P SI C O L O G I A Nuova e Nostra - N° 9/2014 26/2011 10 e Vita “O rmai da tanto tempo, anche se prego e prego il più possibile, non sento e non gusto niente. Ho solo un vuoto, come se non pregassi nemmeno. In Confessione mi hanno detto che anche i grandi Santi hanno vissuto questa condizione (…) Sento che oltre al disagio e alla grande sofferenza spirituale è presente anche un fattore psicologico e forse più ancora psichico (…) Prego e la mia mente è altrove, distratta da continui pensieri, anche durante la Messa domenicale. Questo mi procura una grande sofferenza fisica, soprattutto spirituale, che mi causa anche una grande tristezza (…) Mi hanno detto anche che sono troppo severa ed esigente con me stessa.” E’ ben vero che la persona umana è un intero complesso e articolato, paragonabile, come mi ha insegnato nei miei anni giovanile un mio maestro di spiritualità, ad una cipolla: all’esterno liscia e compatta, all’interno composta da strati diversificati. Questo fa sì che spesso sia veramente molto difficile distinguere la linea di demarcazione tra il fenomeno spirituale e quello psicologico, tra questo e quello fisico e, ancora più, cogliere le relazioni causali tra l’uno e l’altro. Quando si prega e il cuore tace, avvolto da un vuoto profondo, privo di vibrazioni, come labbra che si aprono senza articolare suono, come vivere in un sogno angoscioso durante il quale si grida senza voce e senza risposta, che cosa accade, quale spiegazione dare e quale sollievo trovare a tanta sofferenza? Forse può essere utile ricordare a se stessi che la preghiera è un esercizio e un dono, un impegno di relazione e una grazia. E’ un esercizio perché la fedeltà alla preghiera, il trovare nel quotidiano il tempo e il luogo per viverla, qualun- di Rossana Carmagnani, psicologa QUANDO IL CUORE TACE que esso sia, sono il modo per ricordare a se stessi che, come ogni rapporto d’amore, il rapporto con il Signore richiede attenzione e dedizione costante. E’ una grazia perché i frutti della preghiera, i moti interiori e la luce che da essa scaturiscono non sono il risultato delle risorse umane, ma sono dono: Lui sa di che cosa abbiamo bisogno per crescere, per perfezionarci, per imparare a leggerci dentro con crescente lucidità. Per queste forti ragioni il Maestro stabilisce le regole e le condizioni: consolazione, gioia, gusto, pienezza, certezza della presenza, silenzio, deserto, aridità, lontananza. Nel discernimento del sentire è dato di comprendere il messaggio del dialogo, che, al di là di ogni percezione umana, non s’interrompe mai. Grandi Santi hanno vissuto “le notti dello spirito”, ma ciò che agli altri era dato di vedere era l’inarrestabili- tà del loro agire, la forza della loro presenza, l’incisività della loro opera. S. Teresa d’Avila andava fondando conventi per tutta la Spagna. Infiammava i cuori, lei che era il “fuoco di Castiglia”. Madre Teresa continuava a piegarsi sulle piaghe dell’umanità, sulla fame, sulla miseria, sulla malattia, sul degrado, sull’abbandono. Incontrava i grandi della terra e ne scuoteva le coscienze sul peccato del mondo e sull’ingiustizia. Il cuore taceva, l’Amato era lontano e silente, ma il corpo continuava ad essere vigorosamente tempio dello Spirito. Nella debolezza si sprigionava la forza. Ci sono altre chiavi di lettura del cuore che tace, della mente che è affollata e distratta da pensieri intrusivi, dalla stanchezza che prostra. E’ possibile infatti che la persona non stia bene, che il suo equilibrio psichico sia indebolito, che il tono dell’umore sia basso. Passaggi dell’età, disagi esistenziali, accumuli di sofferenza, predisposizioni della personalità possono essere cause diverse e a volte concomitanti di un pesante stato di difficoltà, che prende la persona intera, disturbandone anche la dimensione spirituale. Come nella cipolla la linea di demarcazione è impalpabile. In questo casi, al di là delle indicazioni, che gli altri possono dare, e delle interpretazioni, che gli altri possono fare dello stato di difficoltà, è opportuno che la persona ascolti se stessa e cerchi l’aiuto là dove ritiene di poterlo trovare. Affiancare il parere del confessore a quello del medico e dello psicologo è una responsabilità verso se stessi ed è un modo saggio di attingere alle risorse competenti che la realtà propone. Può accadere che si arrivi a prolungare le proprie sofferenze, perché ci si ritrova disorientati nel ricercare la soluzione. In ogni caso, la qualità di vita che si conduce è un buon indicatore per discernere lo stato spirituale da quello psichico. Il primo non chiude alla vita, all’operosità, alla relazione, all’assunzione della fatica del quotidiano: è una intimità difficile, dolorosa, misteriosa con Dio. Il secondo può produrre isolamento, fuga dalla realtà, fatica del vivere, ripiegamento su se stessi: si sente Dio lontano e al contempo gli altri, i loro bisogni, le loro interpellanze non sono percepiti. Quando Dio è silenzioso e il cuore non vibra, gli altri continuano a parlare, a chiedere, a sollecitare. Loro sono le parole e i pensieri di Dio, il palpito dei loro cuori è il palpito da ascoltare. Quando le emozioni tacciono e i sentimenti sono come bloccati e la mente vaga in direzioni diverse e inutili e gli altri non sono interlocutori efficaci, allora la persona ha bisogno di ascoltare il suo bisogno e di ritrovare la strada per cominciare di nuovo a vivere.
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