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Dipartimento Comunicazione & Immagine
Responsabile - Lodovico Antonini
RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 30/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli
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Sommario
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IL SOLE 24 ORE PLUS 28 03 2015
Il contratto che non c’è e il Jobs Act
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GIORNALE DELL'UMBRIA 28/03/2015
Contratto bancari, dopo la rottura Abi e sindacato tornano a vedersi - Lunedì nuovo incontro, 4mila i
lavoratori umbri degli istituti di credito
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IL MESSAGGERO (SU 13 EDIZIONI) 28/03/2015
FABI - Lettera a Bankitalia contro la chiusura di filiali
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 30 03 2015
Credito alle imprese, gli strumenti alternativi guadagnano terreno - In crescita mini-bond, factoring e fondi
esteri
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 30 03 2015
Famiglie sempre più digital ma torna in auge la filiale - Secondo Gfk/Eurisko gli sportelli fisici non saranno
sostituiti
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 30 03 2015
La «cassa» esclude l’anticipo del Tfr - Stop alle domande per i lavoratori delle aziende con Cigs o procedure
concorsuali
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ITALIA OGGI SETTE lunedì 30 marzo 2015
Tfr, risorse a lunga scadenza
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ITALIA OGGI SETTE lunedì 30 marzo 2015
Un salasso per i contribuenti
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Federazione Autonoma Bancari Italiani via Tevere, 46 00198 Roma - Dipartimento Comunicazione & Immagine
Riservato alle strutture
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Anno XVI - 30/03/2015
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Ma come mai il processo di abbandono delle filiali ha accusato uno stop? « I segmenti che sono
entrati nel mondo del digital banking lo hanno fatto per tempo», argomenta Fabrizio Fornezza di
Gfk/Eurisko. «Gli altri, pur diminuendo ancora lievemente le loro frequenze di utilizzo degli spazi
fisici, tendono comunque a stabilizzarsi sulle frequenze attuali», aggiunge. Le aspettative per i
prossimi anni sono dunque orientate verso un lieve calo, ma «non verso la sostituzione degli sportelli
fisici. In ogni caso – prosegue Fornezza – la tecnologia sta riposizionando gli spazi fisici, ai quali è
richiesta una performance superiore sia in termini di funzione (spazi relazionali adeguati), sia in
senso emozionale e simbolico. I nuovi modelli di sportello nei quali diventa normale l’abitudine a
prendere appuntamento con il proprio consulente anche per la normale clientela, devono diventare
un luogo molto più caldo ed emozionale e personalizzato. Dai processi di presa di appuntamento,
all’accoglienza del cliente che arriva all’appuntamento, eccetera», afferma Fornezza.
Il rinnovato interesse per il canale fisico – seppure rinnovato e più attento alla centralità del cliente
– non è una caratteristica solo italiana, anche se in altri Paesi si declina in modo diverso. Negli Usa,
per esempio, la maggior parte dei clienti mette al primo posto gli investimenti in internet banking e
solo al secondo posto quelli nelle filiali. «Gli Stati Uniti rappresentano un esempio di forte evoluzione
dei modelli bancari, mediamente più forte che gli equivalenti europei», sottolinea Fornezza. «Per
esempio la Germania – pur essendo un mercato con una clientela medio-evoluta - ha tratti di
comportamento bancario abbastanza tradizionale. Ma anche negli Stati Uniti, oltre alla richiesta di
un banking on line sempre più smart, appare evidente una richiesta di relazione fisica. Senza un
contatto fisico diretto, un punto vendita e di consulenza sul territorio è difficile avere risultati ad
ampio spettro». In questo, dice Fornezza, «l’Italia spicca per un quid relazionale in più». È un quid
arcaico? «Non necessariamente e non sempre. La finanza non è un tema risolvibile solo attraverso
la tecnologia e la distanza. Dovremmo essere conseguenti e dare maggior rilevanza ai luoghi nei quali
le interazioni finanziarie si svolgono», conclude. © RIPRODUZIONE RISERVATA Gaia Giorgio Fedi
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IL SOLE 24 ORE del lunedì 30 03 2015
La «cassa» esclude l’anticipo del Tfr - Stop alle domande per i lavoratori delle aziende con
Cigs o procedure concorsuali
Entra nel vivo l’anticipazione del Tfr in busta paga: il Dpcm 29/2015, pubblicato sulla «Gazzetta
Ufficiale» il 19 marzo (e che sarà in vigore dal 3 aprile) contiene le regole attuative delle disposizioni
introdotte dalla legge di stabilità 2015 (legge 190/2014) sul pagamento del Tfr come quota
integrativa della retribuzione (Quir).
Non tutti i lavoratori, però, potranno chiedere la liquidazione mensile del Tfr al proprio datore di
lavoro: è il caso, ad esempio, delle unità produttive in cui sia in corso un programma di cassa
integrazione straordinaria o in deroga. È bene, dunque, che le aziende conoscano il perimetro di
applicazione del nuovo sistema e gli step da seguire quando invece l’erogazione in busta paga è
dovuta.
La legge 190/2014 (commi 26-34) aveva previsto che da marzo 2015 i lavoratori potessero richiedere
al datore di lavoro di avere liquidate le quote maturande del trattamento di fine rapporto, fino a
giugno 2018. Il ritardo nell’emanazione del decreto, in realtà, farà partire l’operazione con i cedolini
di aprile.
I tasselli ancora mancanti sono le specifiche tecniche Inps per le codifiche da evidenziare sulle
denunce Uniemens e il completamento del sistema di accesso al finanziamento riservato alle imprese
con meno di 50 dipendenti, che non vogliano sostenere direttamente il peso dell’operazione.
Le regole per l’anticipazione
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Una volta ricevuta l’istanza del lavoratore, redatta sul modello allegato al Dpcm, i datori saranno
obbligati a corrispondere la Quir: il pagamento decorrerà dal mese successivo a quello di
presentazione dell’istanza, che potrà essere esercitata anche dopo il mese di aprile 2015.
Perché il lavoratore possa presentare la richiesta, serve innanzitutto un’anzianità aziendale di
almeno sei mesi presso il datore di lavoro.
La richiesta della Quir può essere attivata anche in caso di conferimento, in base a modalità esplicite
o tacite, del Tfr maturando alle forme pensionistiche complementari previste dal Dlgs 252/2005 (il
datore dovrà darne notizia al relativo fondo). In questo caso, nel periodo di durata dell’opzione, la
partecipazione del lavoratore dipendente alla forma pensionistica complementare prosegue senza
soluzione di continuità sulla base della posizione individuale maturata nell’ambito del fondo
pensione, così come permane l’obbligo del versamento dell’eventuale contribuzione a suo carico e/o
a carico del datore di lavoro.
Sono esclusi, invece, i lavoratori dipendenti che hanno messo il Tfr a garanzia di contratti di
finanziamento (essendo tenuti a a notificare al datore di lavoro questa decisione), fino alla notifica,
da parte del mutuante, dell’estinzione del credito oggetto del contratto.
La possibilità di richiedere la Quir è preclusa anche ai lavoratori domestici, ai dipendenti del settore
agricolo e ai lavoratori per i quali la legge o il contratto collettivo nazionale di lavoro, anche con rinvio
alla contrattazione di secondo livello, prevede la corresponsione periodica del Tfr o
l’accantonamento del trattamento presso soggetti terzi.
Sono tagliati fuori dall’erogazione dell’anticipo, poi, i lavoratori dipendenti presso unità aziendali
interessate da situazioni di crisi come le procedure concorsuali, l’accordo di ristrutturazione del
debito o il ricorso a programmi di cassa integrazione straordinaria o in deroga (in prosecuzione della
Cigs): la Quir, se già richiesta, cessa di essere corrisposta dal periodo di paga successivo all’evento e
può ripartire al termine dello stesso.
Le dimensioni aziendali
Se l’organico aziendale è superiore a 50 addetti, poiché le quote di Tfr sono già accantonate ogni
mese presso il fondo di tesoreria Inps, il peso finanziario dell’operazione a carico del datore resta
invariato. Per i datori con organico inferiore a 50 lavoratori, invece, se il dipendente non versa già il
Tfr a un fondo complementare, la richiesta di incassarlo mensilmente in busta paga rappresenterà
un esborso aggiuntivo. Per questo, la legge 190/2014 prevede che le aziende più piccole possano
accedere a una piattaforma di finanziamento ad hoc, assistita da un fondo di garanzia istituito presso
l’Inps (la scorsa settimana è stata sottoscritta l’intesa tra i ministeri dell’Economia e del Lavoro e
l’Abi). In questo caso, i lavoratori riceveranno la Quir dal terzo mese successivo alla domanda. ©
RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina a cura di Ornella Lacqua e Alessandro Rota Porta
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ITALIA OGGI SETTE lunedì 30 marzo 2015
Tfr, risorse a lunga scadenza
Pagina a cura di Daniele Cirioli
Rimborso in un'unica soluzione, al 30 ottobre 2018 (quattro mesi dopo l'ultimo mese di Tfr in busta
paga), per le piccole imprese che accederanno al finanziamento agevolato. A prevederlo, tra l'altro, è
l'Accordo quadro sottoscritto il 20 marzo tra ministero dell'economia, ministero del lavoro e
Associazione bancari d'Italia (Abi).
Tfr in busta paga. Prende il via con notevole ritardo l'operazione Tfr in busta paga. L'operazione è
disciplinata dal dpcm n. 29/2015, pubblicato sulla G.U. n. 65/2015, in vigore dal 3 aprile. Da tale
data ai lavoratori è data facoltà di richiedere l'erogazione della Quir (quota integrativa retribuzione),
ossia della quota maturanda mensile di Tfr, scelta che resterà irrevocabile fino a giugno 2018.
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trasferente deve fornire le opportune informazioni; entro cinque giorni lavorativi dalla ricezione
delle informazioni da parte del trasferente, il ricevente esegue le operazioni necessarie ad assicurare
l'operatività del nuovo conto, a decorrere dalla data indicata dal consumatore.
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CORRIERE ECONOMIA lunedì 30 marzo 2015
Fondi Tutti gli Oscar dei tassi al minimo storico
Per la seconda volta, l’eccellenza nella gestione dei fondi ha sfilato a Milano. Alla vigilia dell’apertura
del Salone del Risparmio, nella sede di Mercedes Benz, si è svolta la nona edizione dei
MornigstarAwards, gli Oscar dei fondi commercializzati in Italia, manifestazione organizzata dalla
branch italiana della Casa internazionale specializzata nell’analisi e nel rating dei fondi comuni e dei
prodotti d’investimento. Ventidue i riconoscimenti di quest’anno: 17 sono andati ai prodotti (sette
azionari; sei obbligazionari; quattro inediti ai bilanciati); cinque sono andati alle società di gestione
che hanno brillato per qualità dell’offerta.
Scenari
Dopo l’intervento dell’ospite d’onore, Gerhard Fritz Kurt Schröder, ex cancelliere tedesco dal 1998
al 2005 che, portando ad esempio la Germania, ha sostenuto l’importanza delle riforme per la ripresa
economica, hanno sfilato sul palco i vincitori, i money manager che hanno saputo conseguire ottimi
risultati e mantenerli nel tempo, con un efficiente controllo del rischio e trasparenza dell’informativa.
Per poter partecipare alla competizione, le casse comuni devono avere almeno cinque anni di vita,
dieci milioni di asset in gestione e, anche se estere, devono essere autorizzate alla vendita in Italia.
I criteri di selezione sono molto rigorosi, per individuare i prodotti più meritevoli di accogliere e
gestire il risparmio italiano che oggi c’è ed è molto. L’industria italiana è in crescita tumultuosa, con
una raccolta di oltre 134 miliardi negli ultimi 14 mesi. «Adesso — dice Davide Pelusi, ceo di
Morningstar Italia e Spagna — sarebbe bene che, attraverso strumenti idonei, come i fondi di credito
e i minibond, parte del risparmio fosse convogliato al sostegno dell’economia reale, perché il
risparmio classico non ha effetti positivi sul lato della produttività». Auspicio condiviso dal
presidente di Assogestioni, Giordano Lombardo, che ha sottolineato anche l’importanza della lotta
alla corruzione per il recupero della credibilità dell’Italia.
I premiati
A salire sul podio, tra gli specializzati nell’azionario italiano è stato Lemanik Sicav High Growth
Capitalisation Retail, gestito da Massimo Trabattoni che, sfoderando una sana aggressività, è riuscito
a battere i concorrenti sui rendimenti a cinque anni. Due volte premiate, le società Legg Mason
Global Asset Manager e Vontobel. La prima si è distinta nell’azionario Usa e nell’obbligazionario
globale. La società svizzera ha primeggiato tra gli obbligazionari corporate euro e nell’azionario Asia
e Pacifico. Tre i premi per iShares (piattaforma Etf di Black Rock) che, con due replicanti di indici
(in gergo tecnico Etf), ha sbaragliato i fondi attivi nell’azionario internazionale e negli obbligazionari
governativi euro, conquistandosi anche un Oscar come migliore società obbligazionaria large. Due
Oscar, uno come migliore società azionaria large e l’altro come multi asset, sono andati a Fidelity
che, con l’Euro Bond Fund , ha anche battuto i concorrenti nella categoria obbligazionari diversificati
Euro. Le altre due Case da Oscar sono: Natixis global (migliore società obbligazionaria specializzata),
Source Markets (migliore azionaria specializzata). Dopo le vittorie del 2012 e 2013, torna sul podio
Matthias Born con il fondo Allianz Euroland Equity Growth che ha vinto negli specializzati azionari
Eurozona large-cap. Gli altri fondi azionari vincitori sono: RAM Systematic Funds - Emerging
Markets Equities F; Invesco Pan European Structured Equity Fund A. Gli obbligazionari premiati
sono: Candriam Bonds Euro High Yield C (Obbligazionari High Yield) e Julius Baer Local Emerging
Bond Fund B (Mercati Emergenti). Infine, i quattro migliori bilanciati sono: Arca Obbligazioni
Europa (prudente); ING (L) Patrimonial Balanced X Acc ( moderato); Eurizon Manager Selection
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vita attuale, e anche la progettualità per il domani risulta spesso approssimativa», commenta
Pennacchia.
È vero, il 95% del campione dichiara di pensare al proprio futuro e lo associa a sensazioni positive,
ma sei intervistati su dieci lo inquadrano in una prospettiva troppo breve, inferiore ai dieci anni. Del
resto, pianificare risulta complicato, sia a causa delle incertezze legate al contesto economico e
sociale (61,8%), sia per le difficoltà di calibrare opportunamente decisioni economiche che devono
essere prese oggi ma avranno effetto solo a lunga distanza (52,4%). I progetti più difficili da mettere
a fuoco sono inevitabilmente quelli più lontani.
Priorità
Questo non impedisce agli intervistati di porsi obiettivi importanti. Due sono le priorità: mantenere
gli attuali standard di vita (58,6%) e supportare i figli (59,2%), garantendo loro i migliori livelli di
educazione, una casa e un’adeguata cura della salute. Viene inoltre riconosciuta, tra le altre, la
necessità di predisporre un flusso di reddito futuro per assicurare un appropriato sostegno
economico, in età avanzata, a se stessi e ai propri genitori. Ciò che manca è semmai la capacità di
calcolare l’entità delle risorse necessarie per realizzare questi progetti: oltre il 50% degli intervistati
non è in grado di farlo. Ma si sale addirittura al 70% tra coloro che desiderano andare in pensione
anzitempo. E anche fra quelli che si ritengono preparati, si rileva uno scostamento significativo tra
le cifre medie dichiarate e gli importi effettivamente necessari.
Nell’87% dei casi, quindi, i rispondenti giungono a un’amara conclusione: il generico risparmio
prima ipotizzato per gli imprevisti o per mantenere l’attuale tenore di vita è sufficiente a realizzare
solo una parte di quanto si ha in mente. Il 6% del campione vede sfumare integralmente i propri
progetti e solo il 7% dichiara di essere comunque in grado di soddisfare ogni necessità.
Pianificare
Come reagisce chi prende coscienza di non aver pianificato il futuro adeguatamente? Otto intervistati
su dieci si vedono costretti ad aumentare la propensione al risparmio, il 60% è disposto ad
accantonare il doppio di quanto mette da parte oggi. Più in generale, i tre quarti del campione
considerato diventa consapevole dell’importanza di modificare sostanzialmente il proprio
atteggiamento in tema di risparmi e investimenti e la metà ritiene che tale cambiamento sia urgente.
Il futuro fa meno paura, però, se si dispone di strumenti di simulazione adeguati, capaci di definire
il valore dei progetti e dei risparmi necessari per realizzarli e, soprattutto, se si può fare affidamento
ai consigli di un professionista in grado di orientarci nelle scelte d’investimento di lungo termine.
A queste condizioni, per un intervistato su due, pianificare il futuro diventa più semplice. E, con
l’aiuto di esempi concreti, aumenta la fiducia nella capacità di accumulare cifre importanti attraverso
versamenti periodici di piccoli importi. Anche gli obiettivi più ambiziosi appaiono così raggiungibili.
PIEREMILIO GADDA © RIPRODUZIONE RISERVATA
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CORRIERE ECONOMIA lunedì 30 marzo 2015
La previdenza integrativa conviene anche se le aliquote sono più pesanti
Sulla pensione di scorta il fisco è meno generoso rispetto al passato; il regime, comunque, rimane
molto favorevole e quindi i benefici devono essere sfruttati per intero. Un venticinquenne che
comincia a lavorare con un reddito netto di mille euro al mese, versando mille euro l’anno in un
fondo pensione ne risparmia 270 in tasse (a fronte di un’aliquota del 27%), con un beneficio totale
che, moltiplicato per i quarantasei anni di permanenza nel fondo pensione, arriva a 13.422 euro. Per
un cinquantacinquenne con un reddito netto mensile di 2.150, lo sconto è pari a 380 euro l’anno; per
i tredici anni che mancano al pensionamento, il beneficio complessivo è di 4.940 euro.
Le simulazioni (condotte dalla società di società di consulenza in pianificazione finanziaria e
previdenziale Progetica, in esclusiva per Corriere Economia ) mostrano la convenienza del regime
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RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 30/03/2015
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fiscale sulla previdenza integrativa. Con la legge di Stabilità per il 2015, l’aliquota sui rendimenti
annuali dei fondi pensione è aumentata dall’11,5% al 20%. Dal momento che si applica il 12,5% per
gli attivi investiti in titoli di Stato (che rappresentano una parte preponderante di questi strumenti
previdenziali), secondo stime di Mefop l’aliquota effettiva si attesta intorno al 15%. In parallelo, è
stata aumentata anche (dall’11% al 17%) la tassazione sulla rivalutazione annuale del Tfr in azienda,
che viene aggiustato a un tasso dell’1,5%, più il 75% dell’inflazione. «Nonostante il recente aumento,
la tassazione sulle plusvalenze realizzate dai fondi pensione resta più bassa del 26% che si applica
sugli investimenti finanziari — spiega Andrea Carbone, partner di Progetica —. I benefici fiscali per
la previdenza integrativa rimangono quindi forti. Le simulazioni mostrano, per un 55enne della
generazione baby boomer e per un 25enne millennial , il beneficio fiscale annuo e totale che si può
ottenere versando mille euro l’anno in un fondo pensione».
È decisamente favorevole anche il trattamento fiscale sulla prestazione finale che si ottiene dal fondo
pensione. Per un baby boomer , infatti, l’aliquota è del 15%, ridotta dello 0,30% per ogni anno di
partecipazione successivo al quindicesimo, con uno sconto massimo del 6%. In pratica, con una
permanenza di almeno trentacinque anni (come quella che caratterizza un giovane millennial ), la
tassazione si riduce al 9%, un’aliquota più bassa di ogni altro investimento previdenziale o
finanziario. R.E.B. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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CORRIERE ECONOMIA lunedì 30 marzo 2015
Padri, figli e futuro - Pensioni più magre? Ecco come rimediare Tfr in busta paga, la prima
tranche arriverà solo a maggio
Padri e figli nella barca sempre più piccola della pensione pubblica. Ma se per i papà baby boomer,
nati negli anni Sessanta, la previdenza di Stato sarà una scialuppa, per i millennial, i ragazzi degli
anni Novanta, il welfare sarà davvero stretto. Un salvagente, a dir tanto. Vero è che, se per i padri a
questo punto si può far poco per integrare, i ragazzi hanno ancora una vita davanti. E cominciando
adesso a risparmiare in chiave previdenziale possono riuscire a farsi un gruzzolo privato.
Esempi
Prendiamo il figlio: un venticinquenne potrà smettere di lavorare tra i 69 e i 73 anni. Suo padre,
invece, andrà a riposo a 67-68 anni. E la staffetta generazionale vira al peggio non solo per il quando,
ma anche per il quanto della pensione. Nell’ipotesi peggiore, un giovane di oggi che staccherà con
un’ultima retribuzione pari 3 mila euro netti, avrà un vitalizio di 1.002 euro contro i 1.627 del papà
cinquantenne di oggi. Mentre il tasso di copertura rispetto all’ultima retribuzione scenderà dal 54%
al 33%. Per i lavoratori autonomi non cambierà l’età di pensionamento, ma l’importo dell’assegno si
abbasserà da 1.386 a 832 euro, dal 46% al 28% dell’ultimo reddito.
Le simulazioni, realizzate per Corriere Economia da Progetica, confrontano il futuro di un
cinquantacinquenne con quello di un venticinquenne. Da un lato i papà baby boomer , nati nel mezzo
della crescita demografica che negli anni Sessanta ha accompagnato quella economica; dall’altro un
venticinquenne della generazione millennial , nato fra il 1990 e il 2000. Il primo ricade in un sistema
misto. Ha avuto il retributivo (decisamente più favorevole) fino al 1995 ed è passato al contributivo
dopo questa data. Nel contributivo (in cui la pensione si basa sui contributi versati durante l’intera
vita lavorativa e non solo sugli ultimi anni) viene meno in pratica qualsiasi solidarietà
intergenerazionale.
La pensione si baserà non solo su parametri soggettivi, come la dinamica di carriera, ma anche su
variabili esogene, come l’andamento del Pil e le statistiche sull’aspettativa di vita che continua ad
allungarsi. «Per questo si può solo stimare l’età del pensionamento — dice Andrea Carbone, partner
di Progetica —. Nello scenario mediano, comunque, il venticinquenne di oggi dovrà lavorare tre anni
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nella performance finale». Nelle simulazioni di Progetica tutti i valori sono al netto delle tasse e
dell’inflazione. R.E.B. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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CORRIERE ECONOMIA lunedì 30 marzo 2015
Volpi, il socio «africano» per la Carige di Malacalza
Gli acquisti di titoli sono già cominciati, ma senza fretta e secondo il principio della modica quantità.
La partita vera si giocherà con l’aumento di capitale deliberato nei giorni scorsi dal consiglio di
amministrazione della Carige e, molto probabilmente, diritti in quantità importanti finiranno sul
mercato a prezzi convenienti. In quel momento si comporrà il nuovo assetto della compagine
societaria che ha come asse portante Vittorio Malacalza, azionista con poco più del 10 per cento della
banca. E che verrà affiancato da altri imprenditori. Uno in particolare, Gabriele Volpi, che ha fatto
fortuna in terra africana e ha grande liquidità, sta già mettendo da parte pacchetti rotondi di titoli.
Soltanto un anno e mezzo fa la Carige era data per persa. O quasi. Gli indici patrimoniali facevano
acqua, la liquidità era un problema serio, le inchieste giudiziarie si moltiplicavano e non
promettevano niente di buono, la Fondazione non sapeva come uscirne. Perfino il tentativo di
recuperare il rapporto con la banca d’affari francese Lazard, in precedenza snobbata, era
clamorosamente fallito. La cura è stata di carattere straordinario e si può sintetizzare in un numero:
2,7 miliardi di patrimonio iniettati in 14 mesi tra aumenti di capitale (uno, di 850 milioni, deliberato
ma ancora in arrivo) e vendite di attività. Contemporaneamente è entrata in scena la famiglia
Malacalza, ricca di liquidità, che ha rilevato buona parte delle quote rimaste alla Fondazione.
Il risultato è che Carige sta riprendendosi, mentre sono finite sotto tiro le Popolari. Dopo
l’approvazione della riforma voluta dal governo, infatti, devono trovare nuovi assetti dell’azionariato.
Esattamente il percorso che Carige ha già cominciato, con risultati apprezzabili anche se non ancora
definitivi.
Proprio Vittorio Malacalza, superando le perplessità dei due figli, poco convinti dell’operazione, è
diventato il cardine dei nuovi assetti societari. Subito ha dichiarato di essere pronto a crescere ancora
nell’azionariato, fino alla soglia del 25 per cento, sopra la quale scatta l’obbligo dell’offerta pubblica
di acquisto. Ma ha anche aggiunto di essere disponibile ad allearsi con altri imprenditori interessati
ad avere un ruolo in Carige. Così il suo yacht, ancorato nel porto di Genova, dove ama trascorrere i
sabati sera giocando a scopa con una cerchia ristretta di amici nonostante la bellissima casa in
collina, è diventato crocevia delle convergenze in cantiere.
All’ordine del giornoi, per esempio, sono i rapporti con Volpi, molto legato a Genova e alla Liguria
pur avendo il baricentro delle attività assai lontano, in Nigeria. Volpi, per il momento, non ha
superato la soglia del 2 per cento, sopra la quale scatta l’obbligo di comunicazione alla Consob. Di
sicuro non gli manca la liquidità perché in Nigeria controlla tramite la capogruppo Intels, l’intera
logistica del petrolio con un giro d’affari intorno a 2,5 miliardi di dollari e 25 mila dipendenti.
L’imprenditore, molto discusso per l’origine delle ricchezze, ha rapporti eccellenti con Banca Imi, del
gruppo Intesa Sanpaolo. Sia i suoi principali collaboratori sia Malacalza hanno avviato contatti con
Ubs, a cui fa capo il 4,7 per cento di Carige, con intestazione fiduciaria. La richiesta agli svizzeri è
stata di essere messi in contatto con la proprietà di quel pacchetto, ma non sono riusciti a venirne a
capo e hanno dovuto accontentarsi d’indicazioni piuttosto vaghe secondo cui si tratta di quote del
risparmio gestito. Tutti devono fare i conti con l’azionista francese, il gruppo bancario Bpce, che
controlla quasi il 10 per cento, e Mediobanca, a cui fa capo il 7 per cento. © RIPRODUZIONE
RISERVATA
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Cassa di Risparmio di Orvieto); il rapporto sofferenze/ si attesta al 6,0 un grado di copertura del
60,5%.
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GIORNALE DELL'UMBRIA 28/03/2015
Mutui, il Jobs Act vale il tempo indeterminato - UniCredit applica gli stessi criteri di
valutazione dei lavoratori stabili
PERUGIA - UniCredit ha deciso di applicare, per la concessione di prestiti e mutui a clienti privati,
gli stessi criteri di valutazione finora adottati per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato
anche ai lavoratori che godranno del nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti,
recentemente introdotto dalla riforma del lavoro. Per la banca, infatti, la nuova forma contrattuale
prevista dal decreto legislativo 4 marzo 2013 n. 23 (meglio conosciuto come "Jobs Act") è del tutto
equiparata a quella fin qui prevalente, sia dal punto di vista della valutazione creditizia che
dell'offerta commerciale. «Ciò significa - sottolinea Gabriele Piccini, country chairman Italy - che i
nuovi assunti, superato il periodo di prova, potranno accedere a mutui e prestiti secondo i criteri
normalmente in uso, che in linea con le evoluzioni del mondo del lavoro valorizzano la continuità
lavorativa indipendentemente dalla tipologia di contratto e dalla dimensione aziendale». Insomma,
per l'accesso al credito i nuovi contratti (per i quali si sta registrando un vero e proprio boom)
rappresenteranno comunque una garanzia sufficiente per UniCredit «La decisione - prosegue
Gabriele Piccini - conferma l'impegno di UniCredit a supporto delle necessità finanziarie dei privati
e delle famiglie, testimoniato anche dalla crescita (+111%) dell'erogazione di mutui residenziali nel
corso del 2014».
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IL SOLE 24 ORE PLUS 28 03 2015
I clienti vogliono il «trasloco facile» - Il sondaggio condotto da IPR Marketing mostra clienti
italiani piuttosto soddisfatti dei loro conti correnti
Era opportuna una norma sul “trasloco facile” dei conti correnti. Conti che però non sembrano un
gran problema per gli italiani: una maggioranza (sia pure relativa: 32 per cento) non mette proprio
in conto di cambiarlo e un’altra maggioranza relativa, più consistente (45 per cento) dice di non aver
mai sentito l’esigenza di cambiare il proprio conto. È quanto emerge da un sondaggio di IprMarketing di Antonio Noto, condotto per Plus24?in occasione dell’approvazione delle regole sulla
chiusura a data certa dei conti correnti (avvenuta con la conversione in legge del Decreto legge 3 del
2015).
La chiusura a data certa dei conti correnti è diventata legge martedì scorso, il 25 marzo. Mentre il
Governo metteva la fiducia sul testo del disegno di legge di conversione del cosiddetto Decreto legge
Popolari (la norma infatti sta nel Dl che fissa la trasformazione delle banche popolari in società per
azioni), Plus24 ha chiesto a un campione rappresentativo della popolazione italiana cosa pensassero
della norma sul “trasloco facile” dei conti correnti. Complice la copertura mediatica
dell’approvazione della norma, la percentuale di coloro che dicevano di essere informati
dell’esistenza della nuova norma è stata piuttosto alta: il 48 per cento. Se si considera che in un
recente sondaggio di Ipr Marketing sempre per Plus24 la percentuale di coloro che dicevano di non
aver mai sentito parlare del quantitative easing era del 64%, si vede che sui conti correnti l’attenzione
è sicuramente più alta.
Dunque per la necessità di una norma sulla chiusura a data certa dei conti correnti, si dichiara il
52% degli italiani e solo il 18% dice di no, mentre è ampia (30%) la quota di coloro che non hanno
un’opinione. Poi c’è la questione dell’efficacia. Qui la proporzione di chi dice sì scende al 31%, mentre
il 20 per cento dice che le banche riusciranno sicuramente a boicottare questa nuova opportunità per
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collocano rispettivamente a 4,4 e 8, con un dati di 6 per i conti di tipo 3. Dunque, in base alla legge,
ora le banche migliori potrebbero anche paradossalmente “prendersela più comoda”.
Per una norma che si applica, però, restano aperti alcuni passaggi ancora da fissare: uno su tutti
riguarda proprio la questione più “calda”, quella del trasferimento dei conti titoli, vera croce dei
risparmiatori, come dimostrano le lettere inviate continuamente dai lettori a Plus24, alcune delle
quali riportiamo anche in basso. Una questione che, entro il 24 giugno, andrà ora definita da un
decreto attuativo del ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia. Resta aperta
poi la questione dei criteri per la quantificazione dell’indennizzo da parte delle banche inadempienti
ai clienti: i relativi decreti attuativi dovranno essere varati entro il 24 luglio.
[email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Nicola Borzi
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IL SOLE 24 ORE PLUS 28 03 2015
«Dopo 10 anni meglio rottamare il vecchio c/c»
«Il suggerimento immediato più facile per un correntista è verificare da quanti anni si ha il conto con
la stessa banca. Più aumenta l’anzianità del rapporto, infatti, maggiore è la spesa. Emerge dalle
nostre rilevazioni ma lo dice anche Bankitalia: dieci anni è il tempo massimo». Paolo Guerriero è
consulente del Centro tutela consumatori utenti (Ctcu), associazione del Trentino Alto Adige che da
anni si batte a fianco dei risparmiatori-consumatori. In quest’intervista fornisce alcuni consigli
pratici per accelerare i trasferimenti dei conti e, soprattutto, per evitare ulteriori costi.
Quindi anche Bankitalia (vedi articolo sopra) ha messo in evidenza l’alta spesa per i conti più
“vecchi”. Quali sono le ulteriori mosse da fare?
Proprio Bankitalia obbliga ogni anno a rendere noto l’Isc, ovvero l’indicatore sintetico dei costi per
ciascun conto corrente.
I costi tutto incluso. Ma nel concreto cosa bisogna fare se la banca ritarda il trasferimento?
Innanzitutto è necessario leggere e conoscere le condizioni contrattuali dello specifico conto
corrente. Meglio non lamentarsi allo sportello senza essere ben informati. A quel punto, se le
condizioni contrattuali o la legge non sono state rispettate si può fare reclamo scritto.
Il reclamo alla banca è anche la condizione di procedibilità per rivolgersi dopo all’arbitro bancario.
E poi?
Ora c’è un nuovo decreto legge sulla concorrenza che indica in dodici giorni il limite massimo per
trasferire un conto.
Ci sono difficoltà però soprattutto con il conto titoli.
Sì, in effetti è lì il problema. Ma è vero anche che a volte sorgono delle problematiche.
Ci può fare un esempio?
Le banche hanno difficoltà a trasferire un conto titoli se cambia l’intestatario. È il caso per esempio
del conto di partenza intestato a un singolo, al solo marito per esempio, e del conto di arrivo
cointestato anche alla moglie.
A questo punto che succede?
La banca è costretta a vendere i titoli e riacquistarli. Ovviamente il prezzo medio di carico potrà
cambiare.
Soluzione?
Per evitare un aggravio dei costi, meglio lasciare lo stesso intestatario del conto corrente di partenza
e di quello di arrivo.
I cambiamenti meglio farli dopo quindi. Giusto?
Sì, proprio così. In tal modo si evitano potenziali aggravi di costo.
Altri consigli?
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IL SOLE 24 ORE PLUS 28 03 2015
Un paracadute per gli eventi eccezionali - Dopo la vicenda Bns Fxcm Italia coprirà le perdite
ai clienti fino a 50mila dollari Mossa isolata tra i broker
Sono passati oltre due mesi, ma gli effetti della decisione della Banca nazionale svizzera (Bns) di
abbandonare l’ancoraggio del franco contro euro a 1,20 sono tutt’altro che archiviati. La violenta
escursione che il 15 gennaio ha portato il cambio in pochi minuti da 1,20 a 0,85 ha provocato perdite
agli intermediari a livello globale, perché i margini dei clienti sono stati spazzati via e le posizioni
sono state chiuse molto lontano dai livelli preventivati, mandando in rosso i conti.
I principali broker internazionali, che operano anche nel nostro Paese, hanno tenuto un
atteggiamento accomodante e per i casi controversi che si sono verificati con i clienti e non sono
state, in linea di massima, avviate cause nelle aule di tribunale.
L’episodio ha comunque lasciato un segno per il trading sulle valute: la novità più recente è la
decisione di Fxcm Italia, la divisione del broker Usa, di cambiare la politica sui saldi negativi. Un
effetto ovviamente diretto di quanto accaduto sul Forex. Con la nuova policy, in caso di evento
eccezionale di mercato la società garantisce la copertura di perdite fino a 50mila dollari nel giro delle
24 ore, solo per il retail escludendo Cfd su azioni e prodotti negoziati su una singola Borsa valori.
Questa copertura vale per ogni condizione di mercato e non solo per la prima volta in cui si verifica.
Insomma, una sorta di assicurazione contro gli eventi imprevedibili. Una mossa che sta già facendo
discutere il mondo dei broker online per il precedente che potrebbe creare. La nuova disciplina
entrerà in vigore a breve non appena avrà l’ok delle autorità dei singoli paesi, tra cui l’Italia, e poi il
contratto verrà notificato ai clienti. Queste disposizioni non varranno però negli Stati Uniti dove
l’autorità competente esclude questo tipo di protezione per i clienti.
«Dopo il caso del franco svizzero - spiega Gabriele Vedani, managing director Fxcm Italia - Fxcm ha
coperto il 90% dei saldi negativi dei clienti. In Italia, che vale circa il 2% del giro d’affari globale, tutti
i saldi negativi sono stati cancellati a carico di Fxcm».
Quanto accaduto il 15 gennaio, ha fatto sì che sul mercato ci fosse una discontinuità. La notizia
improvvisa dell’abbandono del peg del franco all’euro ha fatto sì che i fornitori di liquidità sparisssero
dal mercato creando un buco abnorme sui book da 1,20 a 1,04. Anche chi aveva stop si è trovato il
primo prezzo disponibile molto lontano, accumulando perdite. Uno sbalzo di tale entità può mandare
in rosso il conto anche con leve basse di 3 o 4 volte. A quel punto la chiusura automatica della
posizione per l’erosione del margine non impedisce l’accumularsi di perdite oltre il valore del saldo
di conto.
«Dopo questo episodio - conclude Vedani - c’è comunque maggiore prudenza ad operare a leva. In
Italia il conto medio ha un deposito di circa 12mila dollari, quindi per andare completamente sotto
con perdite fino a 50mila dollari vuol dire imbattersi in un bel disastro».
La decisione di introdurre modifiche contrattuali al momento non viene sposata dagli altri principali
operatori internazionali attivi in Italia, che sottolineano la scarsa ricaduta di quanto verificatosi il 15
gennaio scorso.
«Non è stata attuata - commenta Alessandro Capuano, managing director di Ig Italia - nessuna
modifica in termini contrattuali. L’episodio ha interessato solo 20 clienti e stiamo valutando caso per
caso. Abbiamo attuato dei piani di rientro è già recuperato il 20% delle negatività ad oggi».
Non molto diversa l’esperienza registrata da Saxo. «Abbiamo avuto - spiega Gian Paolo Bazzani,
amministratore delegato Saxo Bank Italia - appena una decina di casi di clienti che hanno registrato
passività per effetto dell’improvvisa rivalutazione del franco svizzero il 15 gennaio scorso. La maggior
parte dei clienti ha fatto refunding sul conto ed ha ripreso a lavorare. Solo in due casi, di particolare
entità, abbiamo concordato procedure su misura con il cliente. I pochi casi sono il frutto di precise
scelte di Saxo che accetta solo conti con almeno 10mila dollari. I nostri clienti spesso sono
professionisti o società che lavorano a livello istituzionale. Sanno come muoversi sui mercati oltre a
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beneficiare di programmi di formazione da noi stessi implementati». © RIPRODUZIONE
RISERVATA Andrea Gennai
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IL SOLE 24 ORE PLUS 28 03 2015
L’incognita delle perdite sul franco svizzero - IWBank dichiara a Plus24 che l’ammanco dei
clienti è solo di 500mila euro - Da Fineco invece è ancora prematuro diffonderlo
Per alcuni broker che devono rincorrere i clienti per recuperare gli importi necessari a reintegrare le
perdite, altri operatori invece hanno avuto la vita un po’ più facile perché sono riusciti a prelevare
subito le somme da altri conti detenuti presso di loro dai trader.
Nella fatidica giornata del 15 gennaio, quando in seguito alla brusca variazione del cambio
euro/franco svizzero molti trader hanno perso molto più del margine impiegato per operare a leva
sul “conto trading”, intermediari di emanazione bancaria come Fineco (gruppo Unicredit) e IWBank
(gruppo Ubi) hanno avuto la possibità di coprire in automatico la posizione netta negativa dei clienti,
almeno in prima battuta, con la liquidità presente sui conti correnti dove gli stessi trader appoggiano
l’ordinaria operatività di entrate e uscite della famiglia. Una particolarità che ha consentito ai broker
di contenere il passivo nei propri bilanci, dovendo sobbarcarsi solo la parte residuale di perdite subite
dai clienti. Quando il trader è incapiente, il broker è infatti tenuto a ripianare il rosso nei confronti
della controparte.
A distanza di due mesi dall’evento scatenante, in Italia non c’è ancora un bilancio ufficiale sull’entità
delle perdite subite da banche e clienti. All’estero i broker quotati (e non solo) nel giro di pochi giorni
hanno fatto subito disclosure dei passivi registrati nei loro bilanci. Da noi è quantomeno rassicurante
il fatto che la Consob non sia ancora intervenuta per imporre una comunicazione in merito alle
banche quotate o appartenenti a gruppi bancari quotati. L’authority si era subito attivata per valutare
l’impatto che la desisione della Banca nazionale svizzera aveva avuto sui broker sottoposti alla sua
vigilanza e se non c’è stato ancora alcun intervento in tale direzione della Consob è presumibile che
le cifre non siano imponenti. Ma anche questa è comunque una notizia che andrebbe diffusa al
mercato, altrimenti il dubbio resta.
Contattata da Plus24, IWBank fa sapere che «i sistemi di marginazione della banca hanno consentito
di allertare tempestivamente i clienti e di limitare significativamente le potenziali perdite degli stessi.
Infatti l’evento, di carattere e portata assolutamente straordinari, ha riguardato solo una decina di
clienti per un importo di poco superiore a 500mila euro. La banca ha offerto a tutti i clienti coinvolti
la possibilità di aderire a piani programmati e flessibili di rientro, ad oggi richiesti da un solo cliente.
I contratti, le procedure, i controlli e i sistemi di marginazione di IWBank sono già in linea con le
best practice di mercato e non necessitano revisioni».
Da Fineco, invece, per il momento preferiscono non entrare nel dettaglio dei numeri, che a questo
punto saranno resi noti con la pubblicazione del bilancio 2014, in occasione dell’assemblea degli
azionisti convocata per il prossimo 23 aprile: dai dati contabili dovrebbero emergere accantonamenti
prudenziali, più o meno rilevanti, a fronte di scoperti della clientela su posizioni a leva sul cambio
euro-franco svizzero. L’ufficialità al massimo arriverà con prima trimestrale del 2015. Non resta che
attendere. [email protected] .@g_ursino © RIPRODUZIONE RISERVATA
Gianfranco Ursino
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IL SOLE 24 ORE PLUS 28 03 2015
CaRim in assemblea vota sulla responsabilità - All’esame dei soci le iniziative contro la
passata gestione: Cda, collegio sindacale e management
Un azionariato diffuso tra oltre 7mila soci, ma una solida maggioranza (il 56%) in mano alla locale
Fondazione, i soci della Cassa di risparmio di Rimini si riuniranno il prossimo dieci aprile. Un solo
punto all’ordine del giorno: esprimersi sull’azione di responsabilità eventuale da esercitarsi nei
confronti degli ex amministratori, degli ex sindaci, dell’ex direttore generale Alberto Martini, e del
suo vice Claudio Grossi, oltre che per la società di revisione Deloitte & Touche. La convocazione
dell’assise è giunta in un momento di particolare tensione per la banca, reduce da un
commissariamento durato oltre due anni e dopo la chiusura dell’inchiesta della procura di Rimini e
del locale Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza sulle ipotesi di falso in bilancio e di
indebita restituzione dei conferimenti.
Tra gli indagati figurano appunto Martini e Grossi, ma anche i due commissari nominati dal
ministero dell’Economia e da Banca d’Italia, che si sono succeduti al capezzale della banca Riccardo
Sora e Piernicola Carollo (indagati solo per indebita restituzione).
Ma a Rimini, dove la banca sta tentando di rialzarsi dopo una sequenza di eventi negativi, tra i quali
spicca il fallimento di Aeradria, la società di gestione dell’Aeroporto riminese, su cui pende un’altra
indagine della medesima procura, il dibattito sul futuro dell’istituto guidato dal presidente Sido
Bonfatti, è molto acceso.
Anche perché sulla reale volontà, da parte di alcuni potentati locali vicini alla vecchia gestione della
banca, di intraprendere un’azione civile di responsabilità (e pure eventuali costituzioni di parte civile
nell’ambito del possibile processo penale) sono in molti ad avere dei dubbi. In particolare sarebbe
sufficiente il parere contrario della Fondazione che controlla la banca con il 56,77% dell’azionariato
per bocciare la richiesta.
Di certo se fosse per le oltre 7.300 persone fisiche che sono azioniste della banca la questione non si
porrebbe. Nei giorni scorsi si è tenuta anche un’altra assise: quella del Comitato dei piccoli azionisti
della banca che vede tra gli animatori l’avvocato Davide Lombardi.
In tempi non sospetti fu proprio il comitato a chiedere chiarezza su alcune delle particolari criticità
emerse prima durante e dopo il commissariamento della banca. Uno dei più combattivi membri del
comitato, è un generale di brigata della Guardia di Finanza, Enrico Cecchi, un tempo al comando
provinciale, che ha inviato numerose richieste di chiarimento ai vertici della banca e non solo sui
temi di più stringente attualità.
Per esempio sulla rilevanza dei rapporti intrattenuti dalla banca con la Compagnia fiduciaria
genovese di Giovanni Paganini Marana, fiduciario morto suicida a Roma nel settembre del 2012. Nel
2010, in occasione del terzo scudo fiscale decido dal dicastero dell’Economia allora guidato da Giulio
Tremonti, la fiduciaria di Marana era stata tra le più attive nelle operazioni di rimpatrio fisico e
giuridico, e così pure la CaRim, che attraverso la controllata Cis, aveva stretti rapporti con San
Marino.
L’esito dell’assemblea, dunque, appare tutto fuorché scontato. E al comitato si accettano
scommesse.© RIPRODUZIONE RISERVATA Stefano Elli
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IL SOLE 24 ORE PLUS 28 03 2015
In finanza l’Ad guadagna 53 volte più dei neoassunti - OD&M Consulting analizza Piazza
Affari: nei settori industria e servizi il differenziale scende a 35,6 e 32,6
È di 53,6 volte il differenziale retributivo fra amministratore delegato e neolaureato dipendente di
una società del settore finanziario quotata in Piazza Affari. Un ad guadagna in media 1 milione e
453mila euro contro i 27mila e 148 euro del neolaureato assunto. Meno ampia la forbice retributiva
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in euro per dipendente (per miliardo di euro di dimensione del mercato finanziario) pari a 20 euro
(contro l’11 della Spagna, gli 8 euro di Francia e Regno Unito e i 4 della Germania). Gli autori dello
studio ci tengono a precisare che sono necessari dei distinguo: bisogna tenere conto della diversa
struttura della vigilanza e dei differenti compiti ad essa attribuita nei diversi paesi nonché degli
eventuali costi indiretti non compresi. Infine andrebbero valutati anche i benefici della vigilanza.
Tuttavia ancora, una volta siamo primi per “spesa”. E per efficienza? © RIPRODUZIONE
RISERVATA Federica Pezzatti
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IL SOLE 24 ORE PLUS 28 03 2015
«Seguo con interesse il credito europeo» - Sarà determinante per individuare in anticipo una
crescita più robusta
Con il Qe le prospettive per i tassi europei sono realisticamente quelle di restare agli attuali livelli
oppure di scendere. In questo scenario dov’è il potenziale di rendimento sul comparto
obbligazionario?
Lo scenario è nuovo, ma le teorie che immaginano una deflazione lunghissima o uno scenario
prolungato di tassi negativi non sembrano sostenibili nel lungo periodo. Resta difficile individuare
opportunità di tipo tradizionale, cioè legate all’incasso di cedole e magari un apprezzamento dei
titoli. I termini geografici, per quanto riguarda la periferia europea, i rendimenti sono ormai ridotti
all’osso, anche se pensiamo che ci possa essere ancora qualcosa da portare a casa. Invece sul bund
restiamo molto prudenti perché cominciamo a vedere qualche rischio, quindi non ci esponiamo su
duration lunghe. C’è poi una serie di bond subordinati che stanno molto al di sotto della pari e
riteniamo siano interessanti in vista di un cambiamento di direzione del ciclo anche in Europa.
Rimane del potenziale in America, sui titoli high yield e sui titoli corporate con lunga duration, dove
i rendimenti sono ancora alti e gli spread sono troppo elevati rispetto ai titoli governativi. Su questi
titoli non ci preoccupa una duration lunga perché anche un futuro rialzo dei tassi porterà a un
miglioramento della posizione di credito di queste società, che sono estremamente solide e alcune
capitalizzano centinaia di milioni di dollari.
Quanto pesa il rischio valutario sull’asset class obbligazionaria?
Con una situazione di tassi molto bassi per tutte le valute primarie, la scelta valutaria è
determinante. Non bisogna comunque mai dimenticare la valuta di riferimento dell’investitore finale
per non esporlo a eccessivi rischi.
Quali sono le grandi differenze tra la situazione nel mercato europeo rispetto a quello americano?
Il mercato obbligazionario europeo è sorretto dal quantitative easing appena partito, che toglie
liquidità al mercato e quindi sostiene i prezzi. Ovviamente, essendoci un compratore molto
importante come la Bce che acquista carta con scadenze anche trentennali, questo aiuta a mantenere
alti i prezzi su tutta la curva. Il mercato Usa si confronta invece con un possibile cambiamento di
politica monetaria che crea incertezza e anche più volatilità. Quindi il quadro è di stabilità in Europa
e di incertezza negli Usa.
E a proposito di America quali sono le previsioni di rialzo dei tassi?
Il dollaro forte e il prezzo basso del petrolio hanno tolto spinta all’inflazione Usa, malgrado la
crescita robusta in atto. Quindi un vero rialzo è prevedibile solo in concomitanza con un chiaro
miglioramento della crescita europea. Noi ci aspettiamo di vedere questo miglioramento nella
prossima estate e questo potrebbe “dare il la” al cambiamento di rotta dei tassi usa.
Quanto teme la situazione greca?
Non pensiamo che la Grecia possa avere un grande impatto, sia che resti in Europa sia che esca e
non crediamo a un possibile effetto contagio. I mercati fuori dalla Grecia sembrano poter sopportare
un possibile Grexit, in quanto il Qe appena partito, pari ad almeno 1.100 miliardi di euro,
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garantirebbe una liquidità sufficiente per far fronte a una crisi di credibilità temporanea.
Attualmente lo spread tra i titoli decennali portoghesi e quelli tedeschi, la cosiddetta convergenza, è
chiaramente volatile. In realtà il rischio di contagio in caso di Grexit non è evidente come nella
primavera 2012, quando i differenziali di rendimento sono saliti a oltre 1.000 pb. Nell’attuale
contesto le flessioni temporanee vengono invece sfruttate come opportunità d’acquisto. Ci
auguriamo che tutto si risolva. Peraltro, se gestita bene, un’eventuale uscita dall’euro, che sarebbe
certamente drammatica per i greci, con iperinflazione e seri problemi di gestione della politica estera,
potrebbe anche avere effetti positivi per il resto d’Europa, perché raffredderebbe i movimenti
antieuro.
Che posizione avete sui titoli corporate e sugli high yield?
Premesso che per nostra scelta non investiamo sui mercati emergenti, vediamo potenziale sulla
parte high yield del mercato americano, perché gli spread sono ancora per noi troppo elevati rispetto
ai titoli governativi e perché un generale rialzo della curva sarebbe comunque da legare a una
situazione economica favorevole o molto favorevole. Con un miglioramento anche della situazione
dei singoli debitori. Sui titoli Usa con rating doppia B, abbiamo 300 punti base di spread che
riteniamo eccessivi. In Europa, dove non esiste un vero mercato high yield o è troppo illiquido, siamo
esposti per circa il 4% su obbligazioni subordinate di buona qualità.
I temi che state seguendo con più attenzione in questo momento?
Anche in questo caso occorre distinguere tra America ed Europa, dato che le due aree si muovono
in maniera diversa. In ogni caso, data la situazione ancora criptica dei mercati, e quindi l’importanza
del timing degli investimenti, ci concentriamo sui temi che possono anticipare i segnali di
cambiamento dello scenario. Negli Stati Uniti seguiamo con particolare attenzione l’evoluzione del
mercato del lavoro e dei salari, che riteniamo gli indicatori migliori per riconoscere i primi segnali di
accelerazione dell’inflazione. In Europa, invece, seguiamo soprattutto l’andamento del credito alle
imprese: abbiamo visto che gli interventi di politica monetaria delle banche centrali non sono stati
sufficienti per risollevare il credito e si sono rese necessarie dosi da cavallo di quantitative easing.
L’andamento del credito è uno dei punti da seguire per anticipare i cambiamenti di rotta
dell’economia continentale. Crediamo che questi saranno i temi che avranno più impatto sulle curve
dei tassi e sui mercati.
E ora potrebbe indicarmi quali potrebbero essere delle emissioni adatte a un investitore con una
media propensione al rischio e un orizzonte temporale di cinque anni?
Oltre alla nostra lista di emissioni, riteniamo interessanti anche le obbligazioni subordinate con
tasso variabile – di solito con una cedola composta dal rendimento del decennale governativo più
uno spread – emesse da solidi istituti, come per esempio Axa, Aigon, Ing, a forte sconto rispetto alla
parità. © RIPRODUZIONE RISERVATA Isabella Della Valle
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IL SOLE 24 ORE PLUS 28 03 2015
Le reti a febbraio hanno raccolto 2,8 miliardi
Anche a febbraio prosegue spedita l’attività di collocamento di prodotti finanziari da parte delle reti
di promotori. La raccolta netta complessiva del mese scorso è stata pari a 2,8 miliardi, incassati
principalmente grazie al contributo che è arrivato dal comparto del risparmio gestito attraverso il
quale sono stati raccolti poco meno di 3 miliardi. Una cifra che ha compensato ampiamente il deficit
per 154 milioni accusato dall’amministrato, spinto in territorio negativo dall’attività sui titoli, in
rosso per 530 milioni. Particolarmente dinamico il settore delle polizze unit linked attraverso le quali
sono stati venduti fondi per 1,5 miliardi. Il bilancio da inizio anno si è così attestato a 4,4 miliardi dei
quali 3,5 provenienti dal gestito e 784 milioni dall’amministrato. Questo è quanto emerge dalle
consuete statistiche elaborate mensilmente da Assoreti, l’associazione delle reti di vendita di prodotti
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