Consiglio di Stato, Sesta sezione, sentenza n. 6423 del 2014

N. 09235/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6403 del 2012, proposto da:
Roma Capitale in persona del sindaco in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Giorgio Pasquali, domiciliata in
Roma, Via del Tempio di Giove, 21;
contro
Tominic Vittorio, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Ferrazza, domiciliatario in Roma, piazza Adriana, 15;
Di Veroli Costruzioni dal 1927 s.r.l.;
sul ricorso numero di registro generale 9235 del 2013, proposto da:
Roma Capitale in persona del sindaco in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Rodolfo Murra e Giorgio Pasquali,
domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove, 21;
contro
Tominic Vittorio, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Ferrazza, domiciliatario in Roma, piazza Adriana, 15;
per la riforma
quanto al ricorso n. 6403 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione II bis n. 1144/2012, resa tra le parti, concernente diniego concessione
edilizia in sanatoria;
quanto al ricorso n. 9235 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione II bis n. 8215/2013, resa tra le parti, concernente ordine di demolizione
di opere edilizie.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in entrambi i giudizi di Vittorio Tominic;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2014 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati
Pasquali e Ferrazza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Comune di Roma chiede la riforma delle sentenze, in epigrafe indicate, con le quali il Tribunale amministrativo del
Lazio ha accolto due ricorsi proposti dal signor Vittorio Tominic avverso il diniego di condono edilizio relativo ad un
capannone sito in via Macchia Saponara n. 59 e il conseguente divieto di prosecuzione dell’attività di laboratorio di
lavorazione ferro e alluminio ivi svolta, e avverso il successivo ordine di demolizione.
Data la connessone soggettiva e oggettiva esistente tra i due giudizi, ne è opportuna la riunione.
I) La sentenza n. 1144/2012, impugnata con il primo appello, ha annullato il provvedimento in data 25 settembre 2008 di
reiezione del condono e la successiva determinazione del 23 settembre 2010 di inibitoria dell’attività, avendo rilevato
che, ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994, la domanda di condono si intende accolta decorso il termine
perentorio di due anni dalla presentazione della domanda: nella fattispecie in esame la domanda è stata presentata il 28
gennaio 1995, con conseguente perfezionamento, secondo il Tar, dell’assenso silenzioso alla data in cui è intervenuta la
reiezione dell’istanza.
L’appello proposto, sul punto, dall’Amministrazione municipale è fondato.
Per effetto della norma citata, che richiama l’analogo art. 35, comma 17, della legge n. 47 del 1985, l’effetto sanante non
deriva immancabilmente dal decorso del termine ivi previsto, ma è condizionato al “pagamento di tutte le somme
eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria
all’accatastamento”.
La stessa legge n. 724 del 1994 sostituisce la documentazione necessaria ai fini della sanatoria con una dichiarazione
resa dal richiedente ai sensi dell’art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15: ne deriva, come esattamente afferma
l’Amministrazione appellante, che sull’interessato grava l’onere di presentare, a corredo dell’istanza, oltre alla prova del
versamento degli acconti dovuti in conto oblazione e oneri concessori, la dichiarazione ai sensi dell’art. 4 legge citata
circa la consistenza e le caratteristiche dell’opera abusiva. Nella fattispecie in esame la dichiarazione presentata
descrive il manufatto come avente una superficie di 350 mq, in difformità da quanto attestato dalla allegata perizia
giurata, che riferisce la consistenza di 527 mq.
Tale difformità tra la dichiarazione resa e le attestazioni provenienti dalla stessa parte interessata hanno impedito, già di
per sé, il formarsi del silenzio assenso; a ciò deve essere aggiunto che, come comunicato dal Comune nel preavviso di
rigetto del 28 maggio 2008, al quale nessuna replica è seguita da parte dell’interessato, alla costruzione oggetto
dell’istanza di condono si sono sommati nel tempo trasformazioni nella superficie e nel volume che hanno determinato la
diversità dell’esistente rispetto all’immobile originario.
Con il provvedimento impugnato l’Amministrazione ha, conseguentemente, contestato la difformità della dichiarazione
rispetto alla consistenza attestata dalla perizia giurata e la radicale trasformazione, nel tempo, del fabbricato già
esistente.
Di tale provvedimento emerge la legittimità sotto i profili contestati in giudizio, dato che l’inattendibilità della dichiarazione
resa, emergente dalla stessa documentazione ad essa allegata, ha impedito in nuce la formazione del silenzio assenso.
Sia il provvedimento stesso, sia il divieto di prosecuzione dell’attività svolta nel capannone costruito senza titolo sono, in
conclusione, immuni dai vizi invece riscontrati in primo grado, giacché derivano dalla considerazione della perdurante
abusività del manufatto stesso.
II) Per lo stesso motivo è fondato anche il successivo appello, proposto avverso la sentenza che, in primo grado, ha
ritenuto l’illegittimità dell’ordine di demolizione, ordine che assume a presupposto l’abusività dell’immobile. Una volta
riscontrata, come nella fattispecie, la legittimità, sotto i profili considerati, del diniego di condono, esecutivo alla data del 7
novembre 2011 in cui è intervenuta l’ordinanza sanzionatoria per essere stata respinta dal Tar il 27 febbraio 2009
l’istanza cautelare avanzata dal ricorrente, la sanzione demolitoria costituisce conseguenza necessitata e
sufficientemente motivata con il riferimento al permanente carattere abusivo dell’opera eseguita sine titulo, rispetto alla
quale l’applicazione dell’art. 31, d.p.r. n. 380 del 2001 si pone come atto dovuto. Infatti, la natura interamente vincolata
del provvedimento di demolizione esclude la necessaria ponderazione di interessi diversi da quelli pubblici tutelati e non
richiede motivazione ulteriore rispetto alla dichiarata abusività (giurisprudenza consolidata: per tutte, Cons. Stato, sez. VI
4 marzo 2013, n. 1268), sicché errata, alla luce della legittimità del diniego sopra riscontrata, è la sentenza impugnata.
Inoltre, dato che, come si è detto, l’unico provvedimento interinale pronunciato nel giudizio avverso il diniego di condono
è di segno negativo rispetto alla domanda del ricorrente, neppure sussiste la violazione dell’ordine del giudice,
valorizzato dal Tar, che su tale presupposto ha rilevato la nullità ex art. 21 septies della legge n. 241 del 1990 della
sanzione impugnata.
III) In conclusione, gli appelli sono fondati e devono essere accolti, con consequenziale riforma delle sentenze impugnate
e reiezione dei ricorsi di primo grado.
Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe
indicati, li accoglie e, per l’effetto, in riforma delle sentenze impugnate, respinge i ricorsi di primo grado.
Condanna l’appellato a rifondere all’Amministrazione appellante le spese del doppio grado dei giudizi, nella misura di
3.000 (tremila) euro, oltre IVA e CPA per ognuno di essi.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore
Andrea Pannone, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)