AGGIORNAMENTO GIURIDICO N.1/2014 SUCCESSIONI 1) Profili di ammissibilità dell’azione di riduzione proposta in via surrogatoria dai creditori personali del legittimario, in Riv.Notarile n. 1/’14, A.G.Annunziata Punti salienti: - - Profili di ammissibilità. Opinione prevalente riconosce anche ai creditori del legittimario la facoltà di agire in riduzione in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. poiché la legittima costituisce un diritto di natura patrimoniale e non personale. A sostegno di questa tesi viene proposta una lettura a contrariis dell’art. 557 comma 3 c.c. che ammette l’esercizio dell’azione di riduzione qualora l’eredità venga accettata senza beneficio d’inventario: in altri termini quando si confondono il patrimonio del defunto con quello dell’erede, i relativi creditori sono equiparati e di conseguenza se la norma legittima i creditori del defunto ad agire in riduzione non si può fondatamente negare tale diritto ai creditori del legittimario. È minoritaria la tesi che riconosce ai creditori la facoltà di agire avvalendosi dell’azione riconosciuta dall’art. 524 diretta ad impugnare la rinuncia all’eredità. Presupposti dell’azione: 1) esistenza di un credito nella titolarità di chi agisce; 2) inerzia del debitore; 3) carattere patrimoniale dei diritti azionabili in surrogatoria. L’indagine si concentra sul secondo presupposto, precisando che l’ azione surrogatoria è preclusa quando il debitore rinunci implicitamente alla legittima compiendo atti esecutivi delle disposizioni lesive incompatibili con la volontà renderli inefficaci. 2) Il diritto di abitazione del coniuge superstite. Il superamento dei confini della successione testamentaria attraverso una lettura costituzionalmente orientata. (nota a Cass. n. 20703/’13), in Riv. Notarile n. 1/’14, R.F.Iannone Massima: “Una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 584 c.c. o un’interpretazione assiologica della normativa di cui agli artt. 581 e 540 c.c., consente di affermare che anche al coniuge legittimo sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano.” All’indomani della Cass. S.U. n. 4847/’13 di nuovo la Cass. si pronuncia sul riconoscimento dei diritti di uso e di abitazione spettanti al coniuge superstite ex art. 540 in caso di successione legittima. In questo caso la Suprema Corte aderisce alle conclusioni in senso positivo delle S.U. tuttavia, anziché insistere sul valore dell’asse ereditario dal quale deve essere detratto il valore corrispondente ai diritti ex 540 c.c., propone una lettura “costituzionalmente orientata” dell’art. 540 tale da giustificare il riconoscimento dei diritti di uso e abitazione anche al coniuge legittimo suggerendo un’applicazione degli artt. 2 e 47 Cost. in ossequio alla solidarietà coniugale che deve animare la formazione di ogni nucleo familiare. 3) La disposizione testamentaria dell’usufrutto universale (nota a Trib. Trento 30/10/2013), in Riv.Notarile n. 2/’14, M.Giannini Massima: “L’attribuzione dell’usufrutto generale sui beni ereditari non rappresenta assegnazione di legato, ma istituzione di erede.” - questa pronuncia di merito segue la tesi sostenuta dalla Cass. n. 13310/’02 che qualifica l’attribuzione dell’usufrutto universale come istituzione di erede. Nel commento viene descritto lo stato dell’arte in materia, e pur non potendo negare la prevalenza della tesi che qualifica l’attribuzione come legato, l’autrice segue la tesi opposta, insistendo sulla vis expansiva dell’usufrutto generale, il quale, potenzialmente idoneo ad estendersi su ogni bene, realizza un’istituzione di erede. - tesi del legato. A favore di questa tesi si schierano la dottrina prevalente e numerose pronunce sia di legittimità che di merito (Cass. del ’79, del ’93 e del 2010). Elementi a sostegno di questa tesi: a) il beneficiario della attribuzione, a differenza dell’erede, non succede nell’universum jus e viene a trovarsi in una posizione giuridica diversa e nuova rispetto a quella del de cuius; b) il carattere temporaneo del diritto di usufrutto (art. 979) non si concilia con il carattere perpetuo dell’istituzione di erede (principio espresso dal brocardo latino “semel heres semper heres” ricavabile dall’art. 637); c) l’usufruttuario se fosse erede acquisterebbe automaticamente il possesso dei beni alla morte del de cuius ex art. 1146 c.c. invece ex art. 1002 deve chiedere il possesso al nudo proprietario; d) l’art. 550 prevede che il beneficiario del diritto di usufrutto non diventa mai erede. - tesi dell’istituzione di erede. A favore di questa tesi si schierano alcuni autori (da ultimo Barba) e alcune pronunce di legittimità e di merito (Cass. n. 13310/’02). Riguardo alla Cass. n. 4435/’09 viene sottolineato come tale pronuncia venga generalmente classificata come favorevole alla tesi dell’istituzione di erede, ma in realtà detta pronuncia afferma solo la compatibilità in astratto dell’attribuzione mortis causa di usufrutto generale con l’istituzione di erede. Sarà poi l’interpretazione della volontà del testatore a suggerire se quell’attribuzione avvenga in funzione di quota ereditaria oppure no. Elementi a sostegno di questa tesi: a) presenza della vis expansiva propria dell’istituzione di erede anche nell’usufrutto universale; b) l’art. 1010 fa gravare sull’usufruttuario i debiti ereditari che invece non graverebbero su un legatario. 4) incidenza delle norme dettate dal testatore sul contenuto del contratto di divisione, in Riv.Notarile n. 2/’14, D.Perrone In questo studio l’autore analizza entro quali limiti sia consentito agli eredi di procedere alla divisione disattendendo le norme dettate dal testatore ai sensi dell’art. 733 c.c. Aderendo alla tesi che qualifica l’istituto ex art. 733 come onere e non come legato, viene data risposta positiva al quesito. Riguardo all’argomento in questione vengono segnalati due limiti all’autonomia privata: a) nelle norme dettate dal testatore, la proporzionalità tra quota e porzione è elemento essenziale (anche se non è chiaro entro quali limiti sia tollerata una eventuale eccedenza: Mengoni dice che qualunque differenza di valore tra quota e porzione fa venir meno il carattere vincolante delle norme; Forchielli applica analogicamente l’art. 763; Cicu ritiene superato il limite solo quando non sia possibile bilanciare i valori con conguagli); b) è inderogabile il principio in base al quale l’assegno divisionale imposto dal de cuius può essere disatteso solo con il consenso di tutti i condividenti. 5) vincolo testamentario di destinazione ex art. 2645ter c.c.: spunti per ulteriori riflessioni (nota a sent. Tribunale di Roma 18 maggio 2013), in Notariato n. 1/’14, C. Romano - - Massima:”È inefficace il vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. istituito mediante testamento pubblico. Il legislatore non indica il testamento quale titolo costitutivo della destinazione, mentre, per istituti affini quali le fondazioni e il fondo patrimoniale, ha espressamente previsto la costituzione sia per atto pubblico che per testamento. L’atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c. costituisce deroga al principio della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. e, dunque, non appare consentita un’interpretazione estensiva, oltre i limiti tracciati dalla norma.” L’autore svolge una approfondita indagine in merito alle ragioni che hanno indotto il Tribunale di Roma a dichiarare l’inefficacia del vincolo di destinazione costituito per testamento in via diretta. Ragioni a favore della tesi sostenuta dal Tribunale di Roma. Interpretazione letterale del dato normativo: l’art. 2645ter c.c. parla di “atto in forma pubblica” e tale termine non permette di comprendere il testamento tra le fonti negoziali del vincolo di destinazione; Per altri istituti connotati da causa destinatoria generica la legge prevede come fonte costitutiva il testamento (vedi fondazione, fondo patrimoniale e trust), mentre l’art. 2645ter tace sul punto; - - - - - - Il legislatore opera una diversa scelta nell’art. 2645quater c.c. laddove per gli atti costitutivi di vincoli di natura pubblicistica fa riferimento a contratti ed agli altri atti di diritto privato anche unilaterali; L’art. 2740 c.c. stabilisce che qualunque limitazione della responsabilità patrimoniale del debitore deve essere prevista dalla legge e rappresenta un’eccezione alla regola generale: di conseguenza l’effetto di separazione patrimoniale, derivante dal vincolo di destinazione, deve restare circoscritto alla sola fonte costitutiva prevista dalla legge ossia l’atto pubblico inter vivos Il testamento esula dal controllo di meritevolezza dell’interesse perseguito (art. 1322 comma 2 c.c.) cui allude l’art. 2645ter poiché in ambito testamentario, trattandosi di materia regolata in via autonoma, la volontà del de cuius incontra solo i seguenti limiti: regole a presidio della successione necessaria; - divieto dei patti successori; - liceità dei motivi. Ragioni contro. In realtà il riferimento all’atto pubblico ex art. 2645ter c.c. non esclude il testamento dal novero degli atti idonei a costituire il vincolo di destinazione bensì detto riferimento esprime l’esigenza del legislatore di assicurare un controllo di legalità particolarmente pregnante nella fase genetica del vincolo, prospettando tutte le conseguenze della destinazione. Ecco allora che atto pubblico va inteso come atto di Notaio che quindi può tradursi in un atto tra vivi o in un testamento pubblico. Si fa notare che quando il legislatore ha voluto escludere il testamento come fonte negoziale lo ha fatto espressamente: si pensi all’art. 2821 c.c. che vieta la costituzione di ipoteca per testamento Si fa notare come la dottrina più recente abbia proposto una lettura diversa dell’art. 2740 c.c. In particolare, la tutela dei creditori, che l’art. 2740 vuole assicurare imponendo il principio della responsabilità patrimoniale, deve fare i conti con gli spazi sempre più ampi riconosciuti all’autonomia privata. In tal senso la tutela dei creditori ex art. 2740 non si sviluppa con l’imposizione di divieti bensì predisponendo adeguati sistemi pubblicitari che permettano ai creditori di avere sempre informazioni aggiornate circa lo stato di solvibilità del debitore: di conseguenza la separazione patrimoniale non costituisce un’eccezione ad un principio generale bensì persegue interessi giudicati meritevoli di una tutela pari a quella riconosciuta ai creditori. Tale lettura permette di considerare il testamento come fonte del vincolo sempre che ne sia data adeguata pubblicità. 6) Il legato di password, L. di Lorenzo, in Notariato n. 2/’14 - - - - - L’autore analizza questo argomento di grande attualità, spiegando il concetto di password, gli strumenti per la sua trasmissione e, in particolare, la sua trasmissibilità mediante testamento. Si segnalano i tratti salienti dello studio. Password significa parola di accesso e va intesa sia quale credenziale per l’identificazione di un soggetto i cui dati personali sono associati alla password, sia quale chiave di accesso al contenuto specifico del server. La password può essere trasmessa dal titolare ad una persona di fiducia mediante un atto tra vivi che si traduce in un mandato post mortem exequendum: la vicenda più frequente si verifica quando il titolare affida alla società di gestione del servizio internet la sorte del suo account in caso di morte; oppure il titolare può consegnare a persona di fiducia le credenziali con il compito, dopo la sua morte, di utilizzarle secondo determinate direttive La disposizione a titolo particolare avente ad oggetto una password può assumere, secondo l’autore, due connotazioni: a) se le credenziali non si riferiscono a rapporti patrimoniali e in alcun modo possono determinare un vantaggio patrimoniale, si tratta di una disposizione post mortem che rientra nel contenuto atipico del testamento e non di un legato; b) se invece il codice consente l’accesso a contenuti di carattere patrimoniale, allora si tratta di un legato con contenuto determinato per relationem (si pensi ad es. alle credenziali per l’accesso al c/c o per l’accesso a server on line di vario contenuto). Nel caso sub b) il legato ha un oggetto immediato (la password) ed un oggetto mediato (il contenuto al quale la password dà accesso) Generalmente nell’area testamentaria, oltre al legato, una soluzione inattaccabile è quella di nominare un esecutore testamentario a cui vengono affidate le password. È opportuno in ogni caso evitare l’inserimento delle password nella scheda testamentaria poiché l’atto pubblico con il quale il testamento acquista efficacia (verbale di pubblicazione o passaggio al repertorio degli atti tra vivi) potrebbe vanificare il lascito portando detti codici a conoscenza del soggetto che sottoscrive l’atto e dei testimoni prima del legatario. Si suggerisce di predisporre un legato di password da prendersi da certo luogo ex art. 655 c.c. indicando appunto il luogo ove detti codici sono depositati Vengono indicati dei limiti di liceità del legato in esame: - alcuni providers (es. Apple) infatti prevedono che i files audio o video scaricati a pagamento non siano attribuiti in proprietà bensì in licenza con estinzione al momento della morte del titolare (in questo caso tali password non sono trasmissibili mortis causa); - né è trasmissibile la password relativa a server aziendali o a firme digitali (assegnate solo ad un soggetto per la specifica qualifica che ricopre). 7) I riflessi successori della riforma della filiazione naturale, in Notariato n. 2/’14, C.Romano L’autore svolge un’analisi approfondita sulle ricadute successorie della riforma della filiazione introdotta dalla legge n. 219/’12 poi integrata dal dlgs. n. 154/’13. Si segnalano i punti salienti dello studio: - - - - - La finalità principale della riforma è quella di eliminare ogni differenza tra figli nati in costanza di matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio. Viene quindi sancito il principio di unicità dello stato giuridico della filiazione; Significative sono le modifiche dei seguenti articoli: - art. 258 (il riconoscimento produce effetti non solo nei confronti del soggetto che lo compie ma anche nei confronti dei suoi parenti che diventano automaticamente parenti del soggetto riconosciuto e, in caso di premorienza del figlio riconosciuto, potrebbero partecipare alla successione di quest’ultimo); - art. 74 (definisce il vincolo di parentela ponendo sullo stesso piano i figli nati all’interno del matrimonio o al di fuori di esso); - art. 315 (sancisce appunto l’unicità di stato di tutti i figli senza distinzioni); - art. 315bis (rispetto alla disciplina precedente, ora la posizione del figlio non si esaurisce nei doveri dei genitori bensì comprende anche i diritti dei figli all’assistenza morale dei genitori e ad essere ascoltati in tutte le questioni che li riguardano) Ancora, viene abrogata la disciplina relativa alla commutazione (art. 537 comma 3) In tema di rappresentazione a favore dei parenti in linea collaterale ex art. 468, ora è ammessa anche la successione a favore dei discendenti dei fratelli “naturali” In materia di successione legittima, tra le classi di successibili ex lege, le categorie jure familiae (formata dai parenti legittimi) e jure sanguinis (formata dai parenti naturali) non possono rimanere separate come avveniva prima della riforma: ora ex artt. 74 e 565 c.c. i consanguinei fanno parte a tutti gli effetti della classe dei parenti e vanno a formare un’unica categoria anche ai fini della successione legittima; Art. 251 ora consente il riconoscimento di figli incestuosi previa autorizzazione del giudice: il legislatore segue l’orientamento della Corte Costituzionale n. 494 del 28 novembre 2002 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 278 c.c. laddove esclude la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale nei casi in cui è vietato il riconoscimento di figli incestuosi, Infine viene segnalato il nuovo art. 448bis che non introduce un nuovo caso di indegnità ma offre al figlio, una volta divenuto maggiorenne, la facoltà di diseredare il genitore che sia autore di condotte riprovevoli anche se non tali integrare una causa di indegnità. Secondo l’autore la facoltà di diseredare sarebbe operante anche qualora il genitore rivesta la posizione di legittimario, in modo tale da precludere in ogni caso il conseguimento della quota di riserva. 8) Validità del testamento di contenuto meramente diseredativo, R.Pacia, in Riv. di diritto civile n. 1/’14 Punti salienti: - - - la mera clausola di diseredazione, relativamente a soggetti non legittimari, è ammessa alla luce della recente Cass. 8352/’12 (in base alla quale l’art. 587 c.c. può includere non solo una volontà attributiva e istitutiva ma anche una volontà ablativa o destituiva in ossequio al principio di libertà testamentaria, con il solo limite dell’ordine pubblico e dei diritti dei legittimari). Viene superata la tesi che riteneva nulla una clausola negativa poiché il concetto di disposizione ex art. 587 è circoscritto alle sole disposizioni attributive di beni che si sostanziano nella istituzione di erede e di legato: la clausola di diseredazione ha natura attributiva nella misura in cui il de cuius, sottraendo dal quadro dei successibili ex lege il diseredato, indirizza la concreta destinazione del proprio patrimonio. La diseredazione di un legittimario: opinione tuttora prevalente ritiene nulla tale clausola o per violazione dell’art. 457 comma 3 o per violazione delle norme imperative poste a presidio della successione necessaria. Viene proposta la tesi contraria che giudica valida la diseredazione di un legittimario. In sostanza si tratta di una clausola rientrante nella categoria delle clausole lesive della legittima, che, in quanto tali, sono valide ma esposte all’azione di riduzione. Art. 448bis. Norma introdotta nel 2012 prevede la diseredazione di un potenziale legittimario, ossia del genitore autore di comportamenti riprovevoli che non rientrino nelle cause di indegnità. È possibile dunque, a determinate condizioni, escludere dalla successione un genitore al quale risulterà preclusa la possibilità di agire in riduzione 9) L’impossibilità sopravvenuta dell’onere testamentario (nota a Cass. n. 11906/’13), G. Bellavia, in Famiglia e Diritto n. 3/’14 Massima:” L’impossibilità dell’onere che, ai sensi dell’art. 647 c.c., rende nullo il legato al quale sia apposto un onere, ove l’onere stesso ne abbia costituito l’unico motivo determinante, è soltanto l’impossibilità originaria, ossia già esistente al momento dell’apertura della successione e non quella sopravvenuta.” Questa pronuncia evidenzia una lacuna della disciplina successoria in materia di impossibilità sopravvenuta dell’onere. La pronuncia è conforme ad un precedente di legittimità (Cass. n. 3741/’54) e difforme da un precedente di merito (Tribunale Roma 29/10/1985). Il caso sottoposto al vaglio della Cassazione ruota attorno all’interpretazione di un rifiuto, da parte del beneficiario, della prestazione di assistenza a suo favore, cui era tenuto un erede mediante imposizione a suo carico di un onere. La suprema Corte ha escluso l’applicazione estensiva al caso in esame dell’art. 647 c.c. il quale prevede solo l’impossibilità originaria dell’onere e non quella sopravvenuta, richiamando invece l’applicazione analogica della disciplina della risoluzione del contratto per inadempimento (artt. 1453 e ss.c.c.). In altri termini, l’istituzione di erede resta valida a fronte della decadenza dell’onere dovuta ad impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore. La causa non imputabile al debitore nella fattispecie sarebbe il rifiuto del creditore di ricevere la prestazione. L’autore esamina tale scenario e critica la pronuncia in commento sotto un duplice aspetto: - sottolinea come in realtà il rifiuto di ricevere la prestazione da parte del creditore (beneficiario dell’onere) non determina affatto un caso di impossibilità sopravvenuta bensì concreta la fattispecie della mora del creditore con conseguente possibilità per il debitore di ottenere la liberazione coattiva; - volendo aderire alla non condivisa tesi della Cassazione, sarebbe stato più semplice applicare al caso in esame l’art. 1256 c.c. sancendo l’estinzione dell’obbligazione nascente dal modus per impossibilità sopravvenuta della prestazione dovuta a causa non imputabile al debitore.
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