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MODELLO PSICOPATOLOGICO/DIAGNOSTICO ANALITICO
(PSICODINAMICO) BIASSIALE:
In questo corso ci occuperemo di psicopatologia analitica come unita
e inscindibile dalla diagnosi psicoanalitica, e faremo anche specifici cenni
alla terapia che si deve instaurare in seguito alle diagnosi eseguite.
Due parole sulla diagnosi analitica. Etimologicamente diagnosi
significa dià, “attraverso” (alcuni segni) e gnosis “conoscenza”, quindi
“conoscenza attraverso alcuni segni”. Da un punto di vista strettamente
medico per diagnosi si intende: la definizione di una o più malattie
possedute da un individuo attraverso l’interrogatorio del malato, i sintomi,
la semeiotica e gli esami di laboratorio. Quando ero uno studente in
medicina, i vecchi medici come mio nonno, o i grandi professori che ha
avuto Bologna come il compianto professor Lenzi, di cui ho avuto l’onore
di potergli fare diverse volte da “porta borse” nei suoi consulti perché era
amico fraterno della mia famiglia, dicevano che “una buona diagnosi è
sempre l’inizio di una buona terapia”.
E questo è ovvio, perché senza diagnosi brancoliamo nel buio, e non
sappiamo assolutamente che cosa fare né come farlo di fronte alla persona
che soffre e chiede il nostro aiuto.
Ora, la psicopatologia generale non è solitamente uno strumento
diagnostico se la si intende in senso psichiatrico classico, poiché essa si
occupa solo dello studio dei sintomi patologici della coscienza del malato,
o se volete, dell’Io- coscienza del malato mentale. E ora, poiché molti
sintomi psicopatologici sono comuni a sindromi differenti, come ad
esempio l’angoscia, il loro evidenziarne gli aspetti specifici descrittivi non
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può essere usato come strumento diagnostico specifico di alcuna patologia
peculiare.
Ma poiché, noi ci siamo o ci stiamo specializzando in psicoterapia
analitica, anziché occuparci, come normalmente si fa, della psicopatologia
descrittiva, ce ne occuperemo in un modo rigorosamente analitico - o se vi
piace di più psicodinamico, ma io preferisco il termine analitico perché
presuppone la esistenza di meccanismi inconsci alla base dei processi
patologici – e , come dicevo, faremo una psicopatologia analitica in
questo corso, perché in ciò mi sono formato e in questo vi state formando,
come la dizione stessa dei vostri futuri diplomi riporterà: specialista in
psicoterapia analitica, e non descrittiva, o cognitivo comportamentale o
quant’altro.
Ora, dopo gli stupendi e rivoluzionari lavori della Mc. Williams (a
dimostrazione che le donne quando vogliono sanno essere assolutamente
logiche e classificatorie quanto se non di più degli uomini), la
psicopatologia analitica è una ed un'unica cosa con la diagnosi
psicoanalitica.
Secondo una psicopatologia ad orientamento analitico infatti non si
esaminano i singoli sintomi intesi in modo descrittivo e avulsi da sindromi
specifiche, ma si esaminano tutti i processi psicopatologici come
assolutamente associati a specifiche strutture di personalità : giacché,
in senso analitico, la psicopatologia dell’isterico, non è quella del
narcisista, che non è, a sua volta quella dell’ossessivo etc, e ciò ci consente
di esaminare la psicopatologia in modo specifico e quindi diagnostico.
Ecco perché diagnosi psicoanalitica e psicopatologia analitica sono
inscindibili e costituiscono le due facce della stessa moneta: una moneta
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che non possiamo mai fare a meno di “spendere” quando ci mettiamo in
gioco come terapeuti.
Anzitutto va precisato che scopo del processo diagnostico analitico
non è quello di valutare quanto un individuo sia malato o normale (due
termini che in psicopatologia spesso vogliono dire ben poco), ma capire
quale sia la particolarità della sua sofferenza e quanta sia la forza
della struttura (il livello evolutivo) della sua personalità al fine di
alleviare la prima e ricostruire e/o rafforzare la seconda.
Quindi, come vedete, la diagnosi e la psicopatologia analitica che
sottendono la stessa diagnosi, sono già la base stessa della terapia. Senza
diagnosi, come vorrebbero certi teorici della psicoanalisi (come Lacan) chi
cura chi, e chi cura cosa? Certo, si sostiene che la cura non è lo scopo della
analisi, (come fa Hilmann), ma allora quale è il suo scopo? La parcella? Io
credo che come sancisce la legge che dice che la “psicoterapia è la cura
con mezzi non somatici dei disagi psichici (nel nostro caso
prevalentemente la parola)”, chi sostiene che non si deve diagnosticare e
non si deve auspicare di curare, farebbe meglio a chiedersi di che cosa sta
parlando e perché si scrive “psicoterapeuta” cioè “colui che cura la psiche”
sulla carta intestata e sul biglietto da visita.
Il modello diagnostico psicopatologico analitico, ideato dalla Mc
Williams, si avvale di due assi diagnostici:
ASSE I: misura il livello evolutivo di organizzazione di
personalità.
ASSE
II:
misura
lo
stile
difensivo
(ovvero
le
modalità
difensivo/relazionali di adattamento dell’Io all’ambiente esterno e alle
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pulsioni inconsce interne) all’interno di quel livello evolutivo di
organizzazione di personalità.
L’ASSE I: individua, a) il livello di integrazione dell’Io; b) il suo
sviluppo; c) i punti di fissazione (orale, anale, genitale), definendo così il
tipo di struttura di personalità del soggetto: nevrotica, psicotica,
borderline.
L’ASSE II: è rappresentato dai meccanismi di difesa dell’Io
maggiormente adoperati dal soggetto, determina, cioè, quella che sarà la
modalità di reazione con l’ambiente, che è ciò che la Mc Williams
definisce come “carattere dell’individuo”.
ASSE I
Livelli evolutivi di organizzazione di personalità
La teoria psicoanalitica dei livelli evolutivi di personalità si basa su 3
assunti precisi:
I°) I problemi psicologici attuali sono derivati da precursori infantili :
come dice il Gabbard, l’infanzia è il prologo dell’individuo;
II°) Le relazioni e le esperienze infantili sono la matrice che struttura il
modus vivendi e la interpretazione della realtà da adulti;
III°) L’identificazione del livello evolutivo, inteso come fissazione,
raggiungimento, o blocco di certe competenze evolutive, è di
fondamentale importanza per comprendere il tipo di struttura e di
personalità del paziente.
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In senso analitico (Freud) i termini personalità e carattere tendono a
sovrapporsi anche se attualmente hanno assunto significati differenti, per
cui è meglio parlare di personalità anziché di carattere essendo
quest’ultimo un segno individuale distintivo non raggruppabile in un
gruppo come i vari tipi di personalità, con caratteristiche più che altro di
giudizio qualitativo, spesso moraleggiante: “un buon, cattivo, pessimo
carattere”.
In ogni caso in senso analitico il carattere/personalità dell’individuo è
visto in senso dinamico. Ovvero sia come un qualcosa che si sviluppa ed
evolve mutando nel tempo dalla nascita alla età adulta; sia come
formata da tre parti che sono i famosi Es Io e Super-Io in un loro
rapporto reciproco conflittuale che può essere in equilibrio o meno. Tali
parti sono delle Istanze psichiche, cioè come dice il termine sono delle
domande pressanti che richiedono soddisfazione e quelle dell’Es sono in
contrasto con quelle del Super-Io, e il nostro povero Io, secondo la
concezione psicoanalitica classica si trova a mediare fra queste istanze, dal
suo livello evolutivo e quindi dalla sua “forza” dipende l’equilibrio
psichico.
Ora per la psicoanalisi il livello evolutivo della personalità di un
individuo è determinata dal suo sviluppo psico/sessuale che si suddivide
in 3 fasi pregenitali (che sono la orale, la anale e la fallico/edipica) e 1
fase (l’ultima) dello sviluppo genitale adulto normale. Per ogni stadio di
sviluppo esistono dei conflitti tipici il cui superamento comporta lo
sviluppo.
Ora secondo tale concezione è
possibile che per varie cause è
possibile che tale sviluppo si arresti o regredisca a un determinato
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stadio di questo sviluppo, causando una struttura di personalità
caratteristica ed abnorme che è alle base di varie strutture patologiche del
carattere.
Pertanto possiamo avere quindi o un blocco a una fase di sviluppo
cronologicamente superata e questo “ancoramento”, viene definito
“Fissazione”. Invece la “Regressione” consiste in un ritorno, a seguito
di un trauma psichico, della libido a una fase di sviluppo precedente
rispetto a quello già raggiunto.
Comunque in entrambi i casi questo stadio inferiore dello sviluppo,
acquisisce, in tal modo, una importanza esagerata nella personalità di
un adulto.
Le principali fissazioni con i relativi “caratteri” sono:
Orale da cui dipendono le strutture di personalità: depressiva,
narcisista, psicopatica e borderline;
Anale da cui dipendono quelle ossessivo, compulsivo, paranoide;
Fallico/Edipica
da
cui
derivano
la
personalità
isterica,
prevalentemente, ma secondo alcuni, Fromm, (io non sono d’accordo per
nulla) quello che sia Fromm che Kernberg chiamano narcisismo maligno,
nel senso che il narcisismo maligno non credo sia come vuole Fromm una
fissazione incestuosa alla madre, o come vuole Kernberg una scissione
borderline più grave: io penso che si conformi perfettamente alla
psicopatia, perché queste persone non solo non sanno minimamente amare,
come fa chi è fissato alla madre anche se in modo abnorme, e non soffrono
minimamente cosa che invece fa il borderline. Cercheremo di parlarne
successivamente.
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Genitale, invece porta alla normalità che detta in termini molto
semplici da Freud, ma secondo me molto veri, consiste nella capacità di
sostentarsi autonomamente e nell’essere capaci di amore vero (provate
a pensare quanti vostri pazienti sono capaci di fare entrambe le cose e
vedrete quale è il primo scopo di ogni vostra terapia).
Quindi
seguendo
questo
concetto
potremo
avere
una
fissazione/regressione alla prima fase dello sviluppo psichico quella
nutritiva (Orale) e in tal caso avremo due caratteristici forme di tratti
caratteriali orali che possono presentarsi alternativamente nello stesso
individuo in base alle circostanze (più frequente), oppure essere presenti in
una sola forma e si basano o su una fiducia di base oppure su una
mancanza di fiducia:
1) Orale ricettivo (succhiare): è l’individuo che si aspetta, per una
sorta di diritto naturale, di venire “nutrito” in tutte le forme possibili
di “nutrizione”, materialmente, emozionalmente e intellettualmente.
E’ la persona “dalla bocca aperta” (Fromm) fondamentalmente passiva e
dipendente che sta in attesa che le venga fornito ciò di cui ha bisogno.
E tutto ciò per 2 motivi fondamentali: 1) perché se lo merita (gli spetta)
essendo tanto buona o ubbidiente (un bravo bimbo); 2) oppure a causa di
un elevatissimo narcisismo perché egli si crede di essere così
meravigliosa da dover essere presa in carico da altri. Un individuo di
questo tipo si aspetta, senza fare nulla, che tutto gli sia offerto, senza
mai dover ricambiare.
2) Orale aggressivo (mordere): anche lui crede che tutto ciò di cui
ha bisogno debba venirgli fornito dall’esterno e non dalle sue fatiche.
A differenza, però, dell’orale passivo non si aspetta che chiunque gli
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fornisca spontaneamente ciò di cui ha bisogno, ma cerca di ottenere dagli
altri con la forza quanto gli occorre; il suo è un carattere esplicitamente
predatorio. Ovvero, del “predare” cioè di sottrarre, strappare con la
violenza. Tuttavia, in questi casi la “violenza” va intesa in senso lato, cioè
non solo nel senso di coazione fisica, ma anche solo morale,
manipolatoria, plagiante ed esercitata su uno o su un gruppo di soggetti per
ottenere quello che si vuole, a qualsiasi costo.
Quindi l’atteggiamento di eccessiva dipendenza dagli altri del
carattere orale si manifesta cioè nell’attendere “passivamente” il
nutrimento (fiducia di base) o nel “depredare” il nutrimento (mancanza di
fiducia). In entrambi i casi ciò che caratterizza l’atteggiamento orale è la
non produttività, ovvero il non procurarsi da sé il “nutrimento”. Come
già detto i due atteggiamenti frequentemente coesistono nella stessa
persona a seconda delle circostanze: ad esempio l’atteggiamento passivo
diviene predatorio nel momento in cui l’individuo non ottiene ciò di cui
crede di avere diritto.
La parola che caratterizza questo atteggiamento è: pretese. Ovvero,
esigenze eccessive e non giustificate, ed è interessante osservare che nella
lingua italiana, in senso figurato “pretesa” significa “presunzione” e quindi
“pretenzioso” e “presuntuoso” sono sinonimi: non bisogna mai
dimenticare che “narcisismo” è il termine psicoanalitico scientifico per
definire proprio il presuntuoso cioè colui che crede di avere una
importanza di gran lunga superiore a quella che possiede veramente.
Comunque, in base a ciò, l’orale passivo sarà più facilmente portato ad
avere una organizzazione depressiva di personalità (aggressività verso di
sé), mentre l’orale aggressivo avrà più facilmente una personalità
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narcisista o sociopatica, e il borderline è colui che nella sua scissione
profonda alterna tipicamente i due tipi di atteggiamenti orali: passivo
quando ama, predatorio quando odia.
Quindi, proseguendo nello sviluppo psico sessuale, la fissazione
potrà poi essere a livello dell’aspetto della necessità di autonomia e
indipendenza, ossia della seconda fase dello sviluppo junghiano (la
anale). Avremo quindi l’atteggiamento sadico anale. Ciò che caratterizza
questo atteggiamento è l’autonomia associata al bisogno di controllo e da
un sentimento di vergogna o di dubbio. La fissazione a questo stadio
potrà manifestarsi attraverso una esagerata ostinazione con caratteristica
ripetitività, una vera mania per l’ordine e la pulizia associate a una
elevata parsimonia che giunge il più delle volte alla franca avarizia.
Ovvero, per spiegarsi, quando parliamo di avarizia intendiamo quelle
persone che spendono sempre a malincuore, o non spendono affatto per un
morboso attaccamento al danaro, ma anche nel senso di colui che si
trattiene dal fare alcunché per gli altri, non li danneggia, perché in genere è
corretto, ma non li aiuta e non da scarsamente affetto è cioè “avaro di
affetti”. Quindi non sono avidi, cosa tipica dell’orale, ma avari cosa assai
diversa. E per ostinazione intendiamo quelle persone tenaci e risolute nei
propri propositi, ferme e irriducibili nella volontà, ma non nel senso
positivo del termine, ma nel senso di caparbietà, assenza di elasticità
mentale, o è così o è così. Questa è la struttura di carattere di quegli
individui che non credono che qualcosa di nuovo possa mai essere creata
(tutto deve assolutamente restare in ordine, ovvero così come è), e si
comportano e reagiscono in modo sempre uguale. Di conseguenza tali
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persone ritengono che l’unico modo che esista per avere qualcosa sia
conservare/accumulare quello che già hanno (sono, appunto, “stitici”).
Si considerano una specie di fortezza dalla quale nulla può uscire perché,
per loro, cambiare, uscire, spendere e dare equivale a “morire”. Tendono
ad essere così pedanti, precisini, ed insopportabili, perché per loro ne va
della loro vita. Lo spendere, il rischio, il disordine, la passione, tutte quella
cose che a molti fanno sentire “vivi” per l’anale è solo follia perché tutto
questo caos li condurrebbe alla morte. Sono quelle persone che “non si
lasciano mai andare veramente” e “non si fidano mai di nessuno”. Per
Freud le 3 caratteristiche salienti di questo carattere sono: l’ordine, la
parsimonia e l’ostinazione.
Le parole che li caratterizzano sono immutabilità e controllo.
Se ancora la fissazione si verifica invece sull’aspetto della sessualità
fallico/edipica, avremo un atteggiamento caratterizzato dalla teatralità
(un modo esagerato, artificioso, innaturale, non spontaneo di prorsi)
manifesta o accuratamente simulata che richiede sempre “un pubblico” di
ammiratori per manifestarsi. Tali individui sono caratterizzati da una
emotività innaturale (più frequentemente iperemotività ma talora anche
ipoemotività o una ipoemotività simulata) che appare artificiosa e alla
ricerca quasi dipendente di eccitazione e drammaticità. Questi individui
in cui sono sempre presenti problematiche narcisistiche sono in genere
efficienti e portatori di sensi di colpa di vario grado.
La frase che li caratterizza è “mi devi guardare”.
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Infine l’ultima fase quella della maturità
corrisponde a quella
genitale freudiana; “genitale” in senso lato come capacità di generare a
tutti i livelli della propria vita. Essa corrisponde ad uno stato di buon
adattamento. E’ la condizione, come già detto, della capacità di amare e
di lavoro (nelle altre condizioni orale manca sia amore che lavoro nelle
altre pur potendo esserci anche una discreta capacità lavorativa la capacità
di amare seriamente continua a mancare) esso è il carattere “produttivo”
(Fromm) maturo, adulto, pienamente sviluppato.
Nella diagnosi si struttura di personalità, la teoria pulsionale
freudiana, è stata rielaborata da Erikson in termini di compiti
interpersonali del bambino.
In questo modo si potevano identificare pazienti con fissazioni a
problemi primari di dipendenza (corrisponde a fiducia/sfiducia orale), a
problemi secondari di separazione (autonomia, vergogna e dubbio:
anale); o a livelli più avanzati di identificazione (iniziativa/colpa:
fallico/edipica).
I pazienti di livello psicotico, appaiono fissati a un livello
fusionale/simbiosi precedente la separazione, per cui il paziente non
riesce a separare ciò che è dentro di sé da ciò che è fuori
(differenziare): problemi di dipendenza.
Chi invece è in una condizione borderline è invece fissato su una
conflittualità diadica tra fusione totale, che teme possa cancellare la
sua identità, e il totale isolamento equiparato a un abbandono
traumatico: problemi di separazione.
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Infine chi ha difficoltà nevrotiche pur avendo portato a termine il
compito di separazione/individuazione, si dibatte in conflitti interiori,
come ad esempio fra ciò che desidera e ciò che teme, il cui prototipo è il
dramma edipico.
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ASPETTO GENETICO
Non vi sono opere che affrontino in modo sistematico e psicopatologico la
teoria Freudiana dello sviluppo psico sessuale della personalità
(compreso quella del Bergeret, anche se in essa vi è la migliore
esposizione che io abbia trovato). Questa teoria, è una teoria che ha avuto
molte revisioni, ampliamenti e contestazioni nel corso dello sviluppo della
Psicoanalisi, ma è una teoria che non può non essere conosciuta
approfonditamente da chi vuole fare lo psicoterapeuta analitico.
Davvero, si può dire, come si dice per la filosofia di Platone in storia
della filosofia, che in fondo tutta la storia della psicoanalisi altro non è che
“un commento all’opera di Freud sulla sua genealogia psico sessuale della
personalità”. Ecco perché il corso di quest’anno si baserà in modo
specifico su di essa e sulle sue fasi di sviluppo individuate da Freud.
Non si pretende di colmare le lacune letterarie al riguardo, ma
dobbiamo almeno schematicamente descrivere le grandi tappe (fasi) di
questa genesi.
Osserveremo queste fasi da un doppio punto di vista:
1) dello sviluppo psico sessuale da una parte, orientato dalla entrata in
gioco successiva delle diverse zone erogene;
2) della relazione d’oggetto (o relazione oggettuale) dall’altra parte,
espressione che designa in particolare le forme delle relazioni che il
soggetto instaura con gli “oggetti” (compreso sé stesso) nel corso dei
diversi momenti evolutivi.
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INFLUENZE PRENATALI E NEONATALI
LE INFLUENZE PRENATALI
Greenacre (importante studioso della importanza dei traumi nello
sviluppo della personalità, 1971), ritiene nei suoi studi (studi peraltro
confermati anche oggi sull’attaccamento e conoscenza e regolazione delle
emozioni, Liotti) che la costituzione, le esperienze prenatali, e la
situazione che segue immediatamente la nascita, contribuiscano a creare
una predisposizione all’angoscia, o “preangoscia”, che è diversa dalla
angoscia successiva, in quanto manca di contenuto psicologico e opera a
livello riflesso.
Sappiamo bene, si può dire con certezza che il feto è capace di agire
in diversi modi dato che si muove, dà colpi con i piedi, si gira… tutte
manifestazioni che qualsiasi donna incinta aspetta persino con una certa
impazienza. Sappiamo, per certo, che il feto si succhia già il pollice nel
ventre della madre ad esempio. Sappiamo anche che il feto reagisce ad
alcuni stimoli esterni con aumento di movimenti, una accelerazione del
battito cardiaco… e così via, per esempio quando vicino alla madre si fa
sentire un suono forte ed acuto. Il feto presenterebbe anche, analogamente,
un considerevole aumento di attività quando la madre attraversa periodi di
intense esperienze emozionali; e ciò proverebbe che lo stato psico
fisiologico
della
madre
esercita
una
influenza
sul
tipo
di
comportamento del feto normale. Esso addirittura, potrebbe gridare
nell’utero se, per sbaglio, dell’aria fosse immessa nella cavità uterina.
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Greenacre interpreta tutte queste reazioni connesse a situazioni di
disagio come una prova del fatto che prima della nascita esiste uno
schema di condotta simile all’angoscia. Questo schema, influenzato
ulteriormente (rafforzato) dalla nascita e dalle prime esperienze post natali,
costituisce, per l’Autore, un potenziale organico e fisiologico (riflesso),
che, se particolarmente forte, può avere come conseguenza reazioni più
violente ai pericoli psicologici che subentreranno nel corso della vita.
Altri autori avrebbero dimostrato che sarebbe persino possibile
condizionare il feto. Ma è evidente che non siamo ancora in grado di
valutare gli effetti dell’ambiente prenatale sullo sviluppo della personalità.
Per cui solo a titolo di aneddoto, e non come fatto scientifico, che citiamo
la pratica degli tzigani che consiste, quando si vuole creare un musicista di
valore, nel fargli “sentire” fin dalla vita intrauterina arie di violino suonate
da un maestro di violino accanto al ventre della madre.
Infine, voglio parlarvi anche di Fodor e dei suoi lavori. Egli sostiene
attraverso delle ricostruzioni (che però non possono avere validità
scientifica) basate sui “fantasmi” e sui così detti “sogni prenatali” fatti da
lui stesso e dai suoi pazienti, che l’aspetto traumatico dell’ambiente
prenatale dovrebbe essere prima di tutto causato dalla violenza dei
rapporti sessuali fra i genitori avvenuti durante la gestazione. Di fatto
Fodor, postula la esistenza di una sorta di “coscienza organismica”
finalizzata e resa possibile da comunicazioni telepatiche fra la madre e il
feto; tuttavia, è chiaro che l’esistenza della telepatia come mezzo di
comunicazione resta una premessa non verificata.
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Conclusioni:
Sembra difficile portare a termine ricerche decisive in questo campo.
Anche se io mi aspetto che le moderne tecniche di neuro imaging ci
possano dare ulteriori informazioni sulla attività cerebrale del feto rispetto
a quella della madre. In ogni caso non possiamo dire nulla di definitivo al
riguardo. Infatti, se possiamo senza dubbio ammettere che quanto avviene
durante la gestazione abbia una possibile e verosimile influenza sul feto,
particolarmente riguardo all’aspetto bio psichico (che poi è alla base del
così detto “temperamento” ), resta però ancora impossibile trarre delle
conclusioni rigorose sugli studi fatti. Cioè quello che ancora non possiamo
dire esattamente né quando (cioè in che periodo della gestazione), né come
(cioè quali siano i meccanismi di rapporto causa effetto fra stato psichico
della madre e sviluppo psichico del feto), né in che misura (cioè quanto
tutto ciò sia determinante) i rapporti madre feto possano essere
responsabili di uno sviluppo psichico normale o patologico dell’individuo
dopo la sua nascita; e neppure, possiamo dire precisamente, quanto di tutto
ciò possa influire sulla vita adulta dell’individuo.
Come possiamo, ad esempio, decidere se le angosce di un bambino
di 4anni sono dovute all’ambiente carico di angoscia, che una madre
infelice ha creato prima o dopo la nascita? Dato che comunque una madre
continua in ogni caso anche dopo la nascita ad esercitare una influenza
determinante sullo sviluppo della personalità dei propri figli. A questo
rapporto diretto madre feto e madre neonato, comunque, un rapporto che
avviene per vie non del tutto chiare, ma che sono essenzialmente
biologiche e non culturali, è comunque impossibile sfuggire.
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IL TRAUMA DELLA NASCITA
E’ noto che questa posizione è legata al nome di Otto Rank. Tuttavia, è
stato Freud che per primo ha sottolineato il significato psicologico del
trauma della nascita, evidenziando la sensazione
di pericolo
soverchiante provocata nell’immediato afflusso iniziale di stimoli
provenienti dal mondo esterno, extrauterino, al momento della nascita.
Alla nascita, nel momento dell’uscita dall’ambiente relativamente calmo e
ovattato dell’utero materno, in un ambiente invece ricchissimo di stimoli,
l’organismo può trovarsi come letteralmente soverchiato da questa
improvvisa sovrastimolazione a cui non è in grado di fare fronte in alcun
modo. Il neonato non può affrontare questa nuova situazione di pericolo in
maniera adeguata, perché non dispone ancora di nessun meccanismo di
difesa utilizzabile per proteggersi.
In tal modo la nascita diviene il modello o prototipo di ogni
angoscia successiva, il cui fattore comune si esprime in termini di
separazione biologica dalla madre, che in futuro si esprimerà in maniera
più psicologica e più simbolica.
Questo implica che paradossalmente la nascita venga vissuta come
“morte”, fine di una parte fondamentale di sé stessi: quella che ci
proteggeva e ci sostentava (nutriva), ossia la madre, soprattutto come
impossibilità di sopravvivere da soli, farcela da soli. Ecco perché ogni
cambiamento significativo della vita si manifesta come angoscioso a volte
fino al panico in alcune persone. Ed ecco perché esiste questo “mito” del
ritorno alla madre come condizione paradisiaca dove non si è separati, ma
uniti ad un qualcosa che ci sostiene, ci nutre e ci protegge.
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Tuttavia, Freud (che non ammette come possibile alcuna forma di
coscienza nel neonato) tende a minimizzare l’importanza delle
complicazioni biologiche che sopraggiungono nel corso della nascita, non
ammettendo che il neonato in quel momento possa avere coscienza di
contenuti reali presenti nella sua psiche. In “Inibizione, sintomo ed
angoscia”, appunto sostiene che il pericolo che si presenta alla nascita è
quello della sopravvivenza, ma noi comprendiamo questo pericolo grazie
alla esperienza che ci deriva dai fatti materiali e quindi al momento della
nascita questo pericolo “non ha ancora nessun contenuto psichico”.
O. Rank, invece, alla teoria del trauma della nascita uno sviluppo
suo peculiare che lo allontanò dalle concezioni classiche della psicoanalisi
di Freud. Infatti, egli attribuisce al trauma della nascita un ruolo centrale
nello sviluppo della personalità considerando la nascita come un
profondo shock che crea una riserva di angoscia, le cui quote si
scaricheranno, si libereranno nel corso di tutta l’esistenza. Secondo tale
Autore tutte le nevrosi trovano la loro spiegazione in questa angoscia
determinata dal trauma della nascita. Ciò vuole dire che ogni angoscia
successiva può essere interpretata in termini di angoscia della nascita in
quanto essa non costituisce solo il modello, ma l’origine stessa della
angoscia.
Spingendosi ancora più in la, Rank giunge a dire che il neonato si
forma delle impressioni visive durature di questa penosa separazione
dalla madre, specificatamente responsabili dell’orrore provato più tardi
per gli organi genitali femminili, mentre le separazioni di ogni tipo,
reali o immaginarie, saranno sentite come un trauma minaccioso.
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Infine, per Rank, ogni piacere avrebbe come scopo finale quello di
poter provare di nuovo il sentimento di soddisfazione pura e di
originaria beatitudine intrauterina, e l’atto sessuale, che rappresenta la
unione simbolica con la madre, è il mezzo più soddisfacente per
realizzare questo ritorno alla vita intrauterina: quindi l’uomo concepirebbe
il suo pene come un bambino che torna nel ventre della madre, e la donna
si identificherebbe (il pene dell’uomo durante la penetrazione) con il
proprio bambino mentre non è ancora nato. L’angoscia primaria
rappresenterebbe un ostacolo a questa soddisfazione, perché costituisce un
segnale di pericolo contro il desiderio di rientrare nel ventre materno.
Greenacre occupa una posizione intermedia fra Freud e Rank.
Ammette infatti l’azione di due fattori, costituzionale o ereditario e
accidentale che compaiono al momento della nascita, ma sostituisce le
impressioni visive di Rank con la sua teoria di risposta biologica di
“preangoscia”. Per Greenacre, infine, l’influenza reale del trauma della
nascita, in pratica, non sarebbe così importante come pensa Rank, né così
minimo come ritiene Freud, ma si porrebbe in una posizione di importanza
intermedia fra i due.
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TRAUMA E STRESS
Questa nostra primo contatto con la teoria genetica dello sviluppo
psico sessuale dell’individuo e queste considerazioni relative a trauma e
predisposizione costituzionale del soggetto ci porta in contatto, come
abbiamo visto, con un aspetto che attualmente è molto in voga in
psichiatria e psicopatologia, ovvero quella teoria che ritiene che molti
disturbi psicopatologici rappresentino il risultato di fattori “stressanti”
su soggetti con caratteristiche di vulnerabilità costituzionale.
E seguendo un ottica fenomenologica ci portiamo ad un livello
ermeneutico che ci porta a considerare i rapporti motivazionali (non
causali) che intercorrono fra evento psichico patologico e la
situazione/evento ambientale traumatico. E l’esame di questi ultimi ci
porta inevitabilmente a considerare i tre cardini di sempre della
psicopatologia in chiave ermeneutica e conseguentemente di ogni
psichiatria, psicoterapia, dinamica. Ovvero i concetti di : endogeneità,
processualità, reazione abnorme, e sviluppo di personalità. Nella
concezione ermeneutica questi termini vengono intesi, attualmente, con i
termini vulnerabilità e area traumatica. Vedremo di cosa si tratta.
Ma adesso ritorniamo al trauma/stress che agisce su una vulnerabilità
intrinseca dell’individuo esaminandoli per ora senza entrare nel merito
dinamico di questa interazione, ma solo in un rapporto deterministico fra
di loro.
La vulnerabilità sarebbe espressione della ereditarietà e/o di fattori
che intervengono precocemente, come abbiamo già visto, a livello
intrauterino o immediatamente dopo la nascita.
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L’insieme di questi elementi, nella loro reciproca interazione, da
luogo a un certo tipo di temperamento e/o a specifiche modalità di
elaborazione delle informazioni, vale a dire di ciò che l’individuo
percepisce dall’ambiente. Queste caratteristiche stanno alla base del
comportamento, o meglio della reattività, dell’individuo e quindi di ciò che
comunemente si definisce come “personalità”, “stile di vita”, “relazioni e
rapporti sociali”.
Su questa predisposizione vulnerabile vengono poi ad agire i
“traumi”, o come vengono chiamati oggi, i fattori stressanti, quali alcuni
eventi della vita (come: scolarizzazione, maturità sociale/lavorativa,
militare, carcere, processo/contenzioso legale, matrimonio, divorzio,
amore infranto specie se si è lasciati o rifiutati, lutto, trasloco,
cambiamento di ambiente inteso come sradicamento dalle proprie origini),
le abituali fasi fisiologiche dell’arco della vita biologica dell’uomo
(pubertà, gravidanza, senilità), le malattie (sia acute, che croniche, sia
invalidanti che risolte), e, infine, i cambiamenti di ruolo sociale (in
genere i “declassamenti” come riduzione della importanza lavorativa,
perdita o paura di perdita del lavoro con conseguente disoccupazione, ma
anche il pensionamento, oppure perdita di importanza del proprio ruolo
familiare, come un genitore che si sente messo da parte a causa della
autonomia del figlio magari perché si sposa; tuttavia, oltre a queste
riduzioni di importanza, sono tutt’altro che infrequenti, i “traumi” da
promozione, da aumento di responsabilità, dal dover dimostrare a sé stessi
e agli altri di “essere all’altezza” della situazione, di essere capaci, magari,
come se non di più di chi ci ha preceduto nel ruolo che si viene ad
21
occupare: come essere il nuovo capo ufficio, il nuovo dirigente scolastico,
il nuovo professore e così via.).
In ogni caso il concetto di “stress” origina dalla famosa sindrome di
Selye (medico viennese che fin dagli anni trenta conduceva ricerche presso
la università di Montreal, accettata dalla comunità scientifica in toto nel
1946), o “Sindrome generale di adattamento”, che descrive le tre fasi
di
adattamento
dell’organismo
biologico
alle
sollecitazioni
dell’ambiente:
I°): Reazione di allarme, nella quale l’organismo non si è ancora adattato,
ma si è semplicemente attivato alla azione di uno stimolo ambientale.
II°): Resistenza, in questa fase l’adattamento è completo allo stimolo.
III°):Esaurimento (se lo stimolo persiste o è eccessivo rispetto alle
capacità di adattamento dell’organismo), è la fase in cui l’organismo non
riesce più a fronteggiare le richieste ambientali e quindi, l’equilibrio
adattativo precedentemente raggiunto va perduto.
La sindrome generale di adattamento, consiste nelle modificazioni
fisiologiche e umorali che l’organismo oppone agli stimoli ambientali al
fine di mantenere l’omeostasi (equilibrio) interna. Si tratta di una
reazione aspecifica ad agenti che richiedono cambiamenti adattivi. Uno
stimolo o una situazione possono essere stressanti di per sé, oppure
divenirlo in un dato contesto ad esempio quando colgono l’organismo in
un momento di particolare suscettibilità (adolescenza, durante il periodo
mestruale. L’inizio di queste reazioni aspecifiche è costituito da un
aumento della secrezione da parte della ipofisi dell’ormone ACTH che a
sua volta stimola la corteccia surrenalica che a sua volta aumenta la
produzione di altri ormoni corticoidi e stimolo del sistema adrenergico e
22
noradrenergico (reazione di allarme). Anche i sistema nervoso simpatico e
parasimpatico (cioè il sistema nervoso autonomo, quello indipendente
dalla volontà che regola autonomamente le funzioni viscerali) prendono
parte alla risposta; così pure l’attività immunitaria si modifica per
l’intervento di questi meccanismi.
STRESS BUONO E STRESS CATTIVO
Tuttavia, “non tutto lo stress è stressante” o, meglio, non tutto ciò che
sollecita anche bruscamente l’organismo deve essere ritenuto dannoso per
l’organismo stesso. Non solo, ma è importante rilevare che la presenza di
stimoli, in una qualche misura sempre un poco stressanti, è necessaria al
mantenimento della buona salute dell’organismo.
La quota di stimoli (naturalmente variabile da soggetto a soggetto)
necessaria a tale buon funzionamento viene definita eustress (dal greco
eu=buono) o stress fisiologico.
E’ quando si supera questi limiti individuali che gli stimoli
risultano nocivi producendo innanzitutto disagio ( distress ) e divenendo
successivamente, per alterazione dei meccanismi biologici volti alla
omeostasi (di cui abbiamo parlato prima), dannosi alla salute.
Alcuni degli studi sperimentali più noti sullo stress (che utilizzano
vari tipi di animali) sono quello della “impotenza appresa” e della
“disperazione comportamentale” che mostrano come negli animali da
laboratorio siano efficaci i trattamenti farmacologi “anti stress”, in
particolare dei serotoniniergici e delle benzodiazepine che volendo
potremmo chiamarli Gabaergici.
23
Definire lo stress nell’uomo non è però così semplice come lo è
nell’animale e questo, sia perché non è certo possibile sottoporre l’uomo
ad esperimenti simili, sia, soprattutto, per la capacità umana di
simbolizzare e di progettare il futuro, capacità che per il loro sviluppo
sono proprio ciò che distingue la nostra specie dalle altre. Cioè l’uomo da
un suo significato di valore e prospettico agli eventi che trascende l’aspetto
biologico e ha la capacità di proiettare nel futuro questi significati che
hanno sempre un senso esistenziale.
Selye affermava che non è tanto importante quello che ci accade
quanto il modo con cui reagiamo all’evento; ciascuno ha quindi, per così
dire, una sua scala di valori di eventi stressanti, di cui però in una buona
parte sono condivisibili con gli altri. Quindi, per l’uomo, si deve accettare
la sua variabilità individuale di risposta agli eventi “stressanti”: sarà
certamente stressante per tutti perdere il proprio lavoro o una persona cara,
mentre sarà stressante solo per alcuni una promozione sul lavoro. Per cui
sebbene esista una scala degli eventi stressanti che attribuisce un punteggio
di 100 alla morte del coniuge (massimo) e di solo 29 (minimo)
all’allontanamento di casa di un figlio: individualmente l’allontanamento
del figlio può valere 100 anziché 29!
Il problema della attribuzione di significato è centrale sia per la
definizione dell’evento che per la precisazione dell’effetto stressante. A
seconda delle teorie vi sono alcuni aspetti dell’evento traumatico che
valorizzano di più o meno la possibilità che un evento sia realmente
“traumatico”:
essi
sono
il
cambiamento
indotto
dall’evento,
l’indesiderabilità dell’evento, la spiacevolezza dell’evento, ovvero il
faticoso lavoro di riequilibrazione che deve essere messo in atto per far
24
fronte all’evento, o ancora la imprevedibilità che appunto accada
all’improvviso tipo “fulmine a ciel sereno”. Nessuna comunque delle
teorie è mai riuscita a dimostrare che uno o l’altro di questi aspetti siano
determinanti nel far si che un evento sia o meno traumatico per la psiche.
Per quanto riguarda la mia esperienza clinica, io credo che ogni evento
traumatico presenti tutti questi aspetti per poter essere veramente in grado
di far insorgere una problematica psicopatologica, quindi:
Determinare un vero cambiamento di stato e/o condizione o che l’evento
determini la consapevolezza della impossibilità di ottenere un reale
cambiamento del proprio stato e/o condizione, che tale cambiamento sia
indesiderabile rispetto al vero raggiungimento di mete individuali di vita
che possono essere consapevoli o meno (quindi anche un cambiamento
considerato dai più in meglio individualmente può essere indesiderabile),
che l’adattamento a tale cambiamento sia spiacevole (cioè che implichi
una difficoltà notevole – sempre in termini individuali - per adattarsi ad
esso, come ad esempio dover mettere in atto meccanismi comportamentali
che di per sé sono deficitari come ad esempio doversi occupare dei conti
da parte di una vedova che odia la matematica, cosa di cui magari prima si
occupava il marito) ed infine che sia imprevisto (che avvenga come un
qualcosa che “non ci si sarebbe mai aspettati”, come se fosse un evento
quasi innaturale, tutto ciò sempre però in termini di individualità
soggettiva).
Pertanto come abbiamo visto nella esperienza della coscienza umana
non c’è nulla che non possa essere elevato a senso e conseguentemente
anche a linguaggio (nel senso lato del termine). E se è vero, come scrive
Ricoeur, che “non esiste nel bios nulla che non possa essere elevato a
25
logos”, possiamo anche dire che nessun pregiudizio organicistico, nessuna
riduzione
biologica
(parlare
della
assurdità
di
una
psichiatria
biomolecolare) della malattia mentale deve servire da alibi alla
indifferenza e alla inerzia comunicativa di fronte alla situazione
esistenziale data dalla malattia mentale, anche quando essa appaia ad un
limite incomprensibile come è quello della follia.
Per cui, da quanto abbiamo detto sin qui, su vulnerabilità iniziale e
trauma psichico (e per la psicosi esisterebbe una vulnerabilità specifica che
sarebbe data da una certa presenza e tendenza alla depersonalizzazione),
appare evidente, mi auguro, come vi sia in realtà una interazione fra
situazione/evento ambientale traumatico
(definito da alcuni area
traumatica) e evento psichico patologico che è data da rapporti
motivazionali individuali (sottolineo motivazionali e non causali) che
sono cioè dati, da un rapporto ermeneutico di significato che viene dato
all’evento. Voglio intendere che nessun evento è oggettivamente in grado
di determinare una alterazione psicopatologica se lo si priva del significato
che esso possiede per lo psichismo dell’individuo, a prescindere
dall’aspetto di vulnerabilità di base. Anzi, come abbiamo già visto, questa
vulnerabilità si traduce comunque in un significato per il paziente, anche
se questo significato, che per seguire Greenacre possiamo definire
“preangoscia”, non ha un significato chiaro come può averlo a livello di
una coscienza strutturata; poiché esso comunque possiede la matrice di un
significato simbolico che viene dato poi dalla esperienza psichica del
paziente di fronte all’evento dell’area traumatica. (è solo una nostra difessa
all’orrore primario che abbiamo anche dentro di noi quando di fronte ad un
26
paziente psicotico solleviamo le spalle dicendo semplicemente “non
significa nulla”!).
Ora per comprendere questi rapporti motivazionali che intercorrono
fra evento traumatico ambientale e evento psichico patologico, ci
dobbiamo rifare ad alcuni concetti chiave attraverso i quali la
psicopatologia centro/europea (fenomenologica) ha cercato di discriminare
il peso maggiore o minore delle situazioni ambientali sulla insorgenza del
disturbo psichico.
Si tratta, come già vi avevo detto, dei concetti di endogeneità,
processualità, sviluppo abnorme e sviluppo di personalità. Molti di questi,
oggi a seguito dello sviluppo di una psichiatria sempre più organicista e
farmacologia hanno perso di significato, ma ciò non di meno restano,
invece, importanti per chi ricerca, come facciamo da sempre noi Junghiani,
un senso significato alla malattia mentale.
ENDOGENEITA’
Tale concetto è praticamente all’opposto di quello di reazione
abnorme. Endogeno è qualunque disturbo psichico che si sottrae ad una
interpretazione motivazionale e ambientale della sua insorgenza, esso
serve, per lo più, per etichettare l’insorgenza immotivata, autonoma e
incomprensibile di un disagio psichico rispetto agli eventi ambientali e
alle dinamiche psichiche.
Alcune malattie psichiche, in particolare quelle che rientrano
nell’ambito della sfera psicotica (la psicosi schizofrenica, la psicosi
maniaco-depressiva ed in genere tutte le psicosi) sono state considerate ed
27
in pratica lo sono sempre di più oggi, considerate come “endogene” in
quanto espressione psichica di un ipotetico “substrato biologico” e
“vitale” che è appunto l’endon (“all’interno”, dentro,): il che equivale a
dire, come oggi si fa comunemente, ma arbitrariamente, “organico”. Dico
arbitrariamente perché nessuna lesione organica specifica è stata mai
individuata come responsabile di alcuna psicosi: parlare di alterazione bio
molecolare del sistema dei neuromediatori non è una lesione d’organo, ma
semmai una disfunzione che essendo priva di una lesione d’organo
specifica non dimostra per nulla che sia causa e non conseguenza della
psicosi.
Comunque nel concetto di endogeno si mescolano fra di loro,
confusamente, tre diversi ordini di discorso che sono:
1) La presenza di un substrato biologico del disturbo psichico;
2) La autonomia dell’evento psichico patologico rispetto a qualunque
possibile motivazione ambientale e/o psicodinamica;
3) L’incomprensibilità, a livello comunicativo, della esperienza
psichica connessa all’evento patologico.
Collocandosi quindi al di fuori di qualsiasi struttura di situazione e di
motivazione – cioè ponendosi al di fuori di trauma psichico – il concetto di
disturbo endogeno può essere considerato l’equivalente psicopatologico
della malattia intesa in senso medico e biologico.
28
PROCESSO
La psicopatologia/psichiatria organicista descrittiva ha coniato un
altro
termine
per
definire
questo
evento
biologico/psichico
incomprensibile: che è quello di “processo”.
Si parla di processo quando nel corso di una vita normale insorge,
più o meno bruscamente, qualcosa di completamente nuovo, una
modificazione totale della personalità per una alterazione della vita
psichica che non è psicologicamente derivabile dalla biografia individuale.
Nel concetto di processo è compreso oltre al concetto di endogeneità,
quindi di malattia biologica, anche il concetto di alterazione permanente
e irreversibile della vita psichica.
Sul lato opposto a questi concetti vi sono invece quelli di reazione
abnorme e sviluppo di personalità che sono invece concetti ermeneutici,
molto più utili dei precedenti, e che vanno a completare ciò che abbiamo
detto sin qui sul trauma psichico.
REAZIONE ABNORME
In parte lo abbiamo già visto, per reazione abnorme si intende una
risposta psichica patologica (per intensità e/o qualità) il cui contenuto
sta in un rapporto comprensibile con l’avvenimento scatenante, e il cui
decorso dipende, entro certi limiti, dalle modificazioni e dalla durata
dell’evento stesso (ad esempio una reazione depressiva di fronte alla
perdita di un’importante figura di identificazione). Pertanto, secondo
29
questa concezione ermeneutica (ovvero, non endogena), l’evento
ambientale determina una risposta, che per quanto assurda possa apparire,
è comprensibile – e non è un semplice non senso da non indagare –
rispetto alle caratteristiche simbolico/significative che vengono attribuite
dalle capacità semantiche del soggetto all’evento traumatico stesso.
Caratteristicamente, nella “guarigione” della reazione c’è la
tendenza a riconoscere la malattia (coscienza di malattia) e a
considerala estranea alla propria normale esperienza (il senso critico,
ad esempio di avere fatto, pensato o detto cose assolutamente assurde
rispetto a ciò che si sa per certo di sé stessi e del mondo …. una sorta di
“risveglio” da una situazione di sogno e illusione).
L’idea di reazione abnorme, come vedete, è il perno di una
concezione psicopatologica che voglia sottrarsi ad una impostazione
solipsistica e astratta della malattia mentale.
SVILUPPO DI PERSONALITA’
Il concetto di sviluppo di personalità in senso fenomenologico si
innesta immediatamente e coerentemente su quello di reazione abnorme i
quanto rappresenta spesso un suo prolungamento nel tempo e una sua
dilatazione psicopatologica. Ovvero, la reazione dell’individuo si
protrae
per
lunghissimo
tempo,
in
maniera
sproporzionata
all’avvenimento per intensità e durata, con cambiamento permanente
della personalità.
Nel concetto di sviluppo di personalità l’evento ambientale
traumatico rappresenta per l’individuo un evento-chiave che sembra
30
colpire specificatamente una zona particolarmente fragile dell’Io (l’area
traumatica, vulnerabilità specifica con tendenza alla depersonalizzazione),
una sorta di falla della personalità, così da innescare una evoluzione
psichica patologica (fino al delirio di persecuzione o di grandezza) il più
delle volte irreversibile.
Tale evento chiave costituisce il “trauma”, che ermenuticamente
inteso nella storia della vita dell’individuo, costituisce quel qualcosa in
cui vi è un prima e un dopo (che interrompe una continuità (ad es
“dopo la morte di mio padre”, “prima della maturità”, etc.): è quel “luogo”
in cui vi è una rottura: “la frattura fenomenologica”.
Esso determina quella che la fenomenologia o antropoanalisi chiama
angoscia esistenziale: Quando il “mondo” della esperienza viene incrinato
e minaccia di scomparire poiché viene minacciata una o alcune delle sue
categorie fondamentali (categorie di sicurezza ed orientamento), la
presenza (l’esserCi: la “esistenza situata nel mondo”, meglio presenza
perché rende bene l’idea, inoltre è mia, tua come condizione stessa di essa.
Biswanger utilizza presenza al posto di uomo) corre il rischio di essere
nullificata, mentre il mondo precipita nella non significatività ossia
nell’insignificanza (dalla perdita di senso e scopo alla distruzione della
significanza); non si da infatti una presenza senza il suo mondo. L’uomo si
trova così di fronte alla sua mancanza di fondamento (ciò che Heidegger
chiama l’abisso, l’Abgrund). Questo è ciò che Biswanger chiama il nudo
orrore, che è appunto l’angoscia esistenziale. La presenza cerca soprattutto
di sfuggire a questa angoscia, e giunge perfino a svuotarsi completamente
nel tentativo di evitarla. Heidegger ha però affermato che è proprio
attraverso di essa che la presenza si rende conto del carattere di possibilità
31
e di non assolutezza del suo progetto, potendo così veramente sviluppare e
maturare la propria storia (dall’esistenza inautentica a quella autentica che
è un essere per la morte). E’ evidente che quanto più il progetto di mondo
è svuotato e semplificato (ridotto a pochissime o addirittura a una
categoria), tanto più facilmente compare l’angoscia (essere/esistere è un
insieme di ctegorie, tempo – ricordo- , spazio – corpo -, causalità,
progettualità come conseguenza di essa).
Questi due concetti (reazione abnorme e sviluppo di personalità)
implicano l’analisi delle condizioni ambientali nel cui contesto complesso
si afferma tanto la reazione abnorme (di qualunque specie essa sia,
depressiva, paranoide – persecutoria o di grandezza – confusionale o
isterica), che lo sviluppo psicopatologico (delirante) con trasformazione
permanente della personalità.
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SITUAZIONI TRAUMATICHE
A parte certe tipiche e intollerabili situazioni intrafamiliari (che
vedremo successivamente) faremo ora una classificazione di queste
situazioni tipo capaci di scatenare più o meno severe reazioni psichiche
seguendo la concezione fenomenologica fatta dalla Professoressa Clara
Muscatello.
Esistono, anzi tutto, situazioni limite, quali le situazioni di
catastrofe, (che possono essere a causa psicogena o organiche) le quali
scatenano abitualmente reazioni abnormi a carattere primitivo.
Esse riguardano i disturbi quantitativi e qualitativi della coscienza:
1) SCADIMENTO PREVALENTEMENTE QUANTITATIVO
DELLA COSCIENZA.
Rientrano in questo gruppo i disturbi della coscienza nel senso
prevalente di una sua riduzione fino alla perdita di coscienza:
a) OBNUBILAMENTO
Lieve diminuzione della chiarezza della coscienza e della vigilanza. Vi è
sonnolenza, scarsa spontaneità, rallentato. In assenza di stimoli il paziente
tende ad addormentarsi spontaneamente, ma può sempre essere risvegliato.
In ogni caso è ancora capace di azioni volontarie e può sia muoversi che
camminare, nonché parlare, anche se appare rallentato nei movimenti e
nella ideazione.
33
b) SONNOLENZA
Il malato è estremamente apatico, molto rallentato e sonnolento. Se viene
lasciato solo si addormenta subito, però si risveglia se lo si chiama ad alta
voce o lo si tocca: allora iniziamele appare estraniato, spesso però ancora
in qualche modo orientato. Articola le parole con difficoltà (mormora). I
riflessi sono integri (gli stimoli dolorosi provocano risposte di difesa e
mutamenti posturali di fuga dalla noxa dolorosa, e vi sono ancora
mutamenti posturali spontanei), ma il tono muscolare è diminuito.
c) SOPORE
Il paziente può essere svegliato ma faticosamente e solo con stimoli
intensi. Non si ottengono più risposte verbali e spesso il paziente non
emette nemmeno i suoni che esprimono il dolore. I riflessi sono integri con
risposta agli stimoli dolorosi, ma non si osservano più mutamenti posturali.
La respirazione è molto lenta e profonda, ma ancora ritmica e quindi nella
norma.
d) COMA
Nello stato di coma il paziente non può più essere risvegliato: anche gli
stimoli più intensi non provocano più movimenti di difesa. Il tono
muscolare è flaccido. Il precoma e i quattro stadi del coma si differenziano
in base ai segni neurologici e elettroencefalografici. Nel precoma o
subcoma il riflesso pupillare e il riflesso corneale (l’ammicamento quando
si tocca la cornea) sussistono ancora, mentre sono assenti i riflessi cutanei
(stimolazione della pianta del piede) e i riflessi tendinei periferici. Nel
coma vero e proprio scompare anche il riflesso corneale e infine anche
quello pupillare alla luce (di solito vi è midriasi fissa). Molto spesso si
34
notano alterazioni del respiro (rallentamento, pause di apnea, irregolarità
del ritmo).
Contesti
Questo primo gruppo di disturbi quantitativi della coscienza sono causati
sempre da un disturbo organico della funzione cerebrale, sia che la
noxa colpisca direttamente l’encefalo o meno. Le principali cause che
vanno prese in considerazione sono:
- Traumi cranici
-Aumento della pressione endocranica (come emorragia o tumore
cerebrale)
- Disturbi del circolo cerebrale (ischemia)
- Mancanza di ossigeno nell’aria respirata (strangolamento/impiccagione:
soffocamento, forte perdita di sangue, avvelenamento da monossido di
carbonio)
- Crisi epilettica gravissima con perdita della coscienza e/o lesioni
cerebrali successive.
- Infiammazioni gravi dell’encefalo e delle meningi (encefaliti e encefalomeningiti)
- Lesioni cerebrali da agenti tossici (tossine batteriche, avvelenamenti
esogeni)
- Avvelenamenti endogeni da disturbi metabolici gravi (come coma
epatico, uremico, diabetico o tireotossico).
Un altro gruppo di disturbi quantitativi della coscienza è dato da:
35
e) LIPOTIMIA
Perdita della coscienza di breve durata: lo svenimento. Può avere semplici
cause emotive psicologiche come sincope vaso vagale (tipica la paura,
isteria), o organiche (ipotensione ortostatica, ipoglicemia etc.).
f) ARRESTO PSICOMOTORIO
Noto anche come SINDROME PARASOMNICA DELLA COSCIENZA,
o MUTACISMO ACENINETICO o COMA VIGILE (che si manifesta
con lo stupore e l’immobilità).
Il paziente sembra sveglio, sebbene sia inerte e non in grado di parlare, lo
sguardo è fisso oppure vaga all’intorno senza mai fissarsi. Non si riesce ad
indurre il paziente a reagire né con stimoli verbali, né con stimoli non
verbali (scuotendolo o presentandogli degli oggetti). Il paziente mantiene
la postura casualmente presa (mancanza di movimenti correttivi). Sono
conservate le funzioni vegetative elementari (ritmo cardiaco, respirazione,
ritmo sonno veglia). La diagnosi differenziale si pone nei confronti del
coma di origine organica (gravi lesioni cerebrali con deficit funzionale del
pallium ad esempio dovute a traumi cranici, emorragie e infiammazioni
cerebrali, trombosi delle vene cerebrali ecc.); e dello stupore catatonico.
Per questo è importante, oltre all’esame psicopatologico e neurologico,
l’elettroencefalogramma e la TAC e tutte le altre tecniche di
neuroimaging.
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2) DISTURBI QUALITATIVI DELLA COSCIENZA
In questo gruppo oltre a riduzione della coscienza abbiamo anche delle
variazioni dei suoi contenuti in senso patologico.
a) DELIRUM TREMENS
Rientrano in questo gruppo disturbi gravi (sia quantitativi che qualitativi)
della coscienza, con attività psicomotoria esaltata. Disorientamento
parziale
o
totale
disconoscimento
(confusione),
dell’ambiente
pensiero
incoerente
(illusioni)1,
e
confuso,
allucinazioni2
(prevalentemente visive, ma anche vestibolari, acustiche e talora tattili).
Spesso le allucinazioni visive si possono indurre. Nella maggior parte dei
casi si può attrarre l’attenzione del malato rivolgendogli la parola o
chiamandolo, però egli si distrae immediatamente. Vi sono disturbi del
ritmo sonno-veglia (spesso il delirio comincia alla sera, irrequietezza
notturna, aumento della confusione). Frequenti i disturbi neurovegetativi
concomitanti (sudorazione, tachicardia, secrezione sebacea aumentata,
eritemi, tremori ad ampie scosse, febbre disidratazione). L’umore può
variare dalla allegria alla angoscia acuta in ogni caso è sempre eccitato.
Le forme più lievi di delirio vengono anche definite come subdelirio,
delirio abortivo, predelirio.
1
Alterazione percettiva per cui un oggetto reale viene percepito come un oggetto differente (es: il
bastone come serpente, un tronco d’albero come una persona umana, un rumore indistinto come il
trillo del proprio telefonino ecc.:- rientra in questo gruppo anche scambiare una persona per
un'altra). Nella illusione gli stimoli sensoriali reali vengono elaborati e trasformati
involontariamente dalla attività psichica e danno luogo ad un nuovo percetto (Jasper).
2
Per allucinazione invece si intende una percezione con carattere di corporeità di un oggetto esterno
che non è presente nel mondo reale; cioè classicamente è una “percezione senza oggetto”.
37
Contesti
Il delirium tremens non è assolutamente appannaggio unicamente
della intossicazione alcolica: molte altre sostanze lo possono provocare
come alcuni farmaci: gli anti parkinsionani, gli anti depressivi, droghe
come la cocaina, le anfetamine e il pelote per fare alcuni esempi. Anche
sostanze endogene possono causare il delirium come nel corso di malattie
metaboliche gravi. Altre cause sono: la febbre, trauma cerebrale, epilessia,
emorragia intracranica, infezioni varie e ipossia dell’encefalo. A volte però
si può osservare nei così detti “episodi psicotici acuti o sub acuti” con
stato confusionale acuto, o come fenomeno acuto di stati psicotici cronici
(rarissimamente chiamati “delirium schizofrenico”).
Esempi
* Un operaio di 55anni, ricoverato in ospedale per una polmonite da
un giorno , verso sera si alza dal letto, diventa irrequieto, armeggia
con ciò che tiene in mano, va verso la finestra e lancia grida in
direzione del parco. Nella oscurità del parco, che circonda la clinica,
vede figure che gli fanno segni e gli parlano. Quando gli si rivolge la
parola reagisce sgarbatamente e appare disorientato.
* Un altro malato guarda verso il soffitto della stanza e vede dei fili
di vetro appesi che si muovono come scossi dal vento. Sente il letto
oscillare (allucinazioni vestibolari).
* Un altro scorge un branco di elefanti (piccoli come lepri) che
passano nella stanza attraversando le pareti.
* Un altro paziente cerca di schiacciare insetti inesistenti presenti
sul comodino.
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b) STATO CREPUSCOLARE
Con ciò si intende un restringimento del campo della coscienza, che è
concentrata unicamente su determinati vissuti, ed esclusione o
appannamento di tutto ciò che avviene nell’ambiente circostante. Le
risposte del paziente agli stimoli esterni sono alquanto deboli. L’attenzione
per il mondo circostante è seriamente compromessa fino ad essere abolita.
Il pensiero è disturbato in vari gradi fino ad arrivare alla confusione.
Frequenti le illusioni; e le allucinazioni compaiono nei più vari ambiti
sensoriali. Il tono emotivo è generalmente e fondamentalmente ansioso,
anche se talvolta si possono osservare stati beatifico- estatici. La
psicomotricità può essere normale oppure alterata nel senso di una
esaltazione o di una diminuzione. Gli stati crepuscolari di solito
cominciano e finiscono in un breve arco di tempo, e terminano con un
sonno profondo. Vi è poi amnesia totale dell’accaduto.
Esempi
* Il figlio di un contadino, che fino ad allora non aveva dato ne avuto
alcun problema, un giorno d’estate uccide il padre con una scure.
Egli non sa nulla della sua azione: nessuna emozione, nessun
motivo, nessuna fantasia. Non si ricorda nulla. Egli non può
“egoizzare” questo omicidio neppure nel senso di colpa, stupore o
rimorso.
* Una donna, in uno stato crepuscolare epilettico, ha una visione di
Gesù che esce dalla foresta con un abito verde da cacciatore.
Questo contenuto principale viene ricordato.
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Nel così detto stato crepuscolare orientato l’attenzione, il pensiero e il
giudizio si restringono. Il pensiero può ancora mantenere un certo ordine
per cui anche la attività esterna può sembrare coerente. Ma questo stato
non può essere definito “lucido” poiché la lucidità implica una chiara
riflessione cosciente che presuppone una visione di insieme dei processi
mentali interni ed esterni e il loro ordinamento, mentre nello stato
crepuscolare si ha un restringimento della visione.
Ad esempio: un epilettico esce dalla clinica completamente
“normale” ed intraprende un viaggio di più giorni, e si comporta
adeguatamente alla situazione. Dopo alcuni giorni arriva in una città
sconosciuta e non si ricorda come e perché e per quale percorso vi
sia arrivato.
Contesti
Tenendo conto delle cause, gli stati crepuscolari si possono suddividere in
organici e psicogeni.
- Cause organiche: epilessia, traumi cerebrali, disturbi circolatori
(arteriosclerosi), ipossia, tossici (endogeni ed esogeni).
- Cause psicogene: spavento, shock, panico, nel venire a contatto con un
ambiente totalmente estraneo da parte di persone fragili e poco mature che
non sanno adattarsi. In questo contesto viene inserito lo stato crepuscolare
isterico.
c) STATO ONIROIDE
Con questo termine si indica uno stato simile al sogno, disorientato e
confuso, nel quale il soggetto, con intensa partecipazione emotiva, vive in
modo allucinatorio scene drammatiche e fantastiche che includono anche
40
illusioni originate da elementi del proprio ambiente. I pazienti non
prestano più attenzione a ciò che accade intorno a loro; occasionalmente
possono riprendere un certo contatto con la realtà, ma solo per breve
tempo e dopo energici richiami; allora sono perplessi stupiti e disorientati,
però non presentano amnesia riguardo all’accaduto. Esteriormente si
presentano come immersi in uno stato stuporoso, oppure, in preda ad una
intensa agitazione. Lo stato d’animo può essere improntato all’ansia
(umore catastrofico), ma anche alla gioia (estasi). Il confine rispetto allo
stato crepuscolare è poco netto.
Ad esempio: questi malati vivono esperienze di catastrofi, battaglie,
diluvi universali, festini, paradiso e inferno, ed è come se essi
fossero corporalmente divisi fra le potenze del bene e del male;
vivono la fine del mondo, sperimentano nell’estasi mistica la visone
e la parola della divinità.
Lo stato oniroide può comparire in alcune forme di schizofrenia a decorso
acuto e drammatico, nell’epilessia (stato crepuscolare psicotico produttivo)
e nelle intossicazioni da farmaci.
d) Confusione o Amenza
Si descrive con essa una sindrome con grave incoerenza, disorientamento
generale, allucinazioni, delirio, stato d’animo ansioso-perplesso. Essa si
può rilevare sia nel tipo di reazione esogena acuta (come nella
arteriosclerosi cerebrale), sia nelle psicosi schizofreniche ad esordio acuto
con decorso drammatico, nelle psicosi puerperali, e infine nelle così dette
psicosi emotive.
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3) AUMENTO DEL LIVELLO DI COSCIENZA (AMPLIAMENTO)
Si tratta di un concetto poco chiaro che dovrebbe designare la esperienza
del proprio ampliamento/espansione, della dilatazione dell’esistenza, di un
cogliere più chiaramente e più incisivamente le impressioni dall’ambiente,
una
più
ricca
capacità
di
comprensione,
di
associazione,
di
memorizzazione (talvolta con alterazione del senso del tempo). La
percezione appare assai vivace, con ripercussioni emotive molto intense,
eventualmente con sinestesie (Fenomeno per cui la percezione di
determinati stimoli è accompagnata da particolari immagini proprie di
un'altra modalità sensoriale: avere visioni tramite il tatto, o sentire la
consistenza degli oggetti mediante la vista). Il vissuto sembra concentrato
in modo nuovo da cose diverse da quelle quotidiane.
Contesti
Questo senso di ampliamento della coscienza (essere “hig”) può essere
provocato da droghe allucinogene (LSD, messalina, hashish ecc.) e da
stimolanti (amfetamine). Esperienze di questo tipo non dovute ai farmaci
si possono osservare nella meditazione o negli esperimenti psichedelici
della “terapia olonoma” (Grof, 1978), in tal caso associate ad esperienze
pre e peri natali e a reminiscenze di vite precedenti. Talora un malato in
fase maniacale, o in una schizofrenia iniziale con esperienze di
illuminazione e di estasi, può esperire il mondo come più vivo, più aperto
profondo e comprensibile. Tale sentimento si accompagna a uno stato di
“animazione”.
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Bene tutte queste reazioni abnormi (che abbiamo descritto sin qui:
stiamo ovviamente parlando di situazioni a causa psicogena) possono
essere interpretate simbolicamente come reazioni di difesa o di fuga di
fronte ad una situazione emotiva intollerabile, individuale o collettiva.
Esse rappresentano atteggiamenti arcaici di paura/difesa di tipo
aspecifico, che trovano riscontro in maniera evidente in molti
comportamenti animali (come ad esempio l’atteggiamento di morte
apparente di fronte ad un pericolo grave ed incombente).
Di fronte a situazioni individuali o collettive di panico, possiamo
invece avere anche atteggiamenti opposti: il turbine motorio, cioè uno
stato di agitazione psicomotoria apparentemente finalistica, che si
manifesta con movimenti confusi disordinati ed incoerenti, e che ricorda
“il comportamento di certi animali in gabbia”, che si dibattono si
impennano
e finiscono
col raggiungere, attraverso
tutta questa
iperproduzione di movimenti, una qualche casuale via di uscita.
(
Ricordiamo
che
questi
comportamenti
primitivi,
arcaici
e
filogeneticamente molto arcaici, di fronte a gravi e reali situazioni di
pericolo – “reazioni iponoiche e ipobuliche” Kretschmer – possono
diventare un comportamento ripetitivo e abituale, inconsciamente attuato
per fuggire da una situazione emotiva intrapsichica intollerabile: diciamo
allora che la reazione si è isterizzata).
In definitiva è proprio attraverso certi comportamenti motori, che
possono servire sia a sviare l’attenzione degli altri che ad attirarla (tic,
agitazione e arresto psicomotorio, lipotimia che sono tutti veri linguaggi
del corpo), che si cerca di uscire da una difficile situazione conflittuale,
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finendo per ottenere vantaggi secondari (sintomi nevrotici, catastrofe
pronta per l’uso).
Così anche nell’animale, taluni atteggiamenti assunti, quale lo
zoppicare, il fingersi morto, possono rappresentare un meccanismo di
autodifesa di fronte alla aggressività degli altri animali o dell’uomo stesso.
Finora abbiamo preso in considerazione situazioni ambientali limite
(catastrofi: “evento disastroso, ma anche quella parte della tragedia
classica in cui avviene lo scioglimento dell’intreccio”) che suscitano
reazioni patologiche di tipo aspecifico, manifestazioni regressive che
possono comparire in tutti gli uomini di fronte a traumi di particolare
gravità; trattasi di situazioni che peraltro si verificano non frequentemente
e in genere tendono a risolversi in un periodo di tempo più o meno lungo e,
pertanto, non hanno l’interesse psicopatologico che invece possiedono
reazioni di carattere specifico e permanente.
Esistono tuttavia, situazioni ambientali più complesse in grado si
suscitare reazioni psichiche abnormi che investono tutta la personalità e
possono modificarla in modo permanente, secondo una vera e propria
dimensione delirante (che sono i così detti “sviluppi di personalità”) di
cui abbiamo parlato la scorsa volta.
Il Delirio o meglio i deliri, sono disturbi del contenuto del pensiero.
E’ opportuno però definire prima l’ideazione prevalente come un
contenuto di pensiero investito affettivamente in maniera tale da
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rappresentare non di rado un momento intermedio o una fase di passaggio
prima di giungere alla fobia o finanche al delirio vero e proprio.
L’ideazione prevalente è una modalità caratterizzata da idee o
gruppi di idee formatesi in dipendenza di stati affettivi particolari; esse
assumono un carattere di importanza e di priorità rispetto agli altri
contenuti mentali, tanto da dominarli in maniera temporanea o
duratura e da permeare di essi l’intera vita psichica. Sono idee la cui
insorgenza è comprensibile in rapporto alle cariche affettive motivanti;
esse sono criticabili e accettate dal soggetto anche se spiacevoli.
Si possono distinguere in
1)
idee prevalenti attive: che sono di solito connesse a una
attività creativa (ipotesi scientifiche, convinzioni etiche,
politiche, religiose, mistico/esoteriche ecc.)
2)
idee prevalenti passive connesse spesso ad avvenimenti
spiacevoli (la prospettiva di un esame, la paura di un
intervento chirurgico ecc.
La ideazione prevalente non è di per sé un indice di psicopatologia in atto,
anche se in determinati quadri patologici (sindromi depressive, stati
d’ansia, personalità abnormi) è possibile una maggiore presenza di idee
prevalenti soprattutto a contenuto spiacevole, non di rado con aspetti fobici
ed ossessivi.
Il Delirio vero e proprio, invece, è costituito da un insieme di idee
deliranti. E l’idea delirante può essere definita come una idea patologica
in quanto non corrispondente alla realtà che non è modificabile
mediante prove ed argomenti razionali rifiutati da parte della persona
che ne è affetta: esiste, cioè, un difetto della coscienza della realtà con
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caduta del giudizio e dei poteri critici dell’individuo. Il delirio è la
malattia della certezza: il paziente con idee deliranti appare
assolutamente certo della verità dei suoi convincimenti! E’ cioè la
assoluta mancanza di criticabilità di una idea che caratterizza una
struttura delirante di pensiero, e non necessariamente il fatto che
l’idea sia o possa sembrare assurda.
Voglio dire che le idee patologiche di questo tipo possono essere le
più varie e possedere i più svariati contenuti, essere più o meno strutturate,
isolate o raggrupparsi in un più complesso sistema di idee deliranti (come
nel delirio lucido o sistematizzato).
L’idea delirante è sintomo di una psicopatologia che riguarda l’intera
personalità; il suo contenuto in alcuni casi sembra inspiegabile ed
inderivabile; cioè non deducibile dagli altri contenuti ed elementi psichici
della personalità (idea delirante primaria), in altri casi, invece, diventa
comprensibile in rapporto a stati emozionali particolari in genere eventi
psicotraumatici, (idea delirante secondaria o deliroide).
In ogni caso il delirio può essere, a seconda dell’orientamento
psicologico del soggetto (tendente alla introversione e alla diffidenza
oppure estroverso e aggressivo con meccanismi sovracompensatori
ipertrofici)
di
tipo
prevalentemente
persecutorio
o
prevalentemente espansivo o di grandezza queste due forme sono
tipiche della paranoia.
Persecutorio: il tema e il contenuto del delirio sono caratterizzati dal
convincimento del paziente di essere oggetto di intenzioni, azioni od
omissioni comunque lesive della propria persona o di qualunque attributo
od oggetto pertinente alla stessa e nella maniera più svariata da parte di
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persecutori più o meno definiti (colleghi di lavoro, familiari, gruppi
politici, religiosi ecc.). Il paziente è cioè convinto che una sua sofferenza,
un certo evento, un ingiustizia e così via, siano attribuibili all’intervento di
agenti esterni ostili che operano con vari mezzi. A seconda della
modalità persecutoria scelta, si possono distinguere vari tipi di deliri di
persecuzione. Ricordiamo:
- di riferimento: è formato da idee e soprattutto interpretazioni, per lo più
di tipo persecutorio, in cui il paziente ha il convincimento che determinati
comportamenti di persone o eventi esterni siano connessi, di solito in
termini negativi, con la sua persona o con le sue qualità o attributi (ad es. il
paziente si sente osservato malevolmente da chi lo guarda innocentemente,
e attribuisce a sé frasi dirette ad altri)
- di rivendicazione (o querolomane): quando il paziente è convinto di aver
subito una ingiustizia e di conseguenza è alla ricerca di una riparazione sia
per vie legali che con comportamenti anti sociali (per alcuni è un delirio
espansivo)
- di veneficio: in cui esiste il convincimento di essere avvelenati mediante
sostanze tossiche messe ad esempio nei cibi
- di influenzamento: in cui esiste il convincimento di essere influenzati a
livello di pensiero, volontà e corpo da mezzi esterni più o meno misteriosi
o fisici (pensieri imposti a distanza, il corpo viene irradiato, ho un
microcip degli alieni, la volontà viene coercita magari da voci impositive).
Tali convincimenti sono tipici della schizofrenia.
Espansivo (di grandezza): un insieme di tematiche deliranti per lo
più secondarie (deliroidi) improntate all’orgoglio, alla sicurezza,
all’aggressività, al fanatismo con la caratteristica comune di una abnorme
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narcisistica ed iperstenica amplificazione del sentimento del sé e delle sue
proiezioni all’esterno (delirio di grandezza, delirio genealogico, delirio
erotomanico, delirio di riforma, delirio inventorio).
Questi due tipi di delirio, classicamente inquadrati nell’ambito della
paranoia, sono caratterizzati da temi molto coerenti e lucidi, dalla
mancanza
di
allucinazioni
e
da
un
rapporto
motivazionale
comprensibile rispetto all’evento scatenante. In genere la personalità del
soggetto si mantiene essenzialmente indenne, a parte la notevole
riduzione del suo orizzonte esistenziale che riduce, ovviamente, la
possibilità di un buon contatto affettivo con gli altri.
La esperienza chiave per lo sviluppo persecutorio è frequentemente
quella della insufficienza umiliante e della disfatta morale. Scacco e
umiliazione fanno scattare nell’individuo sensi di colpa o di insufficienza
latenti e intollerabili che vengono proiettati sul mondo esterno. Tutto ciò
che lo circonda appare allora impregnato dalle stesse sensazioni di
riprovazione e di colpa che egli avverte nei confronti di sé stesso.
Egli allora ha l’impressione che la fama della propria umiliazione
sia diffusa, che tutti sappiano della sua penosa esperienza, che lo si
guardi in maniera strana, che ci si volti per strada per guardarlo, che si
sorrida alle sue spalle.
L’isolamento sociale e la reale diffidenza che suscita intorno a sé un
comportamento di questo tipo completano l’evoluzione delirante della
personalità fino a giungere nei casi più gravi all’internamento.
Per quanto riguarda, invece, gli stati espansivi, possiamo dire che
l’esperienza chiave è sempre uno scacco, una ferita inferta alla propria
autostima, che però viene elaborata in modo del tutto diverso attraverso
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meccanismi sovracompensatori ed aggressivi, che nascondono spesso
una falla nella struttura dell’Io, un sotterraneo senso di impotenza derivato
da antiche e rimosse umiliazioni, mai in realtà guarite.
Molto spesso intervengono spiegabili sentimenti di risentimento
associati ad un senso di intima insufficienza, tipici delle classi sociali
inferiori ed emarginate. Questo appare evidente soprattutto negli sviluppi
deliranti di tipo querolomane, i quali appellandosi di istanza in istanza,
fanno del presunto diritto all’indennizzo il vero e unico progetto della loro
esistenza.
In generale, possiamo affermare che il rischio di una reazione
psicopatologica abnorme e di uno sviluppo di personalità si presenta tutte
le volte che all’individuo si presenta una reale o temuta degradazione
o perdita di status sociale. Tenendo presente che lo status o ruolo sociale,
in senso lato, rappresenta una importante e vitale fonte di identità
personale e di sicurezza esistenziale.
Va ricordato ciò che si intende per status sociale: in generale, lo
status è la condizione di appartenenza ad una particolare classe di
persone; in particolare lo status di una persona è classificato in base al
prestigio che questo può conferirle. Prestigio è un concetto astratto usato
per sommare le varie piccole forme di deferenza da parte della gente verso
quelle persone che essa rispetta (o teme) socialmente, nonché ai mezzi che
questa usa per degradare coloro che considera inferiori.
E’ importante tenere presente che il giudizio sullo status sociale è
basato in pratica unicamente sul possesso del ruolo e non sulla
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performance (capacità personale). Esso è basato sulla valutazione delle
richieste di deferenza in base al prestigio dei ruoli che l’individuo ricopre.
La misurazione dello status sociale può essere basata sui fattori più
vari quali sesso, reddito, età, occupazione, automobile, abitazione, il grado
di educazione ecc.
E’ ovvio rilevare come ogni individuo tragga elementi di sicurezza
emotiva essenzialmente dal grado di convalidazione sociale (prestigio)
che gli deriva dalla sua specifica posizione sociale, e come ciascuno aspiri
sempre a migliorare, nel laddove è possibile, il proprio status e a rafforzare
quindi la propria individualità.
Le situazioni ambientali che possono quindi determinare una reale o
temuta degradazione di status, e quindi una vera e propria crisi di
identità, possono rappresentare tutte lo stimolo per una reazione abnorme
o per uno sviluppo di personalità.
Queste condizioni sono varie e complesse: ma come ho già detto
sono occasioni inevitabili ed inattese di cambiamento come la morte di
importanti figure di identificazione, la perdita di certe posizioni, lo
sradicamento ambientale, i mutamenti di età e del ciclo fisiologico, i
cambiamenti nel rapporto familiare e matrimoniale, le mutilazioni fisiche
(soprattutto quando interessano settori fisici impregnati di profonde
cariche simboliche).
I cambiamenti di stato sono altamente psicopatogeni soprattutto
quando non consentono alcuna alternativa accettabile. Da ciò deriva il
loro carattere intollerabile e insopportabile.
Ad es., per colui che ha studiato, il mancato conseguimento del di
una laurea o di un diploma (specie in una famiglia di diplomati o laureati)
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significa o può significare che non potrà mai individuarsi nel ruolo che egli
stesso aveva scelto per sé; così viene a trovarsi l’uomo maturo di fronte ad
una mancata promozione; oppure la donna sottoposta ad isterectomia o a
mastectomia che ricava da questa esperienza un’immagine di sé stessa
mutilata come donna.
In casi in cui non può essere individuata una specifica e drammatica
perdita di status, spesso si riscontra nella storia dell’individuo una serie di
fallimenti che portano gradualmente ad una tensione sempre maggiore
ogni volta che si inizia un nuovo status; o ancora si ritrovano momenti
biografici che hanno messo in crisi il ruolo sessuale che rappresenta,
almeno nell’ambito della nostra società, il fondamento di ogni acquisizione
di identità e di status sociale.
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