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DOSSIER ­ UPI FVG_GORIZIA
Mercoledì, 14 maggio 2014
DOSSIER ­ UPI FVG_GORIZIA
Mercoledì, 14 maggio 2014
Dossier ­ Upi FVG_Gorizia
14/05/2014 Il Piccolo (ed. Gorizia) Pagina 19
Vertenza Ennova, continua il presidio
14/05/2014 Il Piccolo (ed. Gorizia) Pagina 21
Ughi a Monte Santo, libero accesso alle auto si rischia mega­ingorgo
14/05/2014 Il Piccolo (ed. Gorizia) Pagina 25
Gherghetta accusa: Roma disinteressata al "nostro" centenario
14/05/2014 Il Piccolo (ed. Gorizia) Pagina 40
Al Bratuz il tributo ai 20 anni di musica del coro dell' Ute
14/05/2014 Messaggero Veneto (ed. Gorizia) Pagina 1
Quando il caffè sfondò sul Piave
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Quando il caffè sfondò sul Piave
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Il Piccolo (ed. Gorizia)
Gorizia
Vertenza Ennova, continua il presidio
Venerdì faccia a faccia dell' azienda con la Provincia. «Vogliamo chiarezza»
Ora ci sono un luogo, una data e un' ora, per
gli operai della Ennova di Sant' Andrea, a
Gorizia, alla ricerca di risposte alle domande
s u l l o r o f u t u r o . L a Provincia d i Gorizia,
attraverso l' impegno dell' assessore al Lavoro
Ilaria Cecot, è riuscita ad ottenere un incontro
faccia a faccia con i vertici dell' azienda:
venerdì 16 maggio, alle 12, nella sede dell'
amministrazione provinciale a r r i v e r à l '
amministratore delegato di Ennova Fabrizio
Tagetti, che si confronterà innanzitutto (a porte
chiuse) con Cecot e con i rappresentanti
sindacali, per poi incontrare invece in un
momento pubblico i dipendenti della centrale
elettrica a biomasse Ennova per rispondere
alle loro domande e rassicurarli, si spera, sul
futuro. «Ma ho già provveduto a chiedere
formalmente di partecipare anche all'
amministratore delegato di Ely Spa, la società
titolare di Ennova, Massimiliano Babila Cagelli
­ d i c e Ilaria Cecot ­ , p e r c h é c r e d o s i a
opportuno che anche lui prenda parte al
confronto. In fondo è dalla proprietà che
devono arrivare risposte per i dipendenti e il
territorio». Intanto i dipendenti continuano a
manifestare davanti alla centrale di Sant'
Andrea, dove ogni giorno, con il sole o con la
pioggia, si presentano per tenere alta l' attenzione sulla loro vicenda. «Siamo ancora qui, e a tutt' oggi
non sappiamo cosa ne sarà di noi ­ dicono ­. Speriamo che venerdì la proprietà si presenti all' incontro,
ma fin d' ora vogliamo ringraziare di cuore il vicesindaco di Gorizia, che ci ha concesso lo spazio per il
gazebo, e soprattutto l' assessore provinciale Cecot, che ci sta mettendo cuore e passione, e non ci
lascia mai soli, passando a trovarci quotidianamente».
(m.b.)
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Il Piccolo (ed. Gorizia)
Gorizia
Ughi a Monte Santo, libero accesso alle auto si
rischia mega­ingorgo
Il Comune di Nova Gorica non collabora. A disposizione solo poche navette. Ossola:
«Mi appello al senso civico di tutti»
di Roberto Covaz Si tinge di giallo il concerto
di Uto Ughi in programma alle 20.30 di giovedì
22 maggio nel santuario di Monte Santo nell'
ambito di èStoria.
Il giallo non ha solo a che fare con il noir
quanto, piuttosto, con il colore del semaforo
che separa il verde dal rosso. Fino a qualche
giorno fa il semaforo per il santuario di Monte
Santo segnava rosso, per la sera del concerto.
L' associazione èStoria che ha organizzato l'
evento aveva previsto, in collaborazione con
Apt e Aurigo, il servizio di bus navetta per il
trasporto del pubblico. Per effettuare in
sicurezza il laborioso trasporto di almeno 500
persone era stata chiesta al sindaco di Nova
Gorica Arcon un' ordinanza di divieto di traffico
nelle ore precedenti e successive al concerto,
nella zona da Salcano all' attacco della salita
verso il santuario. Dell' ordinanza, però, non c'
è traccia.
Ecco dunque che gli organizzatori hanno fatto
di necessità virtù. Il semaforo diventa verde. Il
santuario potrà essere raggiunto anche con
vetture private. Si stima che il pubblico che
assisterà all' evento sarà di 500­600 persone.
Poniamo una media di quattro individui per
veicolo e abbiamo un numero di vetture
impressionante: dalle 125 alle 150. Soltanto 120 persone, per ora, potranno usufruire dei bus navetta
garantiti dall' associazione èStoria (partenza dal piazzale della Casa Rossa, prenotazioni nella sede di
corso Verdi 69, telefono 0481­539210, mail www.estoria.it; prenotazioni entro lunedì, chi aveva già
prenotato confermi la prenotazione e versi subito quando dovuto): si paga solo il trasporto, accesso al
santuario libero. Il curatore di èStoria, Adriano Ossola: «Cercheremo di disporre di qualche navetta in
più ma temo sarà difficile. Mi auguro che prevalga il buon senso da parte di tutti e la predisposizione a
sopportare qualche disagio. Lancio l' appello di non parcheggiare lungo la strada e di salire per tempo.
Mi assicurano che i parcheggi sono sufficientemente capienti».
Perché il sindaco Arcon non ha firmato l' ordinanza? «Dovreste chiederlo a lui ­ risponde Ossola ­ .
Forse è questione di tempi burocratici ma noi non potevamo aspettare oltre. Abbiamo da settimane
decine e decine di persone che ogni giorno chiedono spiegazioni. Non potevamo permetterci altri
ritardi. Ci scusiamo fin d' ora per eventuali disagi ma non dipende da noi. Ringrazio invece la Provincia
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Gorizia
per il sostegno che ci garantisce. E ci fa immenso piacere constatare che saranno presenti i prefetti di
Gorizia, Udine e Trieste, l' ambasciatore italiano a Lubiana e il console italiano a Capodistria».
Apt e Aurigo non garantiscono il trasporto in quanto, senza il blocco del traffico, ritengono siano venute
meno le condizioni di sicurezza.
Vedremo se in extremis da Nova Gorica giungerà quanto richiesto. Chissà, forse si doveva scomodare
il Gect per bloccare il traffico un paio d' ore? E la chiamano collaborazione transfrontaliera...
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Gherghetta accusa: Roma disinteressata al "nostro"
centenario
Il presidente della Provincia chiede attenzione per Redipuglia e minaccia di disertare il
concerto di Muti con Napolitano.
FOGLIANO REDIPUGLIA «Ho l' idea che a
livello romano del Centenario della Prima
guerra mondiale non importi nulla. Per l' Expò
di Milano sono stati messi a disposizione
centinaia di milioni di euro al di fuori del patto
di stabilità, per il Centenario ho chiesto
qualche milione, ma di questo mare di denaro,
non è arrivata neanche una goccia». Il tono
usato dal presidente della Provincia di Gorizia
Enrico Gherghetta è secco e perentorio.
Sente lontano lo Stato ed esterna questa sua
assenza con forza, ma sul caso delle chiusure
del museo di Redipuglia nelle giornate festive
assolve il Commissariato generale per le
onoranze ai caduti in guerra. «La situazione ­
riconosce ­ è allucinante e l' accordo con gli
alpini è una storia vecchia che va avanti da più
di un anno, ma la verità è che Onorcaduti non
ha neppure le lacrime per piangere e Casa
Terza Armata è chiusa per tale motivo. Questo
è quello che succede quando si taglia la
spesa».
Sulla questione Gherghetta è molto critico.
Non riesce a capire se lo Stato creda o meno
al potenziale economico del Centenario.
Il turismo può essere la prima industria
italiana, ma per attrarre i viaggiatori, prima è
necessario investire sul patrimonio esistente per valorizzarlo. A Redipuglia questo non viene fatto. Lo
dimostrano le sale del museo chiuse nei giorni di maggiore affluenza e il degrado in cui versa il
monumento.
L' accordo di programma "Carso 2014", all' epoca siglato con il Governo, doveva garantire risorse per
tirare a lucido l' Isontino dal sacrario alle trincee passando per le cannoniere del Monte San Michele
oltre che per promuovere il territorio. Poi tutto si è fermato e ora, a meno che lo Stato non dimostri
maggiore interesse nei confronti del Centenario, il presidente della Provincia potrebbe disertare per
protesta il concerto del maestro Riccardo Muti in programma a Redipuglia il 6 luglio. L' appuntamento
avrà un alto valore simbolico perché, nell' occasione, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano darà
ufficialmente il via alle celebrazioni legate all' anniversario dallo scoppio della Prima guerra mondiale.
«Non so se andare ­ ammette Gherghetta ­. Ci sto pensando perché sono sinceramente in difficolà.
Tutta questa situazione mi sembra una presa in giro: da un lato il museo rimane chiuso nei giorni festivi,
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dall' altro si organizza il concerto con il presidente della Repubblica. È paradossale se si pensa che la
Francia spende per un solo monumento quello che l' Italia spende per tutti i monumenti del Paese».
Oltre alle domeniche, sotto osservazione ci sarà il 2 giugno.
La Festa della Repubblica oltre ad essere un giorno festivo, cade anche di lunedì: uno dei giorni di
chiusura settimanale del museo.
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Al Bratuz il tributo ai 20 anni di musica del coro dell'
Ute
La cerimonia di conclusione del 28° anno accademico dell'
Università della terza età di Gorizia (Ute) è stata fatta
coincidere con l' esibizione del suo coro sociale che spegne
venti candeline. Risale, infatti, al 15 maggio 1994 il suo primo
concerto.
Il presidente dell' Ute, Mario Ascari, il cui incarico scadrà nel
novembre 2014, ha presentato l' appuntamento e chiamato sul
palco del goriziano Kulturni Center Lojze Bratu, teatro dell'
iniziativa, l' assessore comunale Silvana Romano, l' assessore
provinciale Donatella Gironcoli, il presidente della Fondazione
Carigo, Gianluigi Chiozza: tutti, naturalmente, prodighi di elogi
per una realtà che anche solo per il suo numero di allievi (oltre
800), di docenti (un centinaio) e di corsi (circa 85) merita
rispetto e va giudicata di primaria importanza per il territorio.
Ancora, Ascari ha ripercorso a volo d' uccello la storia del coro
sociale ricordandone le figure che, direttamente o
indirettamente, ne hanno contrassegnato il percorso: Gianna
Marcossi Visintin, Egone Lodatti, Cecilia Seghizzi, Ettore D'
Osvaldo. Ora, come sottolineato da Ascari, a dirigere la
formazione di quasi trenta coristi ­ tra i quali vanno ricordati
almeno il basso Emilio Vogrig, classe 1923, e Lina Brumat,
classe 1924 ­ c' è Vanni Feresin. Che, per l' esibizione al
Bratu​, ha scelto "Ave Maria" e "Improvviso" (di Bepi De Marzi),
"Ai preât la biele stele" (canto popolare), "Suspîr da l' anime"
(di Costantini­Rosso), "Marinafresca" (di Carniel­Cornet­
Macchi) e "Jo soi stade a confessami" (popolare). Quindi,
Ascari e la vicepresidente dell' Ute, Maria Marsich, hanno
consegnato riconoscimenti a D' Osvaldo, Feresin nonchè ai
coristi: una spilla celebrativa del ventennale.
Dopo l' intervallo, ha avuto luogo un altro evento per celebrare
la chiusura dell' anno accademico: un "Omaggio a Édith Piaf"
con protagonisti Florence Tellini, Francesca Moretti, Giancarlo
Tuzzi e l' accompagnamento al pianoforte di Sabina Arru che
ha visto proporre alcune canzoni celebri del repertorio
francese (Édith Piaf, certo, ma anche altro) oltre alla lettura di
versi di autori transalpini. Il numeroso pubblico del Lojze Bratu
formato da allievi dell' Ute ma anche da appassionati con fitti
applausi ha mostrato di apprezzare la proposta. Quindi, un
brindisi ha dato appuntamento all' apertura del 29° anno
accademico pre
vista per ottobre. Alex Pessotto.
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ÈSTORIA: TRINCEE.
Quando il caffè sfondò sul Piave
Conseguenze della Grande guerra sulle abitudini alimentari.
di ALESSANDRO MARZO MAGNO Qualcosa
ha sfondato e ha passato le linee, qualcos'
altro è stato fermato sul Piave: la prima guerra
mondiale ha avuto conseguenze fondamentali
sulla storia politica, ma ne ha comportate altre
niente affatto secondarie nell' evoluzione della
gastronomia.
A PAGINA 48.
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Messaggero Veneto (ed.
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Quando il caffè sfondò sul Piave
Le conseguenze della Grande Guerra sulle abitudini alimentari degli
italianiÈstoria»TRINCEE.
di ALESSANDRO MARZO MAGNO Qualcosa
ha sfondato e ha passato le linee, qualcos'
altro è stato fermato sulla linea del Piave: la
prima guerra mondiale ha avuto conseguenze
fondamentali sulla storia politica, ma ne ha
comportato altre niente affatto secondarie nell'
evoluzione della gastronomia. Per esempio: il
caffè diventa prima colazione degli italiani
grazie alla trincea, di contro il riso non penetra
nell' Italia meridionale a causa della repulsione
dei fanti verso i risi stracotti delle minestre che
arrivavano in prima linea.
Il caffè si afferma in Italia nel XVIII secolo come
bevanda della borghesia attiva, in
contrapposizione alla cioccolata, sorbita dalla
molle aristocrazia. E infatti Giuseppe Baretti,
nel suo Gl' italiani, pubblicato nel 1818, ma
riferito a un paio di decenni prima, scrive che
in città i borghesi al mattino bevono caffè. Ma
non il popolo: la «generalità de' nostri
contadini e del basso popolo, fa colezione con
della polenta, sulla quale, quando è ben calda,
sparge del butirro fresco e qualche fetta di
cacio». E infatti, la prima colazione dei soldati
al fronte è una specie di mix delle prime
colazioni contadine di mezza Italia. La
circolare del novembre 1916 stabilisce che
mangino fichi secchi o castagne (dai 120 ai 150 grammi), quindi mandorle, noci, nocciole o formaggio
(40 grammi), olive, sardine o aringhe (30 grammi) e due etti di mele fresche. Ma quando, all' indomani
della sconfitta di Caporetto, l' esercito italiano si rischiera lungo il Piave, c' è bisogno che i fanti stiano
ben all' erta per non far passare lo straniero. Quindi, devono bere caffè. La circolare del novembre 1917
prevede che al mattino vengano distribuiti otto grammi di caffè e dieci di zucchero.
Nel tempo le dosi saranno aumentate fino ad arrivare a venti grammi. I soldati, una volta tornati a casa,
continueranno a bere caffè al mattino, mutando in tal modo per sempre la prima colazione di tutti gli
italiani.
Pure dall' altra parte del fronte si beve caffè: gli austro­ungarici tengono un pacchetto di
Kaffeekonserve, ovvero caffè liofilizzato, nella dotazione individuale. Può essere sciolto nell' acqua, sia
caldo sia a freddo, e serve anche come prima colazione.
Esattamente l' opposto, invece, accade con il riso. Nell' Italia meridionale riso se ne mangia poco e quel
poco è un cibo di lusso: compone ricchissimi sartù napoletani, con pomodori, melanzane fritte, uova
sode, polpettine di carne; profumate tielle pugliesi, con cozze, patate, verdure; fragranti tummale
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siciliane, con pollo, polpettine, formaggio. Anche nella versione di cibo da strada, il riso nel meridione è
un alimento ricco: arancini e supplì sono farciti con ragù, formaggio, piselli. Si capisce bene che non si
tratta di nutrimento alla portata di tutti: i poveracci che sopravvivono a pane, cipolle e pomodori, simili
leccornie possono giusto intravederle sulle tavole dei signori.
Nell' Italia settentrionale il riso è tutta un' altra minestra: cotto assieme agli avanzi del giorno prima
(carne o verdure), alle rigaglie di pollo, a pesce di scarsissimo valore (il disprezzato gò, ghiozzo,
fornisce un brodo sopraffino) costituisce un piatto popolare, alla portata di chiunque. Ne esistono sì
anche versioni più aristocratiche, tipo il risotto alla milanese, con midollo di bue e zafferano, la spezia
gialla che rappresenta l' oro, o i risi e bisi che il doge di Venezia mangiava ogni 25 aprile, festa di San
Marco, patrono della città, ma la sostanza non cambia: tutti conoscono il riso.
È in questa versione settentrionalizzata che il riso viene distribuito al fronte, e ha tutto per venire
disprezzato dai meridionali. Alimento da «sciacquapanza», da gente nutrita a brodaglia, che mangia
cose insulse tipo la polenta o quel detestabile intruglio bianco, quando arriva in trincea, scaldato e
riscaldato nelle casse di cottura portate a dorso di mulo, è ormai una specie di pastone tiepido,
stracotto, che si mangia solo per non restare a stomaco vuoto. Reclute e anziani di Campania, Puglia,
Calabria, isole, formulano una specie di giuramento: «Mai più minestra di riso in vita mia». E lo
mantengono, spesso trasmettendolo in eredità alla famiglia. Questo è il motivo per cui, per almeno un
cinquantennio, il risotto penetra con estrema difficoltà nell' Italia meridionale.
Un altro cibo che i soldati meridionali proprio non conoscono è il bollito, che invece uno stato maggiore
ad alto tasso di piemontesi fa sì che venga distribuito nelle caldaie portate al fronte. La leggenda narra ­
ma forse è qualcosa di più di una storiella ­ che i fanti settentrionali prendessero in giro i commilitoni
meridionali raccontando che esistevano le miniere di bollito, dove la carne si estraeva tagliandola
direttamente dalle pareti della gallerie sotterranee. E pare che invariabilmente qualche ingenuo ci
cascasse, con gran divertimento di tutti gli altri.
Il valore simbolico del cibo è tale che alcuni soldati gradesi, Kaisertreu, fedeli all' imperatore, fino all'
ultimo, si rifiuteranno per sempre di mangiare gli alimenti iconici dell' odiato invasore italiano. Riferisce il
libro di Bruno Scaramuzza che Stefano Maran, pescatore, combattente nell' imperiale e regio
reggimento n. 87 (quello di stanza a Trieste), viene ferito e rimane invalido. «Tornato a casa, ci dicono
che rifiutò sempre di mangiare gli spaghetti al pomodoro, fatti conoscere a Grado dai soldati italiani». Il
suo compaesano Nicolò Lugnan, pescatore pure lui, invece evita per tutta la vita (morirà nel 1984) «di
mangiare il pomodoro in quanto simbolo di italianità.
» Dobbiamo alla guerra anche il secondo vero ricettario nazionale, dopo la fondamentale La scienza in
cucina e l' arte di mangiar bene, pubblicata da Pellegrino Artusi nel 1891.
Questo secondo ricettario è un manoscritto compilato da un sottotenente genovese, Giuseppe Chioni,
che viene fatto prigioniero Caporetto.
Mandato nel campo per ufficiali di Celle, vicino Hannover, soffre terribilmente la fame.
Per alleviare i morsi allo stomaco, raccoglie tra i colleghi ufficiali prigionieri le ricette tipiche di casa loro.
In questo modo, tra gennaio e febbraio 1918, scrive Arte culinaria, una raccolta di ricette scritte a mano
sulla carta fragile e di poco prezzo di un blocco di fogli (conservato nell' Archivio ligure di scrittura
popolare di Genova). Dopo la guerra farà il ferroviere e morirà nel 1959. Il manoscritto è l' unico cimelio
di Giuseppe Chioni che si è salvato dall' oblio ed è stato di recente pubblicato con il titolo La fame e la
memoria, dalla Agorà, una piccola casa editrice di Feltre.
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