1 Currency wars: moneta, potere, strategia e guerra a

Currency wars: moneta, potere, strategia e guerra a livello globale.
Nel 2001 gli USA si apprestavano ad invadere l’Afghanistan. Agenti della CIA prepararono il terreno
acquistando la collaborazione dei signori della guerra locali con valigette e zaini pieni di banconote
da 100 USD fresche di stampa1. Ciascuna di quelle valigette e di quegli zaini aveva un costo
trascurabile per il Governo USA, ma un valore pari al valore facciale (centinaia di migliaia di dollari)
per chi le riceveva. I signori della guerra dell’Alleanza del Nord usarono quelle riserve di valuta per
equipaggiare i loro uomini, per gli approvvigionamenti, e per comprare informazioni. Qualcuno di
loro è forse diventato ricco in questo ruolo tattico in un momento particolarmente delicato per le
forze USA.
Nelle montagne dell’Afghanistan, e ovunque nel mondo, il dollaro svolge tre funzioni:
1. Misura del valore
2. Mezzo di scambio
3. Riserva di valore
Vi sono delle valute che svolgono queste tre funzioni a livello locale: lo Zloty in Polonia, il Real in
Brasile eccetera. Alcune valute iniziano a svolgere queste tre funzioni su base quasi globale,
almeno in determinati contesti, come l’Euro o il Pound Inglese, anche se entrambe non hanno
accoglienza pari al dollaro sulle montagne dell’Afghanistan – o, spostando la prospettiva, nei
dintorni di Grozny o nella giungla colombiana.
Solo il dollaro americano svolge queste tre funzioni ovunque e in tutti i contesti: a livello di
economia domestica in moltissimi Paesi emergenti di tutti i continenti, come nelle avventurose e
rocambolesche attività di preparazione di una guerra o di una operazione di polizia internazionale.
La composizione delle riserve delle banche centrali a livello globale
Le banche centrali svolgono, tra le altre, la funzione di “banca delle banche”: esse custodiscono
parte delle riserve monetarie delle banche commerciali e svolgono la funzione di prestatore di
ultima istanza a favore di queste. In questo ambito, le banche centrali (ma anche le banche
commerciali con accesso ai mercati valutari internazionali) garantiscono la provvista di valuta
internazionale per il fabbisogno del mercato interno, ossia di famiglie, imprese, enti pubblici.
La domanda di valuta estera a fini di scambio è legata a quattro fattori principali:
1.
2.
3.
4.
Attività commerciale, acquisto di beni e servizi presso fornitori internazionali;
Investimenti diretti all’estero;
Attività finanziaria: acquisto di titoli (azioni, obbligazioni, titoli di stato) esteri;
Viaggi e turismo.
La domanda di una specifica valuta deriva, quindi, dalla capacità del paese emittente di offrire beni
e servizi competitivi a livello internazionale; dalla capacità di attrarre investimenti esteri; dalla
1
Bob Woodward, ‘CIA Led Way With Cash Handouts’, Washington Post, 18 November 2002.
http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/articles/A3105-2002Nov17.html - Questo report è tratto da uno studio di Alan
Wheatley et al, “The power of currencies and currencies of power; Adelphi Series 53:439.
1
presenza di un mercato finanziario liquido e ben regolamentato e, infine, da un interesse
paesaggistico, ricreativo e culturale.
Alla domanda di valuta a fini di scambio, si aggiunge la domanda a fini di riserva di valore.
Nel 2012, circa il 62% delle riserve valutarie dichiarate2 a livello globale (detenute da banche
centrali, ministeri del tesoro, sistemi di scambio e clearing) era detenuto in dollari USA, mentre
l’Euro rappresentava circa il 24% (Cfr Figura 1 in basso).
Riserve per valuta, 2012
Fonte: IMF
Others
6%
Euro
24%
Swiss franc
0%
Pund sterling
4% Japanese yen
4%
US dollar
62%
Figura 1
Fornendo dei numeri, si tratta di circa 3,7 trilioni di dollari e dell’equivalente di circa 1,7 trilioni di
dollari in euro, sempre rimanendo nell’insieme delle riserve dichiarate. Sommando a tali somme
quelle non dichiarate, possiamo stimare riserve globali in dollari per oltre 6 trilioni di dollari.
L’introduzione dell’Euro ha danneggiato la domanda di dollari?
Sono poche le valute che, insieme al dollaro, partecipano al paniere delle riserve delle banche
centrali a livello globale. Dal 1999 l’Euro ha sostituito le valute europee, senza mai intaccare la
supremazia del “Re Dollaro”: tra il 1995 e il 1999, infatti, il peso del dollaro USA nel paniere di
riserva globale è stato tra il 59% e il 71%3, con dei movimenti legati più all’andamento dei mercati
finanziari USA – e quindi della domanda di dollari come veicolo di investimento – che non
all’emergere dell’Euro come vero e proprio sfidante nel ruolo di valuta globale.
Nel periodo 1995-1999, alla vigilia dell’introduzione dell’euro, si è avuto un incremento nella
domanda globale di riserve in dollari, passate dal 59% al 71% del totale. All’introduzione dell’euro,
nel biennio 1999-2000, la domanda di dollari è rimasta quasi costante, per poi stabilizzarsi intorno
2
International Monetary Fund http://www.imf.org/External/np/sta/cofer/eng/index.htm and Alan Wheatley presentation
of “Currencies of power” https://www.youtube.com/watch?v=iNzPBzz24CA – circa il 55% delle riserve sono
dichiarate secondo stime del IMF – un 45% circa non vengono riportate al board statistico del IMF. Le riserve reali per
valuta dovrebbero essere quindi poco meno del doppio rispetto a quelle dichiarate.
3
Elias Papaioannou, Richard Portes, Gregorios Siouriounis; “Optimal currency shares in international reserves. The
impact of the euro and the prospects for the dollar” https://staging.dartmouth.edu/~elias/euro_jjie.pdf
2
al 66% per il periodo 2002-2005 e intorno al 62% dal 2009 ad oggi (con un calo a seguito della crisi
dei mutui subprime nel 2007/8). Se ne può concludere che, all’introduzione dell’euro, che si è
sostituito al marco tedesco (principalmente) e al franco francese, il ruolo di riserva globale del
dollaro ha perso solo qualche punto percentuale (2% o 3%), ossia meno di quanto avvenuto in
passato per eventi non legati ad una “sfida” diretta al dollaro, come a seguito degli shock
petroliferi e della fine del sistema di Bretton Woods.
L’evidenza dei dati suggerisce quindi che anche prima della attuale crisi dell’euro il dollaro
rimaneva l’unica vera valuta di riserva globale.
Global reserves by currency
(Source: IMF Annual Report)
80%
70%
US dollar
60%
Deutsche Mark
50%
Euro
40%
30%
Japanese yen
20%
Pound sterling
10%
French Franc
0%
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
Figura 2
Quanto vale la domanda di dollari come riserva di valore?
La risposta a questa domanda è meramente empirica e necessariamente approssimata.
L’imprecisione contabile del dato, però, non fa sfuggire la rilevanza strategica della domanda e
della risposta che tenterò di fornire.
Il fatto che il dollaro sia utilizzato e richiesto ovunque nel mondo rappresenta un enorme
vantaggio per gli USA: si tratta, in sintesi, della possibilità di avere sia “burro che cannoni” in caso
di crisi internazionali, ossia di poter finanziare le proprie spese del comparto della difesa senza
mettere in crisi i consumi, senza quindi stressare la popolazione e avere dei feed-back negativi a
livello politico interno.
Per dare comunque una misura dell’ammontare di “finanziamento gratuito” che gli USA hanno
attualmente in essere con la comunità internazionale grazie alla domanda di dollari, cerchiamo in
primis di stimare qual è la domanda c.d. “naturale” di dollari, ossia la domanda derivante dalle
necessità commerciali e di investimento negli Stati Uniti.
3
A livello globale, gli USA rappresentano circa il 9% dell’export globale. Più elevata la
capitalizzazione di borsa USA vs. resto del mondo, al 34% (Fonte: Wikinvest, 2011). Gli USA sono,
inoltre, il secondo destinatario globale di investimenti diretti, con il 13,5% del totale dietro il 17%
della Cina (Fonte: World Bank, 2010).
Mediando questi dati, otteniamo un indicatore di “rilevanza economica e finanziaria globale” degli
USA di circa il 20%. Su un totale stimato di riserve (dichiarate e non dichiarate) globali pari a oltre
13 trilioni di dollari, applicando la proporzione all’indice di rilevanza degli USA, le riserve in dollari
dovrebbero essere pari a circa 3 trilioni. In realtà, come sappiamo4, l’incidenza del dollaro nelle
riserve globali è superiore al 60%, cioè è di circa 7 trilioni. In sintesi, quindi, gli USA godono di un
credito globale derivante dalla domanda della propria valuta pari a circa il 50% del loro prodotto
nazionale, di cui circa 4 trilioni di dollari derivano dalla domanda globale di valuta per fini di riserva
di valore (ossia un surplus di domanda non giustificato da necessità di investimento o
commerciali).
Acquistando dollari, il mondo acquista (e delega) la propria sicurezza
Il budget della difesa USA è pari a circa 700 miliardi l’anno (dati 2013 SIPRI) ossia circa il 40% del
totale delle spese militari globali. Con approssimazione possiamo pertanto dire che il surplus di
domanda di dollari generato dalla credibilità globale del dollaro finanzia (4 trilioni : 700 miliardi),
circa 6 anni di spese militari americane.
Ma è anche vero l’inverso: è proprio il ruolo di preminenza strategica a livello globale degli USA
che permette a questi di finanziare consumi, spesa militare e … eventuali crisi, come quella
drammatica del 2008 (fallimento della Lehman). Osserviamo la Figura 3, una chart basata sui dati
del Servizio Ricerche del Congresso USA5. Emergono due concetti importanti:
1. Il deficit commerciale americano, che nel periodo 2005-2012 si è aggirato su una media di
oltre 700 miliardi di dollari l’anno, è finanziato prevalentemente da soggetti c.d. “Ufficiali”
(banche centrali e stati nazionali);
2. Nel 2009, ossia nel periodo di grande incertezza che ha fatto seguito al fallimento Lehman,
gli investitori privati si sono ritirati dal mercato (vendite per 800 miliardi di USD) e sono
stati sostituiti da investitori “Ufficiali”, che hanno riversato nei titoli USA circa 1 trilione di
dollari.
Su un totale di investimenti finanziari in ingresso negli USA di USD 4,3 trilioni nel periodo 20052012, circa il 75% vengono da investitori ufficiali, ossia soggetti governativi o da questi diretti.
Questo dato, insieme al ruolo sussidiario svolto da questi soggetti nella critica situazione di
mercato del 2009, evidenzia quella che viene definita come una vera e propria politica assicurativa
da parte di molti stati a livello globale. Quando gli investitori privati non credono più nei titoli USA,
i governi intervengono sia per “mostrare riconoscenza” che per sostenere lo status quo di
leadership finanziaria e militare americana, di cui anch’essi sono beneficiari e, in ultima analisi,
stakeholders.
4
http://www.imf.org/External/np/sta/cofer/eng/index.htm - l’ipotesi è che circa il 60% / 70% delle “unallocated
reserves” sia, ancora, costituito da dollari USA.
5
Financing the US trade deficit, James K. Jackson, CRS, Dec 23, 2013 - http://www.fas.org/sgp/crs/misc/RL33274.pdf
4
Il mondo compra treasuries, insomma, invece che comprare la propria difesa. Il tasso d’interesse
non sarà elevatissimo, ma è sempre meglio che spendere qualche miliardo in una disorganizzata,
comunque debole, obsolescente e parcellizzata difesa a livello locale.
Financial investments in the US, by "Official" and "Private" institutions
(Source: Congressional Research Service)
1.200
1.000
800
600
400
200
0
-200
-400
-600
-800
-1.000
Official, total
3.2 USD Trn
Private, total
USD 1.1 Trn
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
Figura 3
Tutto ciò, per gli USA, rappresenta un bel circolo virtuoso: la preminenza militare supporta la
credibilità del dollaro, la quale, a sua volta, la finanzia. Anche in tempi di instabilità la
combinazione del potere economico e finanziario americano insieme alla capacità di proiettare
potenza a livello militare rappresentano una garanzia implicita per governi e investitori. Più per i
primi che per i secondi.
Il dollaro a supporto degli obiettivi strategici degli USA
Evitando qui di occuparci del ruolo del sistema militare USA come uno dei pilastri della preminenza
globale del Paese, cerchiamo di focalizzarci su alcuni esempi per cui il dollaro ha svolto la funzione
di vera e propria arma a tutela degli interessi strategici americani. Vedremo come gli Stati Uniti
non hanno esitato, in varie occasioni, ad utilizzare il proprio potere finanziario come un asset
strategico e come strumento coercitivo nei confronti di nemici ma anche di alleati.
Alla fine della seconda guerra mondiale gli USA hanno supportato in modo massiccio, con
erogazioni che nel periodo 1944-1951 hanno totalizzato circa 30 miliardi di dollari dell’epoca (poco
più del 10% del PIL americano del 1948), la ripresa economica e civile dell’Europa occidentale. In
un messaggio al Congresso del presidente H. Truman6, nel dicembre del 1947, il “Piano Marshall”
veniva presentato nel quadro di uno specifico interesse americano a prendere parte nella “lotta
politica [a favore di] coloro che desiderano rimanere uomini liberi nei confronti della legge e
coloro che utilizzerebbero il disagio economico come il pretesto per stabilire un regime
totalitario”. All’inizio della guerra fredda, quindi, un primo confronto si giocava proprio sulla
capacità americana (del dollaro) di ristabilire rapidamente le sorti di un continente devastato da 5
anni di guerra, guadagnando così, in maniera indolore, l’intera Europa occidentale ad un sistema di
6
Harry S. Truman, Special Message to the Congress on the Marshall Plan
http://www.marshallfoundation.org/library/documents/President_Truman_Special_Message_to_the_Congress_on_the_
Marshall_Plan.pdf
5
alleanze atlantico. Che il Piano Marshall avesse una valenza strategica è testimoniato anche dalla
reazione dell’Unione Sovietica, che da un lato condannò “i fascisti di Wall Street che si
sostituiscono ai fascisti tedeschi e italiani nella schiavizzazione dell’Europa7” e dall’altro, con la
costituzione del COMECON, tentò di replicare il modello americano di costruzione dello sviluppo
economico come strumento “cold” di preminenza politica e strategica.
Durante la guerra fredda il potere del dollaro è stato utilizzato anche per “mettere in riga” gli
alleati. Nel 1956 Inghilterra e Francia decidono di occupare l’Egitto per riconquistare il controllo
del Canale di Suez, un passaggio vitale per gli approvvigionamenti petroliferi, che era stato
nazionalizzato dal presidente egiziano Nasser. La mossa venne vista come temeraria ed
eccessivamente autonoma dagli USA, che temevano le reazioni sovietiche in tutto l’arco
mediorientale e in Ungheria, oltre effetti negativi per la campagna per la rielezione di Eisenhower.
I mercati reagirono alla mossa britannica mettendo sotto pressione la sterlina, e Downing Street si
vide bloccare una richiesta di prestito d’emergenza al FMI proprio dall’intervento americano.
L’avventura britannica fu infine definitivamente fermata dall’ultimatum del tesoro americano, che
minacciava vendite massicce di titoli di stato britannici come ulteriore misura di vera e propria
rappresaglia economica. Fu così che, marginalizzata a livello militare dall’alleato della “special
relationship”, minacciata dai mercati e minata nella capacità di raccogliere credito sui mercati, la
Gran Bretagna dovette definitivamente rinunciare ad una politica estera autonoma e a velleità
neo-coloniali in un’area che l’aveva vista dominare fino a qualche decennio prima.
Ovviamente molti altri sarebbero gli esempi da citare in questo ambito, da ultimo il ruolo svolto
dalle sanzioni economiche e finanziarie nell’ammorbidimento della situazione in Iran. Assodato
ora che il dollaro rappresenta (anche) un asset strategico utilizzabile per forzare o comunque
orientare le politiche a livello globale, chiediamoci a questo punto: è una situazione destinata a
perdurare nel tempo?
Le minacce all’attuale assetto del sistema monetario globale
In sintesi possiamo individuare i seguenti scenari di crisi, o quantomeno di superamento
dell’attuale supremazia del dollaro:
1. Lento declino, e migrazione verso un assetto multipolare di valute regionali;
2. Rapido declino, causato magari da un default di natura politica (problema del debt ceiling);
3. Collasso globale e ritorno ad un sistema gold-based.
Esaminiamo questi scenari uno alla volta: scenario multipolare sulla base di un lento declino del
dollaro:
Prima della crisi dell’euro, ossia nel 2009, la valuta europea era arrivata a rappresentare quasi il
28% delle riserve globali. Non si trattava della fine del dollaro, ma della comparsa di una prima,
credibile alternativa al dollaro come valuta di riserva. Mentre scriviamo, il superamento della fase
più drammatica della crisi dell’euro sta di nuovo dischiudendo uno scenario in cui l’euro potrà
presto tornare a rappresentare una credibile valuta di riserva. E’ questa, tra gli altri, l’opinione di
Barry Eichengreen8, che intravede in questa ripresa dell’euro l’apertura verso un vero e proprio
7
Wettig, Gerhard (2008). Stalin and the Cold War in Europe. Rowman & Littlefield; p. 142.
Bloomberg TV, “Eichengreen sees multipolar reserve currency system;
https://www.youtube.com/watch?v=TvI4L9cSvws
8
6
scenario multipolare in cui il mondo avrà tre valute principali, da ovest verso est: il dollaro, l’euro e
lo yuan cinese.
Un ulteriore passo in questa direzione, per quanto riguarda l’euro, sarebbe quello dell’attivazione
di strumenti di debito comune, come i c.d. “eurobonds”, che potrebbero essere varati, ad
esempio, per finanziare progetti infrastrutturali a valenza regionale (per non incorrere nel veto
tedesco) e poi, in caso di successo ed accettazione da parte del mercato, coprire vere e proprie
esigenze di budget a livello UE.
Nello scenario multipolare, inoltre, un ruolo decisivo lo svolgerà lo yuan cinese. In estrema sintesi,
la politica della Banca Nazionale Cinese al riguardo è stata esclusivamente focalizzata al
mantenimento di una sostanziale svalutazione relativa rispetto alle principali valute globali. Un
basso corso dello yuan ha consentito la rapida crescita industriale della Cina per il tramite della
domanda esterna, ovviamente a scapito della diffusione del benessere all’interno del paese. Il
“peg” principale della Cina è stato quello col dollaro USA, che mostra (Figura 4) un andamento
“amministrato” con dei periodo di crescita relativa e costante e periodi di parità completa. Per
raffronto, il cambio EUR/CNY (Figura 5) mostra un andamento meno controllato e più volatile.
Il trend di lungo periodo porta comunque ad un apprezzamento controllato della valuta cinese, e,
in presenza dell’obiettivo dichiarato delle autorità cinesi di fare di Shangai uno dei centri finanziari
globali – e il principale centro finanziario dell’Asia – un’apparente candidatura dello yuan come
valuta di riserva a livello globale. Ovviamente siamo ancora molto lontani da questo scenario, in
quanto la Cina ancora non si può permettere di mutare radicalmente il proprio modello di sviluppo
export-led a pena di consistenti rischi sul fronte interno. Vi sono anche elementi strutturali che per
il momento escludono lo yuan da questo status: libera convertibilità della valuta, un mercato
finanziario evoluto con una curva di offerta completa, e la garanzia di regolamentazioni
commerciali eque e trasparenti. Per il momento, quindi, lo yuan rimane una valuta per
commercianti, forse la più importante a livello globale, ma non una valuta da investimento.
Figura 4
Figura 5
Al dollaro USA, in questo scenario di lento declino, continuerà a spettare il ruolo preminente di
valuta di riferimento a livello globale, anche se questo ruolo sarà forse quello di “primus inter
pares” grazie alla permanenza di condizioni di competitività e preminenza dell’infrastruttura
finanziaria di supporto di matrice americana, un “bedrock” di natura culturale, sociale e diffusa
molto difficilmente replicabile altrove.
7
Scenario di rapido declino del dollaro:
Leverage, quantitative easing e irrational exhuberance: ossia: elevato indebitamento, politiche
monetarie eccessivamente accomodanti da parte della FED e valutazioni speculative dei mercati:
queste le dinamiche che potrebbero portare ad un rapido declino del dollaro e alla ricerca, da
parte degli investitori, di una maggiore diversificazione nelle scelte di portafoglio a scapito del
dollaro come moneta-riserva di valore.
Quando nel settembre 2008 è fallita la Lehman, il bilancio della Società9 presentava un patrimonio
netto di circa 21 miliardi di dollari a fronte di un attivo di oltre 690 miliardi. Una perdita di valore
(e molti titoli all’interno del bilancio di una banca d’affari sono soggetti ad andamento volatile e a
valutazioni a volte semplicemente empiriche) di solo il 3% degli attivi della banca avrebbe
completamente eroso il capitale.
Lehman era una grande macchina per estrarre denaro a favore del suo top management. Tra il
2003 e il 2007 il debito della banca è passato da 312 a 672 miliardi di dollari, mentre la spesa per
interessi passava da 8,6 a 39,7 miliardi di dollari. Sempre nel corso del periodo, agli azionisti sono
andati circa 2 miliardi in dividendi, mentre i compensi totali sono stati di 35,4 miliardi di dollari,
passando dai 4,3 miliardi del 2003 ai 9,5 del 2007. Il solo Richard Fuld ha ricevuto compensi dal
suo incarico in Lehman superiori a 500 milioni di dollari10.
Dall’inizio del 2003 al 2008 le dinamiche di indebitamento avevano permesso l’espansione degli
attivi che ha spinto in alto le valutazioni di ogni genere di attività finanziaria, comprese le azioni
(Cfr Figura 6, l’indice S&P 500). L’aggravarsi della crisi dei mutui subprime, che ha poi causato e si è
combinata al fallimento Lehman, hanno impresso una correzione al ribasso dei mercati che è
costata agli investitori quasi 7 miliardi di dollari mentre il mercato immobiliare ha perso oltre 3
miliardi di dollari.
Oggi i mercati si trovano in una situazione di nuovo critica, in cui le valutazioni sono state spinte in
alto da pesanti e sostenute immissioni di capitali attraverso i cicli di “quantitative easing”, ossia di
acquisto da parte della Fed di enormi quantitativi (attualmente 85 miliardi di dollari al mese) di
titoli di stato dai portafogli di banche e investitori. Tali acquisti provengono dalle “macchine di
stampa” della Fed che, per cercare di incrementare il tono dell’economia reale, cerca di pompare
liquidità nel sistema. Tale liquidità, però, rimane negli attivi delle banche, che la investono in titoli
finanziari, e l’economia reale stenta a ripartire e a creare posti di lavoro.
Si tratta di una situazione pericolosa, che potrebbe degenerare in un nuovo crollo e in una nuova
crisi pesante dell’economia reale, erodendo la fiducia nel dollaro e qualcuno dice… nelle valute
“paper money”. Tutte, stavolta.
9
Lehman Bros Annual Report 2007 - http://www.secinfo.com/d11MXs.t5Bb.htm#1stPage
How much did Lehman CEO Dick Fuld really make? Bloomberg Business Week April 29, 2010 http://www.businessweek.com/magazine/content/10_19/b4177056214833.htm
10
8
Dizzying
heights,
again?
Dot com
crash
Leverage
peak
(+100%)
Lehman
death
canyon
QE
infinity
rise
Tapering
valleys
Figura 6
Scenario di collasso globale e ritorno ad un sistema “gold-based”
Nel tardo inverno del 2009 un selezionato numero di economisti e operatori di mercato, tra cui
bankers della UBS e investment manager di fondi di private equity si sono ritrovati, su invito del
Dipartimento della Difesa americano, presso gli Applied Physics Laboratories vicino a Baltimora.
Gli APL sono i laboratori che, nati nel 1942 per dotare la difesa americana delle migliori e più
recenti scoperte tecnologiche, oggi sono il luogo dove scienziati, analisti e militari si ritrovano
davanti ad un supercomputer per rilasciare i più complessi e creativi “war games” del mondo.
Per la prima volta nel 2009, però, presso gli APL si è tenuta una sessione di war gaming (della
durata di due giorni) in cui non c’erano armi c.d. “cinetiche” a disposizione dei giocatori, ma solo
armi economiche, come derivati, ordini di acquisto e vendita, sanzioni, fondi sovrani e mercati
valutari. L’economista, esperto legale e investment banker James Rickards racconta nel suo
“Currency Wars: the making of the next global crisis” di come abbia personalmente coinvolto
operatori ed esperti di finanza nel war game; e di come il risultato della simulazione sia stato un
segnale di grande vulnerabilità per il dollaro.
Nel suo libro Rickards parla apertamente del rischio di collasso del dollaro dovuto ad un utilizzo
eccessivo della leva monetaria a sostegno dell’economia USA, e cita minacce (reali) del presidente
cinese Hu Jintao di attaccare il dollaro immettendo sul mercato massicce quantità del debito USA
detenuto dalla Cina. Rickars cita anche una corsa ad acquisti – anche nascosti – di oro da parte
della Cina, delineando uno scenario quasi catastrofico (III guerra mondiale monetaria, la chiama) in
cui il perdurare di cicli di svalutazioni competitive genera il collasso delle principali monete
cartacee e il ritorno ad una sorta di “gold standard”.
9
Conclusioni:
Le relazioni tra potere economico, finanziario e strategico-militare sono note da tempo11
L’iperspecializzazione degli esperti di finanza da un lato e il mutamento radicale delle minacce
strategiche c.d. “cinetiche” dall’altro (calo di rilevanza del conflitto tra stati) creano la necessità di
un momento di confronto tra esperti delle due materie.
Il Dipartimento della Difesa americano è il primo che se ne è accorto, con i war games finanziari
del 2009 (e se altri e più sofisticati sono avvenuti in seguito, non è dato sapere).
In Italia e in Europa dovrebbe rilevare il fatto che, in quei war games, l’Eurozona era diluita tra gli
“altri players”, senza esprimere, nemmeno “in sala giochi”, una politica propria. Tutta l’Europa
continua ad avere un interesse vitale all’attuale equilibrio valutario globale, pur rimanendo
apparentemente indifesa nei confronti della crisi delle economie periferiche, del dumping
valutario cinese, della svalutazione competitiva del dollaro, e dei propri dissidi interni. Il crollo di
quest’ultimo, però, potrebbe forse aprire anche per l’Europa una spirale di declino secolare,
coinvolgendo l’euro e assestando un colpo ancora più duro a paesi come l’Italia.
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12 marzo 2014
Marco Moschetta
Corporate Finance Consulting
Via Gerso 2/b
6900 Lugano Switzerland
Tel +41 79 257 999 1
Skype: marcomoschetta7000
http://about.me/marco.moschetta
11
Cfr. Paul Kennedy, “Ascesa e declino delle grandi potenze”; o Fernand Braudel “Civiltà materiale, economia e
capitalismo, XV-XVIII sec”.
10