note in tema di responsabilità degli amministratori

VALENTINA FERRARO∗
NOTE IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DEGLI
AMMINISTRATORI NELLE SOCIETÀ PER AZIONI ED IN
TEMA DI AZIONE DI RESPONSABILITÀ: PROFILI PRATICI
SOMMARIO: 1. L’individuazione dei soggetti suscettibili di incorrere nella responsabilità:
l’attività gestoria in via di mero fatto – 2. L’obbligo generale di diligenza e gli obblighi specifici
derivanti dalla legge e dallo statuto – 3. La business judgement rule – 4. Le azioni di responsabilità 4.1. L’azione sociale di responsabilità - 4.2. L’azione dei creditori sociali - 4.3. La responsabilità
verso singoli soci o terzi – 5. Il danno risarcibile e la sua quantificazione - 6. La competenza
del cd. Tribunale delle Imprese in materia di azione di responsabilità
1. L’individuazione dei soggetti suscettibili di incorrere nella
responsabilità: l’attività gestoria in via di mero fatto
La prevalenza del criterio gestorio in via di mero fatto è stata
definitivamente affermata a seguito del revirement del 1999, quando la
Cassazione ha chiarito che “le norme che disciplinano l’attività degli
amministratori di una società di capitali, dettate al fine di consentire il
corretto svolgimento dell’amministrazione della società, sono applicabili
non solo a coloro che sono stati immessi nelle forme stabilite dalla legge
nelle funzioni di amministratore ma anche a coloro che si siano di fatto
ingeriti nella gestione della società in assenza di una qualsivoglia investitura
da parte dell’assemblea, sia pur irregolare o implicita; i responsabili della
violazione di dette norme vanno dunque individuati, anche nell’ambito del
diritto privato (così come in quello del diritto penale ed amministrativo),
∗
Avvocato.
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non sulla base della loro qualificazione formale, bensì con riguardo al
contenuto delle funzioni concretamente esercitate”1.
Oggi, pertanto, la disciplina sanzionatoria di cui agli artt. 2392 ss.
interessa tutti gli amministratori che vengano meno ai propri obblighi di
legge o di statuto, senza che rilevi – sotto il profilo dell’individuazione
dell’autore dell’illecito – l’esistenza di una nomina assembleare valida ed
efficace, essendo al contrario sufficiente che l’inadempiente svolga attività
gestoria in via di mero fatto. Il principio può oggi reputarsi pacifico in
giurisprudenza 2, tuttavia, è ritenuto indispensabile che l’attività venga
esercitata in una posizione di autonomia decisionale, con funzione
sostitutiva degli amministratori di diritto o in cooperazione con essi e mai in
un ruolo subordinato, come invece accade in presenza di una specifica
procura3. È altresì necessaria una qualche stabilità del rapporto, che deve
protrarsi per un lasso di tempo significativo4, o, comunque, rivestire i
caratteri della sistematicità5, non potendo esaurirsi nel compimento
occasionale di atti di natura eterogenea6.
2. L’obbligo generale di diligenza e gli obblighi specifici derivanti
dalla legge e dallo statuto
2.1. Agli amministratori è oggi prescritto di agire “con la diligenza
richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”, senza
che sia fatta alcuna menzione al requisito della perizia.7 Tuttavia, non si può
1
Cass., 6 marzo 1999, n. 1925, in Giur. comm., 2000, II, 167; Cass., 14 settembre 1999, n. 9795, ivi, 2000, 168, entrambe con
nota di ABRIANI, Dalle nebbie della finzione al nitore della realtà: una svolta nella giurisprudenza civile in tema di amministratore di fatto.
2 Cass., 27 febbraio 2002, n. 2906, in Giur. it., 2002, 1424; Cass. 23 aprile 2003, n. 6478, in Fallimento, 2004, 266; Cass., 12
marzo 2008, n. 6719, in Mass. Giust. civ., 2008, 410; Cass. 5 dicembre 2008, n. 28819, ivi, 2008, 1741, cui adde, tra le pronunce di
merito, App. Milano, 26 settembre 2000, in Giur. comm., 2001, II, 562, con nota di MOZZARELLI, Amministratori di fatto: fine di
una contesa.
3 App. Milano, 4 maggio 2001, in Giur. it., 2002, 1229, con nota di POSTIGLIONE, Amministratore di fatto e delega di funzioni,
secondo cui ad escludere la qualità di amministratore di fatto sarebbe idonea anche una procura ad negotia. Parrebbe tuttavia
preferibile procedere a valutazione caso per caso.
4 App. Milano, 9 dicembre 1994, in Società, 1995, 926, con nota di FATTORI, Attribuzione della qualifica di amministratore di fatto e
conseguente responsabilità.
5 Cass. 5 dicembre 2008, n. 28819.
6 Trib. Torino, 30 maggio 2000, in Fallimento, 2000, 1301; Trib. Cuneo, 18 dicembre 2001, in Giur. it., 2002, 317; Trib. Torino, 6
maggio 2005, in Giur. it., 2005, 1858.
7 A seguito della riforma del 2003 è venuto meno ogni riferimento, nell’art. 2392 c.c., alla figura del mandatario e con essa alla
diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710, 1° comma, c.c.), dovendo ritenersi ormai incontestabile che la diligenza di cui
trattasi è quella professionale sancita dal secondo comma dell’art. 1176 c.c.
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escludere che la valutazione del comportamento dell’amministratore
prescinda tout court dai parametri di responsabilità, reputandolo indenne solo
in quanto non si individui alcuna violazione del canone della perizia. In tale
contesto, viene in rilievo il sesto comma dell’art. 2381 c.c. che sancisce
l’obbligo dell’amministratore di agire in modo informato. Se
l’amministratore dev’essere in grado di valutare le informazioni che gli
pervengono e di coglierne le implicazioni, allora risulta arduo sostenere che
egli possa essere completamente sprovvisto delle “conoscenze” della cultura
d’impresa, indispensabili, appunto, a svolgere proficuamente tale attività
valutativa.
E proprio in questa prospettiva si è affermato in giurisprudenza che
“nell’adempimento delle sue mansioni gestorie l’amministratore di s.p.a.
non può prescindere da un adeguato grado di “perizia”, consistente nella
prudenza ed avvedutezza da adottarsi in relazione alla natura dell’attività da
lui tipicamente svolta”8. Al riguardo, la Cassazione aveva chiarito che “il
principio secondo cui il dovere di diligenza non comprende il dovere di
perizia […] non può esonerare il singolo amministratore dalla conoscenza
delle regole fondamentali ed essenziali alla professionalità di quella funzione
quali sono quelle (tra l’altro espressamente previste dalla legge) in tema di
inammissibilità di una delega non formale delle proprie funzioni ad altri
amministratori, o di tenuta della contabilità, o di divieto di nuove
operazioni; con la conseguenza che la mancata acquisizione di queste regole
fondamentali da parte di un amministratore prima di assumere la relativa
carica costituisce violazione del dovere di diligenza che su lui grava e lo
rende imputabile di ogni forma di responsabilità connessa alla inosservanza
dei doveri conseguenti allo scioglimento della società per perdita del capitale
sociale, quale quello di astensione dall’assunzione di nuove operazioni”9.
2.2. Gli amministratori sono tenuti a osservare tutti i precetti contenuti
nella legge e nell’atto costitutivo: obblighi specifici.
Trib. Milano, 29 marzo 2004, in Giur. it., 2004, 2333, con nota di COTTINO, Note minime, divaganti e irriverenti, su amministratori,
“perizia”, tangenti e responsabilità; conformi Trib. Milano, 10 febbraio 2000, in Giur. comm., 2001, II, 326, con nota di TINA,
Insindacabilità nel merito delle scelte gestionali degli amministratori e rinuncia all’azione sociale di responsabilità (art. 2393, ultimo comma, c.c.);
Id., 23 febbraio 2003, in Giur. milanese, 2003, 221; Id., 22 marzo 2004, ivi, 2004, 392; Id., 10 giugno 2004, in Giustizia a Milano,
2004, 53.
9 Cass., 4 aprile 1998, n. 3483, in Giur. it., 1999, 324; Giust. civ., 1999, I, 1809, con nota di SCHERMI, Appunti sulla responsabilità
degli amministratori di società per azioni; in Dir. fall., 1999, II, 1032, con nota di BONAZZA, Conflitto di interessi dell’amministratore,
conferma o revirement della giurisprudenza della suprema Corte?.
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Nel caso di violazione di obblighi specifici “la responsabilità può essere
esclusa solo nel caso previsto dall’art. 1218 c.c., quando cioè
l’inadempimento sia dipeso da causa che non poteva essere evitata né
superata con la diligenza richiesta al debitore”10.
Quanto alla casistica, la violazione di obblighi specifici può essere
ricondotta essenzialmente a tre macro categorie:
a) violazioni inerenti a precetti penali: gli amministratori devono
conformarsi alle norme penali, incorrendo in responsabilità, ad
esempio, laddove procedano a indebite sottrazioni di fondi o di beni
sociali 11.
b) violazioni delle regole di diritto societario: per gli amministratori
vigono i divieti generali di non agire in conflitto di interessi (art. 2391
c.c.)12 e di non esercitare un’attività in concorrenza con quella della
società in assenza di specifica autorizzazione da parte dell’assemblea
(art. 2390 c.c.).
Oltre ai suddetti divieti generali gli amministratori incorrono in
responsabilità anche laddove il danno sia conseguenza di mancata
convocazione dell’assemblea su richiesta della minoranza13, della
violazione del dovere di verificare la congruità della stima dei
conferimenti in natura14, della violazione delle norme in materia di
diritto di opzione15, nonché dell’art. 2404-quater, 2° comma, c.c. in
tema di fusione.
Dal punto di vista operativo l’ipotesi che più frequentemente viene in
considerazione è quella della responsabilità per “maggiori perdite”.
Come noto, a norma degli artt. 2485 e 2486 c.c., gli amministratori
sono tenuti, una volta verificatasi una causa di scioglimento, ad
iscriverla senza indugio nel registro delle imprese, per cui a seguito di
tale iscrizione sorge l’obbligo di limitare la gestione alla
conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale. Il
Cass., 23 marzo 2004, n. 5718.
Cass., 28 aprile 1997, n. 3652, in Giust. civ., 1997, I, 2780, ha affermato che “la distrazione a proprio favore, da parte degli
amministratori di società per azioni, di somme appartenenti alla società costituisce comportamento contrario al dovere degli
amministratori di conservazione del patrimonio sociale, dal quale consegue la responsabilità ex art. 2392 c.c.”.
12 Cass., 17 gennaio 2007, n. 1045, in Giur. comm., 2009, 431.
13 Trib. Napoli, 7 novembre 1988, in Dir. fall., 1989, II, 1971, con nota di DI LAURO, Responsabilità del liquidatore per omessa
convocazione dell’assemblea e diritto del socio al risarcimento del danno.
14 Cass., 29 maggio 1984, n. 3282, in Dir. fall., 1984, II, 703.
15 App. Firenze, 2 dicembre 1989, in Dir. fall., 1990, II, 1094.
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regime attuale presenta pur sempre non lievi analogie con il passato:
la circostanza che l’organo amministrativo sia comunque
responsabile di eventuali ritardi nella predetta iscrizione, impone di
sospendere ugualmente qualsiasi attività speculativa sin dal momento
dell’accertamento della causa di scioglimento, pena la responsabilità
per i danni cagionati alla società e ai suoi creditori, vale a dire per i
danni causati al patrimonio sociale da quelle che, in passato, venivano
chiamate “nuove operazioni” e che oggi sono chiamati atti non
finalizzati alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio
sociale16. È dunque persino superfluo richiamare il consolidato
orientamento secondo il quale la violazione del divieto di compiere
nuove operazioni integra il presupposto sia dell’azione sociale di
responsabilità per violazione dei doveri imposti dalla legge, sia
dell’azione di responsabilità dei creditori sociali per inosservanza
degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del capitale
sociale17. Né la riforma del diritto societario del 2003 ha mutato la
situazione, rientrando comunque e sempre fra gli obblighi del
diligente amministratore, in situazione di integrale perdita del capitale
sociale e di gestione in perdita, quello di cessare al più presto l’attività
e di evitare l’accumulo di ulteriori perdite18.
La suddetta fattispecie è di regola strettamente connessa la violazione
delle norme che presiedono alla redazione del bilancio. Ed invero,
benché la compilazione di documenti contabili non veritieri non sia,
16 Trib. Napoli, 23 gennaio 2009, in Giur. comm., 2009, 1244, con nota di CESIANO, Responsabilità degli amministratori (ex art. 106
t.u.b.), obblighi di stima e conservazione del patrimonio sociale; Trib. Tivoli, 26 agosto 2009, in Redazione Giuffrè, 2009; Trib. Lecce, 3
dicembre 2009, in Giur. merito, 2010, 2500, con nota di GALLETTI, Brevi note sulla prova del danno nelle azioni di responsabilità; Trib.
Milano, 3 febbraio 2010, in Giur. it.
17 cfr. Cass., 20 giugno 2000, n. 8368, in Società, 2001, 55; Cass., 28 maggio 1998, n. 5287, ibidem, 1159; Cass., 17 settembre
1997, n. 9252, in Fallimento, 1998, 1024; Cass., 19 settembre 1995, n. 9887, ivi, 1996, 241; Cass., 7 maggio 1993, n. 5263, in Foro
it., 1994, I, 130; Trib. Milano, 20 febbraio 2003, in Società, 2003, 1268; Trib. Milano, 7 febbraio 2003, ibidem, 1385; Trib. Torino,
10 febbraio 1995, in Fallimento, 1150; Trib. Torino, 24 dicembre 1994, in Dir. fall., 1995, II, 857; in dottrina, in luogo di altri,
JAEGER, La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle procedure concorsuali: una valutazione critica, in Giur. comm., 1988, I, 548 e
ss.; BONELLI, La responsabilità degli amministratori di società per azioni, Milano, 1992, 11 e ss.; RORDORF, Il risarcimento del danno
nell’azione di responsabilità contro amministratori, in Fallimento, 1993, 617 e ss.; QUATRARO-PICONE, La responsabilità di amministratori,
sindaci, direttori generali e liquidatori di società, Milano, 1998, tomo I, 85 e ss.; nonché, da ultimo, CONFORTI, La responsabilità civile
degli amministratori di società, Milano, 2003, vol. II, 785; DE CRESCIENZO, Le azioni di responsabilità, Milano, 2003, 16-17.
18 Si è osservato che “non va trascurato il fatto che l’impresa gestita dalla società possa, al momento dello scioglimento, generare perdite costanti,
senza tuttavia, che la società sia insolvente. In tale situazione, continuare l’esercizio dell’impresa significherebbe depauperare il patrimonio sociale e,
alla luce dell’art. 2486, gli amministratori si troverebbero così obbligati “ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore” di detto
patrimonio, a cessare l’impresa nel più breve tempo possibile” (così ROSSI, in Il nuovo diritto delle società, a cura di MAFFEI ALBERTI,
Padova, 2005, sub art. 2486).
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di per sé sola, causativa di danno per la società19, normalmente essa
costituisce un comportamento finalizzato ad agevolare la non
osservanza di altro obbligo di legge, come tipicamente accade quando
le false appostazioni perseguano lo scopo di occultare lo stato di
scioglimento e, mediatamente, di depauperare il patrimonio. I terzi
creditori hanno perso la facoltà di convenire in giudizio gli
amministratori per ottenere l’adempimento dell’intera obbligazione
assunta in spregio al divieto di cui all’art. 2449 c.c.20, essendo loro
concesso di ottenere dai componenti dell’organo gestorio soltanto il
risarcimento del pregiudizio effettivamente patito (pari alla differenza
tra l’ammontare della nuova obbligazione e quanto sia comunque
possibile ottenere escutendo la società).
c) violazione di norme diverse da quelle societarie: le condotte di
mala gestio possono configurarsi anche in relazione all’infrazione di
norme fiscali (nelle quale incorre, tipicamente, chi ometta di
accantonare le somme necessarie per il pagamento delle imposte
dirette21 o dia luogo a dichiarazioni fiscali erronee o mendaci22), ai
precetti previdenziali o giuslavoristi.
3. La business judgement rule
Come affermato dalla stessa giurisprudenza23, il canone di diligenza
rappresenta il limite fino al quale può spingersi lo scrutinio del giudice
Trib. Milano, 16 gennaio 1995, in Gius, 1995, 3752.
Risulta pertanto superato il principio per cui “l’art. 2449 c.c. (nel testo previgente al d.lg. n. 6 del 2003) deroga al principio
della responsabilità limitata dei soci di società di capitali aggiungendo a tale responsabilità quella illimitata e solidale per le
operazioni compiute da chi ha agito in nome e per conto della società, e dunque non in ragione della qualità di socio e del
conferimento effettuato, ma dell’attività gestoria posta in essere in violazione del divieto di compiere nuove operazioni” (così
Cass., 13 febbraio 2007, n. 3694).
21 Cass. 7 luglio 1977, n. 2972, in Giur. comm., 1978, II, 523; Cass., 2 agosto 1977, n. 3411, ivi, 1978, II, 194; Cass., 14 marzo
1978, n. 1273, ivi, 1978, II, 404; App. Bologna, 18 gennaio 1979, ivi, 1981, 542.
22 Cass., 6 marzo 1970, n. 558, in Foro it., 1970, I, 1728.
23 Cass., 28 aprile 1997, n. 3652, in Società, 1997, 1389, secondo cui “è solo l’eventuale omissione, da parte dell’amministratore
di quelle cautele, di quelle verifiche o di quelle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel genere che
può configurare la violazione dell’obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministrazione e può quindi generare una
responsabilità contrattuale dell’amministratore verso la società”. Nello stesso senso, più di recente, Cass., 23 marzo 2004, n.
5718, in Riv. notariato, 2004, 1571, con nota di CHIRILLI, La responsabilità degli amministratori di s.p.a. tra obblighi a contenuto specifico e
obblighi a contenuto generico, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 28 marzo 2003, in Gius, 2003, 2331; Id., 20 febbraio
2003, in Vita not., 2003, 1485; Trib. Reggio Emilia, 23 febbraio 2006, in Dir. e prat. soc., 2006, 23, 64; Trib. Milano, 2 maggio
2007, in Corriere del merito, 2007, 2007, 1116.
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nell’ambito di un’azione di responsabilità, nel senso che non è consentito, in
ossequio alla nota business judgement rule, sindacare l’opportunità delle
decisioni imprenditoriali. Ne consegue che “il successivo, imprevedibile
esito negativo dell’affare non comporta il loro obbligo di risarcimento dei
danni nei confronti della società amministrata”24.
A tale stregua, “le scelte gestorie – cui è connaturato un rischio – non
possono tradursi in consequenziali ipotesi di responsabilità degli
amministratori quando il rischio si avvera, dovendo invece considerarsi se la
scelta a suo tempo compiuta sia riconducibile a canoni di razionalità
secondo le regole del business judgement rule”25; e ciò in quanto “la legge non
impone agli amministratori di gestire la società senza commettere errori,
anche nel caso in cui si tratti di errori gravi ed eventualmente evitabili da
altri amministratori più competenti e capaci, ma preved[e] solo il rispetto dei
numerosi obblighi di comportamento di amministrare con diligenza e di
non agire in conflitto di interessi. È questo il contenuto della cosiddetta
business judgement rule, secondo la quale la responsabilità degli amministratori
è una responsabilità per violazione di obblighi connessi alla funzione e non
per l’insuccesso economico della società ascrivibile ad errori di gestione. In
base a tale regola, infatti, occorre tenere conto del fatto che nello
svolgimento di un’attività imprenditoriale, e quindi nell’operato degli
amministratori, è connaturata una rilevante discrezionalità”26.
Pertanto, devono ravvisarsi gli estremi della responsabilità ogniqualvolta
gli amministratori abbiano omesso di adottare quelle cautele, di effettuare
quelle verifiche e di assumere quelle informazioni che una data scelta
gestoria normalmente impone27. Come affermato dalla Cassazione, infatti,
“se è vero che non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali
discrezionali, anche se presentano profili di alea economica superiori alla
norma, resta invece valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare
preventivamente – se necessario, con adeguata istruttoria – i margini di
rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre
l’impresa a perdite, altrimenti prevenibili”28.
Cfr. Trib. Milano, 3 settembre 2003, in Società, 2004, 890.
Trib. Napoli, 20 giugno 2008, in Giur. comm., 2009, II, 1184, con nota di DI GIROLAMO, Regola di giudizio imprenditoriale e conto
corrente ordinario, con una premessa sull’oggetto sociale.
26 Trib. Milano, 3 giugno 2008, in Giustizia a Milano, 2008, 7-8, 54.
27 Cass., 28 aprile 1997, n. 3652, (nota 16).
28 Cass., 12 agosto 2009, n. 18231, in Diritto & giustizia, 2009.
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4. Le azioni di responsabilità
4.1. L’azione sociale di responsabilità
A norma dell’art. 2393 c.c., la deliberazione circa l’esperimento
dell’azione sociale può essere assunta:
a) dall’assemblea ordinaria con i normali quorum costitutivo e
deliberativo, anche se la società è in liquidazione (art. 2393, comma 1°).
La deliberazione assembleare, pur costituendo elemento indispensabile
per integrare la legittimazione ad agire dell’ente attraverso il suo
rappresentante29, non deve necessariamente precedere l’esercizio
dell’azione. Essa, infatti, rappresenta una condizione dell’azione,
potendo essere adottata anche successivamente alla notifica dell’atto di
citazione, con effetto sanante ex tunc30.
Essa è, pertanto, inidonea a predeterminare il contenuto della domanda
giudiziale, con la conseguenza che l’atto di citazione ben può essere
fondato su elementi diversi e ulteriori rispetto a quelli enucleati nella
deliberazione dei soci31. Non solo, si ritiene altresì che non vi sia, da
parte dei soci, alcuna necessità di motivare la decisione di agire in
responsabilità. Basti pensare a quanto previsto dal 2° comma dell’art.
2391 c.c.: non sono previsti obblighi motivazionali di sorta. La sede
entro cui valutare la fondatezza delle censure rivolte all’operato degli
29 Cass., 6 giugno 2003, n. 9090, in Diritto & giustizia, 2003, 27, 27, la quale ha affermato che “la deliberazione assembleare
richiesta dal comma 1 dell’art. 2393 c.c. per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità è un elemento indispensabile al fine
di integrare la legittimazione di colui che, in qualità di legale rappresentante della società, agisce nel processo; in caso di
contestazione tra le parti in ordine alla esistenza della predetta delibera, grava sul legale rappresentante della società attrice
l’onere di dimostrare che l’azione di responsabilità è stata debitamente deliberata dall'assemblea, così da mettere il giudice in
condizione di eseguire il necessario accertamento”.
30 Cass., 28 luglio 2000, n. 9904, in Giur. comm., 2001, II, 221, ove il rilievo secondo il quale, “in materia di azioni sociali di
responsabilità, la delibera assembleare di esercitare l’azione si configura, sul piano del processo, quale presupposto processuale
e, sul piano sostanziale, quale mandato, le cui cause di estinzione sono quelle indicate dall’art. 1722 c.c. tra le quali non rientra
l’estinzione del processo; pertanto, interrotto e poi estinto il giudizio di responsabilità a seguito di fallimento e proposta dal
curatore azione ex art. 146 l. fall., nel corso della quale la società sia tornata in bonis, questa può agire nei confronti degli
amministratori sulla base della originaria delibera”.
31 Cfr. Trib. Milano, 9 novembre 1987, in Giur. comm., 1988, II, 967; secondo una corrente di pensiero, è altresì legittima una
deliberazione che affermi la responsabilità degli amministratori in modo generico, omettendo di individuare i singoli atti forieri
di danno: in tal senso Trib. Milano, 17 ottobre 1988, in Giur. it., 1990, I, 2 48; contra Trib. Napoli, 26 marzo 2008, in Redazione
Giuffrè, 2008, ove si afferma che, a salvaguardia del principio del contraddittorio, “la causa petendi deve sin dall’inizio sostanziarsi
nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto
sociale”.
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amministratori è – come chiarito dalla più recente giurisprudenza di
legittimità32 – il giudizio successivamente radicato davanti al competente
tribunale e non il dibattito in seno all’assemblea.
b) dal collegio sindacale a maggioranza di due terzi dei suoi membri.
Il penultimo comma dell’art. 2393 c.c. statuisce che la deliberazione
dell’azione di responsabilità, ove approvata da tanti soci che rappresentino
almeno un quinto del capitale sociale, importa la revoca dall’ufficio degli
amministratori contro cui è proposta la domanda risarcitoria33. La ratio
sottesa a tale ipotesi di destituzione automatica ed immediata dalla carica è
rintracciabile nella necessità di evitare che continuino a gestire la società
soggetti che hanno perso la fiducia di una parte significativa dell’azionariato.
La giurisprudenza di merito ritiene la regola della destituzione automatica
inconciliabile con la regola della prorogatio34, con la conseguenza che,
nell’ipotesi in cui sia revocato ex lege l’intero consiglio di amministrazione (o
l’amministratore unico), l’assemblea per la nomina del nuovo organo
gestorio va convocata dal collegio sindacale, a cui spettano, nelle more, i
poteri di ordinaria amministrazione.
Ancora, la giurisprudenza ritiene che nell’’ipotesi dell’amministratore
revocato che, essendo ad un tempo socio, voglia prender parte all’elezione
dei nuovi amministratori sia necessario valutare in concreto la sussistenza di
profili di conflitto di interesse, di regola sussistenti allorquando l’ex
amministratore revocato proponga se stesso o soggetto a lui legato da
rapporti di parentela o di affari35.
Infine, l’ultimo comma dell’art. 2393 c.c. – come noto – attribuisce
all’assemblea ordinaria il potere di dar corso alla rinuncia all’azione e alla
transazione a due condizioni: (i) che via sia un’espressa deliberazione
assembleare in tal senso e (ii) che non vi sia il voto contrario di tanti soci
Cass., 11 luglio 2008, n. 19235, in Giur. it., 2009, 883.
L’effetto indicato nel testo discende direttamente dalla legge per il caso di adozione della delibera assembleare con il voto
favorevole di almeno il quinto del capitale, non potendo discendere da un’iniziativa cautelare ad hoc, dovendosi ritenere
“inammissibile la domanda proposta ex art. 700 c.p.c. volta ad ottenere la revoca in via cautelare del consigliere delegato di
società per azioni proposta dai soci di minoranza benché titolari di oltre il 20% del capitale sociale sia perché tale rimedio non
è previsto in loro favore dal vigente sistema normativo, sia perché difetta il presupposto della strumentalità e del necessario
collegamento della misura cautelare richiesta con le domande oggetto della causa di merito (azione di responsabilità e richiesta
di condanna dell'amministratore al risarcimento dei danni)” (così Trib. Mantova, 10 luglio 2008, in Giur. merito, 2009, 716, con
nota di GAETA, Il rimedio speciale della revoca cautelare dell’amministratore di s.r.l.: le regioni della inapplicabilità analogica alle s.p.a.).
34 Trib. Como, 2 agosto 1999, in Società, 2000, 611, con nota di TERENGHI.
35 Trib. Milano, 16 marzo 1998, in Giur. it., 1998, 1426; Trib. Trani, 27 settembre 2000, in Società, 2001, 71, con nota di
CUPIDO; Trib. Monza, 15 novembre 2002, in Giur. merito, 2003, 462.
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che rappresentino almeno il quinto del capitale. La giurisprudenza ritiene
che la rinuncia o la transazione non precedute da una delibera assembleare
approvata col voto contrario di meno del 20% del capitale sociale siano da
considerarsi nulle36.
4.2 L’azione dei creditori sociali
Rispetto all’azione sociale di responsabilità l’azione prevista dall’art.
2394 c.c. è esperibile alla ricorrenza di due presupposti:
a)
l’inosservanza, da parte degli amministratori citati in giudizio, degli
“obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio
sociale”;
b)
l’insufficienza del patrimonio al soddisfacimento delle pretese dei
creditori.
Il primo presupposto, comprende tutte le condotte che comportano il
venir meno all’obbligo di conservare l’integrità del patrimonio della società e
il conseguente avverarsi di perdite, collegandosi specificamente alla
disciplina degli artt. 2343, 2423 ss., 2446 e 2447 c.c., ma anche a quella di
cui agli artt. 2357 ss. e 2486 c.c. ed anche le violazioni del dovere generale di
gestire con diligenza l’impresa, dato che ogni atto di disposizione del
patrimonio sociale è suscettibile di essere valutato sotto l’aspetto del
pregiudizio al patrimonio della società37.
Quanto al secondo, è opinione largamente prevalente che l’incapienza
patrimoniale possa emergere anche in altro modo e che comunque essa
spieghi i propri effetti, ai fini che ci occupano, ogniqualvolta i creditori
siano in grado di averne conoscenza ricorrendo all’ordinaria diligenza,
Trib. Milano, 12 settembre 1995, in Giur. comm., 1996, II, 827; Cass., 1° ottobre 1999, n. 10869, in Società, 2000, 432.
In giurisprudenza si è osservato che “la contestazione di eventuali cessioni di beni sociali, perché ritenute contrarie agli
obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, non può fondarsi sul riferimento al prezzo di mercato degli assets
alienati: non si tratta, infatti, di stabilire la revocabilità di un atto, ma di verificare se la dismissione sia stata accompagnata da
quelle cautele idonee ad orientare la scelta discrezionale in termini di complessiva razionalità nel contesto delle condizioni e
delle emergenze in cui la vendita è stata stipulata” (così Trib. Napoli, 20 giugno 2008).
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tipicamente, nell’ipotesi in cui gli amministratori depositino un bilancio
approvato che esponga delle perdite38.
Il concetto di insufficienza patrimoniale deve in ogni caso essere tenuto
distinto dal concetto di insolvenza, anche se talvolta coincidono: come
affermato dalla Cassazione, infatti, “l’insufficienza patrimoniale […] è una
condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, indicata dall’art. 5 l.
fall. come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni,
potendosi una società trovare nell’impossibilità di fare fronte ai propri debiti
ancorché il patrimonio sia integro, così come potrebbe accadere l’opposto,
vale a dire che l’impresa possa presentare una eccedenza del passivo
sull’attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste
(per esempio ricorrendo a ulteriore indebitamento)”39.
Fra i temi più dibattuti vi è quello della natura dell’azione spettante ai
creditori sociali. Ci si interroga se la responsabilità degli amministratori
verso questi ultimi sia di tipo contrattuale o invece aquiliano e se il rimedio
in parola sia autonomo o meno rispetto all’azione sociale.
Quanto al primo aspetto, si potrebbe ritenere che l’azione di
risarcimento danni dei creditori, trovando pur sempre fondamento
nell’inadempimento di specifici obblighi posti dalla legge a carico degli
amministratori (conservazione dell’integrità del patrimonio sociale), sia
estranea all’ambito della responsabilità da illecito extracontrattuale; e in
questo senso sembrerebbe in effetti orientata la più recente giurisprudenza
di legittimità che, seppur nel contesto di obiter dictum, ha aderito
all’impostazione contrattuale40.
Secondo un diverso orientamento la fattispecie va ricondotta, nell’alveo
della responsabilità aquiliana. Tradizionalmente, infatti, la giurisprudenza
maggioritaria41 ha affermato che quella verso i creditori è una responsabilità
da fatto illecito; con la conseguenza che l’onere della prova, tanto
dell’inadempimento colpevole, quanto del nesso eziologico con il danno
Cass., 8 aprile 2009, n. 8516, in Mass. Giust. civ., 2009, 4, 603.
Cass., 22 luglio 2008, n. 20476, in Guida al diritto, 2008, 46, 87.
40 Cass., 22 marzo 2010, n. 6870, in Diritto & giustizia, 2010. Nello stesso senso si erano espressi, in passato, Cass. 22 novembre
1971, n. 3371, in Casi e materiali di diritto commerciale, 1, 1636 e Trib. Milano, 22 dicembre 1983, in Società, 1984, 883.
41 Cass. 22 ottobre 1998, n. 10488, in Mass. Giust. civ., 1998, 2151; Cass., 12 giugno 2007, n. 13765, ivi, 2007, 10, cui adde, nella
giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 2 settembre 1988, in Dir. fall., 1989, II, 855; Trib. Roma, 7 marzo 1991, in Nuova giur.
civ. commentata, 1992, I, 283; Trib. Torino, 26 febbraio 1994, in Giur. it., 1994, I, 2, 744; Trib. Monza, 13 gennaio 2000, in
Giurisprudenza milanese, 2000, 250; Trib. Bologna, 8 agosto 2002, in Giur. it., 2003, 1649; Trib. Milano, 29 aprile 2004, in Giustizia
a Milano, 2004, 54; Id., 2 ottobre 2006, in Giur. it., 2007, 282.
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prodotto, grava interamente sull’attore, non potendosi utilmente invocare il
disposto dell’art. 1218 c.c.
Merita, in ogni caso, rilevare che il dibattito, anche alla luce delle più
recenti pronunce della Cassazione, sembra essersi assestato
sull’impostazione contrattuale, poiché ancora recentemente è stato
affermato che “l'azione di responsabilità esercitata dal curatore del
fallimento ai sensi dell'art. 146 legge fall., ha natura contrattuale e carattere
unitario ed inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico
rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c.” 42 Le due
distinte fonti responsabilità, come delineate dagli artt. 2392-2394 c.c., infatti,
confluiscono in un’unica azione accordata dall’ordinamento (e, in
particolare, dagli artt. 2394 bis c.c. e 146 l.fall.) al Curatore il quale,
nell’ambito delle specifiche funzioni demandategli, è legittimato a far valere
sia la responsabilità degli organi sociali verso la società amministrata ai sensi
degli artt. 2392 e 2393 c.c., sia la loro responsabilità verso i creditori sociali
ai sensi dell’art. 2394 c.c.: le peculiarità che caratterizzano le due azioni e che
rimangono distinte ove esperite in regime ordinario (dunque,
rispettivamente, dai soci e dai creditori nei confronti degli organi di gestione
o di controllo di una società in bonis), in realtà sfumano e perdono di
consistenza ove si tratti dell’azione accordata al Curatore, il quale si trova
così ad esercitare un’azione di carattere unitario ed inscindibile che cumula
tanto i presupposti quanto gli scopi delle due azioni, mirando alla
reintegrazione del patrimonio della società a beneficio del ceto creditorio
concorsuale.
Per quanto attiene, infine, alla natura autonoma o surrogatoria
dell’azione, la giurisprudenza ha da tempo sancito nel senso dell’autonomia
dell’azione dei creditori rispetto a quella sociale43. Tale conclusione appare
supportata dalle differenze che caratterizzano le due azioni:
a) la responsabilità ex art. 2394 c.c., come già ricordato, è limitata alla
violazione degli obblighi di salvaguardia del patrimonio (donde un interesse
tutelato più circoscritto e una diversa estensione dell’area del danno
suscettibile di ristoro: con l’azione sociale oltre al danno emergente si può
cfr., da ultimo, Cass., n.17121/2010, in Foro it. 2011, 9, I, 2459, Trib. Padova, 24 giugno 2009, in il Fallimento 6/2010, 729.
Cass., 12 giugno 2007, Trib. Torino, 13 dicembre 1989, in Giur. it., 1990, I, 2, 145; Id., 26 febbraio 1994; Trib. Bologna, 8
agosto 2002; contra Cass., 27 novembre 1982, n. 6431, in Mass. Giust. civ., 1982, 10-11; Cass. 28 febbraio 1998, n. 2251, in Giur.
it., 1998, 1639.
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chiedere il ristoro del lucro cessante, quanto meno nei limiti della
prevedibilità (art. 1225 c.c.), mentre nell’azione dei creditori viene in
evidenza esclusivamente il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale);
b) l’inerzia della società non è necessaria, come invece sarebbe nel caso
di azione surrogatoria;
c) la rinunzia all’azione sociale non interferisce con la proposizione
dell’azione dei creditori (né con la prosecuzione del relativo giudizio);
d) il dies a quo della decorrenza del termine per promuovere l’azione è
differente.
4.3. La responsabilità verso singoli soci o terzi
Come noto, la fattispecie disciplinata dall’art. 2395 c.c. si distingue dalle
due, precedentemente analizzate, per il fatto che tale ipotesi tutela i danni
arrecati in via diretta al patrimonio del socio o del terzo. Il rimedio in
questione, quindi, non è invocabile ogniqualvolta si tratti di un pregiudizio
patito dal patrimonio sociale e solo di riflesso dal socio o dal terzo. Di
conseguenza, come affermato dalla Cassazione: “il singolo socio di una
società di capitali non può esperire l’azione individuale di responsabilità nei
confronti degli amministratori ai quali imputi atti, anche di concorrenza
sleale, che si sarebbero tradotti in una riduzione di utili ed in un
depauperamento del patrimonio sociale, ed avrebbero portato alla
liquidazione della società, in quanto in tali circostanze difetta il requisito del
danno direttamente subito nella propria sfera patrimoniale”44.
Pertanto, “l’incapienza dell’attivo fallimentare non è di per sé sufficiente
da permettere al terzo di agire in giudizio contro l’amministratore della
società per ottenere il risarcimento dei danni subiti […]. Infatti, non c’è
lesione diretta per il terzo se la condotta dell’amministratore lede il
patrimonio sociale, determinando l’incapienza dell’attivo: la mala gestio
colpisce tutti i creditori, che non possono soddisfarsi; in questo caso
l’azione contro l’amministratore ex art. 2394 c.c. […] spetta esclusivamente
al curatore”45. Parimenti, il socio è carente di legittimazione attiva se le
44
45
Cass., 3 aprile 2007, n. 8358, in Giur. it., 2007, 2761.
Cass., 22 marzo 2010, n. 6870.
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proprie azioni hanno visto diminuire il loro valore come conseguenza
(appunto indiretta) della mala gestio degli amministratori; non così, invece, se
costoro hanno redatto un progetto di bilancio falso e sulla scorta di esso
taluno si sia determinato ad entrare in società (o ad aumentare la
consistenza della propria partecipazione)46. La norma è applicabile in tutti
quei casi in cui da un atto colposo o doloso compiuto dagli amministratori
nell’esercizio delle loro funzioni derivi di per sé un pregiudizio al
patrimonio del socio o del terzo e non alle sole ipotesi in cui
l’amministratore utilizzi le proprie prerogative gestorie per procurarsi un
vantaggio personale, o comunque compia atti estranei al proprio ufficio,
atteso che situazioni siffatte sono interamente “coperte” dal rimedio
generale di cui all’art. 204347.
Quanto ai profili di interferenza con la posizione della società, l’art.
2395, per un verso, non preclude l’eventuale responsabilità concorrente di
essa, per altro verso, non è riferibile al pregiudizio patito dal terzo in
conseguenza
dell’inadempimento
contrattuale
della
società:
“l’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé,
implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti
dell’altro contraente o del socio secondo la previsione dell’art. 2395 c.c.
atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti
imputabili in via immediata a comportamento doloso o colposo degli
amministratori medesimi”48; e ciò pur non potendosi escludere il concorso
dell’amministratore ove l’inadempimento sia ascrivibile a sua colpa o dolo49.
5. Il danno risarcibile e la sua quantificazione
Cass., 12 giugno 2007, n. 13766, in Giur. it., 2007, 2761, secondo cui “costituisce danno diretto, che legittima la proposizione
di un’azione individuale di responsabilità nei confronti degli amministratori, quello risentito nella propria sfera patrimoniale da
chi, per effetto di una inveritiera rappresentazione di bilancio, abbia acquistato per un determinato prezzo azioni di una società
aventi, in realtà, valore nullo”.
47 Cass., 7 settembre 1993, n. 9385, in Fallimento, 1994, 44; Cass. 28 maggio 2004, n. 10271, in Diritto & giustizia, 2004, 31, 120.
48 Cass., 23 giugno 2010, n. 15220, in Guida al diritto, 2010, 30, 81; nello stesso senso Cass., 5 agosto 2008, n. 21130, in Giur.
comm., 2010, II, 240, con nota di DAL SOGLIO, L’azione individuale di responsabilità come reazione del creditore all'inadempimento della
società, con uno sguardo sull’art. 2449 previgente.
49 Cass. 3 dicembre 2002, n. 17110, in Società, 2003, 569.
46
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Per quanto attiene alla quantificazione del danno, il criterio di
valutazione è in anzitutto quello di misurare il pregiudizio arrecato da ogni
singola operazione lesiva del patrimonio sociale.
Sono stati eliminati i metodi puramente impostati sulla base di calcoli
differenziali, come quello – per lungo tempo utilizzato in ambito
concorsuale – del c.d. deficit fallimentare (passivo meno attivo). Come noto,
infatti, la giurisprudenza ha per lungo tempo affermato che il danno
risarcibile in sede di azione di responsabilità andasse fatto coincidere con la
differenza tra l’attivo ed il passivo fallimentare, posto che solo con
l’estinzione del passivo è possibile ipotizzare la restituzione alla società,
attraverso l’esperimento dell’azione di danni, di quanto disperso dagli
amministratori 50. Tale impostazione ha suscitato le critiche di letteratura e
di giurisprudenza 51. Essa, infatti, non tiene conto dell’esigenza di
sanzionare soltanto i pregiudizi eziologicamente riconducibili all’operato di
amministratori e sindaci, e non considera, ai fini dell’esatta determinazione
dell’ammontare del pregiudizio della società e dei creditori, il danno
concretamente subìto per effetto della ritardata liquidazione52. Così la
Cassazione ha definitivamente affermato il criterio per cui il danno
risarcibile vada determinato sulla base delle conseguenze immediate e dirette delle
violazioni contestate agli amministratori e che il medesimo danno debba
essere calcolato in misura pari alla diminuzione patrimoniale effettivamente
sofferta, ai sensi dell’art. 1223 c.c., dalla società in dipendenza delle
medesime violazioni53. Il danno cagionato dalla prosecuzione dell’attività
sociale in epoca successiva alla perdita od alla diminuzione al di sotto del
minimo legale del capitale sociale viene quindi solitamente individuato nella
differenza tra il patrimonio netto fallimentare e quello esistente al
momento del verificarsi della causa di scioglimento della società: e sul
punto la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che, “in caso di
50 Trib. Torino, 11 febbraio 1989, in Fallimento, 1989, 668; Trib. Venezia, 5 novembre 1987, ivi, 1988, 281; Trib. Roma, 5
dicembre 1986, ivi, 1987, 854; Trib. Milano, 26 giugno 1986, ivi, 1986, 1391; Trib. Roma, 24 ottobre 1985, ibidem, 350; Trib.
Milano, 4 luglio 1985, ivi, 1985, 1108; Id., 28 marzo 1983, ivi, 1983, 1148.
51 cfr. da ultimo Cass. 15 febbraio 2005 n. 3032, in Foro it., 2006, 1, 1989, Cass. 8 febbraio 2005 n. 2538, in Giur. It., 2005, 1641,
Cass. 23 luglio 2007 n. 16211, in Società, 11/2008, per uno sguardo d’insieme sul dibattito cfr. Rebecca, Fabrello, Fallimento,
azione di responsabilità e quantificazione del danno, in Diritto e pratica delle Società, il Sole 24 Ore, n. 23 19.12.2005, pubblicato on line
su ilcaso.it.
52 Così, con particolare riguardo al caso di prosecuzione dell’attività sociale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, v.
Trib. Milano, 20 marzo 1997, in Fallimento, 1997, 859; Trib. Genova, 24 novembre 1997, ivi, 1998, 318; Trib. Milano, 18
gennaio 1990, ivi, 1990, 560; Trib. Milano, 27 marzo 1986, ivi, 1986, 807.
53 Cass., 22 ottobre 1998, n. 10488, in Fallimento, 1999, 1079.
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dichiarazione di fallimento, ai fini della quantificazione del danno cagionato dagli
amministratori per avere intrapreso nuove operazioni dopo il verificarsi di un fatto che ha
determinato lo scioglimento della società, possono essere presi come parametri di
riferimento – nel quadro di una valutazione equitativa – il bilancio anteriore allo
svolgimento dell’attività vietata e quello fallimentare, rettificando il primo in modo da far
emergere la perdita e attribuendo il saldo a titolo di responsabilità”54.
Ancora, sempre con riguardo alle ipotesi, operativamente molto
frequenti, di responsabilità per non aver preservato l’integrità ed in valore
del patrimonio sociale una volta avveratasi una causa di scioglimento la più
recente giurisprudenza della Cassazione ha affermato che “nel caso in cui
l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società
trovi fondamento nella violazione del divieto di intraprendere nuove
operazioni, a seguito dello scioglimento della società derivante dalla
riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti previsti dall’art. 2447 c.c.,
non è giustificata, in mancanza di uno specifico accertamento in proposito,
la liquidazione del danno in misura pari alla perdita incrementale derivante
dalla prosecuzione dell’attività, poiché non tutta la perdita riscontrata dopo
il verificarsi della causa di scioglimento può essere riferita alla prosecuzione
dell’attività medesima, potendo in parte comunque prodursi anche in
pendenza della liquidazione o durante il fallimento, per il solo fatto della
svalutazione dei cespiti aziendali, in ragione del venir meno dell’efficienza
produttiva e dell’operatività dell’impresa”55. Ne discende che la
quantificazione del danno, da un lato, dovrà essere effettuata su bilanci tutti
rettificati (onde non “caricare” il peso delle svalutazioni soltanto sull’ultimo
esercizio) e, dall’altro, deve tener conto delle perdite che si sarebbero
prodotte anche ove la messa in liquidazione fosse stata tempestiva.
Attingendo nuovamente alla disciplina delle obbligazioni in generale, si
ricava poi il principio che il danno può essere liquidato in via equitativa
ogniqualvolta non sia dimostrabile “nel suo preciso ammontare” (art. 1226
c.c.). La stessa Cassazione, infatti, ritiene che “quel medesimo criterio possa
soccorrere, in guisa di parametro cui ancorare una liquidazione equitativa,
una volta accertata l’impossibilità di ricostruire i dati in modo così analitico
54 Trib. Milano, 11 novembre 2002, in Società, 2003, 1015; nello stesso senso v. anche Trib. Milano, 20 febbraio 2003, cit.; Trib.
Milano, 7 febbraio 2003, in Società, 2003, 1385, Trib. Milano, 8 ottobre 2001, in Giur. it., 2002, 795; Trib. Napoli, 4 aprile 2000,
ivi, 1243; Trib. Genova, 6 aprile 1993, in Fallimento, 1993, 1263.
55 Cass., 23 giugno 2008, n. 17033, in Diritto & giustizia, 2008, con nota di PAPAGNI, La responsabilità dell’amministratore per “mala
gestio” derivante da “nuove operazioni”.
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da individuare le conseguenze dannose dei singoli atti illegittimi imputati ad
amministratori e sindaci”56, ma non una specifica e compiuta motivazione
in ordine alle ragioni che giustificano, in concreto, il ricorso all’equità:
motivazione che deve avere a oggetto sia “l’effettiva impossibilità di
addivenire a una ricostruzione (magari non completa e del tutto puntuale,
ma almeno sufficientemente approssimativa) degli specifici effetti procurati
al patrimonio sociale dall’illegittimo comportamento degli organi della
società”57, sia la plausibilità, alla stregua delle caratteristiche della fattispecie,
dell’imputazione a tale condotta dell’intero sbilancio patrimoniale.
Laddove, infine, risulti impossibile ricostruire con esattezza le
operazioni poste in essere dagli amministratori successivamente al verificarsi
della causa di scioglimento, come accade, ad esempio, quando la contabilità
sia affetta da gravi lacune o, addirittura, manchi del tutto, la giurisprudenza
di Cassazione ammette la necessità di “recuperare” il parametro del deficit
fallimentare allorché l’utilizzo di parametri più analitici sia precluso
dall’obiettiva carenza di informazioni sull’evoluzione del patrimonio della
società58.
6. La competenza del cd. Tribunale delle Imprese in materia di
azione di responsabilità
Con uno sguardo futuro merita ricordare che il 20 settembre prossimo
entrerà in vigore l’art. 2 del Decreto Legge 24 gennaio n. 1 “Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività”, convertito con modificazioni dalla Legge 24 marzo 2012, n.
27 istitutivo del cd. Tribunale delle Imprese.
Tra le competenze riservate alle sezioni specializzate in materia
d’impresa è stata introdotta in sede di conversione anche quella relativa alle
“azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di
Cass., 8 febbraio 2005, n. 2538, in Giur. it., 2005, 1637.
Cass., 8 febbraio 2005, n. 2538.
Cass., 8 febbraio 2005, n. 2538 la quale ha affermato che “il criterio ancorato alla differenza tra attivo e passivo può
costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa, qualora sia stata accertata l’impossibilità di
ricostruire i dati con la analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose”. L’impostazione appare condivisa dalla
giurisprudenza di merito (v., tra le pronunce più recenti, Trib. Milano, 27 aprile 2009, in Giur. it., 2009, 2466).
56
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controllo …” 59. In tale ampia categoria rientrano senza dubbio anche le
azioni promosse dal curatore del fallimento, dal commissario liquidatore e
dal commissario straordinario, nel caso in cui le società danneggiate siano
sottoposte a fallimento, a liquidazione coatta amministrativa o ad
amministrazione straordinaria. Dal punto di vista operativo, quindi, le azioni
di responsabilità in questione, se promosse o proseguite dal curatore del
fallimento della società danneggiata, si sottraggono alla cd. vis attractiva del
foro fallimentare, cioè alla competenza del tribunale che ha dichiarato il
fallimento per le azioni da questo derivanti prevista dall’art. 24 l.f., come
peraltro dovrebbe già ricavarsi dalla considerazione che tali azioni non
derivano dal fallimento della società, essendo le medesime che, qualora il
fallimento della società non fosse dichiarato, potrebbero essere esercitate
dalla stessa società o dai suoi creditori.
Quanto all’ambito di competenza territoriale le sezioni specializzate in
materia d’impresa esse hanno competenza tendenzialmente più ampia di
quella dei tribunali e delle corti d’appello in quanto ad esempio le Sezioni
specializzate del Tribunale e della Corte d’Appello di Torino l’ambito di
competenza si estende anche alla Valle d’Aosta 60.
Dal prossimo 20 settembre, quindi, onde non incorrere in defatiganti
dichiarazioni d’incompetenza gli operatori non dovranno dimenticare di
adire la competente Sezione Specializzata in materia d’impresa.
59 Si riporta il testo del comma 2° dell’art. 2 del D.L. 1/2012 così con le modifiche apportate dalla legge di conversione: “ 2. Le
sezioni specializzate sono altresi' competenti, relativamente alle societa' di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, e titolo VI, del codice civile,
alle societa' di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell'8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 del
Consiglio, del 22 luglio 2003, nonche' alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle societa' costituite all'estero, ovvero alle societa' che
rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento, per le cause e i procedimenti:
a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le
azioni di responsabilita' da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero
il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonche' contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti
da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della societa' che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le
opposizioni di cui agli articoli 2445, terzo comma, 2482, secondo comma, 2447-quater, secondo comma, 2487-ter, secondo comma, 2503, secondo
comma, 2503-bis, primo comma, e 2506-ter del codice civile;
b) relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;
c) in materia di patti parasociali, anche diversi da quelli regolati dall'articolo 2341-bis del codice civile;
d) aventi ad oggetto azioni di responsabilita' promosse dai creditori delle societa' controllate contro le societa' che le controllano;
e) relativi a rapporti di cui all'articolo 2359, primo comma, numero 3), all'articolo 2497-septies e all'articolo 2545-septies del codice civile;
f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una delle societa' di cui al presente
comma, ovvero quando una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove comunque
sussista la giurisdizione del giudice ordinario”.
60 Per i primi commenti sull’argomento cfr. CELENTANO, “Dal contesto storico, culturale e normativo in cui s’innesta l’istituzione del
cd. tribunale delle imprese ai primi approfondimenti sui problemi di carattere processuale ed organizzativo, concernenti le sue plurime e variegate
competenze specialistiche, con particolare riguardo a quelle relative alla materia socetaria”, in Le Società, 7. 2012, 808.
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V. FERRARO, Note in tema di responsabilità degli amministratori nelle società per azioni ed in tema di azione di
responsabilità: profili pratici, 4 Businessjus 18 (2012)
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