Consiglio di Stato, sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 16 Edilizia e urbanistica - Ampliamento unità immobiliare - Diniego titolo abilitativo edilizio in sanatoria - Ordine di demolizione delle opere - Legittimità. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 238 del 2012, proposto dalla signora Bucci Maria Teresa, rappresentata e difesa dall’avvocato Sergio Ferrari, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Agostinelli, in Roma, piazza Cinque Giornate, 2; contro il Comune di Napoli, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Anna Pulcini e Giuseppe Tarallo, con domicilio eletto presso lo studio legale Grez e Associati, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18; per la riforma della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI, SEZIONE IV, n. 4411/2011, resa tra le parti e concernente: demolizione opere edilizie e ripristino dello stato dei luoghi; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2013, il Cons. Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Sergio Ferrari e Anna Pulcini; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per la Campania respingeva il ricorso n. 5512 del 2010, proposto dalla signora Bucci Maria Teresa avverso il provvedimento dirigenziale n. 267 del 29 luglio 2010 del responsabile dell’Ufficio Contenzioso del Comune di Napoli, con il quale, ai sensi dell’art. 27, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, era stato ordinato alla ricorrente di provvedere alla demolizione delle opere realizzate senza permesso di costruire, consistenti nell’ampliamento di un’unità immobiliare in Napoli, via Posillipo n. 203, ‘Parco Le Agavi’ (in zona soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi del d.m. 24 gennaio 1953), e nella modifica del relativo prospetto. In particolare, le opere abusive sono costituite: (i) dalla realizzazione di un manufatto in muratura a due piani, della superficie di 21 mq; (ii) dall’apertura di tre finestre a cristallo di m 1,45 x m 0,25 ciascuna, posizionate perpendicolarmente tra di loro e, in prosecuzione, di una finestra vetrata; (iii) dalla sostituzione di due aperture con una sola finestra di maggiore estensione e dalla realizzazione di un’ulteriore apertura su un’altra facciata del fabbricato; (iv) dalla creazione di un vano passaggio in luogo di una finestra e dalla realizzazione di un vano a tutto vetro al seminterrato. Il T.a.r. respingeva l’unico motivo dedotto a sostegno del ricorso – secondo cui il Comune, a causa della pendenza di tre domande di condono edilizio relative alle opere in questione, non ancora definite, avrebbe dovuto sospendere l’esercizio del potere sanzionatorio –, ritenendo, alla luce delle acquisite risultanze istruttorie documentali, la mancata corrispondenza tra i manufatti oggetto delle domande di condono e le opere sanzionate con l’impugnato provvedimento. 2. Avverso tale sentenza interponeva appello la soccombente ricorrente, deducendo l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie e la correlativa erronea affermazione della mancata corrispondenza tra opere oggetto delle istanze di condono ed opere oggetto del provvedimento di demolizione, nonché l’omessa pronuncia sulla richiesta di consulenza tecnica d’ufficio volta ad chiarire la situazione di fatto. L’appellante chiedeva dunque, in riforma dell’appellata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado, con vittoria di spese. 3. Costituendosi in giudizio, il Comune di Napoli contestava la fondatezza dell’appello, chiedendone il rigetto. 4. All’udienza pubblica del 29 ottobre 2013 la causa veniva trattenuta in decisione. 5. L’appello è infondato. Sulla base di un attento esame della documentazione versata in giudizio, in particolare delle domande di condono presentate dai danti causa dell’odierna appellante (la quale aveva acquistato l’unità immobiliare di cui è causa con atto di compravendita del 15 marzo 2007) e dei documenti ivi allegati, deve ritenersi comprovato che: - l’istanza di condono n. 23725/1986, presentata il 1° aprile 1986 dalla signora De Santis Giovanna, riguarda l’ampliamento dell’appartamento al «piano sottostrada» per una superficie di 34,58 mq, realizzato nell’anno 1970 (mentre nell’autocertificazione si parla della «realizzazione di un appartamento posto al piano terra, facente parte di un corpo di fabbrica ad uso residenziale»); - l’istanza di condono n. 125788/1987, presentata il 7 aprile 1987 dalla signora Corvino Iris, riguarda la realizzazione di un locale deposito su due livelli, per una superficie complessiva convenzionale di 26,40 mq, tra gli anni 1967 e 1977; - l’istanza di condono n. 13768/1995, presentata il 6 luglio 1995 dal signor Crimeni Massimo, concerne l’ampliamento del soggiorno dell’abitazione mediante inclusione della scala e del pianerottolo, in precedenza posti all’esterno, per una superficie di 7 mq, e la trasformazione di tre piccole aperture sul muro esterno, le quali sono state munite di infisso, con interventi realizzati prima del 31 dicembre 1993. Orbene, ad una valutazione complessiva e globale dell’acquisito materiale istruttorio risulta palese che gli interventi oggetto dei tre condoni edilizi – tutt’ora inspiegabilmente pendenti malgrado il notevolissimo tempo decorso – sono diversi da quelli descritti sopra sub 1. e costituenti oggetto dell’impugnato provvedimento repressivo, il quale, in linea di fatto, è supportato dai verbali di sopralluogo degli agenti della polizia municipale e dei Carabinieri risalenti ai mesi di gennaio e febbraio 2010, le cui risultanze sono ulteriormente rafforzate dal verbale di sopralluogo del 1° giugno 2010 redatto da agenti della polizia municipale. A fronte dell’univocità degli evidenziati elementi probatori, escludenti l’asserita identità delle opere oggetto delle istanze di condono con quelle oggetto dell’ordine di demolizione, è superfluo dare ingresso alla richiesta consulenza tecnica d’ufficio. Per le esposte ragioni, l’appello è da respingere, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori. 6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente grado di giudizio, come liquidate nella parte dispositiva, devono essere poste a carico dell’appellante. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 238 del 2012), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; condanna l’appellante a rifondere al Comune appellato le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
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