva in greco classico, in quanto ricopriva tutta
l’area semantica dell’ebraico"māšāl", che non vale solo "paragone", ma anche "proverbio", "modo
di dire": l’uso che si fa del termine "parabola" in ambiente cristiano è coerente col significato che
"παραβολὴ" aveva assunto nel greco biblico-cristiano; un esempio ne è il titolo del libro dei
Proverbi, in greco "Παρομιαὶ Σαλομῖντος", nella Vulgata: "Parabolae Salomonis".
Per poter meglio capire l'analisi della prossima parola (λόγος), vale la pena fare un piccolo accenno
alla fortuna che "parabolè" ha avuto nel latino e, successivamente, nelle lingue romanze.
Il trapasso del termine "parabole" verso il valore di "parola", "detto" è già praticamente compiuto
nel testo biblico, nel quale troviamo espressioni come assumpta parabola dixit (Num. 23, 7). Ma
la ragione principale sta nel fatto che l'espressione "parabola" nel senso di "parola" si stava
rapidamente diffondendo nella lingua della Chiesa, poiché, a mano a mano che il latino "verbum"
assumeva il valore pregnante di "parola divina", "Verbo" (in corrispondenza del gr. Λὸγος),
diveniva palese la necessità di trovare una parola adatta per l’espressione dell’area semantica di
greco ῥῆμα (rèma, "parola", "fatto"). Nelle lingue romanze il termine "parabola" è continuato
nell’italiano "parola", francese "parole", provenzale "paraula", spagnolo e portoghese "palabra":
in area italiana e francese si ha anche il verbo derivato "parabolare" (da cui italiano "parlare",
francese "parler", provenzale "paraular").
Λὸγος
L'analisi della parola "lògos" risulta essere molto complessa, soprattutto a causa del suo molteplice
uso nella tradizione scritta. In principio questo termine aveva una connotazione simile a ῥῆμα
(rèma, vedi sopra), in quanto indicava la parte minima del discorso, la parola, aggiungendovi
tuttavia un carattere di razionalità: di qui la prima estensione da "parola" a "discorso
argomentativo". Con la nascita della filosofia, questa parola fu usata in primis da Eraclito e fu poi
ripresa da Aristotele per indicare quella peculiarità dell'uomo che lo distingue dagli altri animali.
Da allora ebbe molta fortuna in tale disciplina, tanto da estendere il suo significato da "discorso"
a "ragione", fino ad arrivare a significare il nome proprio della "razionalità immanente" stoica,
cioè dell'ordine razionale che governa tutte le cose, la loro "legge universale": Perché tu hai
Pietro Pozzoli 8
Cohabitamus hoc saeculum
armonizzato così bene insieme il bene e il male / che vi é per ogni cosa una sola Ragione eterna,
/ quella che fuggono e abbandonano i perversi tra i mortali. [8]
Essendosi così risemantizzata, con la nascita del cristianesimo tale espressione risultava essere
molto appropriata ad indicare il Figlio in quanto principio creatore e ordinatore della realtà presso
il Padre, incarnatosi e resosi incontrabile agli uomini ("In principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio, e il Verbo era Dio" [9] [10]). Come osserverà l'apologeta Giustino di Nablus nella sua
Apologia II, due secoli dopo questo avvenimento, la realtà Gli somiglia, tanto da permettere ai
filosofi antichi di cogliere un "Λόγου μέρος" (Lògu mèros), una parte del Λὸγος (con il Λ
maiuscolo), svelatosi solo con il Cristianesimo [11] [12]. La dottrina del σπερματικός λόγος
(spermatikòs lògos) ebbe molta fortuna nella cristianità tardoantica e medievale, tanto che si trova
mirabilmente sintetizzata da Dante ne terza Cantica:
Oh abbondante grazia ond’ io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!
Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
[Par. XXXIII, vv.82-93]
CONCLUSIONE
In questo percorso è evidente la verità delle parole di Morani: i cristiani marcano una netta
differenza tra sé e i pagani, ma si trovano in un contesto storico e in una cultura precisa da cui non
possono prescindere; sono consapevoli di essere portatori di un messaggio nuovo e universale,
proprio per questo si impegnano affinché esso sia comprensibile e comunicabile urbi et orbi.
NOTE:
[1] Paolo Rom. 12.2.
[2] Giovanni 14,17.
[3] Plut. Caes. 49: ὅτε καὶ λέγεται βιβλίδια κρατῶν πολλὰ μὴ προέσθαι βαλλόμενος καὶ
βαπτιζόμενος, ἀλλ᾽ ἀνέχων ὑπὲρ τῆς θαλάσσης τὰ βιβλίδια τῇ ἑτέρᾳ χειρὶ νήχεσθαι τὸ δὲ ἀκάτιον
εὐθὺς ἐβυθίσθη.
Pietro Pozzoli 9
Cohabitamus hoc saeculum
[4] Plut. Alex 67.2: εἶδες δ᾽ ἂν οὐ πέλτην, οὐ κράνος, οὐ σάρισαν, ἀλλὰ φιάλαις καὶ ῥυτοῖς καὶ
θηρικλείοις παρὰ τὴν ὁδὸν ἅπασαν οἱ στρατιῶται βαπτίζοντες ἐκ πίθων μεγάλων καὶ κρατήρων
ἀλλήλοις προέπινον, οἱ μὲν ἐν τῷ προάγειν ἅμα καὶ βαδίζειν, οἱ δὲ κατακείμενοι.
[5] Mt. 28,19: πορευθέντες οὖν μαθητεύσατε πάντα τὰ ἔθνη, βαπτίζοντες αὐτοὺς εἰς τὸ ὄνομα
τοῦ πατρὸς καὶ τοῦ υἱοῦ καὶ τοῦ ἁγίου πνεύματος.
[6] Sen., ep. 59,6: scriptores antiqui, qui simpliciter et demonstrandae rei causa eloquebantur,
parabolis referti sunt.
[7] Quint. V 11,23: παραβολή, quam Cicero conlationem vocat.
[8] Clean. Inno a Zeus vv. 20-22: Ὧδε γὰρ εἰς ἓν πάντα συνήρμοκας ἐσθλὰ κακοῖσιν, / ὥσθ’ ἕνα
γίγνεσθαι πάντων λόγον αἰὲν ἐόντα, / ὃν φεύγοντες ἐῶσιν ὅσοι θνητῶν κακοί εἰσιν.
[9] Giovanni 1.1: ἘΝ ἈΡΧῌ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος.
[10] Giovanni 1.1, Vulgata: In principio erat Verbum et Verbum erat apud Deum et Deus erat
Verbum.
[11] Giust., Apologia II VI.3: Ὁ δὲ Υἱὸς, ὁ Λόγος πρὸ τῶν ποιημάτων, καὶ συνὼν καὶ
γεννώμενος, ὁτε τὴν ἀρχὴν δι'αὐτοῦ πάντα ἐκτισε καὶ ἐκόσμησε· Χριστὸς μὲν, κατὰ τὸ κεχρῖσθαι,
καὶ κοσμῆσαι τὰ πάντα δι'αὐτοῦ τὸν Θεὸν, λέγεται· ὂνομα καὶ αὐτὸ περιέχον ἂγνωστον σημασίαν·
ὂν τρόπον καὶ τὸ Θεὺς προσαγόρεθμα οὐκ ὂνομα ἐστιν, ἀλλὰ πράγματος δυσηξηγήτοθ ἒμφθτος
τῇ φύσει τῶν ἀνθρώπων δόξα.
Il Figlio di Lui, il solo a buon diritto chiamato "Figlio", il Logos coesistente e generato prima della
creazione, quando all'inizio per mezzo di Lui creò ed ordinò ogni cosa, è chiamato Cristo, perché
è stato unto e perché Dio ha ordinato ogni cosa per mezzo di Lui; tale nome contiene anch'esso un
significato sconosciuto, così come la parola "Dio" non è un nome, ma un'opinione, innata nella
natura umana, di una entità ineffabile.
[12] Giust., Apologia II X. 1-3: Μεγαλειότερα μὲν οὖν πάσης ἀνθρωπείου διδασκαλίας φαίνεται
τὰ ἡμέτερα· διᾶ τοῦτο λογισκὸν τὸ ὃλον τὸν φανέντα δι'ἡμᾶς Χριστὸν γεγονέναι, καὶ σῶμα, καὶ
Λόγον, καὶ ψυχὴν. Ὃσα γὰρ καλῶς ἀεὶ ἐφθέγξαντο καὶ εὗρον οἱ φιλοσοφήσαντες ἢ
νομοθετήσαντες, κατὰ Λόγου μέρος εὑρέσεος καὶ θεωρίας ἐστὶ πονηθέντα αύτοῖς. Ἐπειδὴ δὲ οὐ
πάντα τὰ τοῦ Λόγου ἐγνώρισαν, ὃς ἐστι Χριστὸς, καὶ ἐναντία ἑαθτοῖς πολλάκις εἶπον.
La nostra dottrina dunque appare più splendida di ogni dottrina umana, perché per noi si è
manifestato il Logos totale, Cristo, apparso per noi in corpo, mente, anima. Infatti tutto ciò che
rettamente enunciarono e trovarono via via filosofi e legislatori, in loro è frutto di ricerca e
speculazione, grazie ad una parte di Logos. Ma poiché non conobbero il Logos nella sua
interezza, che è Cristo, spesso si sono anche contraddetti.
BIBLIOGRAFIA:
M. Morani, Introduzione alla linguistica latina, München 2000.
Gianni A. Papini, Parole e cose, MI 2000.
C. Moreschini; E. Norelli, Storia della letteratura cristiana antica greca e latina. Vol. 1: Da Paolo
all'Età costantiniana, Morcelliana.
M. Simonetti; E. Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, EDB.