La nozione di inconscio spirituale

Jean-Claude Larchet, L'inconscio spirituale, San Paolo
completo del Sé, non lo rendo più completo sdegnandolo. Bisogna
che io lo mantenga e a questo lumen de lumine io aggiunga l'oscurità, se voglio dare una forma al simbolo della perfetta ambivalenza interiore di Dio»239.
È evidente che questi princìpi sono ben lontani non soltanto
dall'insegnamento e dalla pratica della tradizione cristiana rappresentata dai Padri, ma sono con essi incompatibili, come peraltro lo
stesso Jung ha spesse volte scritto criticando questo o quell'insegnamento patristic024o .
6) I rischi d'illusione
v
UNA DIVERSA CONCEZIONE DELL'INCONSCIO:
L'INCONSCIO SPIRITUALE
Il
1. La nozione d'inconscio spirituale
Nei secoli XIX e :xx la nozione d'inconscio psichico fu oggetto
di tali e tante teorie - estese e potentemente strutturate (Freud,
Jung, Adler... ) - da far pensare che si tratti d'una scoperta recente.
Ebbene, l'esistenza d'un inconscio psichico è nota fin dalla più
remota Antichità. Vi allude per esempio Platone, quando mette il
sogno in relazione con i desideri insoddisfatti oppure con l'aggressività non espressa, avanzando un'idea che anticipa quella della rimozione 1.
Possiamo poi dire che esiste anche un inconscio corporale, costituito da tutto ciò che esiste, agisce e awiene nel nostro corpo ma
non ha intensità sufficiente perché noi lo percepiamo e ne prendiamo chiara coscienza (Leibniz parlava di «piccole percezioni>~).
Allo stesso modo esiste un inconscio spirituale.
Come Freud, anche Jung aiuta l'uomo ad accettare i contenuti
del suo inconscio, attraverso la loro presa di coscienza e simbolizzazione, e l'aiuta a coabitare in pace con quella parte buia e malvagia di sé che invece caratterizza, secondo il cristianesimo, la sua
natura decaduta. Ma non l'aiuta a superare questa natura decaduta in una reale trasformazione di sé. Per J ung, è soltanto nella coscienza che ha di sé che l'uomo cambia e diventa un uomo nuovo.
L'idea junghiana che l'uomo incontra Dio e compie se stesso
prendendo coscienza del Sé (<<l'individuazione, scrive Jung, è la vita di Dio»241) è un 'illusione che rischia d'allontanare definitivamente l'uomo dal Dio vero, dalla vera sanità spirituale e dal vero
compimento di sé. Jung fu la prima vittima di quest'illusione nel
suo tentativo d' autodeificazione242.
Di esso non possiamo tuttavia dire che si trovi nella «parte» o
«sfera» spirituale del nostro essere. E vero, spesso si dice, ne! quadro dell' antropologia cristiana, sulla scorta d'un passo della pnma
lettera di san Paolo ai Tessalonicesi (5,23), che l'essere umano è
«tripartito», composto com'è di tre elementi: il corpo, l'anima (o
lo psichismo) e lo spirito. Ed è vero che lo spirito (dai Padri greci
chiamato perlopiù nous, che abitualmente ma impropriamente si
traduce con «intelletto») è la facoltà più alta dell'uomo, la prima a
entrare in relazione con Dio nella contemplazione e nella «visione
di Dio», la facoltà mediante la quale noi conosciamo, di norma, l.e
realtà spirituali. Eppure, non possiamo dire che lo spirituale costI-
Ibidem.
I soli scritti patristici che trovano grazia ai suoi occhi sono quelli apocrifi di tendenza
gnostica, come le Omelie psuedo-clementine, oppure le esposizioni delle dottrine gnostiche
contenute nelle opere di sant'lreneo di Lione.
241 Jung et la croyance religieuse, § 248, in La vie spirituelle, cit. , p. 176-177 .
242 Si veda R. Noli, Jung. le Chnsl aryen, cit., p. 131-157.
239
240
l
Si veda in particolare La Repubblica, IX, 571 a-572b.
in particolare Nuovi saggi sull'intelletto umano, prefazione.
2 Si veda
93
92
lì
tuisca nell'uomo una sfera, un campo o un livello sovrapposto a
quello del corporale e dello psichico. Per questo, un certo numero
di Padri si ferma a una concezione bipartita dell' essere umano e
dice che esso è composto di un'anima e d'un corpo e che lo spirito
(o intelletto) non è che la facoltà più alta dell' anima o la sua «fine
punta».
Lo spirituale, più che una «parte» dell'uomo, è piuttosto una
sua dimensione.
È d'una natura completamente diversa da quella del corporale e
dello psichico, e bisogna ben guardarsi dal confonderlo con quest'ultimo.
E tuttavia, non è che lo spirituale non abbia dei rapporti con il
corporale e con lo psichico: in certa qual maniera, li ingloba.
Lo spirituale si può definire come ciò che in noi è costitutivo
d'una relazione con Dio.
Ma allora, ogni stato e ogni attività del nostro psichismo o del
nostro corpo, quando vengono considerati in rapporto a Dio - o
dal punto di vista della nostra relazione con Dio - assumono una
dimensione e una qualità spirituali.
Dobbiamo comunque far notare che questa relazione può essere:
a) positiva, ma anche negativa (per questo, le passioni, disposizioni e stati che ci separano da Dio, sono chiamate malattie «spirituali» );
b) soggettiva (è il caso del nostro orientamento cosciente e volontario verso Dio), ma anche oggettiva (per esempio, la nostra natura ci orienta verso Dio, oppure il battesimo ci innesta oggettivamente sul corpo del Cristo, fin da prima che ne abbiamo preso coscienza e ci siamo personalmente determinati verso esso). Qui diciamo oggettivo ciò che non dipende dalla persona ed appartiene
oggettivamente alla sua natura; diciamo soggettivo ciò che dipende
dalla persona e proviene dalla sua coscienza e dalla sua volontà;
c) cosciente, ma anche inconscia (ed è ciò che dimostreremo in
questo libro).
La psicanalisi freudiana ignora del tutto l'inconscio spirituale;
nei suoi fondamenti, essa è atea e materialistica3 . La psicanalisi la3
94
Si veda il capitolo 3 di questo libro, dedicato appunto alla psicanalisi freudiana.
caniana l'ha intuito, quando parla d'un grande Altro; ma ha poi lasciato fluida e ambigua la nozione.
Di contro, un grande ruolo esso svolge nella psicologia analitica
di C. G. Jung. Massimo teorico dell'inconscio, Jung si occupò
molto anche dei rapporti fra psicologia e religione e sviluppò una
teoria dell'inconscio in cui i simboli religiosi occupano un grande
spazio. E tuttavia, come già abbiamo fatto vedere, J ung confonde
spirituale e psicologico, a tutto vantaggio di quest'ultimo. La sua
teoria è più una spiegazione del fenomeno religioso da parte della
psicologia che non della psicologia da parte della spiritualità. Con
lui, in effetti, non si esce mai dal campo della psicologia. In più,
Jung ha una concezione assai dilatata della religione e della spiritualità, e la sua dottrina si sviluppò inoltre assumendo come luogo
di riferimento uno spiritualismo più prossimo allo gnosticismo e a
varie correnti esoteriche (come l'alchimìa) che non al cristianesimo
ortodosso.
L'inconscio spirituale è una nozione presente soprattutto nella
psicanalisi esistenziale, i cui principali rappresentanti furono Igor
Caruso, Wilfried Daim e Viktor Frankl.
Quest'ultimo dedica all'inconscio spirituale un breve capitolo
nel libro Il Dio inconscio4 ; ma per quanto concerne la spiritualità,
si limita a poche e generiche osservazioni; ciò gli fu imposto forse
dal suo progetto di elaborare una psicoterapia che si adattasse agli
uomini d'ogni credenza. La sua tesi principale è che ogni nevrosi
proviene da una perdita del senso dell'esistenza e che la sola terapeutica adeguata è la «logoterapia», la quale mira a far ritrovare il
senso perduto, che sta in Dio.
Quanto a Igor Caruso, egli pensa che ogni nevrosi provenga da
un' assolutizzazione (e dunque una deificazione) di valori relativi; e
allora la terapeutica consisterà nel ridare ai valori dell'esistenza la
loro giusta dimensione5 . Il suo discepolo Wilfried Daim riprese
questa concezione. Secondo lui, l'uomo - costituito da una vitale
relazione con l'Assoluto - scatena in sé dei conflitti psichici ogni
volta che attribuisce un carattere d'assoluto a degli esseri relativi e
sostituisce degli idoli all'unico assoluto che è Di06 .
4 L'edizione originale è del 1948, Vienna; in Francia venne tradotto nel 1975 (a Parigi). Si
veda anche La psychotérapie et son image de l'homme, trad. fr., Paris, 1970.
5 Si veda Psychanalyse et sinthèse personnelle. Rapports entre l'analyse psychologique et les
valeurs existentielles, trad. fr., Paris, 1959; Psychanalyse pour la personne, trad. fr., Paris, 1962.
6 Transvaluation de la psychanalyse. L'homme et l'Absolu, trad. fr., Paris, 1956.
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Come si vede, questi autori restano tutti quanti nel quadro nella
psicopatologia, cioè di quella parte della psicologia che si occupa
dell' origine, della forma, dell' evoluzione e del trattamento delle
malattie psichiche. Il riferimento che queste teorie fanno a Dio benché si proclamino giudaica quella di Frankl e cristiana quella
di Daim e quella di Caruso - resta dunque assai generico.
Possiamo dunque dire che fin qui l'inconscio spirituale è una
nozione che - nel quadro della spiritualità cristiana - non è ancora
diventata oggetto di studio sistematico. Eppure, i riferimenti e le
allusioni a ciò che possiamo chiamare un «inconscio spirituale» sono sufficientemente numerosi, nelle fonti della Tradizione (in particolare negli scritti patristici), da poter dire che veramente c'è,
nella spiritualità cristiana orientale, una soggiacente concezione
dell'inconscio spirituale, e che questa nozione può aiutare a capire
una gran parte non soltanto della vita spirituale ma anche, di conseguenza, della psicologia e del comportamento umani legati a essa, finanche in coloro che non hanno nessuna intenzione di considerare il loro essere e il loro modo di esistenza in rapporto a Dio o
a una specifica spiritualità.
sia al grado di coscienza che egli ha dell'una e dell'altra, sia anche
alla sua storia personale (per la parte d'inconscio che ha appunto
da fare con questa storia).
Nell'uomo decaduto, che vive lontano da Dio e da ogni sollecitudine spirituale, l'inconscio spirituale raggiunge il suo livello più
alto.
Nel cristiano che conduce una vita spirituale, la vita ascetica
(nel senso ampio della parola) favorisce una progressiva presa di
coscienza e, di conseguenza, una riduzione dell'inconscio spirituale, nelle sue due dimensioni. Nell'asceta che raggiunge l'impassibilità, la dimensione negativa dell'inconscio spirituale scompare, così
come la dimensione positiva dello stesso, a vantaggio d'una piena
coscienza di ciò che egli è nel suo rapporto con Dio.
Le due dimensioni dell'inconscio spirituale non si devono concepire come realtà statiche, ma piuttosto realtà dinamiche; né poi
solamente nel senso che possono crescere o ridursi in relazione alla coscienza che la persona ne ha, ma anche nel senso che hanno
un' attività e un dinamismo propri quanto alla forma e quanto al
contenuto.
E quest'attività ha un'influenza sulla vita spirituale della persona, ma anche sulla sua vita psichica, nella proporzione in cui questa dipende da quella.
2. Le due dimensioni fondamentali dell'inconscio spirituale
Già abbiamo visto che la relazione dell'uomo con Dio può essere positiva oppure negativa. A questa distinzione corrispondono
due dimensioni dell'inconscio spirituale.
La sua dimensione positiva è costituita da tutto ciò che nell'uomo lo mette in relazione, l'unisce e l'orienta a Dio senza che egli
ne sia cosciente; per questo, possiamo chiamarlo «inconscio teòfilo».
La sua dimensione negativa è tutto ciò che stacca, separa, allontana l'uomo da Dio e l'orienta in un senso opposto senza che l'uomo ne sia cosciente; possiamo chiamarlo «inconscio deìfugo».
Queste due dimensioni sono legate, per un verso, alla natura
dell'uomo (nei suoi caratteri comuni a tutti gli uomini) e, per l'altro, alla persona (alla sua storia, alle sue esperienze personali e al
modo di esistenza che questa ha dato alla sua natura).
Queste due dimensioni dell'inconscio spirituale coabitano in
tutti gli uomini, in proporzioni variabili e in relazione, in ognuno,
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