MODELLO PSICOPATOLOGICO/DIAGNOSTICO ANALITICO (PSICODINAMICO) BIASSIALE: In questo corso ci occuperemo di psicopatologia analitica come unita e inscindibile dalla diagnosi psicoanalitica, e faremo anche specifici cenni alla terapia che si deve instaurare in seguito alle diagnosi eseguite. Due parole sulla diagnosi analitica. Etimologicamente diagnosi significa dià, “attraverso” (alcuni segni) e gnosis “conoscenza”, quindi “conoscenza attraverso alcuni segni”. Da un punto di vista strettamente medico per diagnosi si intende: la definizione di una o più malattie possedute da un individuo attraverso l’interrogatorio del malato, i sintomi, la semeiotica e gli esami di laboratorio. Quando ero uno studente in medicina, i vecchi medici come mio nonno, o i grandi professori che ha avuto Bologna come il compianto professor Lenzi, di cui ho avuto l’onore di potergli fare diverse volte da “porta borse” nei suoi consulti perché era amico fraterno della mia famiglia, dicevano che “una buona diagnosi è sempre l’inizio di una buona terapia”. E questo è ovvio, perché senza diagnosi brancoliamo nel buio, e non sappiamo assolutamente che cosa fare né come farlo di fronte alla persona che soffre e chiede il nostro aiuto. Ora, la psicopatologia generale non è solitamente uno strumento diagnostico se la si intende in senso psichiatrico classico, poiché essa si occupa solo dello studio dei sintomi patologici della coscienza del malato, o se volete, dell’Io- coscienza del malato mentale. E ora, poiché molti sintomi psicopatologici sono comuni a sindromi differenti, come ad esempio l’angoscia, il loro evidenziarne gli aspetti specifici descrittivi non 1 può essere usato come strumento diagnostico specifico di alcuna patologia peculiare. Ma poiché, noi ci siamo o ci stiamo specializzando in psicoterapia analitica, anziché occuparci, come normalmente si fa, della psicopatologia descrittiva, ce ne occuperemo in un modo rigorosamente analitico - o se vi piace di più psicodinamico, ma io preferisco il termine analitico perché presuppone la esistenza di meccanismi inconsci alla base dei processi patologici – e , come dicevo, faremo una psicopatologia analitica in questo corso, perché in ciò mi sono formato e in questo vi state formando, come la dizione stessa dei vostri futuri diplomi riporterà: specialista in psicoterapia analitica, e non descrittiva, o cognitivo comportamentale o quant’altro. Ora, dopo gli stupendi e rivoluzionari lavori della Mc. Williams (a dimostrazione che le donne quando vogliono sanno essere assolutamente logiche e classificatorie quanto se non di più degli uomini), la psicopatologia analitica è una ed un'unica cosa con la diagnosi psicoanalitica. Secondo una psicopatologia ad orientamento analitico infatti non si esaminano i singoli sintomi intesi in modo descrittivo e avulsi da sindromi specifiche, ma si esaminano tutti i processi psicopatologici come assolutamente associati a specifiche strutture di personalità : giacché, in senso analitico, la psicopatologia dell’isterico, non è quella del narcisista, che non è, a sua volta quella dell’ossessivo etc, e ciò ci consente di esaminare la psicopatologia in modo specifico e quindi diagnostico. Ecco perché diagnosi psicoanalitica e psicopatologia analitica sono inscindibili e costituiscono le due facce della stessa moneta: una moneta 2 che non possiamo mai fare a meno di “spendere” quando ci mettiamo in gioco come terapeuti. Anzitutto va precisato che scopo del processo diagnostico analitico non è quello di valutare quanto un individuo sia malato o normale (due termini che in psicopatologia spesso vogliono dire ben poco), ma capire quale sia la particolarità della sua sofferenza e quanta sia la forza della struttura (il livello evolutivo) della sua personalità al fine di alleviare la prima e ricostruire e/o rafforzare la seconda. Quindi, come vedete, la diagnosi e la psicopatologia analitica che sottendono la stessa diagnosi, sono già la base stessa della terapia. Senza diagnosi, come vorrebbero certi teorici della psicoanalisi (come Lacan) chi cura chi, e chi cura cosa? Certo, si sostiene che la cura non è lo scopo della analisi, (come fa Hilmann), ma allora quale è il suo scopo? La parcella? Io credo che come sancisce la legge che dice che la “psicoterapia è la cura con mezzi non somatici dei disagi psichici (nel nostro caso prevalentemente la parola)”, chi sostiene che non si deve diagnosticare e non si deve auspicare di curare, farebbe meglio a chiedersi di che cosa sta parlando e perché si scrive “psicoterapeuta” cioè “colui che cura la psiche” sulla carta intestata e sul biglietto da visita. Il modello diagnostico psicopatologico analitico, ideato dalla Mc Williams, si avvale di due assi diagnostici: ASSE I: misura il livello evolutivo di organizzazione di personalità. ASSE II: misura lo stile difensivo (ovvero le modalità difensivo/relazionali di adattamento dell’Io all’ambiente esterno e alle 3 pulsioni inconsce interne) all’interno di quel livello evolutivo di organizzazione di personalità. L’ASSE I: individua, a) il livello di integrazione dell’Io; b) il suo sviluppo; c) i punti di fissazione (orale, anale, genitale), definendo così il tipo di struttura di personalità del soggetto: nevrotica, psicotica, borderline. L’ASSE II: è rappresentato dai meccanismi di difesa dell’Io maggiormente adoperati dal soggetto, determina, cioè, quella che sarà la modalità di reazione con l’ambiente, che è ciò che la Mc Williams definisce come “carattere dell’individuo”. ASSE I Livelli evolutivi di organizzazione di personalità La teoria psicoanalitica dei livelli evolutivi di personalità si basa su 3 assunti precisi: I°) I problemi psicologici attuali sono derivati da precursori infantili : come dice il Gabbard, l’infanzia è il prologo dell’individuo; II°) Le relazioni e le esperienze infantili sono la matrice che struttura il modus vivendi e la interpretazione della realtà da adulti; III°) L’identificazione del livello evolutivo, inteso come fissazione, raggiungimento, o blocco di certe competenze evolutive, è di fondamentale importanza per comprendere il tipo di struttura e di personalità del paziente. 4 In senso analitico (Freud) i termini personalità e carattere tendono a sovrapporsi anche se attualmente hanno assunto significati differenti, per cui è meglio parlare di personalità anziché di carattere essendo quest’ultimo un segno individuale distintivo non raggruppabile in un gruppo come i vari tipi di personalità, con caratteristiche più che altro di giudizio qualitativo, spesso moraleggiante: “un buon, cattivo, pessimo carattere”. In ogni caso in senso analitico il carattere/personalità dell’individuo è visto in senso dinamico. Ovvero sia come un qualcosa che si sviluppa ed evolve mutando nel tempo dalla nascita alla età adulta; sia come formata da tre parti che sono i famosi Es Io e Super-Io in un loro rapporto reciproco conflittuale che può essere in equilibrio o meno. Tali parti sono delle Istanze psichiche, cioè come dice il termine sono delle domande pressanti che richiedono soddisfazione e quelle dell’Es sono in contrasto con quelle del Super-Io, e il nostro povero Io, secondo la concezione psicoanalitica classica si trova a mediare fra queste istanze, dal suo livello evolutivo e quindi dalla sua “forza” dipende l’equilibrio psichico. Ora per la psicoanalisi il livello evolutivo della personalità di un individuo è determinata dal suo sviluppo psico/sessuale che si suddivide in 3 fasi pregenitali (che sono la orale, la anale e la fallico/edipica) e 1 fase (l’ultima) dello sviluppo genitale adulto normale. Per ogni stadio di sviluppo esistono dei conflitti tipici il cui superamento comporta lo sviluppo. Ora secondo tale concezione è possibile che per varie cause è possibile che tale sviluppo si arresti o regredisca a un determinato 5 stadio di questo sviluppo, causando una struttura di personalità caratteristica ed abnorme che è alle base di varie strutture patologiche del carattere. Pertanto possiamo avere quindi o un blocco a una fase di sviluppo cronologicamente superata e questo “ancoramento”, viene definito “Fissazione”. Invece la “Regressione” consiste in un ritorno, a seguito di un trauma psichico, della libido a una fase di sviluppo precedente rispetto a quello già raggiunto. Comunque in entrambi i casi questo stadio inferiore dello sviluppo, acquisisce, in tal modo, una importanza esagerata nella personalità di un adulto. Le principali fissazioni con i relativi “caratteri” sono: Orale da cui dipendono le strutture di personalità: depressiva, narcisista, psicopatica e borderline; Anale da cui dipendono quelle ossessivo, compulsivo, paranoide; Fallico/Edipica da cui derivano la personalità isterica, prevalentemente, ma secondo alcuni, Fromm, (io non sono d’accordo per nulla) quello che sia Fromm che Kernberg chiamano narcisismo maligno, nel senso che il narcisismo maligno non credo sia come vuole Fromm una fissazione incestuosa alla madre, o come vuole Kernberg una scissione borderline più grave: io penso che si conformi perfettamente alla psicopatia, perché queste persone non solo non sanno minimamente amare, come fa chi è fissato alla madre anche se in modo abnorme, e non soffrono minimamente cosa che invece fa il borderline. Cercheremo di parlarne successivamente. 6 Genitale, invece porta alla normalità che detta in termini molto semplici da Freud, ma secondo me molto veri, consiste nella capacità di sostentarsi autonomamente e nell’essere capaci di amore vero (provate a pensare quanti vostri pazienti sono capaci di fare entrambe le cose e vedrete quale è il primo scopo di ogni vostra terapia). Quindi seguendo questo concetto potremo avere una fissazione/regressione alla prima fase dello sviluppo psichico quella nutritiva (Orale) e in tal caso avremo due caratteristici forme di tratti caratteriali orali che possono presentarsi alternativamente nello stesso individuo in base alle circostanze (più frequente), oppure essere presenti in una sola forma e si basano o su una fiducia di base oppure su una mancanza di fiducia: 1) Orale ricettivo (succhiare): è l’individuo che si aspetta, per una sorta di diritto naturale, di venire “nutrito” in tutte le forme possibili di “nutrizione”, materialmente, emozionalmente e intellettualmente. E’ la persona “dalla bocca aperta” (Fromm) fondamentalmente passiva e dipendente che sta in attesa che le venga fornito ciò di cui ha bisogno. E tutto ciò per 2 motivi fondamentali: 1) perché se lo merita (gli spetta) essendo tanto buona o ubbidiente (un bravo bimbo); 2) oppure a causa di un elevatissimo narcisismo perché egli si crede di essere così meravigliosa da dover essere presa in carico da altri. Un individuo di questo tipo si aspetta, senza fare nulla, che tutto gli sia offerto, senza mai dover ricambiare. 2) Orale aggressivo (mordere): anche lui crede che tutto ciò di cui ha bisogno debba venirgli fornito dall’esterno e non dalle sue fatiche. A differenza, però, dell’orale passivo non si aspetta che chiunque gli 7 fornisca spontaneamente ciò di cui ha bisogno, ma cerca di ottenere dagli altri con la forza quanto gli occorre; il suo è un carattere esplicitamente predatorio. Ovvero, del “predare” cioè di sottrarre, strappare con la violenza. Tuttavia, in questi casi la “violenza” va intesa in senso lato, cioè non solo nel senso di coazione fisica, ma anche solo morale, manipolatoria, plagiante ed esercitata su uno o su un gruppo di soggetti per ottenere quello che si vuole, a qualsiasi costo. Quindi l’atteggiamento di eccessiva dipendenza dagli altri del carattere orale si manifesta cioè nell’attendere “passivamente” il nutrimento (fiducia di base) o nel “depredare” il nutrimento (mancanza di fiducia). In entrambi i casi ciò che caratterizza l’atteggiamento orale è la non produttività, ovvero il non procurarsi da sé il “nutrimento”. Come già detto i due atteggiamenti frequentemente coesistono nella stessa persona a seconda delle circostanze: ad esempio l’atteggiamento passivo diviene predatorio nel momento in cui l’individuo non ottiene ciò di cui crede di avere diritto. La parola che caratterizza questo atteggiamento è: pretese. Ovvero, esigenze eccessive e non giustificate, ed è interessante osservare che nella lingua italiana, in senso figurato “pretesa” significa “presunzione” e quindi “pretenzioso” e “presuntuoso” sono sinonimi: non bisogna mai dimenticare che “narcisismo” è il termine psicoanalitico scientifico per definire proprio il presuntuoso cioè colui che crede di avere una importanza di gran lunga superiore a quella che possiede veramente. Comunque, in base a ciò, l’orale passivo sarà più facilmente portato ad avere una organizzazione depressiva di personalità (aggressività verso di sé), mentre l’orale aggressivo avrà più facilmente una personalità 8 narcisista o sociopatica, e il borderline è colui che nella sua scissione profonda alterna tipicamente i due tipi di atteggiamenti orali: passivo quando ama, predatorio quando odia. Quindi, proseguendo nello sviluppo psico sessuale, la fissazione potrà poi essere a livello dell’aspetto della necessità di autonomia e indipendenza, ossia della seconda fase dello sviluppo junghiano (la anale). Avremo quindi l’atteggiamento sadico anale. Ciò che caratterizza questo atteggiamento è l’autonomia associata al bisogno di controllo e da un sentimento di vergogna o di dubbio. La fissazione a questo stadio potrà manifestarsi attraverso una esagerata ostinazione con caratteristica ripetitività, una vera mania per l’ordine e la pulizia associate a una elevata parsimonia che giunge il più delle volte alla franca avarizia. Ovvero, per spiegarsi, quando parliamo di avarizia intendiamo quelle persone che spendono sempre a malincuore, o non spendono affatto per un morboso attaccamento al danaro, ma anche nel senso di colui che si trattiene dal fare alcunché per gli altri, non li danneggia, perché in genere è corretto, ma non li aiuta e non da scarsamente affetto è cioè “avaro di affetti”. Quindi non sono avidi, cosa tipica dell’orale, ma avari cosa assai diversa. E per ostinazione intendiamo quelle persone tenaci e risolute nei propri propositi, ferme e irriducibili nella volontà, ma non nel senso positivo del termine, ma nel senso di caparbietà, assenza di elasticità mentale, o è così o è così. Questa è la struttura di carattere di quegli individui che non credono che qualcosa di nuovo possa mai essere creata (tutto deve assolutamente restare in ordine, ovvero così come è), e si comportano e reagiscono in modo sempre uguale. Di conseguenza tali 9 persone ritengono che l’unico modo che esista per avere qualcosa sia conservare/accumulare quello che già hanno (sono, appunto, “stitici”). Si considerano una specie di fortezza dalla quale nulla può uscire perché, per loro, cambiare, uscire, spendere e dare equivale a “morire”. Tendono ad essere così pedanti, precisini, ed insopportabili, perché per loro ne va della loro vita. Lo spendere, il rischio, il disordine, la passione, tutte quella cose che a molti fanno sentire “vivi” per l’anale è solo follia perché tutto questo caos li condurrebbe alla morte. Sono quelle persone che “non si lasciano mai andare veramente” e “non si fidano mai di nessuno”. Per Freud le 3 caratteristiche salienti di questo carattere sono: l’ordine, la parsimonia e l’ostinazione. Le parole che li caratterizzano sono immutabilità e controllo. Se ancora la fissazione si verifica invece sull’aspetto della sessualità fallico/edipica, avremo un atteggiamento caratterizzato dalla teatralità (un modo esagerato, artificioso, innaturale, non spontaneo di prorsi) manifesta o accuratamente simulata che richiede sempre “un pubblico” di ammiratori per manifestarsi. Tali individui sono caratterizzati da una emotività innaturale (più frequentemente iperemotività ma talora anche ipoemotività o una ipoemotività simulata) che appare artificiosa e alla ricerca quasi dipendente di eccitazione e drammaticità. Questi individui in cui sono sempre presenti problematiche narcisistiche sono in genere efficienti e portatori di sensi di colpa di vario grado. La frase che li caratterizza è “mi devi guardare”. 10 Infine l’ultima fase quella della maturità corrisponde a quella genitale freudiana; “genitale” in senso lato come capacità di generare a tutti i livelli della propria vita. Essa corrisponde ad uno stato di buon adattamento. E’ la condizione, come già detto, della capacità di amare e di lavoro (nelle altre condizioni orale manca sia amore che lavoro nelle altre pur potendo esserci anche una discreta capacità lavorativa la capacità di amare seriamente continua a mancare) esso è il carattere “produttivo” (Fromm) maturo, adulto, pienamente sviluppato. Nella diagnosi si struttura di personalità, la teoria pulsionale freudiana, è stata rielaborata da Erikson in termini di compiti interpersonali del bambino. In questo modo si potevano identificare pazienti con fissazioni a problemi primari di dipendenza (corrisponde a fiducia/sfiducia orale), a problemi secondari di separazione (autonomia, vergogna e dubbio: anale); o a livelli più avanzati di identificazione (iniziativa/colpa: fallico/edipica). I pazienti di livello psicotico, appaiono fissati a un livello fusionale/simbiosi precedente la separazione, per cui il paziente non riesce a separare ciò che è dentro di sé da ciò che è fuori (differenziare): problemi di dipendenza. Chi invece è in una condizione borderline è invece fissato su una conflittualità diadica tra fusione totale, che teme possa cancellare la sua identità, e il totale isolamento equiparato a un abbandono traumatico: problemi di separazione. 11 Infine chi ha difficoltà nevrotiche pur avendo portato a termine il compito di separazione/individuazione, si dibatte in conflitti interiori, come ad esempio fra ciò che desidera e ciò che teme, il cui prototipo è il dramma edipico. 12 ASPETTO GENETICO Non vi sono opere che affrontino in modo sistematico e psicopatologico la teoria Freudiana dello sviluppo psico sessuale della personalità (compreso quella del Bergeret, anche se in essa vi è la migliore esposizione che io abbia trovato). Questa teoria, è una teoria che ha avuto molte revisioni, ampliamenti e contestazioni nel corso dello sviluppo della Psicoanalisi, ma è una teoria che non può non essere conosciuta approfonditamente da chi vuole fare lo psicoterapeuta analitico. Davvero, si può dire, come si dice per la filosofia di Platone in storia della filosofia, che in fondo tutta la storia della psicoanalisi altro non è che “un commento all’opera di Freud sulla sua genealogia psico sessuale della personalità”. Ecco perché il corso di quest’anno si baserà in modo specifico su di essa e sulle sue fasi di sviluppo individuate da Freud. Non si pretende di colmare le lacune letterarie al riguardo, ma dobbiamo almeno schematicamente descrivere le grandi tappe (fasi) di questa genesi. Osserveremo queste fasi da un doppio punto di vista: 1) dello sviluppo psico sessuale da una parte, orientato dalla entrata in gioco successiva delle diverse zone erogene; 2) della relazione d’oggetto (o relazione oggettuale) dall’altra parte, espressione che designa in particolare le forme delle relazioni che il soggetto instaura con gli “oggetti” (compreso sé stesso) nel corso dei diversi momenti evolutivi. 13 INFLUENZE PRENATALI E NEONATALI LE INFLUENZE PRENATALI Greenacre (importante studioso della importanza dei traumi nello sviluppo della personalità, 1971), ritiene nei suoi studi (studi peraltro confermati anche oggi sull’attaccamento e conoscenza e regolazione delle emozioni, Liotti) che la costituzione, le esperienze prenatali, e la situazione che segue immediatamente la nascita, contribuiscano a creare una predisposizione all’angoscia, o “preangoscia”, che è diversa dalla angoscia successiva, in quanto manca di contenuto psicologico e opera a livello riflesso. Sappiamo bene, si può dire con certezza che il feto è capace di agire in diversi modi dato che si muove, dà colpi con i piedi, si gira… tutte manifestazioni che qualsiasi donna incinta aspetta persino con una certa impazienza. Sappiamo, per certo, che il feto si succhia già il pollice nel ventre della madre ad esempio. Sappiamo anche che il feto reagisce ad alcuni stimoli esterni con aumento di movimenti, una accelerazione del battito cardiaco… e così via, per esempio quando vicino alla madre si fa sentire un suono forte ed acuto. Il feto presenterebbe anche, analogamente, un considerevole aumento di attività quando la madre attraversa periodi di intense esperienze emozionali; e ciò proverebbe che lo stato psico fisiologico della madre esercita una influenza sul tipo di comportamento del feto normale. Esso addirittura, potrebbe gridare nell’utero se, per sbaglio, dell’aria fosse immessa nella cavità uterina. 14 Greenacre interpreta tutte queste reazioni connesse a situazioni di disagio come una prova del fatto che prima della nascita esiste uno schema di condotta simile all’angoscia. Questo schema, influenzato ulteriormente (rafforzato) dalla nascita e dalle prime esperienze post natali, costituisce, per l’Autore, un potenziale organico e fisiologico (riflesso), che, se particolarmente forte, può avere come conseguenza reazioni più violente ai pericoli psicologici che subentreranno nel corso della vita. Altri autori avrebbero dimostrato che sarebbe persino possibile condizionare il feto. Ma è evidente che non siamo ancora in grado di valutare gli effetti dell’ambiente prenatale sullo sviluppo della personalità. Per cui solo a titolo di aneddoto, e non come fatto scientifico, che citiamo la pratica degli tzigani che consiste, quando si vuole creare un musicista di valore, nel fargli “sentire” fin dalla vita intrauterina arie di violino suonate da un maestro di violino accanto al ventre della madre. Infine, voglio parlarvi anche di Fodor e dei suoi lavori. Egli sostiene attraverso delle ricostruzioni (che però non possono avere validità scientifica) basate sui “fantasmi” e sui così detti “sogni prenatali” fatti da lui stesso e dai suoi pazienti, che l’aspetto traumatico dell’ambiente prenatale dovrebbe essere prima di tutto causato dalla violenza dei rapporti sessuali fra i genitori avvenuti durante la gestazione. Di fatto Fodor, postula la esistenza di una sorta di “coscienza organismica” finalizzata e resa possibile da comunicazioni telepatiche fra la madre e il feto; tuttavia, è chiaro che l’esistenza della telepatia come mezzo di comunicazione resta una premessa non verificata. 15 Conclusioni: Sembra difficile portare a termine ricerche decisive in questo campo. Anche se io mi aspetto che le moderne tecniche di neuro imaging ci possano dare ulteriori informazioni sulla attività cerebrale del feto rispetto a quella della madre. In ogni caso non possiamo dire nulla di definitivo al riguardo. Infatti, se possiamo senza dubbio ammettere che quanto avviene durante la gestazione abbia una possibile e verosimile influenza sul feto, particolarmente riguardo all’aspetto bio psichico (che poi è alla base del così detto “temperamento” ), resta però ancora impossibile trarre delle conclusioni rigorose sugli studi fatti. Cioè quello che ancora non possiamo dire esattamente né quando (cioè in che periodo della gestazione), né come (cioè quali siano i meccanismi di rapporto causa effetto fra stato psichico della madre e sviluppo psichico del feto), né in che misura (cioè quanto tutto ciò sia determinante) i rapporti madre feto possano essere responsabili di uno sviluppo psichico normale o patologico dell’individuo dopo la sua nascita; e neppure, possiamo dire precisamente, quanto di tutto ciò possa influire sulla vita adulta dell’individuo. Come possiamo, ad esempio, decidere se le angosce di un bambino di 4anni sono dovute all’ambiente carico di angoscia, che una madre infelice ha creato prima o dopo la nascita? Dato che comunque una madre continua in ogni caso anche dopo la nascita ad esercitare una influenza determinante sullo sviluppo della personalità dei propri figli. A questo rapporto diretto madre feto e madre neonato, comunque, un rapporto che avviene per vie non del tutto chiare, ma che sono essenzialmente biologiche e non culturali, è comunque impossibile sfuggire. 16 IL TRAUMA DELLA NASCITA E’ noto che questa posizione è legata al nome di Otto Rank. Tuttavia, è stato Freud che per primo ha sottolineato il significato psicologico del trauma della nascita, evidenziando la sensazione di pericolo soverchiante provocata nell’immediato afflusso iniziale di stimoli provenienti dal mondo esterno, extrauterino, al momento della nascita. Alla nascita, nel momento dell’uscita dall’ambiente relativamente calmo e ovattato dell’utero materno, in un ambiente invece ricchissimo di stimoli, l’organismo può trovarsi come letteralmente soverchiato da questa improvvisa sovrastimolazione a cui non è in grado di fare fronte in alcun modo. Il neonato non può affrontare questa nuova situazione di pericolo in maniera adeguata, perché non dispone ancora di nessun meccanismo di difesa utilizzabile per proteggersi. In tal modo la nascita diviene il modello o prototipo di ogni angoscia successiva, il cui fattore comune si esprime in termini di separazione biologica dalla madre, che in futuro si esprimerà in maniera più psicologica e più simbolica. Questo implica che paradossalmente la nascita venga vissuta come “morte”, fine di una parte fondamentale di sé stessi: quella che ci proteggeva e ci sostentava (nutriva), ossia la madre, soprattutto come impossibilità di sopravvivere da soli, farcela da soli. Ecco perché ogni cambiamento significativo della vita si manifesta come angoscioso a volte fino al panico in alcune persone. Ed ecco perché esiste questo “mito” del ritorno alla madre come condizione paradisiaca dove non si è separati, ma uniti ad un qualcosa che ci sostiene, ci nutre e ci protegge. 17 Tuttavia, Freud (che non ammette come possibile alcuna forma di coscienza nel neonato) tende a minimizzare l’importanza delle complicazioni biologiche che sopraggiungono nel corso della nascita, non ammettendo che il neonato in quel momento possa avere coscienza di contenuti reali presenti nella sua psiche. In “Inibizione, sintomo ed angoscia”, appunto sostiene che il pericolo che si presenta alla nascita è quello della sopravvivenza, ma noi comprendiamo questo pericolo grazie alla esperienza che ci deriva dai fatti materiali e quindi al momento della nascita questo pericolo “non ha ancora nessun contenuto psichico”. O. Rank, invece, alla teoria del trauma della nascita uno sviluppo suo peculiare che lo allontanò dalle concezioni classiche della psicoanalisi di Freud. Infatti, egli attribuisce al trauma della nascita un ruolo centrale nello sviluppo della personalità considerando la nascita come un profondo shock che crea una riserva di angoscia, le cui quote si scaricheranno, si libereranno nel corso di tutta l’esistenza. Secondo tale Autore tutte le nevrosi trovano la loro spiegazione in questa angoscia determinata dal trauma della nascita. Ciò vuole dire che ogni angoscia successiva può essere interpretata in termini di angoscia della nascita in quanto essa non costituisce solo il modello, ma l’origine stessa della angoscia. Spingendosi ancora più in la, Rank giunge a dire che il neonato si forma delle impressioni visive durature di questa penosa separazione dalla madre, specificatamente responsabili dell’orrore provato più tardi per gli organi genitali femminili, mentre le separazioni di ogni tipo, reali o immaginarie, saranno sentite come un trauma minaccioso. 18 Infine, per Rank, ogni piacere avrebbe come scopo finale quello di poter provare di nuovo il sentimento di soddisfazione pura e di originaria beatitudine intrauterina, e l’atto sessuale, che rappresenta la unione simbolica con la madre, è il mezzo più soddisfacente per realizzare questo ritorno alla vita intrauterina: quindi l’uomo concepirebbe il suo pene come un bambino che torna nel ventre della madre, e la donna si identificherebbe (il pene dell’uomo durante la penetrazione) con il proprio bambino mentre non è ancora nato. L’angoscia primaria rappresenterebbe un ostacolo a questa soddisfazione, perché costituisce un segnale di pericolo contro il desiderio di rientrare nel ventre materno. Greenacre occupa una posizione intermedia fra Freud e Rank. Ammette infatti l’azione di due fattori, costituzionale o ereditario e accidentale che compaiono al momento della nascita, ma sostituisce le impressioni visive di Rank con la sua teoria di risposta biologica di “preangoscia”. Per Greenacre, infine, l’influenza reale del trauma della nascita, in pratica, non sarebbe così importante come pensa Rank, né così minimo come ritiene Freud, ma si porrebbe in una posizione di importanza intermedia fra i due. 19 TRAUMA E STRESS Questa nostra primo contatto con la teoria genetica dello sviluppo psico sessuale dell’individuo e queste considerazioni relative a trauma e predisposizione costituzionale del soggetto ci porta in contatto, come abbiamo visto, con un aspetto che attualmente è molto in voga in psichiatria e psicopatologia, ovvero quella teoria che ritiene che molti disturbi psicopatologici rappresentino il risultato di fattori “stressanti” su soggetti con caratteristiche di vulnerabilità costituzionale. E seguendo un ottica fenomenologica ci portiamo ad un livello ermeneutico che ci porta a considerare i rapporti motivazionali (non causali) che intercorrono fra evento psichico patologico e la situazione/evento ambientale traumatico. E l’esame di questi ultimi ci porta inevitabilmente a considerare i tre cardini di sempre della psicopatologia in chiave ermeneutica e conseguentemente di ogni psichiatria, psicoterapia, dinamica. Ovvero i concetti di : endogeneità, processualità, reazione abnorme, e sviluppo di personalità. Nella concezione ermeneutica questi termini vengono intesi, attualmente, con i termini vulnerabilità e area traumatica. Vedremo di cosa si tratta. Ma adesso ritorniamo al trauma/stress che agisce su una vulnerabilità intrinseca dell’individuo esaminandoli per ora senza entrare nel merito dinamico di questa interazione, ma solo in un rapporto deterministico fra di loro. La vulnerabilità sarebbe espressione della ereditarietà e/o di fattori che intervengono precocemente, come abbiamo già visto, a livello intrauterino o immediatamente dopo la nascita. 20 L’insieme di questi elementi, nella loro reciproca interazione, da luogo a un certo tipo di temperamento e/o a specifiche modalità di elaborazione delle informazioni, vale a dire di ciò che l’individuo percepisce dall’ambiente. Queste caratteristiche stanno alla base del comportamento, o meglio della reattività, dell’individuo e quindi di ciò che comunemente si definisce come “personalità”, “stile di vita”, “relazioni e rapporti sociali”. Su questa predisposizione vulnerabile vengono poi ad agire i “traumi”, o come vengono chiamati oggi, i fattori stressanti, quali alcuni eventi della vita (come: scolarizzazione, maturità sociale/lavorativa, militare, carcere, processo/contenzioso legale, matrimonio, divorzio, amore infranto specie se si è lasciati o rifiutati, lutto, trasloco, cambiamento di ambiente inteso come sradicamento dalle proprie origini), le abituali fasi fisiologiche dell’arco della vita biologica dell’uomo (pubertà, gravidanza, senilità), le malattie (sia acute, che croniche, sia invalidanti che risolte), e, infine, i cambiamenti di ruolo sociale (in genere i “declassamenti” come riduzione della importanza lavorativa, perdita o paura di perdita del lavoro con conseguente disoccupazione, ma anche il pensionamento, oppure perdita di importanza del proprio ruolo familiare, come un genitore che si sente messo da parte a causa della autonomia del figlio magari perché si sposa; tuttavia, oltre a queste riduzioni di importanza, sono tutt’altro che infrequenti, i “traumi” da promozione, da aumento di responsabilità, dal dover dimostrare a sé stessi e agli altri di “essere all’altezza” della situazione, di essere capaci, magari, come se non di più di chi ci ha preceduto nel ruolo che si viene ad 21 occupare: come essere il nuovo capo ufficio, il nuovo dirigente scolastico, il nuovo professore e così via.). In ogni caso il concetto di “stress” origina dalla famosa sindrome di Selye (medico viennese che fin dagli anni trenta conduceva ricerche presso la università di Montreal, accettata dalla comunità scientifica in toto nel 1946), o “Sindrome generale di adattamento”, che descrive le tre fasi di adattamento dell’organismo biologico alle sollecitazioni dell’ambiente: I°): Reazione di allarme, nella quale l’organismo non si è ancora adattato, ma si è semplicemente attivato alla azione di uno stimolo ambientale. II°): Resistenza, in questa fase l’adattamento è completo allo stimolo. III°):Esaurimento (se lo stimolo persiste o è eccessivo rispetto alle capacità di adattamento dell’organismo), è la fase in cui l’organismo non riesce più a fronteggiare le richieste ambientali e quindi, l’equilibrio adattativo precedentemente raggiunto va perduto. La sindrome generale di adattamento, consiste nelle modificazioni fisiologiche e umorali che l’organismo oppone agli stimoli ambientali al fine di mantenere l’omeostasi (equilibrio) interna. Si tratta di una reazione aspecifica ad agenti che richiedono cambiamenti adattivi. Uno stimolo o una situazione possono essere stressanti di per sé, oppure divenirlo in un dato contesto ad esempio quando colgono l’organismo in un momento di particolare suscettibilità (adolescenza, durante il periodo mestruale. L’inizio di queste reazioni aspecifiche è costituito da un aumento della secrezione da parte della ipofisi dell’ormone ACTH che a sua volta stimola la corteccia surrenalica che a sua volta aumenta la produzione di altri ormoni corticoidi e stimolo del sistema adrenergico e 22 noradrenergico (reazione di allarme). Anche i sistema nervoso simpatico e parasimpatico (cioè il sistema nervoso autonomo, quello indipendente dalla volontà che regola autonomamente le funzioni viscerali) prendono parte alla risposta; così pure l’attività immunitaria si modifica per l’intervento di questi meccanismi. STRESS BUONO E STRESS CATTIVO Tuttavia, “non tutto lo stress è stressante” o, meglio, non tutto ciò che sollecita anche bruscamente l’organismo deve essere ritenuto dannoso per l’organismo stesso. Non solo, ma è importante rilevare che la presenza di stimoli, in una qualche misura sempre un poco stressanti, è necessaria al mantenimento della buona salute dell’organismo. La quota di stimoli (naturalmente variabile da soggetto a soggetto) necessaria a tale buon funzionamento viene definita eustress (dal greco eu=buono) o stress fisiologico. E’ quando si supera questi limiti individuali che gli stimoli risultano nocivi producendo innanzitutto disagio ( distress ) e divenendo successivamente, per alterazione dei meccanismi biologici volti alla omeostasi (di cui abbiamo parlato prima), dannosi alla salute. Alcuni degli studi sperimentali più noti sullo stress (che utilizzano vari tipi di animali) sono quello della “impotenza appresa” e della “disperazione comportamentale” che mostrano come negli animali da laboratorio siano efficaci i trattamenti farmacologi “anti stress”, in particolare dei serotoniniergici e delle benzodiazepine che volendo potremmo chiamarli Gabaergici. 23 Definire lo stress nell’uomo non è però così semplice come lo è nell’animale e questo, sia perché non è certo possibile sottoporre l’uomo ad esperimenti simili, sia, soprattutto, per la capacità umana di simbolizzare e di progettare il futuro, capacità che per il loro sviluppo sono proprio ciò che distingue la nostra specie dalle altre. Cioè l’uomo da un suo significato di valore e prospettico agli eventi che trascende l’aspetto biologico e ha la capacità di proiettare nel futuro questi significati che hanno sempre un senso esistenziale. Selye affermava che non è tanto importante quello che ci accade quanto il modo con cui reagiamo all’evento; ciascuno ha quindi, per così dire, una sua scala di valori di eventi stressanti, di cui però in una buona parte sono condivisibili con gli altri. Quindi, per l’uomo, si deve accettare la sua variabilità individuale di risposta agli eventi “stressanti”: sarà certamente stressante per tutti perdere il proprio lavoro o una persona cara, mentre sarà stressante solo per alcuni una promozione sul lavoro. Per cui sebbene esista una scala degli eventi stressanti che attribuisce un punteggio di 100 alla morte del coniuge (massimo) e di solo 29 (minimo) all’allontanamento di casa di un figlio: individualmente l’allontanamento del figlio può valere 100 anziché 29! Il problema della attribuzione di significato è centrale sia per la definizione dell’evento che per la precisazione dell’effetto stressante. A seconda delle teorie vi sono alcuni aspetti dell’evento traumatico che valorizzano di più o meno la possibilità che un evento sia realmente “traumatico”: essi sono il cambiamento indotto dall’evento, l’indesiderabilità dell’evento, la spiacevolezza dell’evento, ovvero il faticoso lavoro di riequilibrazione che deve essere messo in atto per far 24 fronte all’evento, o ancora la imprevedibilità che appunto accada all’improvviso tipo “fulmine a ciel sereno”. Nessuna comunque delle teorie è mai riuscita a dimostrare che uno o l’altro di questi aspetti siano determinanti nel far si che un evento sia o meno traumatico per la psiche. Per quanto riguarda la mia esperienza clinica, io credo che ogni evento traumatico presenti tutti questi aspetti per poter essere veramente in grado di far insorgere una problematica psicopatologica, quindi: Determinare un vero cambiamento di stato e/o condizione o che l’evento determini la consapevolezza della impossibilità di ottenere un reale cambiamento del proprio stato e/o condizione, che tale cambiamento sia indesiderabile rispetto al vero raggiungimento di mete individuali di vita che possono essere consapevoli o meno (quindi anche un cambiamento considerato dai più in meglio individualmente può essere indesiderabile), che l’adattamento a tale cambiamento sia spiacevole (cioè che implichi una difficoltà notevole – sempre in termini individuali - per adattarsi ad esso, come ad esempio dover mettere in atto meccanismi comportamentali che di per sé sono deficitari come ad esempio doversi occupare dei conti da parte di una vedova che odia la matematica, cosa di cui magari prima si occupava il marito) ed infine che sia imprevisto (che avvenga come un qualcosa che “non ci si sarebbe mai aspettati”, come se fosse un evento quasi innaturale, tutto ciò sempre però in termini di individualità soggettiva). Pertanto come abbiamo visto nella esperienza della coscienza umana non c’è nulla che non possa essere elevato a senso e conseguentemente anche a linguaggio (nel senso lato del termine). E se è vero, come scrive Ricoeur, che “non esiste nel bios nulla che non possa essere elevato a 25 logos”, possiamo anche dire che nessun pregiudizio organicistico, nessuna riduzione biologica (parlare della assurdità di una psichiatria biomolecolare) della malattia mentale deve servire da alibi alla indifferenza e alla inerzia comunicativa di fronte alla situazione esistenziale data dalla malattia mentale, anche quando essa appaia ad un limite incomprensibile come è quello della follia. Per cui, da quanto abbiamo detto sin qui, su vulnerabilità iniziale e trauma psichico (e per la psicosi esisterebbe una vulnerabilità specifica che sarebbe data da una certa presenza e tendenza alla depersonalizzazione), appare evidente, mi auguro, come vi sia in realtà una interazione fra situazione/evento ambientale traumatico (definito da alcuni area traumatica) e evento psichico patologico che è data da rapporti motivazionali individuali (sottolineo motivazionali e non causali) che sono cioè dati, da un rapporto ermeneutico di significato che viene dato all’evento. Voglio intendere che nessun evento è oggettivamente in grado di determinare una alterazione psicopatologica se lo si priva del significato che esso possiede per lo psichismo dell’individuo, a prescindere dall’aspetto di vulnerabilità di base. Anzi, come abbiamo già visto, questa vulnerabilità si traduce comunque in un significato per il paziente, anche se questo significato, che per seguire Greenacre possiamo definire “preangoscia”, non ha un significato chiaro come può averlo a livello di una coscienza strutturata; poiché esso comunque possiede la matrice di un significato simbolico che viene dato poi dalla esperienza psichica del paziente di fronte all’evento dell’area traumatica. (è solo una nostra difessa all’orrore primario che abbiamo anche dentro di noi quando di fronte ad un 26 paziente psicotico solleviamo le spalle dicendo semplicemente “non significa nulla”!). Ora per comprendere questi rapporti motivazionali che intercorrono fra evento traumatico ambientale e evento psichico patologico, ci dobbiamo rifare ad alcuni concetti chiave attraverso i quali la psicopatologia centro/europea (fenomenologica) ha cercato di discriminare il peso maggiore o minore delle situazioni ambientali sulla insorgenza del disturbo psichico. Si tratta, come già vi avevo detto, dei concetti di endogeneità, processualità, sviluppo abnorme e sviluppo di personalità. Molti di questi, oggi a seguito dello sviluppo di una psichiatria sempre più organicista e farmacologia hanno perso di significato, ma ciò non di meno restano, invece, importanti per chi ricerca, come facciamo da sempre noi Junghiani, un senso significato alla malattia mentale. ENDOGENEITA’ Tale concetto è praticamente all’opposto di quello di reazione abnorme. Endogeno è qualunque disturbo psichico che si sottrae ad una interpretazione motivazionale e ambientale della sua insorgenza, esso serve, per lo più, per etichettare l’insorgenza immotivata, autonoma e incomprensibile di un disagio psichico rispetto agli eventi ambientali e alle dinamiche psichiche. Alcune malattie psichiche, in particolare quelle che rientrano nell’ambito della sfera psicotica (la psicosi schizofrenica, la psicosi maniaco-depressiva ed in genere tutte le psicosi) sono state considerate ed 27 in pratica lo sono sempre di più oggi, considerate come “endogene” in quanto espressione psichica di un ipotetico “substrato biologico” e “vitale” che è appunto l’endon (“all’interno”, dentro,): il che equivale a dire, come oggi si fa comunemente, ma arbitrariamente, “organico”. Dico arbitrariamente perché nessuna lesione organica specifica è stata mai individuata come responsabile di alcuna psicosi: parlare di alterazione bio molecolare del sistema dei neuromediatori non è una lesione d’organo, ma semmai una disfunzione che essendo priva di una lesione d’organo specifica non dimostra per nulla che sia causa e non conseguenza della psicosi. Comunque nel concetto di endogeno si mescolano fra di loro, confusamente, tre diversi ordini di discorso che sono: 1) La presenza di un substrato biologico del disturbo psichico; 2) La autonomia dell’evento psichico patologico rispetto a qualunque possibile motivazione ambientale e/o psicodinamica; 3) L’incomprensibilità, a livello comunicativo, della esperienza psichica connessa all’evento patologico. Collocandosi quindi al di fuori di qualsiasi struttura di situazione e di motivazione – cioè ponendosi al di fuori di trauma psichico – il concetto di disturbo endogeno può essere considerato l’equivalente psicopatologico della malattia intesa in senso medico e biologico. 28 PROCESSO La psicopatologia/psichiatria organicista descrittiva ha coniato un altro termine per definire questo evento biologico/psichico incomprensibile: che è quello di “processo”. Si parla di processo quando nel corso di una vita normale insorge, più o meno bruscamente, qualcosa di completamente nuovo, una modificazione totale della personalità per una alterazione della vita psichica che non è psicologicamente derivabile dalla biografia individuale. Nel concetto di processo è compreso oltre al concetto di endogeneità, quindi di malattia biologica, anche il concetto di alterazione permanente e irreversibile della vita psichica. Sul lato opposto a questi concetti vi sono invece quelli di reazione abnorme e sviluppo di personalità che sono invece concetti ermeneutici, molto più utili dei precedenti, e che vanno a completare ciò che abbiamo detto sin qui sul trauma psichico. REAZIONE ABNORME In parte lo abbiamo già visto, per reazione abnorme si intende una risposta psichica patologica (per intensità e/o qualità) il cui contenuto sta in un rapporto comprensibile con l’avvenimento scatenante, e il cui decorso dipende, entro certi limiti, dalle modificazioni e dalla durata dell’evento stesso (ad esempio una reazione depressiva di fronte alla perdita di un’importante figura di identificazione). Pertanto, secondo 29 questa concezione ermeneutica (ovvero, non endogena), l’evento ambientale determina una risposta, che per quanto assurda possa apparire, è comprensibile – e non è un semplice non senso da non indagare – rispetto alle caratteristiche simbolico/significative che vengono attribuite dalle capacità semantiche del soggetto all’evento traumatico stesso. Caratteristicamente, nella “guarigione” della reazione c’è la tendenza a riconoscere la malattia (coscienza di malattia) e a considerala estranea alla propria normale esperienza (il senso critico, ad esempio di avere fatto, pensato o detto cose assolutamente assurde rispetto a ciò che si sa per certo di sé stessi e del mondo …. una sorta di “risveglio” da una situazione di sogno e illusione). L’idea di reazione abnorme, come vedete, è il perno di una concezione psicopatologica che voglia sottrarsi ad una impostazione solipsistica e astratta della malattia mentale. SVILUPPO DI PERSONALITA’ Il concetto di sviluppo di personalità in senso fenomenologico si innesta immediatamente e coerentemente su quello di reazione abnorme i quanto rappresenta spesso un suo prolungamento nel tempo e una sua dilatazione psicopatologica. Ovvero, la reazione dell’individuo si protrae per lunghissimo tempo, in maniera sproporzionata all’avvenimento per intensità e durata, con cambiamento permanente della personalità. Nel concetto di sviluppo di personalità l’evento ambientale traumatico rappresenta per l’individuo un evento-chiave che sembra 30 colpire specificatamente una zona particolarmente fragile dell’Io (l’area traumatica, vulnerabilità specifica con tendenza alla depersonalizzazione), una sorta di falla della personalità, così da innescare una evoluzione psichica patologica (fino al delirio di persecuzione o di grandezza) il più delle volte irreversibile. Tale evento chiave costituisce il “trauma”, che ermenuticamente inteso nella storia della vita dell’individuo, costituisce quel qualcosa in cui vi è un prima e un dopo (che interrompe una continuità (ad es “dopo la morte di mio padre”, “prima della maturità”, etc.): è quel “luogo” in cui vi è una rottura: “la frattura fenomenologica”. Esso determina quella che la fenomenologia o antropoanalisi chiama angoscia esistenziale: Quando il “mondo” della esperienza viene incrinato e minaccia di scomparire poiché viene minacciata una o alcune delle sue categorie fondamentali (categorie di sicurezza ed orientamento), la presenza (l’esserCi: la “esistenza situata nel mondo”, meglio presenza perché rende bene l’idea, inoltre è mia, tua come condizione stessa di essa. Biswanger utilizza presenza al posto di uomo) corre il rischio di essere nullificata, mentre il mondo precipita nella non significatività ossia nell’insignificanza (dalla perdita di senso e scopo alla distruzione della significanza); non si da infatti una presenza senza il suo mondo. L’uomo si trova così di fronte alla sua mancanza di fondamento (ciò che Heidegger chiama l’abisso, l’Abgrund). Questo è ciò che Biswanger chiama il nudo orrore, che è appunto l’angoscia esistenziale. La presenza cerca soprattutto di sfuggire a questa angoscia, e giunge perfino a svuotarsi completamente nel tentativo di evitarla. Heidegger ha però affermato che è proprio attraverso di essa che la presenza si rende conto del carattere di possibilità 31 e di non assolutezza del suo progetto, potendo così veramente sviluppare e maturare la propria storia (dall’esistenza inautentica a quella autentica che è un essere per la morte). E’ evidente che quanto più il progetto di mondo è svuotato e semplificato (ridotto a pochissime o addirittura a una categoria), tanto più facilmente compare l’angoscia (essere/esistere è un insieme di ctegorie, tempo – ricordo- , spazio – corpo -, causalità, progettualità come conseguenza di essa). Questi due concetti (reazione abnorme e sviluppo di personalità) implicano l’analisi delle condizioni ambientali nel cui contesto complesso si afferma tanto la reazione abnorme (di qualunque specie essa sia, depressiva, paranoide – persecutoria o di grandezza – confusionale o isterica), che lo sviluppo psicopatologico (delirante) con trasformazione permanente della personalità. 32 SITUAZIONI TRAUMATICHE A parte certe tipiche e intollerabili situazioni intrafamiliari (che vedremo successivamente) faremo ora una classificazione di queste situazioni tipo capaci di scatenare più o meno severe reazioni psichiche seguendo la concezione fenomenologica fatta dalla Professoressa Clara Muscatello. Esistono, anzi tutto, situazioni limite, quali le situazioni di catastrofe, (che possono essere a causa psicogena o organiche) le quali scatenano abitualmente reazioni abnormi a carattere primitivo. Esse riguardano i disturbi quantitativi e qualitativi della coscienza: 1) SCADIMENTO PREVALENTEMENTE QUANTITATIVO DELLA COSCIENZA. Rientrano in questo gruppo i disturbi della coscienza nel senso prevalente di una sua riduzione fino alla perdita di coscienza: a) OBNUBILAMENTO Lieve diminuzione della chiarezza della coscienza e della vigilanza. Vi è sonnolenza, scarsa spontaneità, rallentato. In assenza di stimoli il paziente tende ad addormentarsi spontaneamente, ma può sempre essere risvegliato. In ogni caso è ancora capace di azioni volontarie e può sia muoversi che camminare, nonché parlare, anche se appare rallentato nei movimenti e nella ideazione. 33 b) SONNOLENZA Il malato è estremamente apatico, molto rallentato e sonnolento. Se viene lasciato solo si addormenta subito, però si risveglia se lo si chiama ad alta voce o lo si tocca: allora iniziamele appare estraniato, spesso però ancora in qualche modo orientato. Articola le parole con difficoltà (mormora). I riflessi sono integri (gli stimoli dolorosi provocano risposte di difesa e mutamenti posturali di fuga dalla noxa dolorosa, e vi sono ancora mutamenti posturali spontanei), ma il tono muscolare è diminuito. c) SOPORE Il paziente può essere svegliato ma faticosamente e solo con stimoli intensi. Non si ottengono più risposte verbali e spesso il paziente non emette nemmeno i suoni che esprimono il dolore. I riflessi sono integri con risposta agli stimoli dolorosi, ma non si osservano più mutamenti posturali. La respirazione è molto lenta e profonda, ma ancora ritmica e quindi nella norma. d) COMA Nello stato di coma il paziente non può più essere risvegliato: anche gli stimoli più intensi non provocano più movimenti di difesa. Il tono muscolare è flaccido. Il precoma e i quattro stadi del coma si differenziano in base ai segni neurologici e elettroencefalografici. Nel precoma o subcoma il riflesso pupillare e il riflesso corneale (l’ammicamento quando si tocca la cornea) sussistono ancora, mentre sono assenti i riflessi cutanei (stimolazione della pianta del piede) e i riflessi tendinei periferici. Nel coma vero e proprio scompare anche il riflesso corneale e infine anche quello pupillare alla luce (di solito vi è midriasi fissa). Molto spesso si 34 notano alterazioni del respiro (rallentamento, pause di apnea, irregolarità del ritmo). Contesti Questo primo gruppo di disturbi quantitativi della coscienza sono causati sempre da un disturbo organico della funzione cerebrale, sia che la noxa colpisca direttamente l’encefalo o meno. Le principali cause che vanno prese in considerazione sono: - Traumi cranici -Aumento della pressione endocranica (come emorragia o tumore cerebrale) - Disturbi del circolo cerebrale (ischemia) - Mancanza di ossigeno nell’aria respirata (strangolamento/impiccagione: soffocamento, forte perdita di sangue, avvelenamento da monossido di carbonio) - Crisi epilettica gravissima con perdita della coscienza e/o lesioni cerebrali successive. - Infiammazioni gravi dell’encefalo e delle meningi (encefaliti e encefalomeningiti) - Lesioni cerebrali da agenti tossici (tossine batteriche, avvelenamenti esogeni) - Avvelenamenti endogeni da disturbi metabolici gravi (come coma epatico, uremico, diabetico o tireotossico). Un altro gruppo di disturbi quantitativi della coscienza è dato da: 35 e) LIPOTIMIA Perdita della coscienza di breve durata: lo svenimento. Può avere semplici cause emotive psicologiche come sincope vaso vagale (tipica la paura, isteria), o organiche (ipotensione ortostatica, ipoglicemia etc.). f) ARRESTO PSICOMOTORIO Noto anche come SINDROME PARASOMNICA DELLA COSCIENZA, o MUTACISMO ACENINETICO o COMA VIGILE (che si manifesta con lo stupore e l’immobilità). Il paziente sembra sveglio, sebbene sia inerte e non in grado di parlare, lo sguardo è fisso oppure vaga all’intorno senza mai fissarsi. Non si riesce ad indurre il paziente a reagire né con stimoli verbali, né con stimoli non verbali (scuotendolo o presentandogli degli oggetti). Il paziente mantiene la postura casualmente presa (mancanza di movimenti correttivi). Sono conservate le funzioni vegetative elementari (ritmo cardiaco, respirazione, ritmo sonno veglia). La diagnosi differenziale si pone nei confronti del coma di origine organica (gravi lesioni cerebrali con deficit funzionale del pallium ad esempio dovute a traumi cranici, emorragie e infiammazioni cerebrali, trombosi delle vene cerebrali ecc.); e dello stupore catatonico. Per questo è importante, oltre all’esame psicopatologico e neurologico, l’elettroencefalogramma e la TAC e tutte le altre tecniche di neuroimaging. 36 2) DISTURBI QUALITATIVI DELLA COSCIENZA In questo gruppo oltre a riduzione della coscienza abbiamo anche delle variazioni dei suoi contenuti in senso patologico. a) DELIRUM TREMENS Rientrano in questo gruppo disturbi gravi (sia quantitativi che qualitativi) della coscienza, con attività psicomotoria esaltata. Disorientamento parziale o totale disconoscimento (confusione), dell’ambiente pensiero incoerente (illusioni)1, e confuso, allucinazioni2 (prevalentemente visive, ma anche vestibolari, acustiche e talora tattili). Spesso le allucinazioni visive si possono indurre. Nella maggior parte dei casi si può attrarre l’attenzione del malato rivolgendogli la parola o chiamandolo, però egli si distrae immediatamente. Vi sono disturbi del ritmo sonno-veglia (spesso il delirio comincia alla sera, irrequietezza notturna, aumento della confusione). Frequenti i disturbi neurovegetativi concomitanti (sudorazione, tachicardia, secrezione sebacea aumentata, eritemi, tremori ad ampie scosse, febbre disidratazione). L’umore può variare dalla allegria alla angoscia acuta in ogni caso è sempre eccitato. Le forme più lievi di delirio vengono anche definite come subdelirio, delirio abortivo, predelirio. 1 Alterazione percettiva per cui un oggetto reale viene percepito come un oggetto differente (es: il bastone come serpente, un tronco d’albero come una persona umana, un rumore indistinto come il trillo del proprio telefonino ecc.:- rientra in questo gruppo anche scambiare una persona per un'altra). Nella illusione gli stimoli sensoriali reali vengono elaborati e trasformati involontariamente dalla attività psichica e danno luogo ad un nuovo percetto (Jasper). 2 Per allucinazione invece si intende una percezione con carattere di corporeità di un oggetto esterno che non è presente nel mondo reale; cioè classicamente è una “percezione senza oggetto”. 37 Contesti Il delirium tremens non è assolutamente appannaggio unicamente della intossicazione alcolica: molte altre sostanze lo possono provocare come alcuni farmaci: gli anti parkinsionani, gli anti depressivi, droghe come la cocaina, le anfetamine e il pelote per fare alcuni esempi. Anche sostanze endogene possono causare il delirium come nel corso di malattie metaboliche gravi. Altre cause sono: la febbre, trauma cerebrale, epilessia, emorragia intracranica, infezioni varie e ipossia dell’encefalo. A volte però si può osservare nei così detti “episodi psicotici acuti o sub acuti” con stato confusionale acuto, o come fenomeno acuto di stati psicotici cronici (rarissimamente chiamati “delirium schizofrenico”). Esempi * Un operaio di 55anni, ricoverato in ospedale per una polmonite da un giorno , verso sera si alza dal letto, diventa irrequieto, armeggia con ciò che tiene in mano, va verso la finestra e lancia grida in direzione del parco. Nella oscurità del parco, che circonda la clinica, vede figure che gli fanno segni e gli parlano. Quando gli si rivolge la parola reagisce sgarbatamente e appare disorientato. * Un altro malato guarda verso il soffitto della stanza e vede dei fili di vetro appesi che si muovono come scossi dal vento. Sente il letto oscillare (allucinazioni vestibolari). * Un altro scorge un branco di elefanti (piccoli come lepri) che passano nella stanza attraversando le pareti. * Un altro paziente cerca di schiacciare insetti inesistenti presenti sul comodino. 38 b) STATO CREPUSCOLARE Con ciò si intende un restringimento del campo della coscienza, che è concentrata unicamente su determinati vissuti, ed esclusione o appannamento di tutto ciò che avviene nell’ambiente circostante. Le risposte del paziente agli stimoli esterni sono alquanto deboli. L’attenzione per il mondo circostante è seriamente compromessa fino ad essere abolita. Il pensiero è disturbato in vari gradi fino ad arrivare alla confusione. Frequenti le illusioni; e le allucinazioni compaiono nei più vari ambiti sensoriali. Il tono emotivo è generalmente e fondamentalmente ansioso, anche se talvolta si possono osservare stati beatifico- estatici. La psicomotricità può essere normale oppure alterata nel senso di una esaltazione o di una diminuzione. Gli stati crepuscolari di solito cominciano e finiscono in un breve arco di tempo, e terminano con un sonno profondo. Vi è poi amnesia totale dell’accaduto. Esempi * Il figlio di un contadino, che fino ad allora non aveva dato ne avuto alcun problema, un giorno d’estate uccide il padre con una scure. Egli non sa nulla della sua azione: nessuna emozione, nessun motivo, nessuna fantasia. Non si ricorda nulla. Egli non può “egoizzare” questo omicidio neppure nel senso di colpa, stupore o rimorso. * Una donna, in uno stato crepuscolare epilettico, ha una visione di Gesù che esce dalla foresta con un abito verde da cacciatore. Questo contenuto principale viene ricordato. 39 Nel così detto stato crepuscolare orientato l’attenzione, il pensiero e il giudizio si restringono. Il pensiero può ancora mantenere un certo ordine per cui anche la attività esterna può sembrare coerente. Ma questo stato non può essere definito “lucido” poiché la lucidità implica una chiara riflessione cosciente che presuppone una visione di insieme dei processi mentali interni ed esterni e il loro ordinamento, mentre nello stato crepuscolare si ha un restringimento della visione. Ad esempio: un epilettico esce dalla clinica completamente “normale” ed intraprende un viaggio di più giorni, e si comporta adeguatamente alla situazione. Dopo alcuni giorni arriva in una città sconosciuta e non si ricorda come e perché e per quale percorso vi sia arrivato. Contesti Tenendo conto delle cause, gli stati crepuscolari si possono suddividere in organici e psicogeni. - Cause organiche: epilessia, traumi cerebrali, disturbi circolatori (arteriosclerosi), ipossia, tossici (endogeni ed esogeni). - Cause psicogene: spavento, shock, panico, nel venire a contatto con un ambiente totalmente estraneo da parte di persone fragili e poco mature che non sanno adattarsi. In questo contesto viene inserito lo stato crepuscolare isterico. c) STATO ONIROIDE Con questo termine si indica uno stato simile al sogno, disorientato e confuso, nel quale il soggetto, con intensa partecipazione emotiva, vive in modo allucinatorio scene drammatiche e fantastiche che includono anche 40 illusioni originate da elementi del proprio ambiente. I pazienti non prestano più attenzione a ciò che accade intorno a loro; occasionalmente possono riprendere un certo contatto con la realtà, ma solo per breve tempo e dopo energici richiami; allora sono perplessi stupiti e disorientati, però non presentano amnesia riguardo all’accaduto. Esteriormente si presentano come immersi in uno stato stuporoso, oppure, in preda ad una intensa agitazione. Lo stato d’animo può essere improntato all’ansia (umore catastrofico), ma anche alla gioia (estasi). Il confine rispetto allo stato crepuscolare è poco netto. Ad esempio: questi malati vivono esperienze di catastrofi, battaglie, diluvi universali, festini, paradiso e inferno, ed è come se essi fossero corporalmente divisi fra le potenze del bene e del male; vivono la fine del mondo, sperimentano nell’estasi mistica la visone e la parola della divinità. Lo stato oniroide può comparire in alcune forme di schizofrenia a decorso acuto e drammatico, nell’epilessia (stato crepuscolare psicotico produttivo) e nelle intossicazioni da farmaci. d) Confusione o Amenza Si descrive con essa una sindrome con grave incoerenza, disorientamento generale, allucinazioni, delirio, stato d’animo ansioso-perplesso. Essa si può rilevare sia nel tipo di reazione esogena acuta (come nella arteriosclerosi cerebrale), sia nelle psicosi schizofreniche ad esordio acuto con decorso drammatico, nelle psicosi puerperali, e infine nelle così dette psicosi emotive. 41 3) AUMENTO DEL LIVELLO DI COSCIENZA (AMPLIAMENTO) Si tratta di un concetto poco chiaro che dovrebbe designare la esperienza del proprio ampliamento/espansione, della dilatazione dell’esistenza, di un cogliere più chiaramente e più incisivamente le impressioni dall’ambiente, una più ricca capacità di comprensione, di associazione, di memorizzazione (talvolta con alterazione del senso del tempo). La percezione appare assai vivace, con ripercussioni emotive molto intense, eventualmente con sinestesie (Fenomeno per cui la percezione di determinati stimoli è accompagnata da particolari immagini proprie di un'altra modalità sensoriale: avere visioni tramite il tatto, o sentire la consistenza degli oggetti mediante la vista). Il vissuto sembra concentrato in modo nuovo da cose diverse da quelle quotidiane. Contesti Questo senso di ampliamento della coscienza (essere “hig”) può essere provocato da droghe allucinogene (LSD, messalina, hashish ecc.) e da stimolanti (amfetamine). Esperienze di questo tipo non dovute ai farmaci si possono osservare nella meditazione o negli esperimenti psichedelici della “terapia olonoma” (Grof, 1978), in tal caso associate ad esperienze pre e peri natali e a reminiscenze di vite precedenti. Talora un malato in fase maniacale, o in una schizofrenia iniziale con esperienze di illuminazione e di estasi, può esperire il mondo come più vivo, più aperto profondo e comprensibile. Tale sentimento si accompagna a uno stato di “animazione”. 42 Bene tutte queste reazioni abnormi (che abbiamo descritto sin qui: stiamo ovviamente parlando di situazioni a causa psicogena) possono essere interpretate simbolicamente come reazioni di difesa o di fuga di fronte ad una situazione emotiva intollerabile, individuale o collettiva. Esse rappresentano atteggiamenti arcaici di paura/difesa di tipo aspecifico, che trovano riscontro in maniera evidente in molti comportamenti animali (come ad esempio l’atteggiamento di morte apparente di fronte ad un pericolo grave ed incombente). Di fronte a situazioni individuali o collettive di panico, possiamo invece avere anche atteggiamenti opposti: il turbine motorio, cioè uno stato di agitazione psicomotoria apparentemente finalistica, che si manifesta con movimenti confusi disordinati ed incoerenti, e che ricorda “il comportamento di certi animali in gabbia”, che si dibattono si impennano e finiscono col raggiungere, attraverso tutta questa iperproduzione di movimenti, una qualche casuale via di uscita. ( Ricordiamo che questi comportamenti primitivi, arcaici e filogeneticamente molto arcaici, di fronte a gravi e reali situazioni di pericolo – “reazioni iponoiche e ipobuliche” Kretschmer – possono diventare un comportamento ripetitivo e abituale, inconsciamente attuato per fuggire da una situazione emotiva intrapsichica intollerabile: diciamo allora che la reazione si è isterizzata). In definitiva è proprio attraverso certi comportamenti motori, che possono servire sia a sviare l’attenzione degli altri che ad attirarla (tic, agitazione e arresto psicomotorio, lipotimia che sono tutti veri linguaggi del corpo), che si cerca di uscire da una difficile situazione conflittuale, 43 finendo per ottenere vantaggi secondari (sintomi nevrotici, catastrofe pronta per l’uso). Così anche nell’animale, taluni atteggiamenti assunti, quale lo zoppicare, il fingersi morto, possono rappresentare un meccanismo di autodifesa di fronte alla aggressività degli altri animali o dell’uomo stesso. Finora abbiamo preso in considerazione situazioni ambientali limite (catastrofi: “evento disastroso, ma anche quella parte della tragedia classica in cui avviene lo scioglimento dell’intreccio”) che suscitano reazioni patologiche di tipo aspecifico, manifestazioni regressive che possono comparire in tutti gli uomini di fronte a traumi di particolare gravità; trattasi di situazioni che peraltro si verificano non frequentemente e in genere tendono a risolversi in un periodo di tempo più o meno lungo e, pertanto, non hanno l’interesse psicopatologico che invece possiedono reazioni di carattere specifico e permanente. Esistono tuttavia, situazioni ambientali più complesse in grado si suscitare reazioni psichiche abnormi che investono tutta la personalità e possono modificarla in modo permanente, secondo una vera e propria dimensione delirante (che sono i così detti “sviluppi di personalità”) di cui abbiamo parlato la scorsa volta. Il Delirio o meglio i deliri, sono disturbi del contenuto del pensiero. E’ opportuno però definire prima l’ideazione prevalente come un contenuto di pensiero investito affettivamente in maniera tale da 44 rappresentare non di rado un momento intermedio o una fase di passaggio prima di giungere alla fobia o finanche al delirio vero e proprio. L’ideazione prevalente è una modalità caratterizzata da idee o gruppi di idee formatesi in dipendenza di stati affettivi particolari; esse assumono un carattere di importanza e di priorità rispetto agli altri contenuti mentali, tanto da dominarli in maniera temporanea o duratura e da permeare di essi l’intera vita psichica. Sono idee la cui insorgenza è comprensibile in rapporto alle cariche affettive motivanti; esse sono criticabili e accettate dal soggetto anche se spiacevoli. Si possono distinguere in 1) idee prevalenti attive: che sono di solito connesse a una attività creativa (ipotesi scientifiche, convinzioni etiche, politiche, religiose, mistico/esoteriche ecc.) 2) idee prevalenti passive connesse spesso ad avvenimenti spiacevoli (la prospettiva di un esame, la paura di un intervento chirurgico ecc. La ideazione prevalente non è di per sé un indice di psicopatologia in atto, anche se in determinati quadri patologici (sindromi depressive, stati d’ansia, personalità abnormi) è possibile una maggiore presenza di idee prevalenti soprattutto a contenuto spiacevole, non di rado con aspetti fobici ed ossessivi. Il Delirio vero e proprio, invece, è costituito da un insieme di idee deliranti. E l’idea delirante può essere definita come una idea patologica in quanto non corrispondente alla realtà che non è modificabile mediante prove ed argomenti razionali rifiutati da parte della persona che ne è affetta: esiste, cioè, un difetto della coscienza della realtà con 45 caduta del giudizio e dei poteri critici dell’individuo. Il delirio è la malattia della certezza: il paziente con idee deliranti appare assolutamente certo della verità dei suoi convincimenti! E’ cioè la assoluta mancanza di criticabilità di una idea che caratterizza una struttura delirante di pensiero, e non necessariamente il fatto che l’idea sia o possa sembrare assurda. Voglio dire che le idee patologiche di questo tipo possono essere le più varie e possedere i più svariati contenuti, essere più o meno strutturate, isolate o raggrupparsi in un più complesso sistema di idee deliranti (come nel delirio lucido o sistematizzato). L’idea delirante è sintomo di una psicopatologia che riguarda l’intera personalità; il suo contenuto in alcuni casi sembra inspiegabile ed inderivabile; cioè non deducibile dagli altri contenuti ed elementi psichici della personalità (idea delirante primaria), in altri casi, invece, diventa comprensibile in rapporto a stati emozionali particolari in genere eventi psicotraumatici, (idea delirante secondaria o deliroide). In ogni caso il delirio può essere, a seconda dell’orientamento psicologico del soggetto (tendente alla introversione e alla diffidenza oppure estroverso e aggressivo con meccanismi sovracompensatori ipertrofici) di tipo prevalentemente persecutorio o prevalentemente espansivo o di grandezza queste due forme sono tipiche della paranoia. Persecutorio: il tema e il contenuto del delirio sono caratterizzati dal convincimento del paziente di essere oggetto di intenzioni, azioni od omissioni comunque lesive della propria persona o di qualunque attributo od oggetto pertinente alla stessa e nella maniera più svariata da parte di 46 persecutori più o meno definiti (colleghi di lavoro, familiari, gruppi politici, religiosi ecc.). Il paziente è cioè convinto che una sua sofferenza, un certo evento, un ingiustizia e così via, siano attribuibili all’intervento di agenti esterni ostili che operano con vari mezzi. A seconda della modalità persecutoria scelta, si possono distinguere vari tipi di deliri di persecuzione. Ricordiamo: - di riferimento: è formato da idee e soprattutto interpretazioni, per lo più di tipo persecutorio, in cui il paziente ha il convincimento che determinati comportamenti di persone o eventi esterni siano connessi, di solito in termini negativi, con la sua persona o con le sue qualità o attributi (ad es. il paziente si sente osservato malevolmente da chi lo guarda innocentemente, e attribuisce a sé frasi dirette ad altri) - di rivendicazione (o querolomane): quando il paziente è convinto di aver subito una ingiustizia e di conseguenza è alla ricerca di una riparazione sia per vie legali che con comportamenti anti sociali (per alcuni è un delirio espansivo) - di veneficio: in cui esiste il convincimento di essere avvelenati mediante sostanze tossiche messe ad esempio nei cibi - di influenzamento: in cui esiste il convincimento di essere influenzati a livello di pensiero, volontà e corpo da mezzi esterni più o meno misteriosi o fisici (pensieri imposti a distanza, il corpo viene irradiato, ho un microcip degli alieni, la volontà viene coercita magari da voci impositive). Tali convincimenti sono tipici della schizofrenia. Espansivo (di grandezza): un insieme di tematiche deliranti per lo più secondarie (deliroidi) improntate all’orgoglio, alla sicurezza, all’aggressività, al fanatismo con la caratteristica comune di una abnorme 47 narcisistica ed iperstenica amplificazione del sentimento del sé e delle sue proiezioni all’esterno (delirio di grandezza, delirio genealogico, delirio erotomanico, delirio di riforma, delirio inventorio). Questi due tipi di delirio, classicamente inquadrati nell’ambito della paranoia, sono caratterizzati da temi molto coerenti e lucidi, dalla mancanza di allucinazioni e da un rapporto motivazionale comprensibile rispetto all’evento scatenante. In genere la personalità del soggetto si mantiene essenzialmente indenne, a parte la notevole riduzione del suo orizzonte esistenziale che riduce, ovviamente, la possibilità di un buon contatto affettivo con gli altri. La esperienza chiave per lo sviluppo persecutorio è frequentemente quella della insufficienza umiliante e della disfatta morale. Scacco e umiliazione fanno scattare nell’individuo sensi di colpa o di insufficienza latenti e intollerabili che vengono proiettati sul mondo esterno. Tutto ciò che lo circonda appare allora impregnato dalle stesse sensazioni di riprovazione e di colpa che egli avverte nei confronti di sé stesso. Egli allora ha l’impressione che la fama della propria umiliazione sia diffusa, che tutti sappiano della sua penosa esperienza, che lo si guardi in maniera strana, che ci si volti per strada per guardarlo, che si sorrida alle sue spalle. L’isolamento sociale e la reale diffidenza che suscita intorno a sé un comportamento di questo tipo completano l’evoluzione delirante della personalità fino a giungere nei casi più gravi all’internamento. Per quanto riguarda, invece, gli stati espansivi, possiamo dire che l’esperienza chiave è sempre uno scacco, una ferita inferta alla propria autostima, che però viene elaborata in modo del tutto diverso attraverso 48 meccanismi sovracompensatori ed aggressivi, che nascondono spesso una falla nella struttura dell’Io, un sotterraneo senso di impotenza derivato da antiche e rimosse umiliazioni, mai in realtà guarite. Molto spesso intervengono spiegabili sentimenti di risentimento associati ad un senso di intima insufficienza, tipici delle classi sociali inferiori ed emarginate. Questo appare evidente soprattutto negli sviluppi deliranti di tipo querolomane, i quali appellandosi di istanza in istanza, fanno del presunto diritto all’indennizzo il vero e unico progetto della loro esistenza. In generale, possiamo affermare che il rischio di una reazione psicopatologica abnorme e di uno sviluppo di personalità si presenta tutte le volte che all’individuo si presenta una reale o temuta degradazione o perdita di status sociale. Tenendo presente che lo status o ruolo sociale, in senso lato, rappresenta una importante e vitale fonte di identità personale e di sicurezza esistenziale. Va ricordato ciò che si intende per status sociale: in generale, lo status è la condizione di appartenenza ad una particolare classe di persone; in particolare lo status di una persona è classificato in base al prestigio che questo può conferirle. Prestigio è un concetto astratto usato per sommare le varie piccole forme di deferenza da parte della gente verso quelle persone che essa rispetta (o teme) socialmente, nonché ai mezzi che questa usa per degradare coloro che considera inferiori. E’ importante tenere presente che il giudizio sullo status sociale è basato in pratica unicamente sul possesso del ruolo e non sulla 49 performance (capacità personale). Esso è basato sulla valutazione delle richieste di deferenza in base al prestigio dei ruoli che l’individuo ricopre. La misurazione dello status sociale può essere basata sui fattori più vari quali sesso, reddito, età, occupazione, automobile, abitazione, il grado di educazione ecc. E’ ovvio rilevare come ogni individuo tragga elementi di sicurezza emotiva essenzialmente dal grado di convalidazione sociale (prestigio) che gli deriva dalla sua specifica posizione sociale, e come ciascuno aspiri sempre a migliorare, nel laddove è possibile, il proprio status e a rafforzare quindi la propria individualità. Le situazioni ambientali che possono quindi determinare una reale o temuta degradazione di status, e quindi una vera e propria crisi di identità, possono rappresentare tutte lo stimolo per una reazione abnorme o per uno sviluppo di personalità. Queste condizioni sono varie e complesse: ma come ho già detto sono occasioni inevitabili ed inattese di cambiamento come la morte di importanti figure di identificazione, la perdita di certe posizioni, lo sradicamento ambientale, i mutamenti di età e del ciclo fisiologico, i cambiamenti nel rapporto familiare e matrimoniale, le mutilazioni fisiche (soprattutto quando interessano settori fisici impregnati di profonde cariche simboliche). I cambiamenti di stato sono altamente psicopatogeni soprattutto quando non consentono alcuna alternativa accettabile. Da ciò deriva il loro carattere intollerabile e insopportabile. Ad es., per colui che ha studiato, il mancato conseguimento del di una laurea o di un diploma (specie in una famiglia di diplomati o laureati) 50 significa o può significare che non potrà mai individuarsi nel ruolo che egli stesso aveva scelto per sé; così viene a trovarsi l’uomo maturo di fronte ad una mancata promozione; oppure la donna sottoposta ad isterectomia o a mastectomia che ricava da questa esperienza un’immagine di sé stessa mutilata come donna. In casi in cui non può essere individuata una specifica e drammatica perdita di status, spesso si riscontra nella storia dell’individuo una serie di fallimenti che portano gradualmente ad una tensione sempre maggiore ogni volta che si inizia un nuovo status; o ancora si ritrovano momenti biografici che hanno messo in crisi il ruolo sessuale che rappresenta, almeno nell’ambito della nostra società, il fondamento di ogni acquisizione di identità e di status sociale. 51
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