Introduzione alla turbolenza F. Auteri Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali, Politecnico di Milano, Via La Masa, 34, 20158 Milano, Italy; [email protected]. 10 giugno 2014 2 • Running head: Correnti turbolente • Address to which correspondence should be submitted: Franco Auteri Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale, Politecnico di Milano, Via La Masa, 34, 20156 Milano, Italy; E-mail [email protected] Tel. 0039-2-23998046 Fax. 0039-2-23998334 Indice 1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 2 Nonlinearit`a, instabilit`a, turbolenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 3 Le scale della turbolenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 3.1 La trasformata di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 3.2 La teoria di Kolmogorov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Caratterizzazione di variabili, processi e campi aleatori . . . . . . . . 14 4.1 Variabili aleatorie e funzione densit`a di probabilit`a . . . . . . 14 4.2 Propriet`a della funzione densit`a di probabilit`a . . . . . . . . . 15 4.3 Variabili aleatorie congiunte . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 4.4 Processi e campi aleatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 Le equazioni mediate della turbolenza . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 5.1 Le equazioni mediate di Reynolds . . . . . . . . . . . . . . . 21 6 Correnti di parete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 7 I modelli di turbolenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 4 5 7.1 Approssimazione alla Boussinesq mediante viscosit`a turbolenta 28 7.2 Il modello della lunghezza di mescolamento di Prandtl . . . . 30 7.3 Il modello basato sull’energia turbolenta . . . . . . . . . . . . 30 7.4 Il modello k-ε . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 3 4 ` , instabilita ` , turbolenza 2 – Nonlinearita 1 Introduzione Nello studio della meccanica delle correnti incomprimibili, viscose a propriet`a costanti abbiamo potuto risolvere le equazioni di Navier–Stokes in alcuni casi semplici. Come si e` potuto notare, le soluzioni ottenute sono tutte caratterizzate da un’estrema regolarit`a: esse sono stazionarie o, nel caso non stazionario, sono descritte da funzioni estremamente semplici del tempo intimamente legate alla dipendenza dal tempo delle condizioni al contorno. Inoltre, le linee di corrente sono curve estremamente semplici, quali rette o circonferenze. E` utile notare anche che, in tutti questi casi, il termine nonlineare (u ·∇)u gioca al pi`u un ruolo marginale, come nel caso delle correnti con simmetria assiale nelle quali il termine u2θ /R e` legato alla componente radiale del gradiente di pressione. I fenomeni fluidodinamici che osserviamo in natura, come per esempio lo scorrere di un fiume o i fenomeni meteorologici, o quelli coinvolti nelle applicazioni tecnologiche di interesse ingegneristico, al contrario sono spesso caratterizzati da una notevole complessit`a. Innanzitutto le linee di corrente rappresentano curve estremamente complicate, inoltre il campo di moto e` fortemente instazionario, si pensi per esempio al vento sul mare che presenta raffiche irregolari o all’acqua che scorre in un canale di irrigazione che, nonostante la forma semplice, presenta un moto estremamente complicato. Le correnti di questo tipo vengono dette correnti “turbolente” e la loro importanza deriva dal fatto che la maggior parte delle correnti di interesse sia scientifico sia ingegneristico sono turbolente. Come vedremo nel seguito, la turbolenza e` un fenomeno estremamente complicato e rappresenta tuttora un ambito di indagine estremamente attuale e in continua evoluzione. In questo capitolo iniziamo con uno sguardo di insieme sui fenomeni turbolenti per poterne apprezzare la natura qualitativa. In seguito, introdurremo la teoria di Kolmogorov che ci permetter`a di ottenere alcuni risultati quantitativi di grande generalit`a e una pi`u profonda comprensione di alcuni aspetti del fenomeno. Introdurremo poi, brevemente, alcuni strumenti fondamentali per lo studio della turbolenza dal punto di vista statistico. E infine ci porremo il problema dello studio quantitativo dei fenomeni turbolenti, studiando alcuni modelli semplificati di largo uso nelle applicazioni. 2 Nonlinearit`a, instabilit`a, turbolenza Per meglio comprendere il fenomeno della turbolenza conviene considerare una corrente di geometria piuttosto semplice come la corrente che investe un cilindro a sezione 5 circolare di grande apertura. Se studiamo la corrente possiamo osservare che, per numeri di Reynolds molto bassi, dell’ordine dell’unit`a, la corrente si presenta piana con due punti di ristagno sulla superficie del cilindro, situati sul diametro del cilindro diretto come la velocit`a della corrente indisturbata. Aumentando il numero di Reynolds, gi`a a numeri di Reynolds superiori a 5 nella zona posteriore del cilindro si forma una zona di controcorrente e ai punti di ristagno gi`a visti se ne aggiungono altri due situati sulla superficie del cilindro. Quando il numero di Reynolds supera il valore di appena 47, la corrente diviene instabile e, nonostante la stazionariet`a della corrente indisturbata e delle condizioni al contorno, diviene instazionaria e non simmetrica con la formazione della cosiddetta scia di von K´arm´an, una scia di vortici alternati, nella zona a valle del cilindro. Per numeri di Reynolds superiori a 47 la corrente si mantiene piana, ma non per molto. Gi`a per un numero di Reynolds di circa 189 la corrente diventa instabile a perturbazioni tridimensionali e diventa, per numeri di Reynolds pi`u alti, rapidamente turbolenta. Lo scenario appena illustrato rappresenta abbastanza spesso il susseguirsi di instabilit`a che all’aumentare del numero di Reynolds caratterizzano la transizione alla turbolenza. Possiamo riassumere in questo modo le fasi, che corrispondono a numeri di Reynolds crescenti, 1. instabilit`a della corrente stazionaria piana a perturbazioni piane non stazionarie con formazione di una corrente periodica o quasi periodica, ossia caratterizzata da due frequenze non commensurabili; 2. instabilit`a della corrente non stazionaria piana a perturbazioni tridimensionali, con la formazione di una corrente tridimensionale e non stazionaria; 3. transizione alla turbolenza attraverso l’instabilit`a successiva delle strutture vorticose pi`u grandi con la formazione di strutture vorticose sempre pi`u piccole all’aumentare del numero di Reynolds. Il primo e il secondo tipo di instabilit`a possono accadere anche in ordine inverso, cio`e si pu`o avere prima un’instabilit`a a perturbazioni tridimensionali e, per numeri di Reynolds pi`u alti, un’instabilit`a a perturbazioni dipendenti dal tempo. Una corrente turbolenta completamente sviluppata e` caratterizzata da alcune propriet`a tipiche: • comportamento caotico e imprevedibile delle grandezze puntuali istantanee; • tridimensionalit`a; • instazionariet`a; ` , instabilita ` , turbolenza 2 – Nonlinearita 6 • rotazionalit`a, ∇×u 6= 0; • forte rimescolamento. Possiamo analizzare l’origine della turbolenza dal punto di vista matematico osservando che nelle equazioni di Navier–Stokes, al crescere del numero di Reynolds, il peso del termine nonlineare, che rappresenta il termine inerziale, tende a crescere rispetto al peso del termine viscoso. Un aumento dell’importanza del termine inerziale rispetto a quello viscoso rappresenta anche una crescita dell’importanza degli effetti nonlineari nelle equazioni. Mentre per equazioni di tipo lineare ben poste e` lecito attendersi l’unicit`a della soluzione, nel caso in cui la nonlinearit`a delle equazioni diventi importante e` possibile che le soluzioni diventino molteplici, con cambiamenti della natura della soluzione all’aumentare del peso dei termini nonlineari all’interno delle equazioni. E` lecito attendersi quindi che al crescere del numero di Reynolds la natura dei fenomeni fluidodinamici cambi radicalmente, con lo sviluppo di correnti instabili e turbolente. Per comprendere meglio il legame che intercorre fra la nonlinearit`a delle equazioni del moto e i fenomeni turbolenti, incominciamo con lo studio di un modellino molto semplice che mima, in un certo senso, le equazioni di Navier–Stokes per una corrente incomprimibile non stazionaria a propriet`a costanti. Il modello e` rappresentato dalla relazione di ricorsione vτ +1 = 1 − αvτ2 , τ ∈ N. (2.1) una variante della cosiddetta mappa logistica che descrive l’andamento di una popolazione in funzione del numero di generazioni τ . Questa semplicissima mappa nonlineare mostra, al variare del parametro α, alcuni dei comportamenti che abbiamo descritto nel caso della corrente attorno al cilindro. Per α ≤ 0.4 la soluzione e` stazionaria. Per α ≥ 0.5 la soluzione diventa periodica e lo spettro presenta un unico picco. Al crescere del parametro α il comportamento cambia, con la comparsa di un secondo picco per α = 1.3. Successivamente, per α = 1.4 le frequenze si moltiplicano fino a quando, per α = 1.5, lo spettro diventa continuo e si ha la transizione al caos, si vedano le figure 1 e 2, che si riferiscono all’andamento della soluzione di regime, esaurito il transitorio iniziale. In ultimo notiamo, giusto come curiosit`a e senza dare troppo peso alla cosa, una somiglianza fra la mappa logistica e l’equazione della quantit`a di moto per una corrente incomprimibile. Riscrivendo opportunamente l’equazione della mappa logistica, si ottiene vτ +1 − vτ = −αvτ2 − vτ + 1 ∂u 1 = −(u · ∇)u − ∇p + ν∇2 u + f . ∂t ρ (2.2) 7 Figura 1: Storia temporale della mappa logistica. Alto: α = 0.8, basso α = 1.5 3 Le scale della turbolenza Come abbiamo visto nell’introduzione, la turbolenza e` causata dall’instabilit`a della corrente fluida nella quale le perturbazioni presenti sono amplificate fino a modificare totalmente la natura della corrente stessa. L’instabilit`a della corrente procede partendo dalla formazione di strutture vorticose che hanno una dimensione, anche detta scala spaziale, paragonabile alle dimensioni tipiche della corrente. Successivamente le 8 3 – Le scale della turbolenza Figura 2: Spettro della storia temporale della mappa logistica. Alto: α = 1.4, basso α = 1.5 strutture vorticose di grande scala divengono a loro volta instabili, producendo strutture di scala pi`u piccola, e cos`ı via producendo strutture di scala sempre pi`u piccola fino a quando la dimensione delle strutture turbolente diviene talmente piccola da far divenire 3.1 – La trasformata di Fourier 9 importante la dissipazione viscosa. Questo fenomeno di instabilit`a successive viene detto cascata di energia di Richardson. Tre sono gli elementi che caratterizzano il quadro descritto dalla cascata di energia: 1. il processo di instabilit`a ha inizio alle grandi scale della corrente; 2. attraverso instabilit`a successive l’energia viene trasferita dalle grandi scale alle piccole scale; 3. la dissipazione energetica avviene alle piccole scale, laddove la viscosit`a del fluido gioca un ruolo importante. Grazie alla teoria di Kolmogorov e all’analisi dimensionale e` possibile stimare l’ordine di grandezza delle scale di lunghezza, velocit`a e tempo delle strutture turbolente e valutare come esse dipendano dal numero di Reynolds. Iniziamo con l’identificare le strutture pi`u grandi della turbolenza. Detta L una dimensione caratteristica rilevante per il campo di moto in questione, le strutture pi`u grandi avranno una dimensione l0 dello stesso ordine di grandezza di L e saranno caratterizzate da una velocit`a di modulo u0 confrontabile con il modulo della velocit`a tipica della corrente U . Queste scale vengono chiamate scale energetiche poich´e, come vedremo, qui e` contenuta gran parte dell’energia associata alle fluttazioni turbolente della velocit`a, detta cinetica turbolenta, e queste sono le scale a cui la corrente media trasferisce direttamente energia. Per esempio, nel caso di un tubo a sezione circolare, L potrebbe rappresentare il diametro del tubo mentre U potrebbe rappresentare il modulo della velocit`a media nella sezione del tubo. Il numero di Reynolds associato alle strutture pi`u grandi, Re = u0 l0 /ν, sar`a quindi grande, essendo dello stesso ordine di grandezza del numero di Reynolds della corrente ed essendo la corrente turbolenta. Utilizzando l’analisi dimensionale possiamo stimare l’ordine di grandezza dell’energia cinetica per unit`a di massa associata a queste strutture, u20 , e la relativa scala di tempo, τ0 = l0 /u0 . Questo ci permette anche di stimare che l’ordine di grandezza del flusso di energia dalla corrente media alle strutture pi`u grandi, detto produzione di energia turbolenta. La produzione di energia turbolenta e` una potenza per unit`a di massa, ed e` data da P = u20 /τ0 = u30 /l0 . 3.1 La trasformata di Fourier Prima di addentrarci nello studio della teoria di Kolmogorov introduciamo la trasformata di Fourier, uno strumento utile nello studio delle equazioni differenziali, sia 10 3 – Le scale della turbolenza ordinarie sia a derivate parziali, e nello studio della turbolenza. Essa e` definita come: 1 fˆ(ω) = F(f (t)) = 2π Z ∞ f (t) e−iωt dt. (3.1) −∞ La trasformata di Fourier consiste in un cambiamento di variabile, in questo caso da t a ω, che permette di riscrivere una funzione assolutamente integrabile come combinazione lineare di funzioni sinusoidali i cui coefficienti sono rappresentati dalla funzione g(ω). Infatti la trasformata inversa di Fourier si scrive: f (t) = F −1 (fˆ(ω)) = Z ∞ fˆ(ω) eiωt dω. (3.2) −∞ Ricordando che eiωt = cos ωt + i sin ωt (3.3) si vede bene come f (t) sia espressa come combinazione lineare di funzioni sinusoidali di pulsazione ω il cui coefficiente e` g(ω). Nel caso spaziale, in cui la variabile indipendente e` la posizione r, la trasformata diventa Z ∞ 1 ˆ f (k) = F(f (r)) = f (r) e−ik · r dx dy dz. (3.4) (2π)3 −∞ dove k rappresenta il numero d’onda vettoriale, che e` legato in ogni direzione alla lunghezza d’onda della sinusoide dalla relazione li = 2π/ki , dove li e` la lunghezza d’onda della sinusoide nella i-esima direzione. La trasformata di Fourier ha l’effetto di modificare la variabile indipendente. Nel caso del tempo si passa dalla variabile temporale t alla pulsazione ω = 2πf , dove f e` la frequenza. Nel caso spaziale si passa dalla posizione al numero d’onda che, come abbiamo visto, e` legato intimamente con la lunghezza d’onda. 3.2 La teoria di Kolmogorov Possiamo porci, a questo punto, alcune domande: qual e` la scala alla quale avviene la dissipazione? Come variano la velocit`a caratteristica ul e il tempo caratteristico τl in funzione della scala? A queste domande risponde, nell’ipotesi di turbolenza in equilibrio, la teoria di Kolmogorov. La teoria di Kolmogorov e` stata formulata in termini di tre ipotesi. 3.2 – La teoria di Kolmogorov 11 Ipotesi dell’isotropia locale La prima ipotesi della teoria di Kolmogorov dice che, per numeri di Reynolds sufficientemente alti, i moti turbolenti di piccola scala, cio`e per l ≪ l0 , sono statisticamente isotropi. Questa ipotesi di Kolmogorov discende dall’idea che le successive instabilit`a che caratterizzano la corrente distruggono rapidamente l’informazione relativa alla direzionalit`a del campo di moto e della corrente media. Indichiamo con lEI la dimensione al di sotto della quale possiamo considerare isotrope le strutture turbolente. Assumeremo indicativamente, senza giustificare l’assunzione, lEI ≈ 0.6L. Prima ipotesi di similarit`a La seconda ipotesi della teoria di Kolmogorov dice che in ogni corrente turbolenta, a numero di Reynolds sufficientemente alto, le statistiche dei moti di piccola scala hanno una forma universale, che e` determinata univocamente dalla viscosit`a ν e dalla dissipazione energetica ε (potenza per unit`a di massa ovvero potenza specifica). Le prime due ipotesi della teoria di Kolmogorov ci permettono di stimare le dimensioni delle scale dissipative. Innanzitutto osserviamo che, mediante le due grandezze viscosit`a ν e dissipazione ε, possiamo costruire univocamente una sola scala di lunghezza η, una di velocit`a uη e una di tempo τη . Utilizziamo l’analisi dimensionale: η ha la dimensione di una lunghezza mentre ν ha la dimensione di una lunghezza al quadrato divisa per un tempo L2 T −1 e ε ha la dimensione di una potenza per unit`a di massa, ossia una velocit`a al quadrato divisa per un tempo L2 T −3 . Possiamo allora scrivere la relazione di tipo dimensionale L= L2 T α L2 T3 β = L2α+2β , T α+3β da cui si ricavano gli esponenti α = 3/4 per ν e β = −1/4 per ε, quindi η∝ ν3 ε 14 . (3.5) Analogamente uη ∝ (εν) 1 4 e τη ∝ ν 12 Queste sono, per definizione, le scale di Kolmogorov. ε . (3.6) 12 3 – Le scale della turbolenza Come abbiamo detto, η fornisce l’ordine di grandezza delle dimensioni delle scale dissipative. Infatti il numero di Reynolds calcolato a partire dalla lunghezza η, dalla velocit`a uη e dalla viscosit`a risulta 1 1 uη η ≈ (εν) 4 Reη ≡ ν ν ν3 ε 41 = 1. (3.7) Questo conferma il fatto che alla scala η la viscosit`a assume un ruolo predominante. Nel seguito denomineremo lDI le dimensioni delle strutture turbolente sotto le quali i fenomeni dissipativi diventano rilevanti. Assumeremo indicativamente, senza giustificare l’assunzione, lDI ≈ 60η. Seconda ipotesi di similarit`a La terza ipotesi della teoria di Kolmogorov dice che in ogni corrente turbolenta a numero di Reynolds sufficientemente alto, le statistiche dei moti alla scala l, compresa fra la scala dissipativa η e la scala della produzione l0 , hanno una forma universale che e` determinata univocamente da ε e indipendente da ν. La seconda ipotesi di similarit`a di Kolmogorov afferma che per le strutture turbolente di scala intermedia il parametro che conta e` solamente la dissipazione energetica ε. Le scale intermedie vengono dette scale inerziali. La seconda ipotesi di similarit`a ha profonde conseguenze. Innanzitutto permette di stimare l’ordine di grandezza delle velocit`a caratteristiche ul delle scale intermedie in funzione della dimensione l delle corrispondenti strutture turbolente cos`ı come l’ordine di grandezza dei tempi caratteristici. Utilizzando ancora l’analisi dimensionale, e avendo a disposizione soltanto due grandezze di riferimento, la dimensione l appunto e la dissipazione energetica ε, possiamo vedere facilmente che 2 31 1 l . (3.8) ul ∝ (εl) 3 e τl ∝ ε La stima del flusso di energia trasferito dalle scale pi`u grandi verso le scale pi`u piccole e` banale poich´e dimensionalmente ε costituisce gi`a un flusso di energia. Possiamo perci`o dire che la seconda ipotesi di similarit`a di Kolmogorov e` di fatto equivalente a supporre che il flusso di energia trasferito dalle grandi scale alle piccole scale e` costante e pari a ε. Detto questo, ipotizzando che la turbolenza sia in equilibrio statistico, possiamo affermare che l’energia turbolenta trasferita dalla corrente media alle scale pi`u grandi, 3.2 – La teoria di Kolmogorov 13 produzione di energia turbolenta P, deve eguagliare l’energia che viene trasferita dalle scale pi`u grandi alle scale pi`u piccole, le scale inerziali, quindi u30 = ε. l0 (3.9) Questo risultato permette di stimare il rapporto fra alcune grandezze caratteristiche, sia alle scale inerziali, sia alle scale dissipative: alle scale inerziali 13 l ul ∝ (εl) = u0 , l0 23 2 31 l l = τ0 τl ∝ ; ε l0 1 3 (3.10) (3.11) alle scale dissipative: ν 3 l0 u30 14 ⇒ 3 l0 ∝ Re 4 , η (3.12) uη ∝ (εν) 4 ⇒ 1 u0 ∝ Re 4 , uη (3.13) ν 12 ⇒ 1 τ0 ∝ Re 2 . τη (3.14) η∝ 1 τη ∝ ε La seconda ipotesi di similarit`a di Kolmogorov permette di ricavare un ultimo risultato di enorme importanza. Abbiamo fino a questo momento ragionato sul trasferimento energetico fra le scale pi`u grandi e le scale pi`u piccole. Proviamo ora a stimare il contenuto energetico della corrente turbolenta al variare della scala. Definiamo innanzitutto l’energia cinetica turbolenta, che sar`a indicata con k, la seguente grandezza: 1 ′2 1 ′ ′ (3.15) |u | , k = hu · u i = 2 2 ˆ il vettore della fluttuazione della velocit`a. ˆ + w′ z ˆ + v′y intendendo con u′ = u′ x Essa rappresenta l’energia cinetica specifica (ossia per unit`a di massa) delle fluttazioni turbolente. Definiamo poi la densit`a spettrale dell’energia cinetica turbolenta la quantit`a E(k) che rappresenta l’energia cinetica turbolenta specifica e per unit`a di numero d’onda k, essendo k = 2π/l definito come modulo del numero d’onda vettoriale visto in precedenza. Possiamo stimare la distribuzione spettrale dell’energia turbolenta in funzione della dimensione delle strutture turbolente utilizzando ancora l’analisi dimensionale. 14 4 – Caratterizzazione di variabili, processi e campi aleatori Essendo E(k) un’energia specifica per unit`a di numero d’onda, che e` l’inverso di una lunghezza, essa ha le dimensioni di una velocit`a al quadrato moltiplicata per una lunghezza. Dobbiamo costruirla a partire dalle due sole grandezze a nostra disposizione in base alla terza ipotesi di Kolmogorov: la dissipazione energetica ε e la dimensione delle strutture l, abbiamo perci`o 2 α L3 5 2 L α β (3.16) = [ε] [l] = [L]β ⇒ α = , β = . 2 3 T T 3 3 Essendo il numero d’onda dimensionalmente l’inverso di una lunghezza, possiamo allora scrivere 5 2 (3.17) E(k) ∝ ε 3 k− 3 , che rappresenta uno dei risultati pi`u importanti e meglio verificati sperimentalmente della teoria della turbolenza per numeri di Reynolds sufficientemente elevati. 4 Caratterizzazione di variabili, processi e campi aleatori Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, la turbolenza non e` un fenomeno deterministico. In altre parole, assegnato un campo di moto con tutte le condizioni iniziali e al contorno opportune non siamo in grado di prevedere l’evoluzione nel tempo delle grandezze fluidodinamiche all’interno del campo. Utilizziamo l’aggettivo “aleatorio” per definire questo tipo di fenomeni. E` lecito domandarsi perch´e un fenomeno che e` ben modellato da equazioni deterministiche, conseguenza di principi ben consolidati della meccanica classica, possa dare luogo a fenomeni aleatori. Questo comportamento e` spiegabile con l’instabilit`a e la sensibilit`a alle condizioni iniziali e al contorno, per numeri di Reynolds sufficientemente elevati, delle soluzioni delle equazioni di Navier–Stokes: una piccola perturbazione e` in grado di modificare sostanzialmente la soluzione. Poich´e in natura le condizioni nelle quali si svolge un fenomeno presentano inevitabilmente perturbazioni, pur essendo le equazioni da cui partiamo di tipo deterministico, non siamo in grado di prevedere con certezza il campo di moto al variare del tempo. Data la natura aleatoria del fenomeno, per studiare la turbolenza ci possiamo avvalere degli strumenti matematici propri della statistica. 4.1 Variabili aleatorie e funzione densit`a di probabilit`a Consideriamo per esempio una componente del vettore velocit`a misurato in un punto in un dato istante, essa e` rappresentata dal numero reale U . Se nel caso laminare, ` della funzione densita ` di probabilita ` 4.2 – Proprieta 15 conducendo un certo numero di eperimenti, otterremo sempre lo stesso valore, a meno delle inevitabili incertezze di misura, nel caso di una corrente turbolenta questo valore cambier`a in modo imprevedibile fra una realizzazione dell’esperimento e l’altra. Diamo a U il nome di variabile aleatoria. Per caratterizzare una variabile aleatoria ci avvaliamo della funzione densit`a di probabilit`a, spesso indicata con l’acronimo PDF (Probability Density Function). La funzione densit`a di probabilit`a f (V ) ci permette di caratterizzare completamente U in senso statistico poich´e, assegnato un valore V , f (V ) dV rappresenta la probabilit`a che il valore della variabile U sia contenuto in un intorno di ampiezza dV e centrato in U = V . 4.2 Propriet`a della funzione densit`a di probabilit`a La funzione densit`a di probabilit`a e` caratterizzata da alcune semplici propriet`a che le derivano dall’essere una funzione probabilistica. Innanzitutto, essa e` sempre positiva o al pi`u nulla: f (V ) ≥ 0. (4.1) Inoltre, l’integrale su tutti i possibili valori della variabile U risulta pari a 1, il che e` ovvio poich´e e` certo che U assuma uno qualunque dei valori possibili: Z ∞ f (V ) dV = 1. (4.2) −∞ Vediamo ora come si calcolano alcune grandezze statistiche di grande interesse quali la media o valore atteso, la varianza e la deviazione standard facendo uso della funzione densit`a di probabilit`a. Incominciamo con il calcolo del valore medio, anche detto valore atteso o pi`u semplicemente media. Nel caso discreto il valore medio viene ottenuto moltiplicando ciascuno dei valori possibili della variabile aleatoria per Pla rispettiva probabilit`a e successivamente sommando tutti i valori ottenuti hU i = i Vi Pi . Nel caso continuo, come abbiamo visto, possiamo calcolare la probabilit`a che la variabile aleatoria sia contenuta nell’intorno di ampiezza dV del valore V semplicemente effettuando il prodotto f (V ) dV . A questo punto, analogamente al caso discreto, si effettua il prodotto della probabilit`a per la variabile e si integra sull’intervallo dei valori possibili: Z ∞ hU i = V f (V ) dV. (4.3) −∞ In maniera analoga, il valore medio di una funzione della variabile aleatoria U , per esempio G(U ), si calcola con l’integrale Z ∞ G(V )f (V ) dV. (4.4) hG(U )i = −∞ 16 4 – Caratterizzazione di variabili, processi e campi aleatori E` facile dimostrare che l’operatore di media e` un operatore lineare, cio`e che date due funzioni G(U ) e H(U ) e dati due numeri reali α e β risulta hαG(U ) + βH(U )i = αhG(U )i + βhH(U )i. (4.5) Inoltre e` facile dimostrare che l’operatore di media applicato al valore medio restituisce il valore medio stesso, infatti Z ∞ hG(U )if (V ) dV = hG(U )i −∞ Z ∞ f (V ) dV = hG(U )i. (4.6) −∞ Definiamo come fluttuazione della variabile aleatoria U , e la indicheremo con U ′ , la differenza fra il valore assunto dalla variabile e il valore medio della variabile stessa, U ′ = U − hU i. (4.7) E` immediato dimostrare che il valore medio della fluttuazione e` uguale a zero hU ′ i = 0. (4.8) Importanti sono anche i cosiddetti momenti centrali µi , definiti come valore medio della fluttuazione elevata alla potenza i-esima i µi (U ) = U ′ . (4.9) Il momento centrale del second’ordine viene detto varianza, mentre la sua radice quadrata viene detta deviazione standard. Per quanto riguarda i primi due momenti centrali, valgono le identit`a µ0 = 1, µ1 = 0, la cui dimostrazione e` immediata. E` spesso conveniente normalizzare il valore della fluttuazione in modo che abbia varianza pari a uno. Queste nuove variabili verranno indicate con il cappuccio e sono calcolate dividendo il valore della fluttuazione per la deviazione standard U − hU i Uˆ ′ = p . µ2 (U ) (4.10) Infine definiamo come funzione caratteristica la trasformata di Fourier della funzione densit`a di probabilit`a Z ∞ 1 f (V ) e−iωV dV. (4.11) Ψ (ω) = 2π −∞ 4.3 – Variabili aleatorie congiunte 17 4.3 Variabili aleatorie congiunte Consideriamo ancora un campo di moto turbolento. Invece di considerare una sola componente del vettore velocit`a in un punto in un determinato istante, possiamo considerare due componenti, U1 e U2 , ciascuna caratterizzata da una propria funzione densit`a di probabilit`a, f1 (V ) e f2 (V ) rispettivamente. Ciascuna delle due componenti costituisce una variabile aleatoria, ma ciascuna non e` indipendente dall’altra poich´e sono entrambe frutto di un medesimo fenomeno. Diremo allora che le due variabili sono variabili aleatorie congiunte. In questo caso introduciamo la funzione densit`a di probabilit`a congiunta delle variabili U1 e U2 e la indichiamo con f12 (V1 , V2 ). In questo caso il prodotto f12 (V1 , V2 ) dV1 dV2 rappresenta la probabilit`a che in un esperimento, nel punto e nell’istante prescelto, le variabili U1 e U2 abbiano un valore contemporaneamente contenuto rispettivamente nell’intorno di V1 di ampiezza dV1 e nell’intorno di V2 di ampiezza dV2 . Le funzioni densit`a di probabilit`a f1 e f2 possono essere ricavate a partire dalla funzione f12 eliminando una delle due variabili aleatorie mediante integrazione, infatti f1 (V1 ) = Z ∞ Z ∞ f12 (V1 , V2 ) dV2 (4.12) f12 (V1 , V2 ) dV1 . (4.13) −∞ e, allo stesso modo, f2 (V2 ) = −∞ Queste due funzioni densit`a di probabilit`a vengono definite marginali. Si definisce covarianza il momento misto del second’ordine Z ∞Z ∞ ′ ′ hU1 U2 i = (V1 − hU1 i)(V2 − hU2 i)f12 (V1 , V2 ) dV1 dV2 −∞ (4.14) −∞ e correlazione la covarianza normalizzata rispetto ai momenti centrali ρ12 = hu1 u2 i . (µ1 µ2 )1/2 (4.15) La disuguaglianza di Cauchy-Schwartz permette di dedurre che −1 ≤ ρ12 ≤ 1. (4.16) Nel caso in cui la correlazione assume valore nullo si dice che le due variabili aleatorie sono scorrelate, mentre se il valore e` pari a ±1 esse sono perfettamente correlate. 18 4 – Caratterizzazione di variabili, processi e campi aleatori 4.4 Processi e campi aleatori In una corrente turbolenta le componenti della velocit`a in un punto sono inevitabilmente funzioni del tempo, avremo perci`o U = U (t). In questo caso la funzione del tempo U (t) si definisce non pi`u variabile aleatoria, ma processo aleatorio. Per caratterizzare completamente un processo aleatorio non e` pi`u sufficiente assegnare la funzione densit`a di probabilit`a per ogni istante di tempo, f (V ; t), si noti il punto e virgola che verr`a utilizzato da qui in avanti per distinguere le variabili rispetto alle quali f e` una densit`a di probabilit`a da quelle rispetto alle quali e` una funzione. Per caratterizzare completamente un processo aleatorio occorrerebbe anche assegnare le funzioni densit`a di probabilit`a congiunte per ogni N -upla di istanti di tempo nell’intervallo di interesse, fN (V1 ; t1 , V2 ; t2 , . . . , VN ; tN ), cosa chiaramente impossibile in generale. Un processo aleatorio si dice statisticamente stazionario se tutte le funzioni densit`a di probabilit`a multitempo congiunte sono invarianti rispetto a una traslazione temporale, fN (V1 ; t1 , . . . , VN ; tN ) = fN (V1 ; t1 + T, . . . , VN ; tN + T ) ∀T > 0, (4.17) ossia se le statistiche che lo caratterizzano sono indipendenti da traslazioni nel tempo, non indipendenti dal tempo. Per descrivere dal punto di vista statistico la corrente oggetto dell’esperimento non e` sufficiente la sola funzione densit`a di probabilit`a f , poich´e essa descrive semplicemente le propriet`a statistiche di una componente della velocit`a in un punto del campo di moto ad un ben preciso istante, e` invece necessario avere le funzioni densit`a di probabilit`a in ogni punto del campo di moto, per ogni istante della durata dell’esperimento e per ognuna delle variabili in gioco, almeno le tre componenti della velocit`a e la pressione. Questi campi in quanto funzione della posizione e del tempo vengono detti campi aleatori. Indichiamo la densit`a di probabilit`a del campo di velocit`a u(r, t) come f (v; r, t). Considerando anche la pressione p(r, t) utilizzeremo la notazione f (v, q; r, t) ≡ f (U, V, W, q; r, t). Si noti ancora il punto e virgola che separa le variabili rispetto alle quali f e` una densit`a di probabilit`a, il vettore u e la pressione p, dalle variabili rispetto alle quali f e` una funzione, ossia la posizione r e il tempo t. Ma anche ci`o non e` sufficiente, poich´e manca cos`ı l’informazione sulla probabilit`a congiunta fra eventi diversi. Servirebbe allora la funzione densit`a di probabilit`a congiunta per esempio fra due componenti della velocit`a in due punti differenti nel medesimo istante, la funzione densit`a di 19 probabilit`a per due componenti di velocit`a in due punti differenti a istanti differenti, e via cos`ı. Come si vede, per caratterizzare statisticamente in modo completo un intero campo di moto e` necessaria una grande mole di informazioni che di solito non e` disponibile. Risolvere il problema della turbolenza dal punto di vista della meccanica statistica vorrebbe dire allora essere in grado, per una corrente qualsivoglia, di risalire a tutte le grandezza statistiche che caratterizzano la corrente a partire dai pochi dati normalmente a disposizione, cosa che attualmente non sappiamo fare. Per questo motivo i fenomeni turbolenti sono stati definiti da Richard Feynmann come “l’ultimo grande problema non risolto della meccanica classica”, bench´e abbiamo a disposizione un sistema di equazioni in grado di riprodurne molto bene il comportamento. Per calcolare la media di un campo aleatorio procediamo come fatto in precedenza. Supponiamo per esempio di voler calcolare la media della componente w(r, t) della velocit`a a partire dalla funzione densit`a di probabilit`a congiunta f (U, V, W, q; r, t), scriveremo Z ∞Z ∞Z ∞Z ∞ hw(r, t)i = W f (U, V, W, q; r, t) dU dV dW dq −∞ = Z −∞ −∞ −∞ (4.18) ∞ W f (W ; r, t) dW −∞ dove f (W ; r, t) = Z ∞ −∞ Z ∞ −∞ Z ∞ f (U, V, W, q; r, t) dU dV dq (4.19) −∞ Per processi e campi aleatori e` possibile dimostrare, sotto opportune ipotesi di regolarit`a valide nel caso della turbolenza, che l’operazione di media e di derivata sono intercambiabili, per esempio ∂w ∂hwi = . (4.20) ∂x ∂x 5 Le equazioni mediate della turbolenza Supponiamo di voler descrivere compiutamente, in maniera discreta, la corrente turbolenta all’interno di un condotto a sezione quadrata di lato L assegnando il valore delle tre componenti della velocit`a ed eventualmente della pressione in un certo numero di punti e per un certo numero di istanti di tempo. Supponiamo inoltre che il tempo durante il quale vogliamo descrivere il fenomeno sia dell’ordine di grandezza del tempo scala ottenuto mediante la velocit`a media all’interno del condotto U e della 20 5 – Le equazioni mediate della turbolenza dimensione del condotto stesso, per esempio il lato L, e che la dimensione longitudinale che ci interessa sia anch’essa dell’ordine di grandezza del lato del quadrato L. Utilizzando la teoria di Kolmogorov possiamo stimare la quantit`a di numeri a virgola mobile necessari. Affinch´e la descrizione spaziale sia sufficientemente fine dobbiamo assicurare che la distanza fra due punti che compongono la discretizzazione sia sufficientemente piccola da permettere di descrivere compiutamente le scale pi`u piccole della turbolenza, ossia le scale dissipative. Supponiamo quindi di costruire una griglia equispaziata nelle tre direzioni e che sia ∆x = ∆y = ∆z la distanza fra due punti successivi nelle tre direzioni. Possiamo assumere ragionevolmente ∆x = η. Il numero di punti da 3 utilizzare in ciascuna dimensione sar`a allora L/∆x ≈ l0 /η = Re 4 . Per quanto riguarda la discretizzazione temporale, ossia il numero di istanti di tempo per i quali dobbiamo conoscere il valore delle variabili, anche in questo caso dobbiamo assicurare che l’intervallo di tempo che separa due campi successivi sia sufficientemente piccolo da permettere una descrizione completa delle scale pi`u piccole della turbolenza, ∆t = τη da cui ricaviamo che il numero di istanti di tempo per i quali 1 occorre conoscere le variabili e` dell’ordine di LτUη ≈ τ0 /τη = Re 2 . Il numero totale di numeri a virgola mobile necessari per la descrizione si calcola a partire dal numero di punti necessario in ciascuna direzione, elevato alla terza per tenere conto della tridimensionalit`a del problema, e moltiplicato ancora per il numero di istanti temporali per i quali e` necessario conoscere le variabili 3 3 1 11 (5.1) N = Re 4 Re 2 = Re 4 . Supponendo di voler descrivere compiutamente il flusso d’acqua all’interno di una condotta con diametro pari a 1 m e velocit`a media pari a 1 m/s, considerando una viscosit`a cinematica dell’acqua dell’ordine di 10−6 m2 /s si ottiene Re ≈ 106 e 33 N ≈ 10 2 ≈ 1016 , (5.2) un numero molto grande anche per le risorse disponibili sui pi`u potenti calcolatori paralleli oggi disponibili. Tenendo conto del fatto che, dal punto di vista delle applicazioni ingegneristiche, un numero di Reynolds pari a 106 non e` considerato particolarmente alto, si intuisce come sia necessario trovare tecniche che permettano una descrizione pi`u sintetica delle correnti turbolente. Anche perch´e la risoluzione spaziale richiesta per una descrizione 9 completa, pari a 10− 2 m ≈ 30 µm, sarebbe di gran lunga eccessiva rispetto a qualsiasi necessit`a di tipo ingegneristico. Da questo punto di vista infatti, quello che interessa maggiormente sono i carichi medi che agiscono sulla struttura o tutt’al pi`u quelli variabili a bassa frequenza. Per ovviare a questo problema Reynolds ricav`o un modello matematico per la corrente media, le equazioni mediate di Reynolds. 5.1 – Le equazioni mediate di Reynolds 21 5.1 Le equazioni mediate di Reynolds Il procedimento che conduce a un modello matematico per la corrente media e` dovuto a Osborne Reynolds. Si parte dalle equazioni di Navier–Stokes, nel nostro caso restringeremo il ragionamento al caso di una corrente incomprimibile a propriet`a costanti, in assenza di forze di volume, ρ ∂u + ρ(u ·∇)u − µ∇2 u + ∇p = 0 ∂t (5.3) ∇· u = 0. Successivamente si applica a entrambi i membri delle due equazioni l’operatore di media, definito come Z ∞Z ∞Z ∞Z ∞ c(u, v, w, p)f (u, v, w, p; r, t) du dv dw dp, (5.4) −∞ −∞ −∞ −∞ dove f e` la funzione densit`a di probabilit`a congiunta delle quattro variabili dipendenti, si ottiene ρ ∂u + ρ(u ·∇)u − µ∇2 u + ∇p = 0, ∂t (5.5) h∇· ui = 0. Sfruttando la linearit`a dell’operatore di media e la sua intercambiabilit`a con gli operatori di derivata, si ottiene ρ ∂hui + ρh(u ·∇)ui − µ∇2 hui + ∇hpi = 0, ∂t (5.6) ∇· hui = 0. E` subito evidente come tutti i termini delle due equazioni possano essere riscritti in maniera formalmente identica sia per la velocit`a u sia per il suo valore medio hui. La sola, importantissima, eccezione risiede nel termine convettivo (u ·∇)u il cui valore medio, a causa della nonlinearit`a, non equivale al termine convettivo calcolato per il valore medio della velocit`a. In altre parole h(u ·∇)ui 6= (hui ·∇)hui. (5.7) D’altronde questo non stupisce, poich´e se i due termini fossero stati effettivamente uguali, il campo medio di velocit`a e pressione sarebbe stato identico a quello laminare, cosa che sappiamo essere contraddetta dagli esperimenti. Per poter comprendere meglio il significato del valor medio del termine nonlineare conviene riscrivere la velocit`a come somma del suo valore medio pi`u la fluttuazione, 22 5 – Le equazioni mediate della turbolenza u = hui+u′ . Con questa sostituzione si ottiene, ricordando le propriet`a dell’operatore di media, ((hui + u′ ) ·∇)(hui + u′ ) = (hui ·∇)hui + (hui ·∇)u′ + (u′ ·∇)hui + h(u′ ·∇)u′ i, ovvero, sfruttando l’idempotenza dell’operatore di media e la propriet`a secondo la quale il valore atteso della fluttuazione e` nullo, ((hui + u′ ) ·∇)(hui + u′ ) = (hui ·∇)hui + h(u′ ·∇)u′ i. (5.8) La scrittura assume un aspetto pi`u eloquente se il termine nonlineare e` riscritto nella forma originaria—conservativa—dell’equazione della quantit`a di moto da cui si ottiene la forma convettiva grazie alla legge di conservazione della massa. La forma conservativa del termine nonlineare consiste nella divergenza del tensore simmetrico ottenuto come prodotto tensoriale del vettore velocit`a per se stesso, 2 u uv uw . 2 (5.9) u⊗u= uv v vw uw vw w2 In questo caso abbiamo h∇· (u ⊗ u)i = ∇· hu ⊗ ui = ∇· (hui + u′ ) ⊗ (hui + u′ ) = ∇· hui ⊗ hui + ∇· hui ⊗ u′ + ∇· u′ ⊗ hui + ∇· hu′ ⊗ u′ i = ∇· (hui ⊗ hui) + ∇· (hui ⊗ hu′ i) + ∇· (hu′ i ⊗ hui) + ∇· hu′ ⊗ u′ i. Sfruttando di nuovo la propriet`a dell’operatore di media secondo la quale il valore atteso della fluttuazione e` nullo, si ottiene h∇· (u ⊗ u)i = ∇· (hui ⊗ hui) + ∇· hu′ ⊗ u′ i. (5.10) Le equazioni mediate alla Reynolds si scrivono dunque, sfruttando ancora una volta il vincolo di incomprimibilit`a, nella forma seguente in cui volutamente i termini rappresentativi delle forze agenti sulla particella di fluido sono stati portati a destra dell’uguale unitamente al termine ∇· hu′ ⊗ u′ i, e il termine di sinistra e` stato scritto 5.1 – Le equazioni mediate di Reynolds 23 mediante l’operatore detto di “derivata sostanziale”, relativamente alla velocit`a media hui della corrente, per comodit`a Dhui hui = − ∇hpi + ν∇2 hui − ∇· hu′ ⊗ u′ i, Dt ρ (5.11) ∇· hui = 0. E` interessante a questo punto notare l’analogia fra il secondo e il terzo termine del membro di destra dell’equazione della quantit`a di moto. Infatti il termine viscoso pu`o essere scritto a partire dal tensore degli sforzi viscosi come µ∇2 hui = ∇· hSi. (5.12) Il termine successivo e` scritto gi`a come divergenza di un tensore, il tensore −hu′ ⊗ u′ i. In effetti il termine hu′ ⊗ u′ i rappresenta il flusso di quantit`a di moto dovuto alle fluttuazioni della velocit`a e, in analogia con il fenomeno di trasporto di quantit`a di moto mediante agitazione molecolare operato dalla viscosit`a, dal punto di vista del moto medio della corrente pu`o essere riguardato come un tensore di sforzi. Per ragioni storiche si definisce per`o come tensore degli sforzi turbolenti, o tensore degli sforzi di Reynolds, il tensore 2 2 (5.13) S t = hu′ ⊗ u′ i − 21 |u′ |2 I = hu′ ⊗ u′ i − k I 3 3 che differisce da quello pi`u propriamente detto sia per il segno, sia per il fatto di essere stato diviso per la densit`a, sia per essere stato reso a traccia nulla sottraendo 32 k moltiplicato per il tensore fondamentale I. A causa di questa definizione del tensore degli sforzi turbolenti la pressione media deve essere ridefinita come 2 2 hp∗ i = hpi + ρ 12 |u′ |2 = hpi + ρk (5.14) 3 3 Con questa definizione le equazioni mediate alla Reynolds possono essere riscritte nella forma ∗ Dhui hui = − ∇hp i + ν∇2 hui − ∇· S , t Dt ρ (5.15) ∇· hui = 0. Il tensore degli sforzi di Reynolds rappresenta, dal punto di vista statistico, il tensore di covarianza delle componenti della velocit`a e le sue sei componenti sono 2 hu i huvi huwi hu ⊗ ui = huvi hv 2 i hvwi (5.16) , huwi hvwi hw2 i che rappresentano altrettante nuove incognite del problema. 24 6 – Correnti di parete 6 Correnti di parete Come applicazione delle equazioni mediate di Reynolds consideriamo un problema piuttosto semplice: la corrente in media unidirezionale e stazionaria nella regione contenuta fra due piani paralleli fermi, posti a distanza 2δ. Trascuriamo inoltre le forze di volume e di massa esterne. Per un numero di Reynolds, basato sulla velocit`a media e sull’altezza del canale, superiore a 1800 la corrente e` turbolenta, anche se gli effetti transizionali si manifestano fino a un numero di Reynolds pari a 3000. I due piani paralleli fra cui scorre il fluido rappresentano due lastre di dimensioni grandi rispetto alla loro distanza, tanto da poter essere considerate infinitamente estese. Data la geometria del dominio, conviene scegliere un sistema cartesiano ortogonale il cui asse x abbia la stessa direzione e lo stesso verso della velocit`a media, il cui asse y sia diretto in direzione perpendicolare alle pareti, e con l’asse z diretto a formare una terna destra. Poich´e le condizioni al contorno e la geometria del campo di moto sono indipendenti da x e da z e dal tempo, possiamo ipotizzare, per numeri di Reynolds sufficientemente alti le statistiche della corrente indipendenti da x e da z e dal tempo. Ipotizziamo inoltre che sia assente un gradiente di pressione in direzione z. Consideriamo ora le equazioni mediate di Reynolds. L’indipendenza delle statistiche da x e z ci permette di scrivere hui = hu(y)i. (6.1) Utilizzando il vincolo d’incoprimibilit`a per la velocit`a media, questa relazione dice che hvi = C = 0 grazie alla condizione di non penetrazione alla parete. Inoltre il fatto che il gradiente di pressione medio in direzione z sia nullo assicura che la velocit`a media in tale direzione sia anch’essa nulla, per ragioni di simmetria. Concludiamo quindi che il moto e` in media unidirezionale e la velocit`a media pu`o essere scritta ˆ. come hui(y) = hui(y) x Consideriamo ora l’equazione della quantit`a di moto. Prendiamone innanzitutto la componente lungo l’asse y; a causa della stazionariet`a e dell’unidirezionalit`a, il termine non stazionario, il termine nonlineare e il termine viscoso si annullano. L’equazione si riduce allora a d v′2 1 ∂hpi + = 0, (6.2) dy ρ ∂y che pu`o essere integrata immediatamente fornendo v′ 2 + hpi = f (x). ρ (6.3) La funzione ′ 2 f della sola coordinata x, grazie alla condizione al bordo di non penetrazione, v = 0, risulta uguale al valore della pressione a parete diviso per la densit`a: 25 f (x) = pw (x)/ρ, da cui segue v′ 2 + hpi pw (x) = . ρ ρ (6.4) Derivando questa equazione rispetto alla coordinata x vista l’indipendenza statistica della corrente da x possiamo dedurre che il gradiente di pressione medio in direzione x e` uniforme in direzione y dpw (x) ∂hpi = . (6.5) ∂x dx Anche l’equazione mediata della quantit`a di moto in direzione x si semplifica notevolmente per le ipotesi fatte e pu`o essere scritta come dτ dpw (x) = , dy dx (6.6) dove si e` definito lo sforzo tangenziale medio τ come dhui ′ ′ τ =ρ ν − hu v i . dy (6.7) L’equazione differenziale precedente contiene a sinistra dell’uguale una funzione della sola y e a destra dell’uguale una funzione della sola x, i due membri devono perci`o essere entrambi uguali a una costante. Questo significa che sia τ (y) sia pw (x) sono funzioni lineari e hanno lo stesso coefficiente angolare. A partire dal valore dello sforzo a parete τw possiamo determinare tale coefficiente angolare. A causa delle simmetria della distribuzione di velocit`a rispetto all’asse del canale, lo sforzo deve essere antisimmetrico, avremo perci`o τ (0) = τw , τ (2δ) = −τw ⇒ dτ τw =− , dy δ (6.8) da cui segue che dpw τw = (6.9) dx δ e y , 0 ≤ y ≤ 2δ. (6.10) τ (y) = τw 1 − δ Abbiamo cos`ı ottenuto una relazione che esprime lo sforzo in funzione della coordinata y. In assenza di altre considerazioni, per`o, questa relazione non ci permette di determinare il profilo di velocit`a. Infatti lo sforzo e` la somma di un contributo viscoso legato al profilo di velocit`a pi`u un contributo dovuto agli sforzi turbolenti che non siamo in grado a priori di conoscere. − 26 6 – Correnti di parete Se ci limitiamo alla zona vicina alla parete possiamo determinare il profilo di velocit`a per mezzo dell’analisi dimensionale. Iniziamo a considerare le grandezze rilevanti ai fini del fenomeno che ci interessa. In prossimit`a della parete possiamo ipotizzare ragionevolmente che siano importanti lo sforzo tangenziale a parete τw , la viscosit`a ν, la densit`a ρ, mentre consideriamo ininfluente lo spessore del canale 2δ. La variabile indipendente del problema sar`a la distanza dalla parete y e l’incognita il profilo di velocit`a media hu(y)i o, meglio la sua derivata prima dhu(y)i/dy che conta maggiormente dal punto di vista dinamico. Possiamo esprimere in forma astratta la relazione che lega queste grandezze come F (y; dhui/dy; ρ, ν, τw ) = 0. Poich´e la variabile indipendente e l’incognita sono grandezze puramente cinematiche conviene ridurre anche i parametri a parametri puramente cinematici, per questo motivo definiamo la velocit`a di attrito r τw uτ = (6.11) ρ e potremo quindi scrivere la relazione precedente pi`u convenientemente come dhui ; uτ , ν = 0 (6.12) G y; dy o, esplicitando l’incognita, uτ dhui = g(y; uτ , ν). dy y (6.13) Il teorema di Buckingham ci assicura che la relazione fra le quattro grandezze rilevanti nel fenomeno pu`o essere riscritta come una relazione fra due parametri adimensionali. Costruiamo allora attraverso uτ e ν una lunghezza di riferimento, δν = ν/uτ . Definendo y + = y/δν e u+ = u/uτ , dopo semplici passaggi algebrici possiamo scrivere dhu+ i 1 = + g(y + ). (6.14) + dy y A questo punto dobbiamo distinguere due zone della corrente: la zona molto vicina alla parete nella quale possiamo considerare rilevanti gli effetti della viscosit`a, che chiameremo substrato viscoso, e la zona un po’ pi`u lontana, dove questi effetti saranno trascurabili, che chiameremo regione logaritmica per un motivo che vedremo fra poco. Nel substrato viscoso ipotizziamo che per y prossimi a zero valga la relazione, valida per y = 0, dhui µ = τw , (6.15) dy da cui, dopo semplici passaggi algebrici, e sfruttando le definizioni di uτ , u+ e y + dhu+ i = 1. dy + (6.16) 27 In termini pi`u rigorosi possiamo dire di aver arrestato lo sviluppo in serie di Taylor di dhui/dy al termine di ordine zero nell’intorno di y = 0, questo ci permette di ottenere un risultato il cui errore ha ordine o(y + ). Integrando l’espressione precedente sotto questa ipotesi ricaviamo la velocit`a nel substrato viscoso: hu+ i = y + . Gli esperimenti mostrano che questa relazione e` ben verificata per y + < 5. Allontanandosi dalla parete e uscendo dal substrato viscoso possiamo ipotizzare che, laddove vi e` molto rimescolamento a causa delle fluttuazioni turbolente della velocit`a, l’importanza della viscosit`a sia minore, e quindi che in realt`a la relazione scritta in precedenza dhui G y; ; uτ , ν = 0 (6.17) dy non debba dipendere da ν. In questo caso allora siamo in grado di costruire un solo gruppo adimensionale che quindi deve essere costante. L’analisi dimensionale mostra che deve risultare allora dhu+ i 1 dhu+ i 1 y =C≡ ⇒ = , (6.18) dy κ dy κy dove κ viene detta costante di von K´arm´an e non deve essere confusa con il numero d’onda. Prima di integrare questa semplice equazione differenziale conviene adimensionalizzare la y. Per semplicit`a utilizziamo la stessa adimensionalizzazione utilizzata nel caso precedente, ma occorre notare che essa e` totalmente arbitraria, in quanto il risultato e` indipendente da essa. Moltiplichiamo entrambi i membri per ν/uτ e sostituiamo uτ y/ν → y + . Scriviamo quindi dhu+ i 1 = , dy + κy + (6.19) che integrata fornisce 1 u+ (y + ) = ln y + + B, (6.20) κ dove le costanti κ = 0.41 e B = 5.2 sono determinate per confronto con i dati sperimentali. Il profilo di velocit`a logaritmico risulta molto ben verificato sperimentalmente in un intervallo di distanza dalla parete compreso fra y + = 30 e y + = y/δ < 0.3. 7 I modelli di turbolenza per la chiusura delle equazioni mediate di Reynolds Come abbiamo visto in precedenza, nelle equazioni mediate di Reynolds tutti gli effetti dovuti alla turbolenza sono confinati all’interno del tensore degli sforzi di Reynolds, 28 7 – I modelli di turbolenza essendo tutti gli altri termini esattamente identici a quelli presenti nelle equazioni di Navier–Stokes. Il fatto di aver concentrato le difficolt`a in un unico termine se pu`o appagare il nostro senso estetico tuttavia non risolve il problema di determinare la corrente media. Infatti allo stato attuale della conoscenza, non e` possibile ricavare il tensore degli sforzi di Reynolds a partire dalla conoscenza della corrente media. Affinch´e, dunque, le equazioni mediate siano di qualche utilit`a occorre trovare un modo per modellare il tensore degli sforzi di Reynolds a partire dalle grandezze medie. Lo scopo dei modelli di turbolenza e` appunto quello di ricavare gli elementi del tensore degli sforzi di Reynolds a partire dal campo medio di velocit`a e pressione in modo da ottenere un sistema di equazioni con pari numero di equazioni e di incognite. 7.1 Approssimazione alla Boussinesq mediante viscosit`a turbolenta Sebbene esistano modelli di turbolenza che permettono di approssimare direttamente gli elementi del tensore degli sforzi turbolenti a partire dai campi di velocit`a e pressione medi, in questa breve trattazione ci si occuper`a solamente dei modelli di turbolenza che sfruttano il concetto di “viscosit`a turbolenta”. Abbiamo gi`a notato in precendenza come il termine nelle equazioni mediate di Reynolds che esprime gli sforzi turbolenti ∇· (−ρ S t ) ha una forma analoga al termine che esprime gli sforzi viscosi ∇· hSi. Nel caso degli sforzi viscosi e per una corrente incomprimibile, il tensore degli sforzi pu`o essere espresso come due volte il prodotto del coefficiente di viscosit`a molecolare moltiplicato per il tensore della rapidit`a di deformazione S = 2µD. L’idea suggerita per la prima volta da Boussinesq e` quella di approssimare il tensore degli sforzi di Reynolds come prodotto fra la rapidit`a di deformazione del campo medio e un coefficiente di viscosit`a turbolenta µ t , in modo che −ρ S t = 2µ t hDi. (7.21) Si ricorda che S t = S t (u′ ) = hu′ ⊗ u′ i− 32 12 |u′ |2 I, mentre, molto pi`u semplicemente, hDi = hD(u)i = D(hui). Questo tipo di approssimazione permette una notevole semplificazione del problema iniziale poich´e riduce le sei incognite aggiuntive costituite dalle componenti scalari indipendenti del tensore degli sforzi, si ricordi che il tensore e` simmetrico, alla sola variabile µ t . Alla base di questa approssimazione vi e` un’assimilazione della diffusione della quanti`a di moto operata dalle fluttuazioni della velocit`a in un campo di moto turbolento alla diffusione della quantit`a di moto operata dalla velocit`a di agitazione molecolare, che e` responsabile della viscosit`a del fluido. ` turbolenta 29 7.1 – Approssimazione alla Boussinesq mediante viscosita Tuttavia la semplificazione introdotta e` piuttosto cruda e l’analogia fra la diffusione della quantit`a di moto a causa dell’agitazione molecolare e la diffusione della quantit`a di moto a causa delle fluttuazioni di velocit`a in un moto turbolento presenta evidenti limiti. Il limite principale e` costituito dal fatto che nel caso della diffusione molecolare vi e` una netta separazione fra le scale su cui avvengono i fenomeni di diffusione, dell’ordine del libero cammino medio delle molecole, e le scale su cui avvengono i fenomeni fluidodinamici che ci interessano, se e` valida l’ipotesi del continuo e il numero di Knudsen e` sufficientemente piccolo. Nel caso della turbolenza invece questa separazione di scale non esiste, anzi il fenomeno della cascata di energia mette in gioco tutte le scale a partire da quelle pi`u grandi gi`u gi`u fino a quelle dissipative, passando per le scale inerziali. Questo fatto impedisce di separare nettamente la corrente media dalla corrente turbolenta poich´e i tempi caratteristici della turbolenza non sono nettamente inferiori a quelli della corrente media. Avremo cos`ı nelle correnti turbolente un effetto ‘memoria’ dovuto appunto agli elevati tempi di adattamento delle strutture turbolente alle condizioni esterne, effetti non presenti nel caso di correnti laminari in cui i tempi di adattamento a livello molecolare sono estremamente rapidi e permettono di considerane, nel caso incomprimibile, il fluido localmente in equilibrio termodinamico. Un altro limite evidente del concetto di viscosit`a turbolenta e` legato alla sua isotropia. Nel caso di una corrente laminare il legame fra gli sforzi e la velocit`a di deformazione e` isotropo. Ammesso che vi sia un legame di questo tipo nel caso degli sforzi turbolenti, non ci sono motivi perch´e esso sia isotropo, se non in casi molto particolari. Infine la viscosit`a molecolare e` in ottima approssimazione uniforme nel campo di moto se la temperatura e` anch’essa uniforme. Questo non vale in alcuno modo per la viscosit`a turbolenta, che varia inevitabilmente da punto a punto. Detto questo, il problema della chiusura delle equazioni mediate di Reynolds non e` stato ancora risolto, sebbene sia stato notevolmente semplificato. Nei paragrafi che seguono illustreremo, a titolo di esempio, tre modelli di turbolenza che permettono di chiudere le equazioni. Procederemo per gradi, partendo dal pi`u semplice, un modello puramente algebrico, passando poi a un modello che richiede la risoluzione di un’ulteriore equazione differenziale alle derivate parziali di diffusione e trasporto, per terminare con il modello in assoluto pi`u utilizzato in campo ingegneristico per la simulazione di correnti ricircolanti: il modello k-ε, che richiede la risoluzione di due equazioni di diffusione e trasporto aggiuntive. 30 7 – I modelli di turbolenza 7.2 Il modello della lunghezza di mescolamento di Prandtl Consideriamo una corrente che lambisce una parete, per esempio la corrente che investe una lamina di spessore infinitesimo allineata con la corrente indisturbata. Vogliamo costruire un semplice modello per calcolare la viscosit`a turbolenta. Dal punto di vista dell’analisi dimensionale, la viscosit`a cinematica turbolenta e` il prodotto di una lunghezza per una velocit`a. Nel caso della corrente in prossimit`a della parete la scala di lunghezza pi`u ovvia e` la distanza dalla parete, mentre per quanto riguarda la velocit`a la scelta e` pi`u complicata. Potremmo scegliere la velocit`a della corrente indisturbata, ma essa non sarebbe rappresentativa delle scale di velocit`a in prossimit`a della parete, laddove la diffusione turbolenta gioca il ruolo maggiore in virt`u della maggiore rapidit`a di deformazione delle particelle fluide. Una scelta pi`u ragionevole sembra essere quella di moltiplicare il modulo della derivata della componente tangente della velocit`a eseguita rispetto alla coordinata normale alla parete per la distanza della parete stessa, per la viscosit`a cinematica turbolenta otterremo allora l’espressione 2 ∂hui ν t = ky . ∂y Il limite principale di questo modello di turbolenza consiste nel fatto di essere stato costruito esplicitamente per il flusso in prossimit`a di una parete. Inoltre, per come e` stato costruito, il modello prevede una diffusione turbolenta, nulla, e quindi una viscosit`a ∂hui si annulla. Un esempio e` l’asse turbolenta anch’essa nulla, laddove la derivata ∂y di simmetria di un getto o di un canale piano. Questo aspetto e` in contraddizione con l’esperienza, che mostra come la diffusione turbolenta non si annulli affatto sull’asse di simmetria. Per questi motivi il modello della lunghezza di mescolamento di Prandtl fornisce buoni risultati in un insieme di casi abbastanza ristretto. 7.3 Il modello basato sull’energia turbolenta Uno dei limiti del modello di Prandtl consiste, come abbiamo visto, nella scelta della velocit`a caratteristica. Una scelta pi`u interessante e generale consiste nell’utilizzare una velocit`a caratteristica proporzionale alla radice quadrata dell’energia cinetica turbolenta. In questo caso la viscosit`a cinematica turbolenta pu`o essere espressa come ν t = ck 1/2 lm . Una costante c = 0.55 fornisce risultati corretti nella regione logaritmica dello strato limite. 7.3 – Il modello basato sull’energia turbolenta 31 Il problema della determinazione di ν t si e` cos`ı tradotto nel problema di determinare l’energia cinetica turbolenta e la lunghezza di mescolamento. Per quanto riguarda la determinazione della lunghezza di mescolamento si danno di solito delle ricette. Per esempio nella corrente su una lamina piana e` abbastanza naturale prendere come lunghezza di mescolamento una grandezza legata alla distanza dalla parete. Per quanto riguarda l’energia cinetica turbolenta, invece, possiamo ricavare direttamente un’equazione di diffusione e trasporto che ne modella il comportamento. Per vederlo, prendiamo le equazioni di Navier–Stokes e scomponiamo le due incognite, velocit`a e pressione, nella somma delle loro componenti medie e delle fluttuazioni, otteniamo: ∂(hui + u′ ) + ((hui + u′ ) ·∇)(hui + u′ ) ∂t 1 (7.22) − ν∇2 (hui + u′ ) + ∇(hpi + p′ ) = 0, ρ ∇· (hui + u′ ) = 0. Sottraendo da queste le equazioni mediate di Reynolds, otteniamo un’equazione per le fluttuazioni di velocit`a ′ ∂u + (hui ·∇)u′ + (u′ ·∇)hui ∂t 1 (7.23) + (u′ ·∇)u′ − ν∇2 u′ + ∇p′ = ∇· hu′ ⊗ u′ i, ρ ∇· u′ = 0. L’equazione per l’energia cinetica turbolenta pu`o essere ottenuta dall’equazione della quantit`a di moto della componente fluttuante moltiplicandola scalarmente per la fluttuazione di velocit`a u′ e prendendo la media. Si ottiene ′ ′ ∂u + u′ · (hui ·∇)u′ + u′ · (u′ ·∇)hui + hu′ · (u′ ·∇)u′ i u· ∂t (7.24) ′ 1 ′ ′ 2 ′ ′ ′ ′ − νhu · ∇ u i + hu ·∇p i = u · ∇· hu ⊗ u i . ρ Analizziamo con ordine i termini dell’equazione. Il termine non stazionario pu`o essere chiaramente riscritto come derivata rispetto al tempo dell’energia cinetica turbolenta ′ ∂ 21 |u′ |2 1 ∂hu′ · u′ i ∂k ′ ∂u u· = = = . (7.25) ∂t 2 ∂t ∂t ∂t Il primo termine dei tre derivanti dal termine nonlineare rappresenta il trasporto convettivo dell’energia turbolenta da parte del campo di velocit`a medio. Infatti possiamo osservare che ′ (7.26) u · (hui ·∇)u′ = hui · ∇ 12 |u′ |2 = hui · ∇ 12 |u′ |2 = hui · ∇k. 32 7 – I modelli di turbolenza Utilizzando l’operatore “derivata sostanziale” della corrente media Dhui /Dt, questi primi due contributi possono essere sintetizzati come Dhui k . Dt (7.27) Consideriamo ora il terzo termine a primo membro. Cominciamo riscrivendolo attraverso la notazione tensoriale basata sugli indici. Non ci preoccuperemo di distinguere fra grandezze covarianti e controvarianti poich´e limitiamo l’analisi a un sistema di coordinate cartesiane ortogonali. Indicando le tre componenti della velocit`a u, v e w con i simboli u1 , u2 e u3 rispettivamente, e analogamente le tre coordinate x, y, z con x1 , x2 e x3 possiamo scrivere ′ ∂hui i ′ ′ ′ ∂hui i = u′i u′j u · (u ·∇)hui = ui uj . (7.28) ∂xj ∂xj Dove si e` adottata, come nel seguito, la convenzione di Einstein secondo la quale si sottindende la sommatoria sugli indici ripetuti. Questo termine rappresenta il prodotto scalare fra il tensore degli sforzi di Reynolds S t e il tensore della rapidit`a di deformazione media e rappresenta, cambiato di segno, la produzione di energia cinetica turbolenta, infatti e` presente un termine uguale e contrario nell’equazione dell’energia cinetica della corrente media. Per vederlo innanzitutto ′osserviamo ′ che ′ il termine pu`o essere scritto in forma sintetica come ui uj hgij i. Il termine ui u′j rappresenta un tensore simmetrico. Ricordando che G = D + R e ricordando che la contrazione fra un tensore simmetrico e uno antisimmetrico (emisimmetrico) e` nulla, otteniamo hu′ ⊗ u′ i : hGi = hu′ ⊗ u′ i : hDi, (7.29) P P dove A : B ≡ i j ai,j bij . Ora osserviamo che il prodotto scalare fra un tensore isotropo, ossia del tipo cI, e il tensore hDi e` nullo nell’ipotesi di incomprimibilit`a della corrente. Infatti cI : hDi = c∇· hui = 0. Quindi possiamo scrivere hu′ ⊗ u′ i : hDi = hu′ ⊗ u′ i − 32 kI : hDi = S t : hDi, (7.30) dove ricordiamo che S t = S t (u′ ) mentre hDi = hD(u)i = D(hui). E` interessante osservare infine che alla produzione di energia cinetica turbolenta partecipa esclusivamente la parte anisotropa del tensore degli sforzi turbolenti. Definiamo quindi come produzione di energia cinetica turbolenta il termine P = −S t : hDi. (7.31) Il quarto termine pu`o essere trattato in maniera analoga al secondo, infatti 1 1 hu′ · (u′ ·∇)u′ i = h(u′ ·∇)(u′ · u′ )i = u′ ·∇|u′ |2 2 2 (7.32) 7.3 – Il modello basato sull’energia turbolenta 33 e, sfruttando l’identit`a vettoriale a · ∇φ = ∇· (φa) − φ∇· a e il vincolo di incomprimibilit`a, si ottiene 1 ′ ′2 1 ′ ′ ′ ′ ′ ′ (7.33) u (u · u ) = ∇· u |u | hu · (u ·∇)u i = ∇· 2 2 Per quanto riguarda il quinto termine hu′ · ∇2 u′ i conviene riscriverlo nella forma hu′ · ∇· D(u′ )i = hu′ · ∇· D′ i, dove l’apice di D′ indica che si tratta del tensore rapidit`a di deformazione della fluttuazione della velocit`a u′ : D′ ≡ D(u′ ). Utilizziamo a questo punto l’identit`a ∇· (Ab) = b · (∇· AT ) + AT : G(b) da cui si ricava, per A simmetrico, ∇· (Ab) = b · (∇· A) + A : D(b). Si ottiene hu′ · ∇· D′ i = ∇· hD′ u′ i − hD′ : D′ i. (7.34) Il secondo termine a destra, a meno del segno e del fattore 2ν = 2µ/ρ, si definisce dissipazione turbolenta e si indica con (7.35) ε = 2ν hD′ : D′ i = 2ν |D′ |2 . Questa grandezza e` sempre positiva o al pi`u nulla e rappresenta il rateo con cui l’energia cinetica turbolenta e` trasformata in energia interna a causa della viscosit`a e permette di scrivere hu′ · ∇· (2ν D′ )i = ∇· (2ν hD′ u′ i) − ε. (7.36) Il sesto termine hu′ · ∇p′ i/ρ pu`o essere riscritto, grazie a una semplice identit`a vettoriale e sfruttando ancora l’incomprimibilit`a delle fluttuazioni, come ∇· (u′ p′ /ρ). Il termine di destra e` semplicemente nullo essendo lineare nella velocit`a u′ , per cui le propriet`a dell’operatore di media implicano ′ u · ∇· hu′ ⊗ u′ i = hu′ i · ∇· hu′ ⊗ u′ i = 0 · ∇· hu′ ⊗ u′ i = 0, (7.37) il che significa che le fluttuazioni della velocit`a non fanno lavorare gli sforzi turbolenti, L’equazione per l’energia turbolenta diventa perci`o Dhui k + ∇· c′ = P − ε. Dt dove si e` definito il termine di flusso ′ |u′ |2 p ′ ′ ′ ′ + u′ − 2ν hD(u′ )u′ i. c = c (u , p ) = ρ 2 (7.38) (7.39) Analizzando nel dettaglio l’equazione per l’energia turbolenta ci si rende conto immediatamente che sono state introdotte delle nuove grandezze incognite, il cui valore non 34 7 – I modelli di turbolenza e` direttamente riconducibile al valore delle incognite introdotte in precedenza. Inoltre vediamo subito che le equazioni contengono momenti di ordine superiore, in questo caso del terzo ordine, hu′ (u′ · u′ )i. Potremmo cercare di scrivere delle nuove equazioni per le restanti incognite, ma ci accorgeremmo ben presto che nelle nuove equazioni emergono nuovi termini, che richiedono a loro volta altri termini e via cos`ı all’infinito. Del resto la cosa non desta particolare preoccupazione. Infatti gi`a accettando la semplificazione di modellare il tensore degli sforzi di Reynolds con l’aiuto del coefficiente scalare ν t abbiamo accettato di costruire modelli approssimati dei fenomeni in esame, quindi l’idea di modellare i termini incogniti in funzione degli altri non pone ulteriori problemi. Nel caso in questione due sono i termini di cui occorre fornire una modellizzazione: la dissipazione turbolenta ε e il termine di flusso c′ . Per quanto riguarda la dissipazione, ipotizziamo che essa sia legata esclusivamente ai due parametri che abbiamo utilizzato per caratterizzare la turbolenza: l’energia turbolenta k e la lunghezza di mescolamento lm ; l’analisi dimensionale permette allora di ricavare ε = CD k 3/2 . lm Il secondo termine e` modellato, molto drasticamente, assimilandolo alla diffusione del calore per conduzione in cui il coefficiente di trasmissione sia legato alla viscosit`a turbolenta mediante un numero di Prandtl turbolento σ t a cui viene generalmente assegnato valore unitario, νt c′ = − ∇k. σt Con le approssimazione effettuate, l’equazione per l’energia turbolenta diventa quindi Dhui k k 3/2 νt − ∇· ∇k = P − CD . (7.40) Dt σt lm I limiti di questo modello sono due. Il principale, che per`o caratterizza un po’ tutti i modelli di turbolenza, consiste nel fatto che le approssimazioni introdotte per ottenere la chiusura del conto equazioni-incognite hanno uno scarso fondamento teorico e la loro validit`a e` quindi poco generale. Questo si traduce nella necessit`a di tarare in modo diverso i coefficienti nelle equazioni a seconda del problema affrontato, al fine di ottenere risultati di qualit`a accettabile. Il secondo limite, che riguarda questo modello pi`u in particolare, consiste nel fatto che per correnti in geometrie complesse non e` facile individuare la lunghezza di mescolamento corretta, ammesso che ne esista una. Per questo motivo questo modello di turbolenza trova applicazione esclusivamente per correnti in geometria relativamente semplice, ed e` poco utilizzato in campo ingegneristico. 7.4 – Il modello k-ε 35 7.4 Il modello k-ε Con un procedimento simile a quello adottato per ricavare l’equazione dell’energia turbolenta e` possibile ricavare un’equazione di diffusione e trasporto per la dissipazione di energia turbolenta ε e quindi superare la difficolt`a di dover determinare una lunghezza di mescolamento della corrente a partire dalla sua geometria, infatti note k ed ε e` possibile esprimere la viscosit`a turbolenta grazie a considerazioni di tipo dimensionale come k2 ν t = Cµ (7.41) ε dove a Cµ viene assegnato il valore 0.09. L’equazione che modella il comportamento della dissipazione ε pu`o essere ricavata nel modo seguente: • si prende il rotore dell’equazione per la fluttuazione di velocit`a (7.23); • si moltiplica scalarmente per il rotore della fluttuazione della velocit`a ω ′ = ∇×u′ ; • si sfrutta l’identit`a ε = νh|ω ′ |2 i, valida per la turbolenza omogenea; • si effettua la modellazione di tutti i termini che non sono funzione delle incognite del problema, velocit`a media, pressione media, energia turbolenta e dissipazione turbolenta. Tuttavia occorre notare che mentre la dissipazione turbolenta assume rilevanza alle scale dissipative, laddove la viscosit`a gioca un ruolo decisivo, nel modello k-ε l’incognita ε va vista pi`u come flusso di energia turbolenta nella cascata energetica. Per questo motivo ha poco senso ricavare direttamente un’equazione per ε che abbia rilevanza alle scale dissipative per utilizzarla per modellare i fenomeni su scala inerziale. Per questo motivo l’equazione per la dissipazione turbolenta viene scritta direttamente in analogia con l’equazione dell’energia turbolenta, come combinazione di un termine di trasporto, di un termine di diffusione, di un termine di produzione e di un termine di dissipazione, ε2 Pε νt Dhui ε − ∇· − Cε2 . (7.42) ∇ε = Cε1 Dt σε k k La forma dei termini del membro di destra pu`o essere ricavata semplicemente mediante l’analisi dimensionale sfruttando le due grandezze k ed ε mentre σε , Cε1 , Cε2 sono costanti adimensionali i cui valori standard sono rispettivamente σε = 1.3, Cε1 = 1.44 e Cε2 = 1.92. 36 7 – I modelli di turbolenza Nel modello k-ε quindi, alle equazioni mediate di Reynolds in cui si e` utilizzata l’approssimazione di Boussinesq per modellare il tensore degli sforzi di Reynolds, si aggiungono per la chiusura la relazione (7.41) per il calcolo della viscosit`a turbolenta, l’equazione (7.40) per l’energia turbolenta e l’equazione (7.42) per la dissipazione energetica turbolenta. Bibliografia [1] U. Frisch, Turbulence, Cambridge University Press, Cambridge, 1995. [2] S. B. Pope, Turbulent flows, Cambridge University Press, Cambridge, 2000. 37
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