2014_11_24-rassegna

Dipartimento Comunicazione & Immagine
Responsabile - Lodovico Antonini
RASSEGNA STAMPA
Anno XV - 24/11/2014
A cura di Bruno Pastorelli
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Sommario
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CORRIERE DELLA SERA 22 novembre 2014
I bancari in piazza Negoziato a rischio
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LA REPUBBLICA AFFARI&FINANZA
Banchieri e bancari a chi tocca l’austerità
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
La rivoluzione digitale è iniziata - Tutte le novità tra wallet, transazioni con il cellulare e scambi di denaro
peer-to-peer
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
LA TECNOLOGIA NFC, IL FUTURO PER PAGARE CON IL MOBILE
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
L’e-commerce corre sullo smartphone - In 3 mesi il 18% dei clienti online ha acquistato almeno una volta con
il cellulare
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
Contratti, con la Fea bastano pochi click - La firma elettronica avanzata velocizza le procedure online
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
Il «conto» dell’Erario taglia le pensioni future
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
Welfare di Cnpadc. Approvate le delibere della Cassa finalizzate alla semplificazione e alla razionalizzazione Un approccio sistemico all’assistenza
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
Federazione Autonoma Bancari Italiani via Tevere, 46 00198 Roma - Dipartimento Comunicazione & Immagine
Riservato alle strutture
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Basato sui bonifici che adottano gli standard Sepa, quindi è aperto a tutte le banche dell'area euro
Costo del servizio
Dipende dalle politiche di pricing delle banche aderenti
Conto corrente
Necessario essere titolari di un conto corrente presso una banca aderente
Applicazione
Disponibile su iOs, Android e Windows Phone.
Inviti
Possibilità di invitare utenti non ancora registrati
paypal aiuta a identificarsi
CHECK-IN
Check-in è il nuovo servizio di pagamento da mobile targato PayPal. Una volta effettuato il check-in, il nome
e la foto dell'utente compariranno sul terminale dell'addetto alle vendite che, attraverso l'identificazione
diretta della persona, potrà confermare e addebitare il pagamento sul conto PayPal.
Conto
L'apertura di un conto PayPal è indispensabile
Costi
Gratuito
Modalità di pagamento
Carte di credito o carte prepagata collegate al conto PayPal, o con la liquidità sul conto
Ricarica conto
Con bonifico dal proprio conto corrente
Altri servizi
pagamenti online oppure per inviare denaro (inserire il numero di telefono o l'indirizzo email del
destinatario)
Assistenza clienti
800.975.345
SERVIZIO DI WALLET DIGITALE
V.ME BY VISA
V.me by Visa è il servizio di wallet digitale targato Visa, distribuito dalle banche socie del gruppo, che in Italia
sarà disponibile a gennaio 2015.
Come funziona
Gli utenti devono registrare le carte di pagamento associate al wallet. Quando si fa un acquisto online, è
sufficiente selezionare il metodo di pagamento V.me, inserire le credenziali e indicare la carta con cui si
intende pagare, senza digitare i dati della carta.
Cosa si può pagare
Qualsiasi transazione con esercenti che abbiano aderito al servizio
Costo
Deciso dalle banche socie di Visa che offrono il servizio.
Esercenti aderenti
26mila esercenti online in tutta Europa
Dispositivi compatibili
Qualsiasi dispositivo
Banche che offrono V.me
Per ora in Italia la prima banca a fornire il servizio è Ing
acquisti in un clic
MASTERPASS
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Cassa e dai loro coniugi- viene estesa agli iscritti e tutti i familiari di primo grado e ai fratelli (degli iscritti
non pensionati) risultanti dallo stato di famiglia. Viene, inoltre, innalzato l’importo del contributo
riconosciuto. A corredo di queste misure, la Cassa ha, inoltre, stabilito:
per il contributo per spese di assistenza domiciliare l’ampliamento della platea dei beneficiari (in linea con
quanto stabilito per le spese di soggiorno in case di riposo ed istituti di ricovero) e il riconoscimento del
contributo anche ai casi in cui a prestare assistenza sia un collaboratore domestico e non solo un infermiere
specializzato;
per il contributo per spese di onoranze funebri la semplificazione dell’iter di presentazione della domanda;
per il contributo per interruzione di gravidanza intervenuta anteriormente al terzo mese di gravidanza è
stato previsto l’ampliamento del periodo per presentare la domanda (si passa da 180 giorni a un anno
dall’evento).
Non devono essere dimenticati, infine, gli sforzi fatti per integrare la polizza sanitaria di base a favore dei
dottori commercialisti - di per sé già implementata dal 2011 con la tutela del rischio di non autosufficienza,
cosiddetto long term care - con una copertura odontoiatrica a tariffe convenzionate, all’interno di una
capillare rete di assistenza e per offrire agli iscritti infra35enni per il periodo di iscrizione agevolata l’accesso
gratuito alla piattaforma Business Class Commercialisti Digital de Il Sole 24 Ore (riservando un prezzo
comunque convenzionato per gli altri iscritti). © RIPRODUZIONE RISERVATA N. T.
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
IMU E TASI, prelievo medio oltre la soglia del 10 per mille - Tassazione record nei capoluoghi
sui fabbricati diversi dalla prima casa
Vanno pagate con codici tributo diversi. Ma le differenze, tra Imu e Tasi, si fermano qui. Come una vera
addizionale all’Imu, la tassa sui servizi comunali spinge oltre il 10 per mille l’aliquota media complessiva sui
fabbricati diversi dalla prima casa nei Comuni capoluogo di provincia. E anche sull’abitazione principale dove si paga soltanto la Tasi - il prelievo medio arriva al 2,6 per mille, più del doppio di quello standard
fissato dalla legge (1 per mille).
I dati elaborati dal Caf Acli per Il Sole 24 Ore del Lunedì permettono di fare il punto, per la prima volta, sulle
aliquote “definitive” decise dai Comuni, che dovranno essere usate per pagare il saldo del 16 dicembre. Il
risultato è evidente: la pressione fiscale sul mattone aumenterà per il terzo anno di fila sugli immobili diversi
dall’abitazione principale, arrivando quasi a triplicare gli importi rispetto all’Ici. E i grandi centri, anche se
hanno tasse storicamente più care, sono comunque un campione “pesante”, visto che nei capoluoghi di
provincia vivono più di 17 milioni di italiani su 60.
Dai negozi ai capannoni
Su un negozio-tipo a Milano, ad esempio, il conto di Imu e Tasi arriverà a 1.069 euro per tutto il 2014, contro
i 290 pagati nel 2011 (+269%). Mentre su una casa affittata a canone libero a Roma si arriverà a 2.012 euro
rispetto ai 772 versati ai tempi dell’Ici (+161%). E la Capitale non è neppure una delle città con gli aumenti
maggiori, in virtù di una tassazione relativamente più alta già nel 2011.
«Al di là delle differenze territoriali, c’è un appiattimento delle aliquote verso il massimo che non lascia
spazio per articolare davvero la tassazione: spesso le delibere contengono 15 aliquote, ma cambiano pochi
decimali», osserva Paolo Conti, direttore del Caf Acli. «Anche tra i contribuenti che si rivolgono ai nostri
uffici - aggiunge - c’è la diffusa percezione che la Tasi abbia comportato solo un cambio di denominazione,
ma non di sostanza. Di fatto, l’unica vera distinzione riguarda la deducibilità dei due tributi dal reddito
d’impresa, che è totale per la Tasi e limitata al 20% per l’Imu». Un elemento, quest’ultimo, che a volte
produce effetti nascosti. Ad esempio, a Bergamo e Varese la somma delle aliquote Imu e Tasi sui fabbricati
industriali è sempre il 10,6 per mille, ma nella prima città c’è solo l’Imu mentre nella seconda si arriva al
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totale contando l’imposta municipale (8,1 per mille) e la Tasi (2,5 per mille): il risultato è che, a parità di
importo dovuto, le imprese varesine hanno una deduzione più alta di quelle bergamasche. Su un capannone
con una rendita di 6.257 euro - la media nazionale - il maggior sconto dal reddito d’impresa è di oltre 800
euro.
L’abitazione principale
Sull’abitazione principale, i numeri definitivi confermano nella pratica i timori che fin dall’inizio erano
emersi guardando alle regole. In 71 capoluoghi sui 100 presi in considerazione, il tributo sui servizi
indivisibili si è rivelato più pesante rispetto all’Imu 2012. I calcoli, come detto, sono basati sulla rendita
catastale media registrata in ogni città, e quindi indicano la tendenza complessiva registrata in ogni Comune.
In centri come Asti o Vibo Valentia, Crotone, Caltanissetta ed Enna, dove le rendite sono generalmente basse,
la casa-tipo non ha pagato l’Imu nel 2012 grazie alle detrazioni fisse, mentre oggi viene chiamata alla cassa
dalla Tasi, ma sono ancora più frequenti le città in cui l’imposta municipale del 2012 aveva presentato il
conto, ma il nuovo tributo è arrivato anche a raddoppiarlo o a moltiplicarlo da tre a sei volte.
Se poi si abbandonano i valori medi per entrare più nel dettaglio, emerge chiaro il paradosso che dal
confronto con il 2012 escono penalizzate le abitazioni di valore fiscale più modesto, mentre quelle più
“pregiate” secondo il Catasto ottengono sconti consistenti. A evitare la beffa a carico delle case medio-piccole,
che sono la maggioranza, sono solo le città che, come Torino e Roma, hanno avuto l’accortezza di dosare bene
le detrazioni, ed estenderle a tutti i contribuenti che ne avevano bisogno per vedersi garantita davvero la
promessa anti-rincari abbozzata dalle regole sulla Tasi.
Verso la «local tax»
L’esperimento condotto nel 2014 sul Fisco del mattone, insomma, non è riuscito, e di questo si deve tener
conto mentre si profila la nuova «tassa unica» che il Governo ha intenzione di inserire nella legge di stabilità
nel suo passaggio al Senato. Sull’abitazione principale, secondo il progetto la nuova tassa reintrodurrà una
detrazione standard (100 euro) che riporta un po’ di progressività nella pressione fiscale, ma permetterà di
alzare l’aliquota fino al 5 per mille. Tetto massimo al 12 per mille sugli altri immobili, con un’impostazione
che può dare spazio a nuovi rincari.© RIPRODUZIONE RISERVATA Cristiano Dell’Oste e Gianni Trovati
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
Pur di non pagare la casa si regala (o resta senza tetto)
Pur di non pagare l’Imu, la casa si regala. Succede a Caltanissetta, dove in pieno centro storico - nel quartiere
della Provvidenza - cresce il numero di proprietari che scelgono di liberarsi della seconda (o terza) casa al
solo costo di copertura delle spese di trasferimento per evitare di pagare le tasse. «Abbiamo assistito diversi
casi negli ultimi mesi», afferma il geometra Luigi Mammano, presidente del collegio territoriale. «Si tratta di
immobili sfitti con alto indice di degrado che non possono neanche essere demoliti o ricostruiti, se non con la
medesima tipologia costruttiva. I proprietari ormai abitano nei nuovi quartieri costruiti in periferia e le
cedono a extracomunitari».
Ruderi e capannoni
Le case in regalo di Caltanissetta sono forse un caso limite, ma certamente l’Imu dal 2012 ha indotto un gran
numero di proprietari ad attrezzarsi - sempre nel rispetto della legge - per minimizzare le imposte.
Un altro esempio è la corsa ad accatastare gli edifici diroccati come unità «collabenti» (F/2): una categoria
senza rendita catastale, che in qualche caso permette di azzerare il conto di Imu e Tasi. Non sempre, però,
perché molti Comuni - quando l’edificio è ridotto a un rudere - chiedono comunque di pagare l’imposta
sull’area edificabile. Sta di fatto che, secondo le Entrate, tra il 2012 e il 2013 le unità accatastate come
«collabenti» sono aumentate del 12,4%, da 373mila a 420 mila.
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Tra questi molti sono ex capannoni in disuso, magari impossibili da affittare in tempi di crisi: i proprietari,
stanchi di pagare anche fino a 80mila euro di Imu all’anno, hanno deciso di rimuovere la copertura per
tentare di riaccatastare l’unità in F/2. Non è raro, infatti, trovare sulle cronache locali le storie di fabbriche
scoperchiate nelle zone industriali del Triveneto o lungo le strade provinciali lombarde. Secondo Mirco Mion,
presidente di Agefis, l’associazione dei geometri fiscalisti, oggi il fenomeno si sta estendendo ai fabbricati
residenziali: «Parliamo in particolare delle zone montane e delle campagne, dove a volte i proprietari hanno
la tentazione di togliere le tegole o staccare porte e finestre. Ma è una soluzione la cui legittimità e reale
opportunità va sempre valutata con un esperto».
Il riaccatastamento, infatti, va sempre “proposto” dal contribuente - tramite un tecnico - e non è detto che
venga accettato dall’Agenzia. Servono condizioni oggettive di degrado o modifiche strutturali, come nel caso
di una vecchia casa rurale che nel corso degli anni è stata trasformata e ridotta a magazzino per gli attrezzi. E
non va dimenticato che ogni intervento sul fabbricato deve passare per lo sportello comunale per l’edilizia,
che potrebbe anche vietarlo, contestare un abuso edilizio o una violazione nello smaltimento materiali.
La soluzione estrema, poi, è l’abbattimento. Secondo i dati di Confedilizia, in alcune province le schede di
demolizione sono in aumento anche del 20% in un anno.
Di certo, dove non ci sono interventi sull’edificio, ritoccare la rendita al ribasso è praticamente impossibile.
Le migliaia di alloggi in periferia costruiti negli anni 60 e 70 - e oggi penalizzati da rendite più elevate di
quelle del centro - possono solo sperare nella riforma del Catasto.
Gli immobili inagibili
In alternativa alla modifica catastale, c’è il riconoscimento dell’inagibilità, che dimezza la base imponibile
Imu e Tasi. Ma qui entrano in gioco le regole locali che disciplinano le specifiche condizioni di inagibilità e
che - in genere - sono piuttosto severe: la mancanza di utenze o di servizi sanitari non basta, deve piuttosto
trattarsi di edifici che non potrebbero essere abitati senza una pesante risistemazione.
La gestione dei diritti
Per ridurre l’impatto del Fisco, l’ultima chance è quella di “riallineare” la distribuzione dei diritti reali
all’interno della famiglia. Ad esempio, intestando al figlio la casa che gli era stata prestata anni fa e facendola
diventare «abitazione principale» a tutti gli effetti. Oppure risolvendo le tante comunioni ereditarie in cui
alcuni dei comproprietari sono costretti a pagare (a caro prezzo) come seconda casa: l’ipotesi più comune è
quella della casa ereditata dai genitori in cui risiede solo uno dei fratelli.
Un’ultima opzione che serpeggia su internet tra forum e social network è la separazione dei coniugi che
possiedono più abitazioni nello stesso Comune. Dividere le residenze non è sufficiente per raddoppiare i
benefici dell’abitazione principale. E allora c’è chi suggerisce di formalizzare la separazione: ma qui, va detto
che si tratta di una soluzione illegale, se la separazione avviene solo per aggirare il pagamento delle imposte.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Cristiano Dell’Oste e Michela Finizio
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
La «local tax», scommessa ad alto rischio per i cittadini
L’ANALISI
Le tasse sull’abitazione principale sono una delle passioni più intense della politica di questi anni, con il
risultato che in sette città su 10 la Tasi sulla casa media è più cara dell’Imu 2012 (e il quadro peggiora se si
guarda ai centri minori, dove le detrazioni sono ancora più rare), e che gli appartamenti più modesti sono
anche i più penalizzati rispetto al passato. Basterebbe questo per chiedere a partiti e Parlamento di occuparsi
d’altro. Al di là della battuta, però, l’ennesima riforma del Fisco sul mattone è indispensabile, perché fra i
tanti difetti delle regole scritte pochi mesi fa c’è anche il fatto di non aver saputo guardare più in là del
proprio naso: tetti di aliquota e mini-aiuti statali sono stati previsti solo per quest’anno, lasciando campo
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libero nel 2015 ad aumenti record. Senza modifiche, l’anno prossimo si potrebbe imporre alla prima casa un
prelievo del 6 per mille senza detrazioni, il doppio rispetto a oggi.
Anche la fantasia fiscale, però, ha dei limiti, e la «tassa unica» su cui sta lavorando il Governo rappresenta
nei fatti un ritorno all’Imu, con aliquote e sconti un po’ più bassi ma con lo stesso impianto. Appurato che
soldi per esentare tutte le abitazioni non ce ne sono, la scelta non è sbagliata, perché?riporta un minimo di
progressività al carico fiscale.
Sugli altri immobili, però, il rischio è che la nuova aliquota massima al 12 per mille si traduca in un’altra
tornata di rincari, dopo che quest’anno i Comuni hanno potuto arrivare fino all’11,4 per mille. Né si può fare
troppo affidamento sulla capacità di discriminare tra i diversi immobili. Da un lato, l’esperienza insegna che
quando il sindaco è in difficoltà finanziarie (o non sa tagliare le spese) l’aliquota sale su tutti i tipi di
fabbricati. Dall’altro, è difficile sostenere che una casa sfitta - magari perché non si trova un inquilino “merita” l’aliquota al 12 per mille più di un negozio affittato, ad esempio. La nuova tassa tutta comunale,
insomma, è una scommessa sull’autonomia. Purché a perderla non siano i contribuenti.© RIPRODUZIONE
RISERVATA Gianni Trovati
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
Il Jobs act rilancia le conciliazioni - L’ipotesi di sconti fiscali per sostenere gli accordi anticontenzioso
Nell’attuazione del Jobs act si punta a rafforzare l’impianto delle conciliazioni per le cause di lavoro previsto
dalla riforma Fornero, che a due anni dall’avvio ha dato esiti positivi in un caso su due (su 40mila dossier
aperti sui licenziamenti economici). Tra le ipotesi allo studio quella di introdurre sconti fiscali sugli
indennizzi .
Barbieri, Bottini, Falasca, Melis
Dal 19% della Basilicata al 68% dell’Umbria. Sul territorio la forbice è ampia, ma in media nei licenziamenti
individuali per motivi economici, una conciliazione su due va in porto. Si tratta del grado di successo della
procedura obbligatoria introdotta dalla legge «Fornero» a luglio del 2012, per i recessi intimati nelle aziende
con più di 15 dipendenti, legati a motivi di carattere economico o organizzativo. Un iter che si svolge nelle
direzioni territoriali del ministero del Lavoro, dove azienda e lavoratore cercano un accordo, principalmente
per evitare di arrivare in tribunale. Un esito che è stato scongiurato, nei primi due anni di applicazione, nel
47% dei casi, su un totale di quasi 40mila dossier aperti (restano esclusi i licenziamenti collettivi e quelli nelle
imprese sotto 15 dipendenti).
L’andamento
La maggior parte degli accordi si basa sulla risoluzione consensuale del rapporto, con un incentivo all’esodo
o una transazione economica fra le parti. Se l’esito è questo, al lavoratore spetta l’Aspi, la nuova assicurazione
sociale per l’impiego, che ha preso il posto della vecchia indennità di disoccupazione. Altri accordi sfociano
nella rinuncia del lavoratore a impugnare il licenziamento, sempre sulla base di una transazione economica.
In quasi 2mila casi, poi, c’è stata la rinuncia al licenziamento.
Una conciliazione su cinque si è svolta in Lombardia, con una percentuale di successo del 51% nell’arco di
due anni e che migliora al 61% considerando solo il primo semestre 2014. A seguire il Lazio (11% di
conciliazioni e 41% di esiti positivi) e la Campania (qui i successi scendono al 25%). I risultati positivi sono
pochissimi invece in Basilicata (appena il 19%), dove però si registra appena l’1% delle conciliazioni.
In generale, il 37% delle pratiche ha esito negativo (e il 16% risulta ancora in corso). Nel caso di mancato
accordo, la lite può approdare davanti al giudice. Anche in tribunale, comunque, si tenta la conciliazione: una
strada che negli ultimi anni è stata percorsa sempre più spesso. «Le cause incardinate con il “rito Fornero”
che sono state conciliate - dice Carla Musella, presidente della sezione lavoro del tribunale di Napoli - nel
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primo semestre 2014 sono state 80, su 348 dossier aperti per la fase sommaria e di opposizione, mentre nel
2013 erano state 220 su 947». A Genova, su 652 ricorsi iscritti in fase sommaria, le opposizioni sono state
l’11,5% perché «la conciliazione regna da padrona» evidenzia il presidente Enrico Ravera.
Secondo Piero Martello, presidente della sezione lavoro del tribunale di Milano, «la conciliazione?è una via
preferibile principalmente perché annulla il rischio di causa, cioè l’eventualità di un giudizio sfavorevole, che,
nel caso del “rito Fornero” potrebbe arrivare nella fase sommaria, in opposizione, nel successivo appello e
fino in Cassazione».
L’impatto del Jobs act
Nell’attuazione del nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti, l’uscita di scena della reintegrazione in caso
di licenziamento per motivi economici, attualmente prevista dal disegno di legge delega di riforma del lavoro
all’esame della Camera, potrebbe incentivare ulteriormente la riuscita delle conciliazioni. In campo, infatti,
anche in caso di ricorso al giudice, resterebbe solo l’ipotesi del risarcimento economico. «Lo spirito generale
della riforma - sottolinea Filippo Taddei, responsabile economico del Pd - è ridurre il contenzioso giudiziario
e quindi dobbiamo incentivare fortemente ogni attività conciliativa».
Un’ulteriore spinta alle conciliazioni potrebbe arrivare anche sul fronte fiscale: tra le ipotesi allo studio, nei
lavori preparatori dei decreti attuativi della delega, c’è anche l’ipotesi di introdurre l’esenzione da Irpef per
l’indennizzo concordato in sede di conciliazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA Francesca Barbieri e
Valentina Melis
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
Senza reddito né lavoro: due milioni di famiglie rischiano il «default»
Sono due milioni le famiglie italiane a forte rischio di esclusione sociale: senza redditi da lavoro né pensioni,
in quattro casi su dieci hanno almeno un figlio a carico (spesso Neet) e nel 14% sono composte da soli
stranieri.
Sul territorio a soffrire di più è il Sud:?in Sardegna, Calabria, Puglia e Sicilia oltre il 20% delle famiglie ha
almeno un componente che ha perso il lavoro nel 2013.
Dalla fotografia scattata da Italia Lavoro sui dati Istat emerge, poi, che dal 2004 al 2013 è aumentato il peso
delle persone sole (+42,2%) e dei genitori single con figli a carico, che hanno superato quota 2,1 milioni, in
aumento del 25 per cento.
Barbieri pagina 6
Sempre più frantumate, invecchiate e meno attive sul mercato del lavoro, le famiglie italiane escono con le
“ossa rotte” dagli anni della crisi. La fotografia scattata da Italia Lavoro, rimescolando i microdati Istat,
riflette una vera e propria tendenza alla frammentazione: la coppia con figli, pur restando in vetta, dal 2004
in poi ha visto diminuire il proprio peso, passando da un’incidenza del 42,5% sul totale dei nuclei al 36,7 per
cento. In forte crescita risultano, invece, le persone sole, che sono passate da poco meno di 5,7 milioni a oltre
otto (+42,2%), e i genitori single con figli a carico, che hanno superato quota 2,1 milioni, in aumento di un
quarto rispetto al 2004.
Una polverizzazione che ha fatto crescere di più il numero delle famiglie (+8% dal 2006 al 2012) rispetto al
trend della popolazione (+1,1%). «È lo specchio di un Paese - commenta Luigi Campiglio, docente di politica
economica all’Università Cattolica di Milano - sempre più al femminile: le donne con una speranza di vita più
lunga sono spesso vedove o sole in tarda età, oppure ne troviamo di mezza età senza figli che si occupano
delle madri anziane, o ancora giovani separate dal marito che accudiscono da single i figli». Con effetti
negativi in termini economici, «visto che le lavoratrici - aggiunge Campiglio - restano prevalenti nelle
posizioni meno pagate e hanno scarse prospettive di carriera rispetto agli uomini».
La crisi del lavoro
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Lo studio di Italia Lavoro non lascia grandi spazi all’ottimismo e tratteggia effetti pesanti anche
sull’occupazione. L’anno scorso il 16% dei nuclei ha avuto almeno un componente colpito dalla perdita del
posto per licenziamento, cessazione dell’attività dell’impresa o per scadenza del contratto a termine, contro il
13% di un anno prima. In valore assoluto si tratta di poco meno di quattro milioni di nuclei familiari,
aumentati del 20% in un anno.
Restringendo l’obiettivo sul territorio, emerge che è il Sud a soffrire di più:?in Sardegna il 24% delle famiglie
ha almeno un componente che ha perso il lavoro nel 2013, in Calabria il 23,3%, in Puglia il 22% e in Sicilia il
21% (si veda l’infografica a lato). «Durante la crisi - sottolinea Daniela Del Boca, docente di economia politica
all’Università di Torino - si aggrava il fenomeno di “polarizzazione” tra le famiglie in cui si lavora in due e
quelle in cui nessuno è “attivo”, già in atto negli anni precedenti e non solo in Italia. Questa situazione mette
a rischio di povertà un crescente numero di nuclei, in primis quelli con un unico genitore, ma nel nostro
Paese la situazione è aggravata dall’invecchiamento della popolazione che in altri Stati è meno accentuata,
dato il minor declino della fertilità». Oggi, infatti, le famiglie composte da over 65 soli sono circa 4 milioni.
Le famiglie più a rischio
Dalle elaborazioni di Italia Lavoro emerge poi che quasi due milioni di famiglie sono a forte rischio di
esclusione sociale:?non hanno redditi da lavoro né da pensione, né componenti al proprio interno con oltre
65 anni (che potrebbero beneficiare di sussidi sociali). Si tratta di nuclei che nel 58% dei casi hanno subìto
almeno una perdita di lavoro nel giro di un anno, che hanno un figlio a carico (41%), con almeno un Neet
(21%) e nel 14% dei casi sono composte da soli stranieri.
Il peso dei Neet
E se da un lato sempre più madri e padri perdono il lavoro, dall’altro sempre più figli faticano a uscire di
casa. Nel 2013 su un totale di 25 milioni di famiglie l’8,3% ha almeno un Neet (giovane al di sotto dei 30 anni
che non studia e non lavora) all’interno: si tratta di 2,1 milioni di unità, che rappresentano il 31,4% di tutte le
famiglie con un componente tra i 15 e i 29 anni. E in 280mila ce n’è più di uno.
Nella maggior parte dei casi si tratta di coppie con figli (1,5 milioni), che corrispondono a 1,8 milioni di Neet.
Tutti figli? Non proprio, visto che dal report si osserva che oltre 320mila rivestono il ruolo di genitore. Tra
questi ultimi, «c’è una maggioranza di individui - spiegano da Italia Lavoro - con coniuge occupato,
prevalentemente con qualifica di lavoro manuale, ma anche un buon quarto che non può contare su alcun
sostegno economico derivante dal lavoro».
Con riferimento ai figli Neet, la metà ha un solo genitore occupato - per lo più con qualifica medio-bassa -, il
23,5% ha entrambi i genitori inseriti al lavoro, ma ben tre su dieci(423mila) hanno mamma e papà privi di un
impiego.
«Una condizione di grave criticità - conclude il sociologo Egidio Riva - frutto della disillusione di fronte alle
aspettative lavorative dei giovani che vengono puntualmente tradite. Il lavoro è una risorsa sempre più scarsa
e non solo non lo si ricerca più, ma si rinuncia anche ad accedere a livelli di istruzione più elevati, come
conferma il calo di matricole all’università». © RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina a cura di Francesca
Barbieri
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
«Si restringe la rete di sostegno»
«La perdita di lavoro ha un impatto diverso in base al nucleo di provenienza: se si tratta di un lavoratore che
ha figli o anziani a carico, gli effetti sociali si moltiplicano. Se poi si tratta di famiglie monoreddito, la perdita
del posto assume una dimensione ancora più penalizzante, viste le difficoltà a ricollocarsi». Secondo Paolo
Reboani, presidente e amministratore delegato di Italia Lavoro, «emerge forte la tendenza alla
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Anno XV - 24/11/2014
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frammentazione:?le coppie con figli, pur rappresentando la quota maggioritaria, hanno progressivamente
visto diminuire il peso, passando dal 42,5% del 2004 al 36% del 2013.
Quali sono gli effetti di questa polverizzazione sul lavoro?
La crescita delle “persone sole” e dei single con uno o più figli a carico fa sì che in caso di sofferenza
occupazionale o di perdita di lavoro la soglia di sostenibilità economica si abbassi sensibilmente, non essendo
possibile redistribuire le chance di lavoro su altri componenti.
Quali le situazioni di maggior sofferenza?
Le tipologie familiari sono molte: persone sole, famiglie composte da un unico genitore, nuclei molto
numerosi. Stabilire una graduatoria, quindi, non è facile. Resta il fatto che la platea delle famiglie senza
reddito da lavoro o da pensione è sicuramente quella che oggi soffre di più. Peraltro, il 35% di queste famiglie
è costituito da più di due individui. Siamo perciò in presenza di una condizione di sofferenza che investe un
numero più ampio di soggetti, su cui ricadono inevitabilmente le conseguenze di una dimensione familiare
segnata dall’assenza di lavoro.
Nonostante il prevalere di trend negativi, è possibile individuare qualche spiraglio positivo?
Le famiglie con figli hanno percentuali di occupazione maggiori di quelle senza: l’89% delle coppie con figli
ha al suo interno almeno un occupato, così come il 72% dei monogenitori. La disoccupazione sembra
riguardare relativamente di più persone sole e coppie senza figli e questo, sebbene possa creare
marginalizzazione dei singoli, è un dato confortante, perché sembrerebbe che i giovanissimi siano tutelati.
A proposito di giovani, come mai il programma Youth Guarantee, che potrebbe rappresentare per le famiglie
con figli un’opportunità per alleviare il disagio generato dalla crisi, stenta a decollare?
Il programma rappresenta una riforma strutturale per il Paese e un’opportunità. Dai dati finora rilevati si
sono soprattutto iscritti e recati ai servizi i giovani più scolarizzati e per i quali il livello di disagio
occupazionale è minore. È un dato che stiamo esaminando per evitare il rischio che rimangano fuori dal
programma i giovani più disagiati, quelli con un livello di scolarizzazione più basso e provenienti dalle
famiglie più in difficoltà. La sfida sta proprio in questo, offrire un’opportunità di formazione o di lavoro
soprattutto a quella platea di giovani che vive le maggiori condizioni di svantaggio, sia per il contesto, sia per
il background familiare. Riuscire a realizzare questo obiettivo significherebbe, indirettamente, sostenere le
famiglie dove i livelli di disagio sono maggiori e ovviamente tutti gli sforzi vanno orientati in questa
direzione. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
La solitudine è la vera emergenza
L’ANALISI
Il mercato del lavoro sta cambiando profondamente. E dal groviglio di statistiche che di volta in volta
indagano su tassi di occupazione, disoccupazione o sottoccupazione s'impongono alla ribalta i numeri –
pesanti, drammatici, non più tollerabili – dei Neet, degli over 50 marginalizzati, delle donne che addirittura
rinunciano a trovare un impiego, delle lunghe file di espulsi da fabbriche, uffici, botteghe. A un attento
osservatore, il mercato del lavoro in Italia appare come un mare burrascoso, agitato da onde minacciose che
nulla promettono di buono. Ma aspettare che si plachi l’increspatura delle onde non si può. L'emergenza
urge. Sotto la superficie, intanto, i moti ondosi mostrano correnti diverse. In media il 35% della popolazione
lavorativa cambia contratto o azienda in un anno, e non sempre in negativo. Tra il 2004 e il 2009 metà dei
due milioni di contratti attivati in Lombardia si sono chiusi entro cinque anni con una durata media di 16
mesi. E se una volta un contratto durava 35 anni, oggi al massimo si arriva a dieci. Solo precarietà? Non solo
e non sempre. Fino a 15-20 anni fa la globalizzazione era semplicemente una parola che dormiva tranquilla
nei vocabolari, lontana ed estranea dall’agone dell’economia e dei commerci. E oggi? Le aziende sono
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costrette a evolversi velocemente, a soddisfare mercati, esigenze, consumatori il cui numero e profilo muta
con una volubilità impensabile per ampiezza, capillarità, velocità. Così qualche esperto di dinamiche
occupazionali inizia a studiare l’impatto di queste variabili sul lavoro classificandolo in una categoria che non
è mera precarietà: è piuttosto “mobilità”. Il lavoro diventa sempre più un percorso e sempre meno un posto
fisso,; a garantire la sicurezza non bastano (e sempre meno basteranno) i requisiti attuali. Più che il posto va
difesa la competenza del lavoratore, va promosso l’investimento sulla sua crescita professionale. Entro il
2030 qualche grande azienda ha già annunciato che sostituirà gradualmente le mansioni meno qualificate
con i robot. Si perderanno posti di lavoro, ma nuove esigenze, nuove occupazioni, nuovi profili emergeranno.
Il mercato del lavoro, come la superficie del mare, non è immobile, in realtà si muove sempre. E in questa
nuova “geografia dei lavori” non soccomberà chi sarà in grado di garantire mobilità, competenze, esperienze.
Il domani è vicino, e bisogna seminare subito, investendo nella scuola, nell’università, nella ricerca, nella
formazione continua. Per non perdere i futuri occupati. E per quelli di oggi? La ricerca di Italia Lavoro di cui
si dà conto in questa pagina mostra che in realtà oggi le famiglie fanno i conti con un’altra precarietà, che
viene prima di qualsiasi forma di flessibilità. È la solitudine. Ma chi perde il lavoro non può e non deve essere
lasciato solo, deve avere una rete sociale che lo aiuta: indebolire la famiglia, che è stata l’ammortizzatore
sociale più diffuso e spremuto in questi anni di dura crisi, è una strategia suicida. Ma non basta. Al Governo,
allo Stato spetta battere un colpo, anzi due: primo, aiutando chi già sul territorio svolge un’utile opera di
servizi all’impiego; secondo, attivando in un’ottica di sistema-Paese politiche attive più efficienti. ©
RIPRODUZIONE RISERVATA Marco Biscella
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 24 novembre 2014
Dal 2004 persiste il calo di fine mese - La sindrome «quarta settimana» continua a tagliare gli
scontrini
La sindrome della quarta settimana, diagnosticata nel 2004, è diventata cronica. Lo rivelano le elaborazioni
di Iri sulla spesa nella grande distribuzione. Negli ultimi sette giorni del mese le vendite di bevande e birra
crollano del 3,3% rispetto alle tre settimane precedenti.
Calano anche gli acquisti di prodotti per l’igiene personale che segnano -2,6%, mentre quelli per la pulizia
della casa arretrano del 2,2 per cento. Resiste solo l’alimentare, che dieci anni fa era stato una delle spie
evidenti del fenomeno: oggi la voce segna solo una lieve flessione dello 0,3 per cento.
La crisi ha infatti rivoluzionato i modelli di acquisto. Il consumatore è diventato più previdente e
responsabile: riduce il superfluo e punta sulla qualità.
Bussi pagina 7
Ha già dieci anni di vita, ma i suoi effetti sono ancora ben visibili e hanno rivoluzionato i modelli di consumo
in tempo di crisi. È la sindrome della «quarta settimana» diagnosticata nel 2004: la tendenza a concentrare
la spesa all’inizio del mese, riducendo al minimo gli acquisti nell’ultima parte, quando le casse familiari sono
a corto di ossigeno. Negli ultimi sette giorni del mese - come rivelano le elaborazioni effettuate da Iri sulla
grande distribuzione - le vendite di bevande e birra crollano del 3,3% rispetto a quelle precedenti. Calano
anche gli acquisti di prodotti per l’igiene personale che segnano -2,6%: quando il versamento dello stipendio
si allontana lo shopping di creme e detergenti può attendere. Così come non si spende per i prodotti per la
pulizia domestica, che registrano una flessione del 2,2 per cento. Si rinuncia anche agli articoli di cartoleria e
all’intimo, sempre più spesso esibiti tra gli scaffali. A differenza del 2004, però, resiste l’alimentare. Allora
una delle spie evidenti era stato il crollo fino al 10% delle vendite di carne e latticini nell’ultima settimana;
oggi, invece, questa voce segna solo una leggera flessione dello 0,3 per cento.
«I sintomi percepiti nel 2004 - spiega Gianpaolo Costantino, direttore della divisione consulenziale Iri - sono
diventati una vera e propria malattia e il fenomeno della quarta settimana sta diventando strutturale. I
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spiegato Hoyer. Nessuno si tira indietro, quindi. E l’obiettivo è quello di fornire un adeguato supporto alle
economie di Spagna e Italia.
Apporto plurimo
Come ha ricordato Hoyer durante un road show della Bei, «solo in Italia nel 2013 sono stati investiti 10,3
miliardi di euro». Ma non solo. Ci sono altri 700 milioni di euro che sono stati investiti. «Infatti bisogna
considerare anche l’apporto del Fondo europeo per gli investimenti», ha ricordato Hoyer. Un ammontare
che, al netto del piano di Juncker, sarà riconfermato anche per l’anno in corso e per il successivo. L’idea di
base è quella di finanziare progetti a lungo termine nelle aree meno sviluppate. Come? Tramite una selezione
in base alle potenzialità future, alle stime di crescita della Commissione e alla capacità di rendere sostenibili
le singole iniziative.
A curare questi aspetti sarà la squadra di Hoyer e il direttorato, composto da 29 rappresentanti dei Paesi
europei. Nel caso specifico dell’Italia, l’uomo chiave è Carlo Monticelli, a capo della Direzione III - Rapporti
finanziari internazionali del ministero dell’Economia. Il direttorato è l’organo preposto al vaglio delle
proposte di finanziamento. Non meno importanti, nel direttorato della Bei, sono il britannico Timothy Stone
e la tedesca Ingrid Hengster. Stone ha fondato e diretto Kpmg Global infrastructure and projects group ,
mentre Hengster è stata nel board esecutivo della Kreditanstalt für wiederaufba u (Kfw), ovvero la tedesca
banca della ricostruzione. Sono loro due a dare l’ultima parola, in qualità di esperti, sulla fattibilità di un
finanziamento.
Rapporti
Infine, a curare i rapporti con Bruxelles ci pensa l’olandese Martin Verwey, vice direttore generale della Dg
Ecfin della Commissione Ue. Verwey è noto per essere «dogmatico e risoluto», come si dice nei corridoi di
Palazzo Berlaymont, ma anche «pragmatico». E con la stagnazione alle porte anche per la Germania, il
pragmatismo potrebbe essere una virtù essenziale. I soldi che avrà a disposizione la Bei non sono molti.
L’aumento di capitale effettuato negli scorsi anni, 10 miliardi di euro, potrebbe essere ripetuto e, tramite la
leva finanziaria, di potrebbe moltiplicare fino a 10 volte l’effettivo ammontare prestato. Il rischio, come
spiega la banca angloasiatica Hsbc, è che non sia sufficiente: «L’Europa pensa di mettere a disposizione 30
miliardi di euro e usare la leva per portarli fino a 300 miliardi. Ma servono soldi veri, per finanziare progetti
reali».
In pratica, lo stesso discorso fatto dal ministro francese dell’Economia, Emmanuel Macron. La Bei, come
spiega una fonte interna che ha richiesto l’anonimato, sta osservando con disappunto le querelle intorno ai
numeri. «Noi siamo già pronti a foraggiare l’economia, e lo stiamo già facendo. Tutto il resto è solo
speculazione politica, che non ci interessa», spiega. I prossimi passi avverranno i tempi strettissimi. Il
prossimo due dicembre ci sarà un vertice speciale fra il team della Commissione Ue e la Bei, come spiegano
fonti di Palazzo Berlaymont. Sarà l’occasione per discutere gli ultimi punti prima del lancio ufficiale del
programma. L’obiettivo è quello di essere operativi entro gennaio. La stagnazione, del resto, non accenna a
rallentare la sua corsa. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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CORRIERE ECONOMIA lunedì 24 novembre 2014
Intesa Così Messina ridisegna la geografia - I nuovi vertici della Banca dei Territori, punto
centrale dell’attuazione del piano industriale
Dalle parole ai fatti. Nella primavera scorsa Carlo Messina, da poco insediato al vertice operativo di Intesa
Sanpaolo, prima banca per sportelli in Italia, ha annunciato un nuovo piano industriale che guiderà il gruppo
nei prossimi anni.
Ora, Messina inizia a muovere le pedine della complessa macchina organizzativa interna, toccando tutti i
settori della banca, con un effetto immediato: l’uscita concordata di circa 200 dirigenti dell’istituto e la loro
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sostituzione, induce a un rilevante processo di cambiamento, un rinnovamento radicale, nel segno della
valorizzazione delle competenze interne.
Svolte
Nell’ultimo mese Messina ha costituito le divisioni Private Banking, Asset management e Insurance; creato
la uova struttura Area Sales e Marketing affidandola a Stefano Barrese; costituito l’unità di business Capital
light bank , affidandola a Giovanni Gilli; rivisto il modello organizzativo della divisione Corporate &
investment banking e nominato i nuovi sette direttori generali della Banca dei Territori. Un vero ridisegno
della geografia interna a Intesa.
Centralità
Se il business è importante ovunque, la Banca dei Territori è il cuore del gruppo Intesa Sanpaolo, l’origine
della propria forza, visto che qui sono le venti e più banche che hanno dato corpo al gruppo, con una presenza
territoriale che non ha uguali in Italia e pochi paragoni altrove. Nella sola Banca dei Territori si trovano circa
130 miliardi di euro di risparmi della clientela, che hanno contribuito a incrementare del 138 per cento l’utile
pre tasse della divisione nei primi nove mesi dell’anno in corso. Ora, dal prossimo gennaio, diverranno
operativi i nuovi sette responsabili delle aree e la riorganizzazione entrerà nel vivo.
«Il nuovo modello della Banca dei Territori - evidenzia Stefano Barrese, responsabile dell’area Sales e
marketing, che in questo momento ha funzioni di coordinamento tra le aree – è la naturale evoluzione del
Piano di impresa. Abbiamo specializzato il modello secondo tre filiere, il Retail, il Personal e le Imprese per
innalzare il livello di professionalità delle nostre persone e migliorare il servizio offerto ai nostri clienti,
attraverso una maggiore focalizzazione».
La «Banca5»
«Le nostre 3.500 filiali - sottolinea Barrese - offriranno servizi transazionali a tutti i nostri clienti e
gestiranno con un modello di servizio nuovo le famiglie con attività finanziarie inferiori ai 100 mila euro, le
aziende retail (ovvero i piccoli negozi e le attività artigianali) e i cosiddetti clienti Banca5, ovvero coloro che
hanno in essere un rapporto solo parziale con l’istituto. Abbiamo creato poi 800 filiali personal e 200 filiali
imprese, veri e propri centri di eccellenza nella consulenza alla clientela». Barrese, con «Banca5», fa
riferimento a una fascia importante di clientela: circa 5 milioni di persone poco conosciute all’istituto, su un
totale retail pari a 8,5 milioni (mentre, con le aziende, la Banca dei Territori arriva a 11 milioni di clienti).
Una clientela che usa parzialmente i servizi di Intesa (mediamente si appoggia all’istituto per un solo
prodotto tra quelli offerti nelle aree carte di debito, carte di credito, investimenti, prestiti o assicurazioni) e
che potrebbe invece intensificare il rapporto con la banca, che addirittura conta di raddoppiare i ricavi di
quest’area nel corso del piano di impresa.
Anche il settore Corporate sta vedendo in queste settimane rifondare la propria struttura organizzativa,
seguendo un disegno voluto dall’attuale responsabile e direttore generale del gruppo, Gaetano Miccichè.
Corporate
L’obiettivo è giungere a fine piano a ricavi per 3,4 miliardi di euro, con una crescita delle commissioni
superiore al 25 per cento. La novità più significativa è che i gruppi industriali che afferiscono a quest’area - la
Direzione Global industries fa capo a Teresio Testa - saranno non più suddivisi per area geografica o
dimensione del fatturato, bensì per settore ( Oil & gas , Power & utilities , Automotive , Telecom
& Medi a, Infrastructures , Luxury & consumer goods ).
Obiettivi ambiziosi
Infine, dalla matita di Messina, è uscito anche il tratteggio della nuova Capital light bank , una unità di
business affidata a Giovanni Gilli. Al di là della leggerezza del nome, l’unità affidata a Gilli ha uno dei compiti
più pesanti in ambito Banca Intesa, ovvero dismettere asset non core, in un’ottica di efficienza, per circa 23
miliardi di euro netti. Di questi, 2 miliardi sono il potenziale controvalore degli immobili, altri 2 miliardi
sono le partecipazioni in società, circa 11 miliardi sono riconducibili a iniziative infrastrutturali e circa 8
miliardi sono i potenziali recuperi di valore da Non performing loans (Npl), ovvero prestiti ammalorati.
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si basa su standard Sepa (Area unica pagamenti in euro) il suo bacino potenziale è di 400 milioni di
correntisti in tutta l’Ue.
Un numero che lo rende più interessante e appetibile di altri strumenti simili messi in campo dalle aziende
tecnologiche statunitensi. Snapcash, il servizio di Snapchat, conta per esempio su un bacino molto più
ristretto: ha infatti solo 100 milioni di utenti unici mensili, molti dei quali probabilmente non potranno usare
il servizio visto che è utilizzabile solo dai maggiorenni mentre lo zoccolo duro dell’app sono i teenager dai 13
anni in su. Pure Twitter, che da un lato ha inaugurato il pulsante «compra» per fare acquisti tramite tweet e
permette agli utenti francesi di inviare e ricevere denaro grazie alla partnership con la banca Bpce, può
contare su un bacino potenziale di poco più di 270 milioni di utenti unici mensili.
Dalla Cina
Il cinese WeChat, che a giugno ha iniziato a sperimentare un metodo di pagamento basato sull’utilizzo dei
codici QR, soffre di un problema analogo: ha sì 400 milioni di utenti unici mensili, ma gran parte di questi
(circa 300) arrivano dal mercato interno della Cina. Insomma, a livello globale sembra proprio che la parte
del leone spetterà a Facebook, quando deciderà di scendere in campo: anche se Mark Zuckerberg è in ritardo
(che sia al lavoro su uno strumento di transazione monetaria lo si sussurra da quando, mesi fa, ha assunto
l’ex numero uno di PayPal), può comunque contare su una base da 1 miliardo e 300 milioni di utenti unici
mensili da far fruttare il giorno in cui scenderà in campo.
Per ora, in lizza, ci sono solo i big del tech globale. E loro sì, che sfoggiano numeri interessanti. La cinese
Alibaba conta 300 milioni di utenti attivi mensili solo per la piattaforma di pagamento AliPay, inaugurata nel
2004. La pioniera PayPal ne ha dichiarati 250 milioni a fine 2011. Mentre Apple per il suo ApplePay ha come
potenziale bacino tutti i possessori di iPhone 6. Per il momento, chi fa davvero affari è la miriade di startup
all’ombra dei colossi e che si occupano di pagamenti mobile. Snapcash, per esempio, si appoggia a Square,
lanciata nel 2011 da Jack Dorsey, uno dei fondatori di Twitter. Venmo, fondata nel 2009, è stata comprata da
Braintree tre anni e più tardi e la stessa Braintree, inaugurata nel 2007, è stata acquisita a sua volta da PayPal
l’anno scorso per 800 milioni di dollari. Poi c’è Stripe (2010) che conta sul sostegno di grandi fondi di
investimento (e pure dei co-fondatori di PayPal) e che già lavora con Twitter e con Facebook. ©
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CORRIERE ECONOMIA lunedì 24 novembre 2014
Crisi & risparmi Come cavalcare l’impegno di Draghi - Bond decennali e aziende
sensibili all’eventuale ripresa: ecco chi può avvantaggiarsi di più se cambia il clima
Ancora qualche insperato guadagno sui Btp lunghi. E una spinta indiretta per Piazza Affari. I nuovi e reiterati
appelli di Mario Draghi — che negli ultimi giorni ha più volte avvisato i naviganti sulle intenzioni della Bce di
fermare la deflazione e di salvare l’euro a qualunque costo — possono avere questi due effetti virtuosi per gli
investimenti. L’obiettivo del governatore è ovviamente molto più ambizioso: in palio c’è il futuro di un intero
sistema economico incapace di crescere e di dare lavoro ai giovani. Per smuovere una simile paralisi serve
tempo e parecchia concretezza dopo le dichiarazioni.
Ai mercati, invece, sul momento spesso basta la parola per muoversi. E i Draghi-annunci hanno avuto una
risposta immediata: durante l’ultima seduta della settimana scorsa la Borsa è salita di oltre il 3%, il
rendimento dei Btp decennali è sceso sotto il 2,30% e anche lo spread è arrivato a 146 punti, toccando un
nuovo minimo. A un certo punto però le parole, pur autorevoli, non basteranno. Come insegnano l’esperienza
americana e giapponese — i due sistemi economici che con opposti risultati si sono impegnati prima
dell’Europa nelle iniezioni di liquidità— i mercati sono altrettanto capaci di disilludersi e di deprimersi. Per
ottenere qualcosa le banche centrali devono muoversi davvero (come hanno fatto Stati Uniti e Giappone) per
convincere stabilmente i mercati.
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Ad ogni modo la medicina del quantitative easing non basta. Ci vogliono riforme strutturali nei singoli Paesi
dell’euro e altri passi avanti verso una maggior unione politico-finanziaria dell’Europa. Una questione
delicata quest’ultima, con cui le pur complicate agende della Federal Reserve e della Banca del Giappone non
si sono mai dovute misurare.
A chi si domanda come investire e se continuare a dare fiducia ai titoli di Stato del Vecchio Continente e alle
azioni italiane ed europee si può quindi rispondere che il 2015 comincerà all’insegna dell’attesa. Tutti i
processi che potrebbero contribuire a sbloccare la situazione sono avviati. Il guaio è che dire quando
arriveranno al dunque e se avranno pieno successo è davvero difficile.
I titoli che possono registrare in modo più sensibile gli effetti della cura sono appunto quelli di durata più
lunga. I Btp che impongono un orizzonte anche ultradecennale per offrire un rendimento dignitoso e che
quindi chiedono all’investitore di essere informato sui rischi che comporta l’impegno su traguardi lontani nel
tempo. Il primo è la perdita in conto capitale se si è costretti a vendere prima della scadenza qualcosa che si è
acquistato a prezzi di molto superiori a 100.
Azioni & C.
Sul fronte delle azioni, l’idea che l’euro possa uscire dall’impasse farà bene alle banche, epicentro della crisi e
quindi anche dell’eventuale ripresa, ma anche agli industriali e in particolare al lusso da esportazione, se il
dollaro più forte terrà davvero banco nei prossimi mesi. In tutto il mondo in questo momento sono molto
corteggiati i titoli dal dividendo alto e sostenibile, su cui si accende sempre l’interesse quando i rendimenti
delle obbligazioni finiscono ai minimi. In tutti i casi, sia che si parli di azioni da ripresa che di cedole alte,
l’impegno azionario richiede pianificazione accorta — che tenga conto anche degli aspetti fiscali visto che le
tasse sui guadagni di Borsa oggi sono più che doppie (26%) rispetto a quelle sui Btp (12,5%)— e possibilità
adeguate di prendersi dei rischi. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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CORRIERE ECONOMIA lunedì 24 novembre 2014
Wall Street La cura Bernanke vale anche il 400% - I titoli finanziari e sanitari dal 2008 a oggi
sono quadruplicati. Il caso di Amex e Home Depot
Se il bazooka si vede dal mattino. Grazie alla politica espansiva della Fed, la Banca centrale statunitense, i
principali indici della Borsa americana hanno quasi raddoppiato il proprio valore nel corso degli ultimi 6
anni. L’Indice S&P ha recuperato e superato i livelli precedenti al crac di Lehman Brothers e segna quasi
regolarmente nuovi massimi. Non stupisce quindi che gli investitori europei attendano con trepidazione le
mosse del governatore Mario Draghi ed ogni sua dichiarazione sia salutata dal mercato con poderosi rialzi
che cercano di anticipare i benefici attesi da una manovra monetaria simile a quella avviata oltre oceano
nell’autunno del 2008.
Anche perché i principali listini europei, in alcuni casi, non sono ancora riusciti a recuperare i prezzi
precedenti al più grande fallimento della storia della finanza. Piazza Affari si trova addirittura il 25% sotto i
livelli del settembre 2008. Il bazooka della Fed non ha fatto però bene soltanto ai titoli finanziari, ma anche a
quelli del comparto immobiliare, dei media e dei servizi sanitari. All’interno del Dow Jones, il migliore
performer rispetto a 6 anni è United Health Group, colosso del sistema sanitario Usa presente anche
all’estero, che ha guadagnato il 494,2%. Alle sue spalle American Express che ha messo a segno un rialzo del
425% mentre sul gradino più basso del podio Home Depot, storica catena di vendita di materiali edili e per il
fai da te, con un +422%. Dall’autunno del 2008 oltre la metà dei titoli del Dow Jones ha fatto meglio sia
dell’indice di riferimento sia dell’S&P 500. I risultati sono riportati nella tabella. «Una politica
espansiva della Bce — spiega Marco Simion (Zenit Multistrategy Sicav) — sarà salutata positivamente dai
mercati che hanno già iniziato a scontare i suoi effetti. Tuttavia non dobbiamo aspettarci una reazione
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fotocopia di quella statunitense. Le differenze tra le due economie non sono trascurabili e anche i tempi di
trasmissione dal mercato monetario all’economia reale saranno probabilmente più lenti».
A giudicare dall’andamento dell’indice S&P 500, la capacità di reazione delle Borse Usa alla cura ideata
dall’ex governatore Ben Bernanke è impressionante. Già alla fine del primo QE ( Quantitative Easing) l’indice
aveva recuperato i prezzi precedenti alla crisi di Lehman. Nella pausa tra il primo e il secondo intervento
l’S&P 500 ha perso terreno per poi iniziare una marcia al rialzo per ora inarrestabile.
«L’inondazione di carta sul mercato americano ha fatto bene all’economia — continua Simion — ma anche il
resto del mondo ne ha beneficiato. In Europa Mario Draghi ha sinora minacciato di intervenire,nel frattempo
i tassi sono scesi a livelli prossimi allo zero. Accade così che le aziende più sane in Europa, come Volkswagen
o Bayer siano da tempo riuscite a finanziarsi a tassi bassissimi, con bond al 2%, una situazione
probabilmente irripetibile».
Per la Germania è come se la Bce avesse iniziato da tempo a sparare con il bazooka. Il Dax è ai massimi
storici e i livelli pre-Lehman sono stati superati già all’inizio del 2010. Saranno quindi i listini dei Paesi
periferici i maggiori beneficiari. «A partire dal 2015 ci aspettiamo un forte ritorno di interesse per
investimenti in attività rischiose come quelle azionarie – conclude Simion – dal momento che i periodi di
grazia per i rendimenti dei titoli di stato e delle obbligazioni si è esaurito quest’anno». I maggiori beneficiari
saranno i titoli con generose cedole annuali. Il vento sarà a favore anche per tutta l’industria finanziaria, dalle
banche alle società di gestione del risparmio, e a seguire, in maniera molto trasversale a tutti gli altri
comparti industriali. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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CORRIERE ECONOMIA lunedì 24 novembre 2014
Assicurazioni Ecco dove la «vita» è più bella Tutte le pagelle voce per voce - Dal rendimento
minimo garantito ai risultati storici, dalle coperture ai costi: la classifica delle migliori polizze
Un piano di risparmio a basso rischio, che può offrire buoni rendimenti e tutelare la propria famiglia. Le
spese però incidono in maniera rilevante, e i minimi garantiti sono sempre più risicati. Così, per esempio,
versando 1.200 euro l’anno per quindici anni (per un totale di 18 mila complessivi), a seconda del prodotto
un 38enne è sicuro d’incassarne almeno 19.820, con il più conveniente, o 16.840 con il più costoso
(rispettivamente Postafutura Multiutile di Poste Vita e Generali Premium di Generali). E, viceversa, versando
1.800 euro l’anno per venti (per un totale di 36 mila), se ne incasseranno dai 41.383 (ancora con Postafutura
Multiutile) ai 34.020 con Risparmio PianoSicuro di Allianz. Meno, cioè, di quanto è stato versato.
Il prodotto di Poste Vita è in entrambi casi al primo posto (con otto punti su dieci) in una pagella finale che
tiene conto dei rendimenti e delle caratteristiche. L’analisi realizzata in esclusiva per Corriere Economia
dall’Istituto Tedesco Qualità e Finanza, specializzato nell’analisi e comparazione di prodotti assicurativi e
finanziari, riguarda due tipologie di polizze vita, rivalutabili e temporanee caso morte, e offre un valido aiuto
nella scelta.
L’analisi
Le rivalutabili continuano a raccogliere l’interesse del pubblico e rimangono il prodotto di punta del
comparto vita che, proprio grazie a loro, sta crescendo a ritmi molto sostenuti. In base ai dati dell’Ania, nei
primi nove mesi dell’anno i nuovi premi si sono attestati a 68,7 miliardi di euro (+48,6% rispetto allo stesso
periodo dell’anno precedente), con le rivalutabili che rappresentano quasi il 70% del totale. Il prodotto
incontra il favore di un pubblico che cerca una formula di risparmio a basso rischio, oppure un ombrello
previdenziale.
Il confronto, che l’Istituto Tedesco Qualità e Finanza effettua da anni anche in Germania, vuole dare una
riposta a un’esigenza fondamentale dei clienti: scegliere la polizza più conveniente in termini di costi e
prestazioni non è certo facile. L’offerta è infatti molto vasta e comprende centinaia di prodotti differenti e
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RASSEGNA STAMPA
Anno XV - 24/11/2014
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
spesso difficili da capire, perché combinano investimenti con coperture assicurative. Il confronto, che nel
servizio pubblicato oggi interessa rivalutabili e temporanee caso morte (vedi l’articolo a pagina successiva)
sarà esteso nelle prossime settimane ad altre tipologie di polizze vita.
Per l’analisi sulle rivalutabili sono state contattate venti compagnie, che rappresentano oltre il 90% della
raccolta del comparto vita in Italia: ne hanno partecipato diciassette, di modo che i risultati si possono
considerare indicativi del panorama attuale del settore. Oltre alle caratteristiche più importanti, alle società
sono state richieste le prestazioni previste alla scadenza per differenti casi di clienti tipo, con diversi premi e
durate. Sono state elaborate sulla base sia del tasso minimo garantito, sia di quello massimo, pari al 4%, che
secondo le regole stabilite dall’Ivass (l’Istituto di vigilanza sul settore) può essere utilizzato per le proiezioni.
Tre polizze (Risparmio PianoSicuro di Allianz, Generali Premium di Generali e Avvenire Più di Crédit
Agricole Vita) non prevedono un rendimento minimo garantito: con questi prodotti, quindi, alla scadenza è
possibile ottenere un capitale inferiore ai premi versati. La valutazione finale è il risultato della media fra
quattro diversi parametri (vedi altro articolo in queste pagine): le prestazioni, che pesano per il 60%, la
flessibilità (incide per il 10%), il rendimento storico ottenuto negli ultimi cinque anni dal fondo sottostante,
che pesa per il 20%, e infine la solidità finanziaria della compagnia, per il restante 10%.
Agevolazioni
Le polizze vita mantengono alcuni vantaggi fiscali e legislativi, che però sono stati drasticamente ridotti
rispetto al passato. I premi sono detraibili dall’Irpef sino a un massimo di 530 euro (contro i 1.291 previsti
sino all’anno scorso); l’agevolazione riguarda solo i prodotti previdenziali, che offrono una copertura contro i
rischi di morte, invalidità permanente e perdita dell’autosufficienza, cioè la capacità di badare a se stessi
nella vita di tutti i giorni. I capitali ottenuti non possono essere sequestrati e pignorati, e attualmente le
somme liquidate in caso di decesso dell’assicurato non sono tassate in alcun modo. La bozza della legge di
Stabilità in discussione in Parlamento prevede però un giro di vite anche su questo versante: se la norma
verrà confermata, infatti dal primo gennaio 2015 saranno tassate le plusvalenze delle polizze incassate dagli
eredi o dal beneficiario in caso di decesso dell’assicurato. www.iomiassicuro.it © RIPRODUZIONE
RISERVATA
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CORRIERE ECONOMIA lunedì 24 novembre 2014
Protezione Un paracadute per la famiglia - Chi offre le soluzioni più convenienti per difendere
i propri familiari da gravi imprevisti
Un paracadute per proteggere i propri familiari quando si è l’unica, o la principale fonte di reddito. Così, ad
esempio, per garantirsi un capitale di 100 mila euro e con una polizza con durata di 10 anni la spesa per un
trentenne può oscillare dai 59 euro della polizza più economica, Postapersona Affetti protetti di Poste Vita, ai
145 della più costosa, Più tranquillità di Ca Vita. Per un quarantenne, con le stesse condizioni, la spesa sale
dai 148 euro di Top protection di Aviva ai 412, ancora con Ca Vita. Per la durata di vent’anni un trentenne
spende dai 104 euro con Aviva ai 253 con Generali; per un quarantenne, infine, dai 234 di Aviva ai 670 di Più
tranquillità.
Caratteristiche
Insieme alle rivalutabili, nell’analisi realizzata per Corriere Economia , l’Istituto Tedesco Qualità e Finanza
ha passato al setaccio anche le polizze temporanee caso morte: garantiscono la liquidazione di un capitale
d’importo prefissato in caso di decesso dell’assicurato nel periodo coperto dal contratto. Una copertura molto
utile, ma che in Italia costa più che in Germania. Con una durata di dieci anni e un capitale assicurato di
100mila euro, i 59 euro richiesti con il prodotto meno costoso (quello di Poste Vita) rappresentano pur
sempre il 41% in più dei 35 richiesti dalla migliore compagnia tedesca per lo stesso profilo. Negli altri esempi
considerati la differenza a favore dei tedeschi va dal -14% al -58%.
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