Crediti erariali: si prescrivono in 5 anni

Crediti erariali: si prescrivono in 5 anni
Commissione Tributaria Provinciale Reggio Calabria, sentenza 16.04.2014
Con la sentenza 16 aprile 2014 la CTP di Reggio Calabria prende
coraggiosamente posizione su una questione che, da molte parti, si riteneva oramai “archiviata”, vale a
dire la prescrizione del credito erariale.
La decisione (Presidente: V. Tripodi - Relatore: A. Cianfarini) presenta aspetti di indubbio interesse
innanzitutto per essere in “controtendenza” rispetto all’orientamento che, da anni, ha preso piede
soprattutto in Cassazione e, in secondo luogo, per l’originale argomentazione logico-giuridica contenuta
nella parte motiva.
Nel caso di specie, a un contribuente era stata notificata una cartella esattoriale nell’aprile del 2006 e
poi, a distanza di oltre 6 anni (maggio 2012), gli veniva notificata la relativa intimazione di pagamento.
Il contribuente eccepiva diversi profili di illegittimità tra cui, per ciò che qui rileva, l’avvenuta
prescrizione del credito e l’intervenuta decadenza dall’azione ex art. 25, DPR 602/73.
Egli sosteneva che il credito si fosse prescritto in quanto era decorso un quinquennio dall’asserita (poi
comprovata) notifica della cartella.
L’Agente della riscossione eccepiva, al contrario, come la prescrizione non fosse maturata in quanto si
trattava di prescrizione decennale.
È su questa specifica questione che si innesta la decisione in commento.
In primo luogo la Commissione Tributaria adita sottolinea come, nel sistema tributario italiano, non
sussista una norma generale che stabilisca il termine prescrizionale del debito erariale.
Ciò premesso, richiamando precedenti di legittimità[1], i Giudici Tributari fanno presente come, se da un
lato è vero che l’ingiunzione fiscale costituisca atto amministrativo, cumulativa in sé delle
caratteristiche proprie del titolo esecutivo e del precetto, dall’altro deve però escludersi che tale atto,
in assenza di una pronuncia giurisdizionale, possa acquisire efficacia di “giudicato”.
Da ciò consegue, logicamente, l’inapplicabilità dell’art. 2953 cod. civ., il quale dispone che “(i) diritti per
i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta
sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”.
Da questa premessa la CTP fa discendere la prima conclusione, ossia che un atto amministrativo
(cartella di pagamento) non confermato da sentenza definitiva di condanna necessariamente soggiace
agli ordinari termini di decadenza e prescrizione (da non intendersi per tali quelli di cui all’art. 2953
cod. civ.).
Successivamente la CTP nega che si possa ricorrere a un’applicazione estensiva dell’art. 2946 cod. civ.,
in base al quale la prescrizione decennale opera qualora la legge non disponga diversamente.
La Commissione non intende ricorrere a tale articolo di legge in quanto ritiene che, nel caso delle
imposte erariali, una norma che disponga diversamente ci sia e che si tratti dell’art. 2948, n. 4, il quale
sottopone a prescrizione quinquennale “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini
più brevi”.
Secondo la CTP l’applicabilità di questa disposizione all’ambito del credito erariale deve
necessariamente evincersi a seguito di un’accurata ricerca sistematica.
Ebbene, la Commissione calabrese, aderendo a un orientamento minoritario, afferma che le obbligazioni
tributarie (a prescindere dalla tipologia d’imposta) hanno fisiologicamente insita la caratteristica della
“periodicità” alla quale l’art. 2948 n. 4 cod. civ. riconduce la prescrizione quinquennale.
La decisione in commento è tanto più degna di nota in quanto si premura di confutare la tesi
maggioritaria[2] per la quale la prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4 cod. civ. opererebbe soltanto
per le obbligazioni tributarie con causa debendi continuativa: secondo questo orientamento, tale
sarebbe il caso dei soli tributi locali (TARSU, TOSAP, ecc…) ma non di quelli erariali.
Sennonché, nota la CTP, all’art. 2948 n. 4 cod. civ. non dovrebbe essere attribuito un senso più ampio di
quello che in realtà emerge dal dato letterale (in applicazione del canone ermeneutico lex tam dixit
quam voluit): è vero, si osserva, che nei tributi locali la periodicità del tributo è legata (si direbbe in via
“sinallagmatica”) per lo più all’erogazione di determinati servizi o all’autorizzazione al compimento di
determinati atti, ma ciò non sembrerebbe essere il requisito della “periodicità” richiesto dall’art. 2948
n. 4 cod. civ.
In altri termini la CTP distingue, a nostro avviso condivisibilmente, tra il concetto di “corrispettività”
dei servizi (presente nei tributi locali) e quello di “periodicità” della prestazione, sottolineando come
tale periodicità sia ravvisabile anche nelle obbligazioni tributarie di natura statale (in particolare,
imposte dirette e IVA, laddove, ricorda la CTP, il debito sorge di anno in anno o, come per l’IVA,
trimestralmente).
Anche in questa tipologia di tributi (quelli erariali) sarebbe dunque ravvisabile quella “causa debendi
continuativa” che la giurisprudenza maggioritaria ritiene condizione necessaria all’applicazione del
termine quinquennale.
La presente tesi sarebbe avvalorata, a parere della Commissione calabrese, anche dall’art. 26 del DPR
602/73, il quale impone al concessionario l’obbligo di conservare copia delle cartelle per cinque anni (e
non dieci).
La questione della prescrizione è forse una delle più delicate tematiche in ambito tributario,
soprattutto alla luce del fatto che, negli anni, i poteri dell’Agente della Riscossione sono stati
potenziati e perfezionati a dismisura.
È dunque doveroso che il contribuente di uno Stato di Diritto sia posto nelle condizioni di comprendere
con chiarezza fino a quando una sua pendenza con il Fisco potrà essere riscossa o eseguita ed è,
specularmente, obbligo del Legislatore in primis (e non della giurisprudenza!) emanare norme generali e
comprensibili: questo sia in nome della “buona amministrazione” voluta dall’art. 97 Cost. che dallo
Statuto dei Diritti del Contribuente, per il quale il rapporto con il cittadino deve essere improntato,
inevitabilmente, a buona fede.
Va detto che, ad oggi, la legislazione tributaria non sembra essere di aiuto a chi volesse rinvenire una
regola generale.
Valgano, a riguardo, alcuni esempi: l'art. 78 del DPR 131/86 prevede che il credito per l'imposta di
registro definitivamente accertata si prescrive in dieci anni, mentre si prescrive in cinque anni la
riscossione dei diritti doganali (art. 84 del DPR 43/73).
Ove ciò non bastasse, l’art. 20, co. 3 del DLgs 472/97 dispone che "il diritto alla riscossione della
sanzione irrogata si prescrive in cinque anni”.
Se si considera che, ad esempio, l’imposta di registro (almeno quando essa è dovuta in misura fissa) può
atteggiarsi come “tassa” e costituire la prestazione di un servizio pubblico[3] (la registrazione e la
conservazione di un atto, nonché l’apposizione di data certa), non si vede in cosa essa dovrebbe
differire da quei tributi locali a cui la giurisprudenza prevalente si è già pregiata di attribuire la
prescrizione quinquennale.
Forse, anche alla luce di questo semplice esempio si comprende come non vi sia ancora, in ambito
tributario, una visione organica e sistematica dell’istituto della prescrizione, essendo invece esso
rimesso, piuttosto, a norme specifiche per i singoli tributi (a differenza del diritto civile, in cui la
prescrizione costituisce un istituto generale).
Questa normazione “a macchia di leopardo”, a ben vedere, è purtroppo tipica della legislazione
tributaria in generale: sono molti anni che il Legislatore fiscale non emana norme organiche o testi di
legge compiuti, vuoi per la fisiologica “urgenza” e “improrogabilità” che caratterizzano l’iter legislativo
italiano (in cui sembra non ci sia mai il tempo, per le Commissioni Legislative, di fare il proprio lavoro),
vuoi per la sempre fisiologica e rapida “mutevolezza” del diritto tributario e delle esigenze che vi
sottostanno.
Premesso ciò, non può negarsi come, almeno su certe questioni fondamentali (qual è proprio la
prescrizione) servirebbero norme chiare, accessibili e comuni a tutti i tributi, e ciò in nome,
soprattutto, di quella certezza del diritto da cui uno Stato Moderno non può prescindere.
Sarà forse necessario, anche questa volta, che si consolidi un chiaro orientamento di legittimità prima
che il Legislatore intervenga con una normativa chiara.
In ogni caso, decisioni di merito come quella qui commentata hanno sicuramente il pregio di mettere a
fuoco questioni spesso immeritatamente trascurate.
(Altalex, 1° luglio 2014. Nota di Francesco Corallini Garampi)
BIBLIOGRAFIA:
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C.M. Bianca, Diritto Civile, VII, pagg. 654-656;
F. Tesauro, Istituzioni di Diritto Tributario, 2- Parte Speciale;
N. LIPARI-P. RESCIGNO, Trattato di Diritto Civile, Vol. IV, t. II, p. 485 e ss.
______________
[1] Cass. n. 25790/09 e n. 12263/07.
[2] Cass. n. 4283/10, n. 2941/07, n. 4721/03, SS.UU. 10955/02 e, nel merito, ad es. CTP Caserta sent.
95/11.
[3] F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, 2 - Parte Speciale, UTET, p. 266.
/ crediti erariali / prescrizione / Francesco Corallini Garampi /
Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria
Sentenza 16 aprile 2014
R.G.R. 4709.12
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ritualmente depositato in data XXXXXXXXX elettivamente domiciliato alla via XXXXXX in
Reggio Calabria, presso lo studio dell’avvocato XXXXXXX che lo rappresenta e difende, impugnava
l’intimazione di pagamento n. XXXXXXX – notificatagli in data XXXXXXX - con la quale Equitalia sud gli
ingiungeva il pagamento della somma pari ad euro XXXXXXXX. Il ricorso indirizzato all’Equitalia sud spa
si sostanziava sui seguenti motivi:
1) Nullità per mancanza della notifica della preliminare cartella;
2) violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente,
3) nullità per intervenuta prescrizione del credito;
4) decadenza dell’azione ex art. 25 DPR 602\1973;
5) nullità\inesistenza della notifica effettuata a mezzo posta e poiché vi era stata l’asserita omessa
compilazione della relata di notifica.
Concludeva per l’annullamento dell’atto, previa sospensiva, con pagamento delle spese di lite da distrarsi
in favore del procuratore antistatario.
Si costituiva l’Equitalia sud spa in data XXXXXX a mezzo del suo difensore avvocato XXXXXX e
rappresentava la corretta notifica della cartella esattoriale n. XXXXXXXX, atto prodromico rispetto
all’intimazione di pagamento, regolarmente notificata in data XXXXXX. All’uopo produceva copia
conforme dell’avviso di ricevimento il quale costituisce atto pubblico fidefacente fino a querela di falso;
il resistente richiamava l’art.5 comma 5 del d.l. 669\1996 dal quale si desume il potere certificatorio in
capo al concessionario. Eccepiva inoltre come:
a) la prescrizione fosse decennale;
b)il credito portato dalle cartelle non fosse mai stati impugnato e quindi divenuto esecutivo;
c)la notifica era stata effettuata regolarmente a mezzo posta, ai sensi dell’art. 26 dpr 602\1973,
senza che vi fosse la necessità di alcuna relata di notifica.
Concludeva per il rigetto del ricorso con condanna alle spese.
All’udienza del 18.9.2013 vi era il rigetto della sospensione in assenza dei presupposti di legge.
All’udienza del 16.4.2014 il procuratore del ricorrente, preso atto dei documenti, eccepiva la
irregolarità della attestazione di conformità che doveva essere effettuata da un notaio ovvero da un
pubblico ufficiale con firma digitale. Il procuratore del resistente contestava altresì l’eccezione del
ricorrente e ribadiva le conclusioni già rassegnate; in subordine chiedeva termine per la produzione
degli originali.
Il Collegio, ritenuto la causa matura per la decisione assumeva un’ordinanza di rigetto del rinvio e
disponeva procedersi oltre; la causa, quindi, andava in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente vagliare l’eccezione di prescrizione del credito avanzata dal ricorrente,
potenzialmente capace da sola di paralizzare l’azione del creditore: all’uopo questo Collegio si atterrà ai
seguenti principi di diritto che di seguito si andranno ad esplicitare.
Occorre altresì verificare l’esistenza del titolo: sebbene contestata dal ricorrente, nella sua esistenza
e validità, la cartella esattoriale n. XXXXXXXX, atto prodromico rispetto all’intimazione di pagamento,
sussiste ed è stata regolarmente notificata in data 15.4.2006.
L’atto impugnato, ossia l’intimazione di pagamento n. XXXXXXXX – notificata in data 28.5.2012 - con la
quale Equitalia sud ingiungeva al ricorrente il pagamento della somma pari ad euro XXXXXXX
costituisce com’è noto il successivo atto della procedura di riscossione: sono trascorsi oggettivamente
più di cinque anni dal precedente atto interruttivo.
Per quanto concerne il tema della prescrizione (e la sua durata) del credito tributario (portato come nel
caso di specie da una cartella non opposta), occorre ricordare in questa sede come non sussista
nell’ordinamento alcuna norma particolare cui fare riferimento .
Detto questo occorre, preliminarmente, ricordare quella giurisprudenza della Suprema Corte secondo la
quale se manca una pronuncia giurisdizionale, naturalmente, non può parlarsi di “giudicato”: la Cassazione
(Sez. U. Sentenza n. 25790 del 2009) ha chiarito che l'ingiunzione fiscale, in quanto espressione del
potere di auto accertamento e di autotutela della P.A., ha natura di atto amministrativo che cumula in
sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, ma è priva di attitudine ad acquistare
efficacia di giudicato.
La decorrenza del termine per l'opposizione, infatti, pur determinando la decadenza dall'impugnazione,
non produce effetti di ordine processuale ma solo l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito
(qualunque ne sia la fonte, di diritto pubblico o di diritto privato), con la conseguente inapplicabilità
dell'art. 2953 c.c. ai fini della prescrizione decennale (analogamente Cass. 12263/07).
E’, quindi, solo con la sentenza di condanna passata in giudicato che il diritto alla riscossione di
un'imposta, conseguente ad avviso di liquidazione divenuto definitivo, non è più assoggettato ai termini
di decadenza e prescrizione i quali, com’è noto, scandiscono i tempi dell'azione amministrativotributaria, ma al termine di prescrizione generale previsto dall'art. 2953 cod. civ.; in questo caso il
titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l'atto amministrativo, ma la sentenza
(Sez. 5, Sentenza n. 5837 del 11/03/2011, Rv. 617262).
Non vi sono ragioni per discostarsi da tale condivisibile giurisprudenza e, quindi, si deve escludere che
la cartella di pagamento non opposta sia suscettibile di acquistare efficacia di giudicato, con
conseguente applicazione della prescrizione decennale ex art. 2953 c.c..
A seguire non persuade, in questi casi, neanche la tralatizia estensione della disposizione di cui
all’art.2946 c.c.. circa la prescrizione decennale la quale costituisce norma da applicare in via residuale,
quando appunto un’altra legge non “dispone diversamente”.
L’interprete deve, preliminarmente, effettuare con cura questa ricerca: a ben vedere la lacuna è solo
apparente in quanto, sempre nel codice civile, si rinviene una specifica disposizione posta appunto
nell’art. 2948 n. 4 c.c.. Tale ultima norma richiama, idealmente, la periodicità tipica delle obbligazioni
tributarie. (Commissione Tributaria Regionale Catania - 34 Sentenza 496/34/11 del 22.12.2011), la
quale non viene meno solo perché il credito non è più soggetto ad impugnazione per mancata
presentazione del ricorso.
Ma è la sentenza della Corte di Cassazione n. 4283\2010 che merita di essere citata; in essa
testualmente si legge: “ …… in via generale il termine ordinario di prescrizione che vale per ogni diritto
per il quale non sia previsto un diverso termine è, ai sensi dell'art. 2946 c.c., di dieci anni, occorre
valutare se trovi applicazione nella fattispecie il diverso termine previsto dall'art. 2948 c.c., n. 4, in
forza del quale si prescrive in cinque anni, tra l'altro "tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad
anno od in termini più brevi". Può osservarsi a tale proposito in via preliminare che non è revocabile in
dubbio che i pagamenti dei tributi locali di cui si tratta hanno cadenza annuale od in termini più brevi, in
ragione di mesi, con ciò rientrando, sotto il profilo testuale, nella disposizione in parola.
Tale requisito non è però sufficiente.
Infatti, la consolidata giurisprudenza della Corte (Cass. n. 2941 del 2007, n. 4271 del 2003. Cass. S.U.
n. 10955 del 2002) ha chiarito che la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948 c.c., n. 4, per
tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad un anno od in termini più brevi si riferisce alle
obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di
adempimento solo con decorso del tempo, di guisa che soltanto con il protrarsi dell'adempimento nel
tempo si realizza la causa del rapporto obbligatorio e può essere soddisfatto l'interesse del creditore
per il tramite della ricezione di più prestazioni, aventi un titolo unico, ma ripetute nel tempo ed
autonome le une dalle altre; tale prescrizione, per contro, non trova applicazione con riguardo alle
prestazioni unitarie, suscettibili di esecuzione così istantanea, come differita o ripartita, in cui cioè è,
o può essere, prevista una pluralità di termini successivi per l'adempimento di una prestazione
strutturalmente eseguibile però anche "uno actu" con riferimento alle quali opera la ordinaria
prescrizione decennale contemplata dall'art. 2946 c.c. (Cass. n. 9295 del 1993).
In altri termini, la disposizione codicistica trova applicazione nella ipotesi di prestazioni periodiche in
relazione ad una “causa debendi continuativa”, mentre la medesima norma non trova applicazione nella
ipotesi di debito unico.
In applicazione di tale principio, là dove il corrispettivo contrattuale sia solo apparentemente periodico
nel senso che consiste in una prestazione unitaria, pur eseguibile nel tempo in modo frazionato, il
termine di prescrizione è quello decennale (ad es. vendita di un bene con pagamento rateale del prezzo).
La citata sentenza dopo avere sostenuto che la sussistenza di una "causa debendi continuativa”, è la
ragione per l’applicazione dell’art. 2948 n. 4 c.c. (prescrizione 5 anni), la esclude inopinatamente al
credito erariale (il quale anch’esso ha una causa debendi continuativa per gli specifici tributi erariali da
pagarsi con cadenza annuale od inferiore), sul rilievo che la prestazione tributaria, stante la autonomia
dei singoli periodi di imposta e della relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione
periodica, derivando il credito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla
sussistenza dei presupposti impositivi. (v. Cass. n. 2941 del 2007).
Tutta la differenza si avrebbe, secondo il citato approdo ermeneutico, nella causa debendi di origine
unitaria o continuativa; la prima farebbe discendere una prescrizione decennale la seconda
quinquennale.
Non c’è dubbio che nei tributi locali, a fronte di una “teorica” prestazione di un servizio continuativo
(teorica, in quanto la stessa è dovuta per la presenza del presupposto dell’imposta, ad es. di un immobile
potenzialmente produttivo di rifiuti urbani, a prescindere dalla effettiva produzione), sorge l’obbligo
“periodico” di corrispondere una somma, non direttamente relazionata al servizio ricevuto, ma a
parametri diversi. Evidente la riconducibilità alla previsione del n. 4 dell’art. 2948 c.c..
Il contribuente, in questo caso, è tenuto a pagare periodicamente una somma che, sia pure
autoritativamente determinata, costituisce corrispettivo di un servizio a lui reso, richiesto
(concessione di uso di suolo pubblico, di uso di passo carrabile) o imposto (tassa per smaltimento rifiuti,
contributo opere di risanamento idraulico del territorio), che in tanto si giustifica in quanto anno per
anno il corrispondente servizio venga erogato; ne' è necessario, per ogni singolo periodo contributivo,
un riesame della esistenza dei presupposti impositivi, che permangono fino alla verificazione di un
mutamento obiettivo della situazione di fatto giustificante il servizio, ne' il corrispettivo potrebbe
dall'utente essere corrisposto in unica soluzione, in quanto ab initio non determinato e non
determinabile, ne' nell'entità, ne' nella durata.
Tuttavia a ben vedere anche con le imposte erariali (che non prevedono specifica disposizione
normativa sulla prescrizione) si verifica un pagamento periodico annuale, come riferisce l’art. 2948 n. 4
c.c., il quale è bene riportarlo per intero prevede: “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o
in periodi più brevi” .
Non chiede altro la norma.
L’art. 2948 n. 4 c.c. riporta il sostantivo maschile “tutto” che non può ridursi arbitrariamente ad una
sola categorie di imposte, ossia quelle locali e non quelle erariali a causa di una presunta caratteristica
di periodicità, oggettivamente presente peraltro anche nelle imposte erariali.
Nelle due principali imposte erariali (imposte dirette ed IVA) il debito di imposta sorge, annualmente, a
seguito della dichiarazione che ogni soggetto passivo deve effettuare appunto “annualmente”.
Per le imposte dirette ai sensi dell’art. l del dpr. 29.9.1973 n. 600: lo stesso articolo 7 del DPR
917\1986 (anche nella novella posta dal dlvo 344\2003) recita che l’imposta è dovuta per anni solari e,
quindi, ogni anno. Ne discende che, sia pure in presenza dei relativi presupposti, l'imposta diretta deve
essere pagata "periodicamente" a seguito di una generale previsione legislativa che stabilisce regole
valide e efficaci per ogni anno futuro (C.T.P. Milano 20.11 .2004 n. 207).
Lo stesso dicasi per la dichiarazione annuale relativa all’I.V.A. (imposta della presente fattispecie) in
cui il presupposto del tributo nasce anche trimestralmente ma la dichiarazione è unica: quindi
perfettamente rientrante nella disposizione codicistica di cui all’art. 2948 n. 4 c.c..
Come riferisce parte della giurisprudenza che qui si ritiene di condividere (CTP Messina Sez. XIII,
512/13/13 del 24.9.2013) nel caso dei tributi erariali, consegue l’obbligo annuale del pagamento
dell’imposta, la quale prescinde anche dalla stessa dichiarazione la quale costituisce un obbligo per il
contribuente, ma non qualifica il rapporto obbligatorio poiché questo sorge comunque e può essere
oggetto di determinazione (o di correzione) da parte dell’Amministrazione finanziaria, anche nel caso di
mancato assolvimento all’obbligo dichiarativo.
Non sembra al Collegio che la periodicità dell’obbligazione (anche nelle imposte dirette e nell’IVA)
possa essere messa in dubbio solo perché, annualmente, occorre un’operazione di determinazione del
dovuto sia perché, si ribadisce, la stessa determinazione avviene secondo dei criteri prestabiliti
normativamente, sia perché non è questo che qualifica un tal tipo di obbligazione ma, semmai, la
tenutezza a corrispondere, appunto, periodicamente un importo per delle prestazioni erogate dall’altra
parte.
L’eventuale accertamento annuale non fa venire meno la “causa debendi continuativa” che si ritiene sia il
presupposto dell’applicazione dell’art. 2948 c.c. n.4.
Anche in materia di imposte dirette ed IVA è configurabile un rapporto obbligatorio continuativo,
annuale, costituito dall’obbligazione “permanente” del contribuente, prevista dalla stessa Costituzione,
di corrispondere, salvo una quota esente, un’imposta predeterminata dalla legge (sia nell’an che nel
quantum), fondata sulla produzione di un reddito o la cessione di un bene (la cui mancanza, comporta
l’insussistenza o la sospensione dell’obbligo di pagamento) a fronte della “somministrazione” di servizi
indifferenziati che lo Stato si impegna a garantire.
A fortiori proprio l'obbligo per il concessionario di conservare copia delle cartelle di pagamento e dei
relativi attestati di ricevimento per la durata di cinque anni (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26), per quanto
di rilevanza contenuta, milita a sostegno della tesi di un prescrizione di pari durata.
Dopo aver specificato a quali criteri ermeneutici si atterrà il presente giudizio occorre subito
constatare come sia passato un lasso di tempo superiore ai cinque anni decorrenti dalla notifica della
cartella esattoriale avvenuta il 15.4.2006 (più i 60 giorni per il termine per ricorrere, ex art.2935 c.c.,
termine coincidente con il termine per impugnare la cartella), all’ingiunzione di pagamento notificata il
28.5.2012 ed oggi impugnata.
Il credito è, quindi, prescritto ex art. 2948, n. 4 c.c.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza. Esse vanno liquidate come da dispositivo che
segue
P.Q.M.
Accoglie il ricorso ed annulla l’atto impugnato.
Condanna la resistente al pagamento delle spese processuali che liquida, complessivamente, in Euro
XXXXXX,00 oltre accessori se dovuti, di cui euro XXX per spese da distrarsi in favore del procuratore
antistatario.
Reggio Calabria lì 16.4.2014.
Il giudice relatore
Alberto Cianfarini
IL PRESIDENTE
Vincenzo TRIPODI
( da www.altalex.it )