Untitled - Centro di ricerca Beyul

TASHI DELEK
Introduzione
Chi non ha visto “Sette anni in Tibet” o “Kundun”? Chi non conosce il bel
sorriso del Dalai Lama? Chi non segue con apprensione quanto accade
nel “Tetto del mondo” da una sessantina d’anni, da quando, cioè,
l’esercito popolare cinese di Mao Tse Dong ha occupato militarmente e
culturalmente il Tibet? Chi non ha, almeno una volta, avuto tra le mani
un libro che parla del Buddismo tibetano? E chi, infine, non ha mai
sentito l’ipnotico suono di una campana tibetana o non si è mai perduto
tra i mille colori di un mandala?
Per la stragrande maggioranza di noi occidentali il Tibet è tutto questo, è
un mondo affascinate di altissime montagne innevate e specchi d’acqua
incontaminati che ospitavano e proteggevano un popolo mite e geloso
delle proprie tradizioni guidato dagli uomini più saggi e sapienti della
terra, i monaci che, grazie alla incessante pratica della meditazione ed
ad una straordinaria preparazione culturale, riuscivano a trascendere i
limiti imposti a tutti gli altri uomini ed a raggiungere la più distaccata e
compassionevole beatitudine. Ma, in seguito all’invasione maoista,
questo paradiso è stato distrutto ed il più gretto materialismo ideologico
e mercantile cinese ha sostituito, attraverso un autentico genocidio
antropologico e culturale, la spirituale concezione della vita e della
tradizione lamaista tibetana.
In questi ultimi trenta-quarant’anni la diaspora in Occidente dei monaci
fuoriusciti dal Tibet, guidati dalla serena ed accattivante figura del Dalai
Lama, ha consentito l’incontro ravvicinato con un corpo dottrinale ed una
visione del trascendente che, fino al momento dell’invasione cinese, era
realmente conosciuto da pochissimi eruditi ed addetti ai lavori, anche se
la Società Teosofica, principalmente nella controversa ed affascinante
figura di Helena Blavatsky, aveva iniziato a far circolare le idee filosofiche
e religiose del Buddismo tibetano, in qualche maniera, inserite in un
contesto più “digeribile” dalle menti razionali degli occidentali. Ogni
libreria che si rispetti ospita un settore dedicato al lamaismo con le
pubblicazioni specializzate affiancate ai best seller del Dalai Lama ed i
manuali di meditazione integrati dagli immancabili supporti CD con le
sonorità ed i mantra dei monaci. Numerosi centri gestiti direttamente da
piccole e grandi comunità monastiche sono presenti in tutti i Paesi
occidentali e forniscono la possibilità di seguire seminari e corsi di studio
e approfondimento su quello che insegna il Buddismo tibetano.
Oggi, insomma, apparentemente, un italiano (od un qualunque altro
individuo occidentale) di media cultura che sia appassionato al tema può
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TASHI DELEK
formarsi un’immagine sufficientemente corretta della tradizione tibetana
e delle sue principali idee filosofiche e religiose senza per forza
trascorrere i famosi “sette anni in Tibet”, a maggior ragione dopo che il
patrimonio più autentico della spiritualità lamaista è stato disintegrato
dall’oppressione militare cinese.
Siamo davvero sicuri che sia così?
Per cercare di farsi un’idea un pò più aderente ad una verità che, in ogni
caso, ci sfuggirà sempre, vi consigliamo di leggere quello che, con tanto
amore e tanta convinzione, ha scritto e descritto Elena.
Sono spunti per riflettere, note sparse, immagini, suoni, odori provenienti
da un altro mondo, da un altro spazio ed un altro tempo. La cornice ed il
pretesto narrativo è il Tibet con la sua storia e la sua tradizione. Ma i veri
protagonisti sono le nostre emozioni ed i nostri condizionamenti mentali
che, spesso, ci illudono e ci impediscono di vedere con chiarezza e
lucidità quello che avviene davanti a noi ogni giorno. Il “maestro” che
Elena ascolta e che illustra sprazzi della antica conoscenza tibetana è
una voce “impersonale” che origina da una dimensione che noi, con le
nostre attuali limitazioni, non riusciamo neanche ad immaginare, anche
se la nostra coscienza ne è assolutamente partecipe in una trama in cui
non esiste separazione tra io e non io, tra soggetto ed oggetto, tra
pensatore, pensiero e pensato.
Buona lettura
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TASHI DELEK
I
Era la fine degli anni 70, avevo poco più di 20 anni. Una innata
curiosità, mi spingeva a scoprire il mondo che mi circondava, complice
una famiglia che non mi aveva mai realmente desiderata. Nata fuori da
un matrimonio, dopo quasi due anni di separazione, rappresentavo,
negli anni 50, il frutto del male di cui solo io sarei stata responsabile.
Viaggiare mi distraeva, mi impediva di pensare a ciò che non avevo e a
cercare quel qualcosa di fondo che mi legava alla vita e alla sua gioia
di vivere, nonostante me, nonostante gli altri. Fu così che incontrai
Tenzin, un giovane monaco che mi aveva presa in simpatia.
Diventammo amici, mi fece conoscere la sua casa, i suoi famigliari, la
sua vita. Avevo, dei Lama, un'immagine di persone erudite che si
occupavano della salvezza delle anime, mentre dei laici, pensavo che
fossero miti, sempre allegri e contenti della propria sorte, nonostante
la Cina e la sua sistematica oppressione. Il Dalai Lama pensavo fosse
un capo teocratico, ambasciatore di pace e di saggezza. Quanto mi
sbagliavo!!!
Tenzin mi parlò dei Lohan "coloro che cantano in modo dolce", esseri
ormai leggendari su cui si fondano quasi tutti i mantra conosciuti. I
mantra sono considerati da loro una scienza, un qualcosa di cui i Lohan
sapevano far uso, loro il suono lo conoscevano e ne conoscevano le
virtù. Tenzin mi disse che in occidente se ne fa un uso "rovesciato" e
che questo uso è stato imposto ad hoc, per determinate ragioni che in
seguito mi spiegò e che spiegherò a chi ha voglia di ascoltare.
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Le ragioni di cui mi raccontò, mi fecero stare male, gli dissi che mi
stava prendendo in giro, solo perché ero una ragazzina occidentale e
sprovveduta, perché sapevo bene come ci consideravano. Gli dissi che
era un razzista e me ne andai piangendo e dicendogli che era cattivo.
Non mi fermò e quando mi girai per vedere cosa stava facendo lo
trovai seduto nella stessa posizione, il suo sguardo mi seguiva e il
sorriso gli illuminava il volto. Corsi via più furiosa che mai. Mi rintanai
nella mia stanza, non cenai e mi venne la febbre. La notte fu piena di
incubi ed ebbi voglia di tornare a casa. Non so quanto tempo passò, mi
risvegliai che Tenzin era seduto affianco al mio letto e cantava dei
Mantra. Quando vide che mi svegliai del tutto, mi prese la mano e mi
sorrise, dicendomi: "Benvenuta Amica mia...” Lui sapeva che ora avrei
potuto ascoltarlo.
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II
Quella mattina c'era il sole e la luce che filtrava dalla finestra mi
sembrava più bianca che mai. Fissai senza vergogna gli occhi scuri di
Tenzin che per la prima volta si abbassarono, gli strinsi forte la mano
tirandola verso di me e sussurrai:" Voglio sapere tutto".
A toglierlo dall'imbarazzo, furono i passi leggeri di Garima che entrò
portando con se un micetto bianco, gli diede un bacio e mi disse che
era diventato il mio. In un italiano stentato, misto ad un globish, mi
spiegò che lui mi aveva scelta, avendo dormito con me per due notti
senza mai muoversi dai miei piedi, per questo era diventato mio di
diritto. Poi invitò Tenzin ad andarsene e lui fu ben felice di obbedirle, si
alzò e sparì.
Passarono altri giorni e di lui nemmeno l'ombra, intanto i bimbi della
scuola mi sembrarono diversi, più silenziosi, più impegnati. I loro letti,
in fondo all'aula, sempre rifatti ed in ordine; mi facevano notare che
avevano lavato le orecchie e le mani ed uno di loro mi regalò un
disegno che ancora oggi conservo dove, oltre il paese arroccato sulle
montagne innevate, il personaggio principale era una piccola macchia
nera che a ben guardarla aveva testa, braccia, tronco e gambe, era
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uno Yeti.
Finalmente Tenzin mi venne a trovare, arrivò mentre insieme al mio
gruppo stavamo guardando le foto che Fosco aveva fatto, dovevamo
scegliere quelle che ci sembravano le migliori, ma erano tutte belle e
non ci decidevamo mai, così Tenzin, ne indicò alcune che Fosco aveva
scartato, dicendogli che il significato di quei TangKa era importante e
che poco importava se non ne conoscevamo il significato, il simbolo, ci
disse, arriva direttamente al cuore di chi vede, senza tante spiegazioni.
"Voi occidentali cercate sempre troppe spiegazioni e così perdete la
bellezza". Ridendo dissi agli altri che Tenzin era proprio "razzista" e lo
schernì dicendo che parlava e raccontava troppo poco, forse per paura
che non capissimo. Sorrise e disse: "Si, è proprio così". Fu talmente
risoluto nel suo dire, che scegliemmo tutte le foto che lui ci indicava e
il nostro lavoro finì in un quarto d'ora.
Andai fuori a fumarmi una sigaretta, Tenzin mi seguì e mi disse:
"Appartengo alla stirpe degli Arhat di PuTo quelli della Buona Legge. Un
Arhat è un "liberato". In cinese, Arhat si dice Lohan. Le nostre
confraternite sono quasi tutte fuggite in India e il nostro esodo è
iniziato nel I secolo a.C. ed ancora dura. Il buddhismo che vive qui,
quello che voi chiamate "lamaista", ha soverchiato tutto, noi Lohan
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abbiamo fatto voto di non resistere anche se sono nostri nemici e io
vivo nascostamente fra loro. Noi abbiamo il segreto della liberazione
dall'attaccamento al mondo dell'illusione, mentre il lamaismo ne fa un
uso improprio, completamente opposto, rafforzando le illusioni. In
occidente ci conoscete come anime pure che si occupano di metafisica,
mentre invece i tibetani sono un popolo fiero, di guerrieri fieri che
hanno sempre lottato fra clan opposti".
Lo fermai, guardai il suo vestito rosso e gli dissi: " mi stai dicendo che
sei una spia, un infiltrato?"
Sorrise e mi disse solo che era un Lohan, un Arhat, un tibetano vero.
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III
Dolma comparve sull'uscio avvisandoci che il pranzo era pronto,
entrammo nella casa e ci dirigemmo verso il tavolo dove già gli altri
erano seduti facendo il solito bacano allegro. Questa volta Tenzin si
sedette di fronte a me. Normalmente, quando cenava con noi, stava
vicino a Massimo per parlare di montagna e di sciamani. Garima e
Dolma ci portarono i piatti di
"momo"
fumanti,
l'odore
di
formaggio di yak mi saliva nelle
narici.
Fosco parlava con Massimo,
Vania rideva con la Giò; Giorgio
diceva che la porzione era troppo
scarsa e che avevano deciso di
farlo morire di fame. Sotiris, il
medico greco, faceva commenti
poco edificanti su quello che
tutto quel "lardo" intorno alla
pancia di Giorgio avrebbe potuto
comportare e Tenzin mangiava in
silenzio e rapidamente ed io
pensavo:
"I
mantra
sono
rovesciati, Tenzin non è un lama, i tibetani sono un popolo di fieri
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guerrieri e tutto quello che ci è stato raccontato è una "mussa"
gigantesca. Tenzin è un liberato e quindi?...". Garima mi passò affianco
e mi diede uno spintone col gomito: "tu manci, avuta fevla!". Gli
sguardi di Tenzin e Garima si incrociarono complici ed io dissi: "Pure tu,
quindi, Garima?" Massimo intervenne dicendo di mettermi i momo in
una "campana tibetana" che tanto erano ciotole per il cibo e così avrei
mangiato meglio accompagnata dal suono "mistico" del nulla. Sentivo
di odiare Massimo, lui amava la montagna ed era rude come lei.
La mia idea di purezza religiosa del buddhismo tibetano, si stava
frantumando e loro ci ridevano sopra. Sotiris chiese se avevamo degli
antibiotici avanzati così avremmo potuto, in cambio di "magica" cura,
aver accesso ai segreti più nascosti. Ridevano, ridevano tutti meno
Fosco che picchiò i pugni sul tavolo urlando di piantarla. Spensi gli
occhi che sprizzavano rabbia, piegai la testa e mangiai.
Sapevo che avrei dovuto studiare di più, che avrei dovuto distinguere
le leggende dalla storia. Avrei dovuto pulire la mia mente dall'idea di
purezza che mi ero fatta ed anche dall'idea di oppressione del popolo
"tibetano". C'era qualcosa che non andava in quel che sapevo. Allora
ero giovane ed iniziavo appena ad incontrare le "coltri" di menzogna a
cui normalmente veniamo obbligati a credere e anche molto spesso
crediamo spontaneamente, poiché in cerca di un ideale ed ancora più
spesso di un mondo ideale. La storia della Cina non mi era chiara ed
anche quella
del Tibet. Noi ci
trovavamo, in quel luogo, in un
momento di apertura della Cina. Era in
atto uno scambio culturale fra diversi
paesi e quindi era possibile soggiornare
per motivi di studio, però iniziai a
rendermi conto che non sapevo nulla
della loro storia.
All'epoca mi sentivo molto mistica e
credevo che la durezza della vita
estrema, come quella dei tibetani,
avesse sviluppato molto di più le loro
aspettative di trascendenza. Pensavo,
erroneamente, che il cattolicesimo, non
fosse mai giunto in quei luoghi o
almeno che vi fosse giunto solo molto
tardi. Giustificavo la struttura ecclesiale, simile alla nostra, per un dovere
di organizzazione.
Pensavo che fosse naturale la struttura piramidale e che quindi fosse
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spontanea, ma mi sbagliavo.
Iniziai a vedere i pochi monasteri rimasti e i tanti distrutti non più come
luoghi mistici ma come luoghi necessari al potere e alla vita materiale,
scoprìi che per il buddhismo, l'anima non esisteva che non poteva
esistere, poiché tutto si dissolve al termine del percorso e ritorna "ab
solutum" ossia “sciolto, svincolato”, libero da condizionamenti. Scoprìi
Hegel, che non avevo mai amato particolarmente, a cui non non
bastava il semplice “amore per il sapere”. Invitava a mettersi in gioco
in prima persona, levandosi di dosso l'abitudine mentale, accettando il
travaglio di un viaggio che ricorda molto da vicino quello dello
sciamano degli Altai, che prima di raggiungere il “mondo superiore” e
molto prima di potersi porre al servizio degli altri, accetta di misurarsi
con il “mondo inferiore” dove ordinaria è la presenza di demoni, anime
di defunti, creature spaventose/animali guida, in un processo che
“nega e conserva” tutto quello che man mano si incontra per la via, in
un superamento dialettico che può essere metafora della vita reale nel
suo svolgersi. E' infatti il “tutto ciò che accade” che interessa prendere
con sé (comprendere) facendone tesoro, perché sapere che tutto potrà
servire... serve. In questo modo Hegel sembra procedere nella sua
“scienza dell'esperienza della coscienza”, racchiusa come in un libro
vivo nella Fenomenologia dello Spirito, opera inquieta: una scienza che
non è “passiva registrazione di dati e impressioni, bensì vera e propria
esperienza capace di modificare profondamente chi ne sia protagonista, una filosofia in cammino”.
Stavo trasformando il mio pensiero e scoprivo che un grande filosofo
doveva per forza aver attinto da qui il suo pensiero, non continuavo
solo il mio viaggio fra i monti e le genti del mondo, ma mi accingevo a
compiere il mio lungo viaggio interiore.
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TASHI DELEK
IV
Il cielo stellato himalayano è un vero e proprio spettacolo. Sarà stata la
quasi assenza di illuminazione artificiale o il fatto di trovarmi ad una
altezza inusuale, ma quella parte di universo, sembrava appartenermi
di più. Il mio microcosmo si fondeva col macrocosmo dell'infinito ed un
grande senso di appartenenza, mi consolava.
Tenzin si sedette sullo scalino vicino a me, si tolse il mantello e me lo
strinse intorno alle spalle: "Sei fragile! La tua impazienza potrebbe
anche essere una virtù se ben disposta, ma quella rabbia ti nuoce, per
questo ti chiamiamo 奇怪 (bizzarra).
"Improvvisamente e forse per la prima volta, mi accorsi che Tenzin
parlava un italiano forbito, troppo curato. L'accento quasi inesistente.
Mi accorsi anche che la sua esperienza conteneva troppi anni, di più di
quanti non ne mostrasse.
Chi era seduto al mio fianco? "Quanti anni hai Tenzin? Dove hai
imparato la mia lingua così bene? Chi sei veramente?" Rabbrividii e mi
strinsi nel suo mantello. Già, il suo mantello! Non stavo sognando, era
vero, lui mi parlava in un italiano perfetto e mi diceva che mi
chiamavano "bizzarra", un termine a cui ero abituata, ma che non
dicevo a nessuno per vergogna, una parola vissuta con compiacente,
rigettata, soddisfazione e lui mi stava dicendo che era il mio
soprannome locale. Scoppiai a ridere dicendogli che doveva essere la
reincarnazione di mio nonno e che ora non mi poteva più sfuggire,
doveva rispondere a tutte le mie domande, senza lasciarne indietro
nessuna.
Iniziammo una lunga conversazione: in realtà era praticamente un
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monologo. Scoprii che aveva studiato greco e latino e poi anche
l'italiano sia scritto che parlato. Aveva potuto farlo, perché i nostri frati,
in un tempo lontano, avevano lasciato molti scritti nelle loro
biblioteche. Oltre quelli, anche dei dizionari e molte opere come i
Vangeli, la Bibbia, persino una "Divina Commedia" illustrata e molto
altro ancora. Mi raccontò che alcuni di quei frati, inviati ad
evangelizzare, si convertirono, divenendo buddhisti, dandosi per morti
ed iniziando una nuova vita come monaci. Mi raccontò la leggenda del
"Monaco Monco" che non potendo scrivere, leggeva e parlava, ma
parlando poco e leggendo troppo, impazzì. Mi disse che nessuno
condannò la sua pazzia, ma che fu vista come una benedizione, poiché
teneva il piede sulla "soglia".
"Ed ora" mi disse, "Parliamo della fuga del Dalai Lama".
Mi mostrò la copia di una lettera datata 13 gennaio 1947, a scriverla
era un certo Gorge R. Merrel, incaricato d’affari USA a Nuova Dheli. La
lettera riguardava la “inestimabile importanza strategica” del Tibet e
recitava: “Il Tibet può pertanto essere considerato come un bastione contro
l’espansione del comunismo in Asia o almeno come un’isola di conservatorismo in un
mare di sconvolgimenti politici”. E aggiunse che “l’altopiano tibetano […] in epoca di
guerra missilistica può rivelarsi il territorio più importante di tutta l’Asia ”. La lettera
era inviata al Presidente americano Truman. Il separatismo tibetano,
era quindi uno strumento di geopolitica Usa, utile per costringere il
nuovo governo comunista di Mao a disperdere le forze, ponendo quindi
le condizioni per un “cambiamento di regime a Pechino”.
Il Tibet è sempre stato territorio cinese, i primi a mettere in discussione
la sovranità cinese sul Tibet sono stati i fautori dell’imperialismo
britannico. La Cina, faceva paura e doveva essere quindi smantellata,
ancora di più con l’avanzare del Partito Comunista Cinese e quindi con
l’avvicinarsi al potere di un chiaro Partito di massa antimperialista. Nel
1949 il Dipartimento di Stato Americano pubblicò un libro sulle
relazioni USA-Cina con una mappa che mostrava tutta la Cina, Tibet
incluso e questo testimonia in modo esplicito che ciò che è stato
raccontato del Tibet e del suo "sterminatore" cinese, andrebbe rivisto e
corretto, non prima di aver parlato di secoli di aggressioni, stermini,
attentati, eccidi, guerre da parte degli occidentali al popolo cinese e di
una
Inghilterra
vittoriana
impegnata
nel
“grande
gioco”
dell’espansione in Asia.
La fuga del Dalai Lama nel 1959 fu organizzata di tutto punto; come
avrebbe potuto sfuggire all'occhio attento cinese una carovana di 100
carri che si aggiravano per le montagne? Come avrebbe potuto
ospitarlo l'India, senza suscitare alcun dissenso, un capo religioso così
tanto perseguitato ed emblema di libertà svincolata dal potere? Si
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racconta, anzi vi è una relazione di un agente CIA che dichiara che il
Dalai Lama "visse in una casa decorata con una corona di orecchie strappate dalle
teste di comunisti morti”. Ma tutto questo non bastò e iniziò una vera e
propria campagna mediatica in occidente, campagna che dura tutt'ora
con la "santificazione" del Dalai Lama.
Le contese sul Tibet sono di lunga data e partono da quando agli inizi
del Novecento gli inglesi e la Russia si contendevano il Tibet, regione
della Cina. Correva persino la voce che lo Zar in persona si fosse
convertito al buddhismo.
"La nostra Spiritualità, ha origini ben più profonde, delle menzogne
raccontate in occidente per l'occidente, si radica nell'antico
sciamanesimo, custode di arti magiche, di tradizioni, conservate,
protette e segrete. I Lohan ne sono i custodi ed io ti offrirò la Verità,
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basta che usi un poco di temperanza e di pazienza". Così dicendo,
Tenzin, mi sollevò dal gradino su cui ero seduta, mi accompagnò alla
porta e mi augurò una buona notte. Lo vidi allontanarsi nel buio, lo
chiamai dicendogli che aveva dimenticato il mantello, non si voltò e
continuò a camminare.
Lo so che le cose dette fin qui, porterebbero ad un rifiuto di tutta la storia, è successo
anche a me, ma, nella prossima puntata, vi inizierò a parlare dei Mantra, quelli veri, da
dove nascono cosa fanno, come ci aiutano e tanto altro...
Tredici
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V
“Ogni uomo e ogni donna è una stella.
Ogni individuo è unico ed il suo sentiero è all'interno di un universo spazioso in
cui potersi muovere liberamente senza collisione.”
Quella frase l'avevo sentita da qualche parte, scavavo nei ricordi, ma
sembrava volermi sfuggire il luogo e il quando, sapevo che era legata
ad un concetto di libera "Volontà". Nonostante tutti i miei sforzi, la
ricerca si rivelò inutile, anche se quel pensiero iniziò a lavorare in me e
a trasformarsi in molteplici aspetti: ogni uomo e ogni donna, divennero
una specie da cui si generava una tribù, un clan, una popolazione, una
cultura, una religione e il tutto in un universo spazioso in cui avrebbero
dovuto muoversi liberamente senza mai collidere.
Lo svolgersi "naturale delle cose" suggeriva che così sarebbe dovuto
essere, la mia realtà mi stava invece raccontando altro e avvertii tutto
il fastidio di aver creduto di sapere. Giurai a me stessa che nessuno,
mai più nessuno, avrebbe influito sulla mia Volontà che ritenevo
indispensabile, necessaria, importante, l'unica cosa degna di essere
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curata. Non mi sarei più fermata ai
"sentito dire" a "così è, perché lo
dicon tutti", dovevo andare, se mai
ci fossi riuscita, oltre l'Oltre.
Presuntuosa? Certamente! Ma se
non lo avessi fatto avrei negato me
stessa ed ero molto stanca di
sentirmi "negata".
Avevo bisogno di incominciare da
cose solide, avevo capito sommariamente che la struttura monastica buddhista, lamaista, oppure no,
aveva subito le influenze del cattolicesimo. Mi necessitava troppo
tempo che non avevo, per arrivare
alle origini, così, fatta una breve
comparazione, mi resi conto che la
"reincarnazione" non coincideva con
le due dottrine. In una si parlava di
resurrezione dello spirito, nell'altra
nel ciclo di molte vite, prima di
arrivare a "sciogliersi" nell'Assoluto.
Con l'aiuto di un interprete, iniziai
ad intervistare quante più persone potevo, scrivevo appunti e più
scrivevo, più mi rendevo conto che la "superstizione" era padrona. Il
magico faceva paura, una paura reverenziale che affondava le sue
radici nella notte dei tempi, negli eoni, nella leggenda. Ne ero
affascinata, la chiamai la "forza del potere".
Conoscevo la reincarnazione come un passaggio dell'anima da un
corpo all'altro, una conservazione dell'individualità che si perpetuava
in eterno su questa terra, una sorta di attaccamento ad un proprio "IO"
che non voleva morire. Avevo incontrato persone che affermavano di
essere stati principi, regine, faraoni, grandi conosciuti e sconosciuti
letterati, uomini politici di rilievo, filosofi e molti figli di "dio" in tutte le
salse e condimenti, ma mai uno spazzino, un ladro di polli, un barbone.
La cosa, in realtà, mi faceva sorridere, così, il più delle volte,
commentavo con ironia, attirandomi le maledizioni dei grandi uomini e
donne estinti e ridotti a rivivere in un corpo di essere normale (si fa per
dire) che sarebbe vissuto senza nessuna "gloria" nella indifferenza
generale.
Fra le montagne, nelle case dei pastori, dei contadini, della gente
normale, stavo imparando che non si trattava di "Anima", ma
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TASHI DELEK
addirittura alcuni credevano di essere stati animali e di aver "meritato"
la vita umana. Si trattava di Karma, non di glorificazione della
personalità. Ogni "atto", "azione", "compito", "obbligo"; ogni "atto
religioso", "rito", produce un effetto, ogni causa produce un effetto ed
ogni effetto produce una causa. Ogni azione produce un fine e questo
agire, negli esseri senzienti, ha sempre un fine che produce un effetto
con conseguenze morali che di fatto ci legano al ciclo continuo della
vita. Questo obbligo di attenzione verso le azioni compiute è la legge
morale più forte e primitiva che abbia mai incontrato, il superamento
del "Samsara" la salvezza, per questo popolo magico, dipende dal
conseguimento di una "condizione superiore" che è raggiungibile solo
dallo "Spirito" che si manifesta tramite la "Volontà dell'Azione" Il "Non
essere Causa" infine non produrrà effetto e tutto si scioglierà
nell'Assoluto.
Stavo entrando dritta, dritta, nella "Magia", in quelle formule antiche,
indipendenti dall'azione umana, legate alla Natura e alla sua forza,
eredità di non si sa chi, di contenuto sconosciuto, ma micidiale in un
senso e nell'altro, dove il possibile diventa impossibile e viceversa. Il
frutto di qualcosa di poco comprensibile, ma che" non ha importanza",
l'importante è che funzioni e che chi la usa sia solo l'intermediario, così
che eludendo la causa, ne eluda anche l'effetto.
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VI
Shigatsé è la seconda città più grande del Tibet centrale. In quel luogo
vi si trova il monastero Tashilhunpo che è, ancora oggi, uno dei più
importanti centri di formazione buddista. Venne fondato nel 1447 dal
primo Dalai Lama, Gyalwa Gendun Drup, ed era la sede del Panchen
Lama.
Il Panchen Lama è un Maestro e il suo titolo significa "Grande Studioso"
non per nulla è il Maestro del Dalai Lama ed insieme rappresentano le
più alte incarnazioni dei Maestri più importanti.
Tashilunpo è la sede dei più grandi eruditi e
studiosi di tutto il Tibet, qui dal 1624
soggiornò Padre Antonio d'Andrade, Gesuita,
esploratore, fondatore di missioni, raccoglitore
di informazioni e relatore eccellente. Dotato di
grande intelligenza si adattò bene ai luoghi,
conobbe gli usi, anche i più segreti e diede un
contributo fondamentale all'organizzazione
monastica tibetana che stranamente somiglia
a quella della Compagnia di Gesù.
Shigatsè è la città esoterica per eccellenza, la
città dei capi "occulti" del Tibet, conosciuta, in
epoca più recente, dalla Teosofia che l'ha
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TASHI DELEK
identificata come la sede dei "Maestri" di saggezza della Grande Loggia
Bianca.
Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice della Teosofia, fu la prima a
rivelare al mondo l'esistenza di una confraternita segreta nel Tibet, ma
era all'oscuro dell'esistenza dei Gesuiti e di una loro presenza così
antica, ossia praticamente contemporanea alla nascita del "lamaismo"
moderno.
La presenza dei missionari
nelle
lamaserie,
accolti come studenti di
"teologia" veniva dissimulata e nascosta, al
punto tale che ancora
oggi, se ne sa poco e
nulla. Logge orientali,
logge occidentali, giri
vorticosi e coperture reciproche, atte solo a
confondere e dissimulare i legami segreti di
un unico potere che si
manifesta con più sfaccettature, sicuramente
le più adatte al bisogno
di "credere" in qualcosa.
In seguito, ancora frastornata, lessi di R.A.
Stein "La civiltà tibetana", mentre qualcuno
mi consigliava di non
"rovistare" troppo che
meglio sarebbe stato
per me restare radicata a degli ideali utili alla mia tranquillità ma non
sono mai stata tranquilla, forse a causa della mia indole sospettosa.
Cosa erano andati a fare i Gesuiti in tempi così remoti e
nascostamente? Quali formule e riti avevano studiato? Perché non
rivelare al mondo le loro scoperte e rendere l'umanità partecipe? Certo
difficile competere con delle così grandi menti. Quando loro, i Gesuiti,
viaggiavano per indagare, la maggior parte dell'umanità era
analfabeta, indegna di essere elevata e resa partecipe, ma oggi, quale
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TASHI DELEK
motivo vi era per tenere "occulta" la scoperta degli usi di un popolo
antico legato molto di più allo sciamanesimo Bon che al buddhismo?
Le verità spesso devono essere nascoste, soprattutto quando si
potrebbe giungere a delle conclusioni che ribalterebbero i "poteri"
millenari costituiti. Ero solo una ragazzetta confusa e alla ricerca di se
stessa, forse anche spaventata, ma sicuramente non priva di volontà e
di curiosità. Mi ronzavano in testa le frasi a metà dette da Tenzin, quei
mantra alla rovescia, come formule magiche più che preghiere, quei
luoghi sconosciuti e velati da un mistero quasi inaccessibile. Avevo
bisogno di Verità a qualsiasi costo e l'avrei trovata nei riti e negli
strumenti dei riti, quegli oggetti che di religioso avevano ben poco;
nelle superstizioni della gente, nelle feste dei villaggi, nelle maschere,
nei costumi e nei nomi, per arrivare al grande dominatore: il suono e il
suo uso.
Così, quasi in preda ad una crisi isterica mi ripetevo: "E in principio, fu
il Verbo". Io, allevata dalle suore, con una idea di Dio creatore che tutto
può, iniziavo a veder sgretolare la mia pseudofede di cui non ero mai
stata convinta, ero a caccia di religioni e dei loro contenuti. Possibile
21
TASHI DELEK
che tutte si somigliassero? Quale ne era l'origine? Forse il suono, forse
tutto stava in quella frase: "...e in principio fu il verbo", la parola, il
rumore, il suono dell'Universo ripetuto in mantra millenari da tutte le
popolazioni del globo, nelle loro feste, nei loro riti, nelle loro
filastrocche, quelle parole che sapevano dirigere le menti, educarle,
dominarle e confonderle per essere usate, per essere gestite. La mia
ricerca si stava allargando a macchia d'olio, addirittura guardavo con
sospetto i figli dei fiori e il 68, a cui avevo partecipato appena
undicenne, ma che non mi convinceva del tutto a causa delle sue
troppe droghe, degli amici persi per overdose da eroina, dei compagni
smarriti e di una società che stava troppo rapidamente cambiando.
Cercavo un senso a questo repentino cambiamento, ma non lo trovavo,
io che in casa avevo ancora un telefono a muro nero, un duplex, per
risparmiare, dove le collant erano un lusso e i canali di informazione
televisiva solo due a volte tre. Siamo rimasti in pochi a ricordarci delle
vecchie auto "Prinz" che in Ungheria non potevano essere utilizzate
perché piacevano tanto ai cinghiali che se le mangiavano con appetito
e questo oggetto minuscolo su cui ora pigio i tasti spigliatamente, non
era nemmeno immaginabile, ma "...in principio, fu il Verbo".
22
TASHI DELEK
VII
Thashilunpo era quindi la sede di formazione del Panchen Lama, figura
importantissima, sopratutto per i cinesi e i buddhisti, meno conosciuta
per gli occidentali e la new age. Nello stesso luogo erano approdati i
Gesuiti e vi avevano a lungo soggiornato per approfondire, a quanto
pare, il loro gusto della Magia e della Politica. Sempre nello stesso
luogo i Teosofi avevano localizzato il centro di formazione degli iniziati
della Loggia Orientale ed almeno chi si occupa di new age dovrebbe
sapere quale spinta abbia loro conferito la Teosofia.
Stavo leggendo e non mi accorsi che alle mie spalle, silenzioso, Tenzin,
mi stava osservando da un poco. Sentii la sua voce che mi diceva: "La
Politica è Magia, la magia è politica. Il problema è che non vi sono più
grandi maghi e nemmeno grandi politici, quello che viene mostrato è il
frutto della decadenza."
Mi alzai e lo abbracciai. Lui mi allontanò con grande imbarazzo,
facendomi capire che certe effusioni non erano gradite, anche se
apprezzava molto la mia genuina spontaneità. Iniziammo, dopo i soliti
convenevoli, a parlare. Mi restava quella sensazione di lui che aveva
una età indefinita ed ora più che mai ero grata che mi avesse scelta
come amica.
23
TASHI DELEK
"In questo tuo percorso ti accorgerai che il buddhismo ufficiale ignora
l'esistenza dei suoi capi occulti, esiste un nucleo e tanti cerchi che vi
girano intorno, il cerchio più distante lo troverai nei libri venduti nelle
librerie, nei discorsi ufficiali in materia di spiritualità. Un mare in cui
naviga tutto e il contrario di tutto. Le origini sono nel nucleo che è
protetto da un sistema chiuso come in una società segreta. Tanto per
farti un esempio, i cerchi più esterni ignorano l'esistenza di quello più
interno e a questo scopo sono state create migliaia di infrastrutture, di
centri culturali, di monasteri, di luoghi di incontro, di scritti, persino di
idee. Una potente facciata commerciale studiata nei particolari: sorrisi,
belle parole, discorsi sullo spirito, sulla materia, su dio, sugli alieni e
tutto quanto può, se raggiungibile, far credere che chi possiede un
certo tipo di conoscenza sia un prescelto, un eletto, gonfiando quello
stesso ego che dice di combattere. Molte menti si sono perse e persino
dissolte, in questo gioco mostruoso di abbattimento dell'io, riducendosi
in masse, compatte, inutili, omogenizzate, che temono l'uso del loro
giudizio, del loro cervello, una massa poltigliosa di facile controllo e
canalizzazione, in una politica che è magia, ma di quella più nera,
portata avanti per nutrire un solo ego macroscopico che è il Potere
sull'altro. Il nucleo ideologico, quello chiuso ai cerchi esterni, è stato
mitizzato in principio grazie agli studi teosofici che lo presentarono
come una confraternita di esseri immortali che dirigono l'umanità
verso l'evoluzione. L'unica cosa vera è che chi compone quel nucleo ha
poteri eccezionali, tali da dare loro la possibilità di scegliere un corpo
in cui tornare, ma non per questo sono esseri "illuminati" ne, tanto
meno, "liberati". Si tratta invece di "entità ritardatarie", assolutamente
legate al piano terrestre legate a doppia mandata ai piani politici di
gestione dell'umanità. Usurpano nomi e prestigio e tutto questo al
servizio dell'illusione di questo grande mondo materiale.
Chi pratica il buddhismo non è consapevole di
tutto questo, lo pratica senza conoscerlo. Qui
per abitudine; da dove vieni tu, dal tuo mondo,
per gusto dell'esotico. Sarebbe un poco come
se mi mettessi a praticare il cristianesimo,
spiegato da cristiani che non conoscono per
nulla la propria religione. Tu sei cristiana, non è
vero? Sei stata battezzata, hai seguito uso e
tradizioni, ma quanto conosci a fondo la storia
della tua religione? Quanto hai studiato per
capire ciò che facevi, ciò a cui eri legata? E se
anche tu lo avessi fatto, intendo di studiare a
fondo i contenuti religiosi, non ti saresti, infine,
scontrata col dogma e quindi avresti dovuto
24
TASHI DELEK
credere solo ed esclusivamente per fede? Ecco, i buddhisti non sono da
meno, sono esattamente come te; alcuni convinti diffondono ciò che gli
è stato fatto credere e a cui vogliono credere, ma le religioni sono
superstizioni, magia, atti di magia e coloro che ne conoscono l'uso
sono veramente pochi e tutti custoditi, protetti, nel Nucleo attorno a
cui girano tanti cerchi.
La Grande Loggia Bianca si avvale del vostro sentimentalismo per farvi
sognare una serie di illusioni romantiche che vengono riversate dal
Tetto del Mondo nell'atmosfera, avvalendosi dei Mantra, quelli veri. Tu
credi che una confraternita segreta si possa realmente rivelare al
mondo, restando segreta? E' una contraddizione, non ti pare? Al
massimo lo potrebbe fare se solo stesse mutando di livello. Tutti coloro
che affermano di essere stati in contatto con i Grandi Maestri,
mentono. Non esiste nessun allievo di nessun grande Maestro, ma solo
allievi di ciò che si vuole mostrare e che è utile, che torna utile al gioco
della dominazione politica.
Esiste invece una grande fratellanza che veglia sull'umanità, non
svelandosi e la sua natura non è condizionata da alcuna religione, da
alcun credo a cui siamo legati fin dalla nostra infanzia."
Non avevo, non trovavo le parole, accasciata sulla sedia, gli occhi che
guardavano il pavimento, un senso profondo di inutilità, il pianto che
mi saliva in gola. Quando parlai fu quasi un urlo: "Ma tu, cosa vuoi da
me? Cosa posso fare io?"
Tenzin uscì dalla stanza col solito sorriso, salutandomi e dicendomi: "Te
lo dirò, domina la tua impazienza".
25
TASHI DELEK
VIII
Mantra in tibetano si scrive sngags. Il significato etimologico di mantra
è man (manas) mente e tra (traya) proteggere, quindi "proteggere la
mente". Dunque il Mantra è una formula sacra che protegge la mente
del praticante. Dovrei già fermarmi su questa contraddizione
occidentale e dei praticanti occidentali che affermano costantemente e
a piè sospinto che la "mente" è una nemica micidiale, da sfidare e da
abbattere, mentre fin dall'antichità i "mantra" servivano a proteggere
la mente del praticante.
Esistono numerosissimi mantra, anche mantra lunghi, alcuni si trovano
nei sutra del Canone Pali, così come le probabili dichiarazioni del
Buddha che sono state trasformate in Mantra aggiungendovi OM
all'inizio e SVAHA alla fine.
Il Mantrayana segreto è ritenuto un mezzo abile e privilegiato di
realizzazione spirituale.
Rimanendo al Tantra antico, quello dell'origine, ed escludendo i
numerosissimi mantra creati ultimamente, il mantra è un suono puro
della Realtà Assoluta, vibrazione primordiale che dà vita alla luce e poi
ai raggi luminosi da cui procedono tutti i fenomeni. E', di fatto, un
suono creatore che appartiene alla dimensione creatrice dell'Universo.
26
TASHI DELEK
Rappresenterebbe quindi la creazione ed importantissimo è l'uso che
se ne fa.
I più antichi appartengono e vengono pronunciati in quella che si
ritiene una "lingua perfetta", le cui sillabe riproducono suoni che sono
in relazione con la forma dei canali sottili (nadi) presenti in tutti gli
esseri viventi. Alcuni "Mantra" sono in lingue sconosciute o "non
umane" solitamente attribuite alla lingua delle Dakini, le danzatrici
delle nuvole, in una lingua detta della “Oddiyana".
I "Mantra" fondamentali vengono
creati soltanto nella dimensione del
sambhogakaya e solo i bodhisattva
dell'ottava e i vidyadhara della
decima terra (dimensioni?) oltre ai
Buddha ormai totalmente avulsi
dalla realtà, sono in grado di creare
simili mantra "creatori". Quegli
esseri sono riconosciuti come gli
unici che siano in grado di forgiare i
"Mantra della Creazione" poiché
sono gli unici a possedere le quattro
conoscenze
fondamentali
ed
indispensabili ovvero: la conoscenza
esatta di tutti i fenomeni del
samsara e del nirvana, la conoscenza della causalità all'origine del
samsara e del nirvana, la conoscenza dell'azione benefica dei
suoni e della comunicazione tramite
il linguaggio, la conoscenza del
Karma e delle connessioni precise
fra causa ed effetto. I Mantra puri
emettono vibrazioni sonore e raggi luminosi, insomma creano.
E' ovvio che questi esseri possano "creare" qualsiasi cosa dalla grezza
pietra al sentimento più intimo e che per fare questo usino le vibrazioni
sonore, così come al Dio degli ebrei e dei cattolici viene fatto
pronunciare: "E in principio fu il Verbo."
Ora, ammesso e non concesso che tutto quanto scritto sia vero e che
venga pronunciato in lingua non umana e sconosciuta, cosa possiamo
sapere noi, miseri ultimi, del contenuto e delle sequenze? Questa
produzione è realmente solo buona o è in grado di forgiare pensieri di
ogni tipo dal più costruttivo al più distruttivo? Con quanta ingenuità ci
avviciniamo a cose sconosciute che non potremmo mai comprendere e
27
TASHI DELEK
ne facciamo uso, un uso improprio, dettato ovviamente dalla
presunzione di poter fare, di poter dare, di essere diversi e migliori? Ma
se da quel "tetto del Mondo" in Oddiyana alcuni boddhisattva,
imprimessero una formula che proteggendo la mente la controlla e la
dirige, noi non lo sapremmo mai, impegnati come siamo a credere
nella nostra "libertà" di azione e nella nostra "illuminazione" un poco
come i bambini quando giocano con i soldatini e le bambine con le
bambole.
28
TASHI DELEK
Integrazione a "Tashi Delek Parte 8”
Riporto un pezzo tratto dal testo "GUARIRE" di Tenzin Wangyal
Rinpoche. Si tratta di un testo esoterico che spiega in parte ciò su cui
si fonda lo "sciamanesimo Bon" presente in Tibet prima del Buddhismo.
Premessa nella premessa: ho cercato in lungo e in largo la definizione
di "spazio" ma sopratutto la sua spiegazione. Bene, devo dire che tutte
e tre le definizioni non riescono a spiegarlo se non riportando il
concetto stesso all'idea di "spazio" definito con altri termini. Ad oggi
per me rimane un grosso e inspiegato mistero, se non addirittura "Il
mistero".
Buona lettura
"Le Nove vie del Bon"
"Per ciascuno di noi tutto inizia con lo spazio, la Grande Madre, da cui
tutte le cose traggono origine, dove tutte le cose esistono e in cui tutte
le cose si dissolvono. In questo spazio c'è movimento, che cosa lo
provochi, nessuno lo sa. Gli insegnamenti dicono soltanto: “Si sono
29
TASHI DELEK
alzati i venti del karma". È il movimento del livello più sottile del lung o
prana l’energia che pervade lo spazio infinito senza caratteristiche né
divisioni. Inseparabilmente unito con il flusso del prana è il flusso della
consapevolezza primordiale, pura e senza identità. In questa pura
consapevolezza si manifestano le cinque luci.
Le cinque luci sono aspetti della luminosità primordiale. Sono le cinque
pure luci, il livello più sottile degli elementi. Parliamo della luce e del
colore delle cinque pure luci, ma è un discorso simbolico. Le cinque
pure luci sono più sottili della luce visibile, più sottili di qualsiasi cosa
percepita dall'occhio, più sottili di qualsiasi energia misurata o
percepita con mezzo. Sono le energie da cui hanno origine tutte le altre
energie compresa la luce visibile.
La luce bianca o priva di colore è lo spazio, la luce verde è l'aria, la luce rossa
è il fuoco, la luce blu è l'acqua e la luce gialla è la terra. Questi sono i
cinque aspetti della pura luminosità, le energie simili a un arcobaleno
dell’unica sfera dell'esistenza (tigle nyag chìk).
Se le cinque luci vengono vissute in maniera dualistica, come oggetti
di un soggetto che li percepisce, sembrano acquistare più sostanza.
Non diventano più grossolane, ma attraverso le distorsioni della visione
dualistica, l'individuo le percepisce come tali. Man mano che gli
elementi sembrano acquistare una maggiore sostanzialità, vengono
ulteriormente discriminati e attraverso le interazioni manifestano tutti i
fenomeni, compresi il soggetto e gli oggetti che costituiscono tutta
l’esperienza dualistica.
Alla fine, le cinque luci diventano gli elementi grezzi, naturali, fisici e le
cinque categorie che comprendono le qualità appartenenti alla realtà
esterna. Diventano le diverse dimensioni dell'esistenza che sono i
diversi regni dove vivono gli esseri con e senza forma. Internamente
sembrano ispessirsi e formare gli organi, le cinque ramificazioni del
corpo, le cinque dita di ogni mano, le cinque dita di ogni piede e i
cinque campi degli organi sensoriali. Le cinque luci diventano le cinque
emozioni negative se rimaniamo illusi, oppure le cinque saggezze e le
cinque famiglie di buddha se ne riconosciamo la purezza.
Questo non è il racconto di una creazione avvenuta in un lontano
passato ma la nostra condizione attuale.
Se riconosciamo che le cinque luci pure hanno la natura non duale e
sono manifestazione incessante della pura base (kunzhi) inizia il
nirvana. Se le cinque luci vengono percepite in maniera dualistica e
considerate esterne come oggetti dì un soggetto, inizia il samsara, La
consapevolezza non diventa illusoria né diventa illuminata, rimane non
duale e pura, ma le qualità che in essa si manifestano possono essere
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TASHI DELEK
positive o negative. Se la consapevolezza si integra e si identifica con
le qualità pure, dalla base nasce un buddha; se si identifica con le
qualità impure, nasce un essere proprio ora, in questo preciso
momento, il processo è in corso.
A seconda che integriamo la nostra esperienza immediata con la
consapevolezza non duale, o che ci aggrappiamo alla falsa separazione
del nostro sé come soggetto che fa esperienza di oggetti e di entità
esterni, ci troveremo nello stato naturale non duale o nella mente
illusa.
Lo Stato della mente illusa viene chiamata Samara.
Nel Samsara esistono infiniti universi, un migliaio di piccoli universi
costituiscono un piccolo chiliocosmo. Un migliaio di chiliocosmi
costituiscono un chiliocosmo intermedio. Un migliaio di quest’ultimi
costituiscono un trichiliocosmo o grande Universo. Ogni Trichiliocosmo
è il campo di conversione di un Buddha specifico.
Secondo La cosmologia Buddista e Bon , l’universo in cui noi abitiamo
è costituito da un insieme di montagne, oceani e continenti al cui
centro si trova il monte Meru abitato dagli esseri senzienti dei sei Loka
o le sei classi di esseri. Spesso chiamati i sei regni perché hanno
comunque una sorta di localizzazione fisica.
Abbiamo gli esseri nati negli inferi.
Si distinguono circa diciotto tipi d’inferni. Le cause essenziali per
rinascere in questo regno sono la collera, l’odio, l’assassinio e la
violenza.
Abbiamo il regno dei Preta o spiriti famelici.
Si nasce in questo regno a causa dell’avarazia e dell’avidità. In questo
regno si conduce un’esistenza caratterizzata da privazioni diverse.
Il regno Animale
Caratterizzata dalla ottusità. Gli esseri di questo reame conducono un’
esistenza inquieta tra la necessità di mangiare e riprodursi e la paura
di essere divorati.
Regno Umano
Dominato dal desiderio è la condizione più auspicabile all’interno del
Samsara per suscitare il desiderio della liberazione senza che essa
obnubili la mente al punto di impedire qualsiasi riflessione o decisione.
Regno degli Asura
Sebbene la loro vita sia gradevole sono rosi dalla gelosia sono sempre
31
TASHI DELEK
in lotta con gli Dei per ottenere tutto ciò di cui godono questi ultimi.
Tutte queste categorie elencate appartengono alla sfera o regno del
desiderio.
Gli Dei
Sono gli esseri
distinguono:
che
godono
dell’esistenza
più
piacevole
e
si
•
negli Dei del regno del desiderio che devono tale rinascita a un
Karma
favorevole ma
macchiato
dall’attaccamento
alla
beatitudine e ai piaceri dei sensi
•
gli Dei della forma che devono un tale tipo di rinascita grazie al
potere accumulato tramite un certo successo nelle pratiche
meditative
•
gli Dei senza forma che devono la loro rinascita grazie al
completo successo delle pratiche meditative. Questi dei sono
immateriali ma solo pure coscienze.
Il fatto molto importante è che le pratiche meditative di per sè portano
a stati superiori dell’essere ma non alla completa illuminazione.
Oltre alla classificazione
dei sei esseri I Tibetani
ne hanno un’altra e
parlano di "otto classi di
esseri: srin pò, ma mo, 'dre,
rak sha, btsan, rgyalpo, bud
e
klu.
Gli
esseri
appartenenti a ciascuna
classe hanno caratteristiche diverse per quanto
riguarda
l'aspetto,
il
temperamento e i rapporti che intrattengono
con
gli
uomini.
Per
esempio, i klu sono spiriti sotterranei associati all'elemento acqua.
Possono essere molto intelligenti e interagiscono spesso con il mondo
umano. La tradizione bòn vuole che i klu siano spesso responsabili di
malattie e altri ostacoli nella vita. Si crede inoltre che lo dzogchen e
altri insegnamenti siano stati diffusi in tutto il mondo dagli dei klu e
che possono essere ricevuti tramite loro.
Gli spiriti associati alle rocce si chiamano Btsan. In genere vengono
rappresentati come esseri rossi che cavalcano cavalli rossi, a volte con
32
TASHI DELEK
bandiere rosse. Spesso, nei luoghi rocciosi ci sono cavità, tunnel,
passaggi che collegano una zona a un'altra. I Tibetani credono che si
tratti delle vie di comunicazione dei Btsan e che quindi non vadano
bloccate da edifici o da strade. Questo perché gli spiriti possono
vendicarsi su coloro che bloccano i loro percorsi e provocare dolori
nella zona del cuore e a volte addirittura la morte per attacco cardiaco.
I Gyalpo sono una classe di spiriti che una volta furono esseri umani
potenti, morti e rinati come spiriti di questa specie. Gyalpo significa
're', a volte assumono forme umane o animali a noi familiari e a volte,
invece, forme che ci sono del tutto sconosciute. Si trovano soprattutto
nei castelli dove furono assassinati sovrani e personaggi di stirpe reale.
La tradizione tibetana è molto attenta come, vedremo di seguito, agli
spiriti. Ci sono spiriti negli alberi e nei campi, come pure nelle zone
dove converge una forte energia, ad esempio al centro di luoghi vasti e
pianeggianti. Ci sono spiriti ai crocevia delle strade. Ci sono spiriti dello
spazio, che qui non sono inclusi in una delle otto classi chiamati
Namthel. Non di rado, gli spiriti diventano i protettori di villaggi e di
individui, in un rapporto che dura per molte vite. Spesso appaiono in
sogno e recano messaggi a coloro che proteggono.
Anche il Nirvana viene suddiviso in dieci terre che portano alla
completa liberazione.
Per raggiungere il Nirvana e percorrere tutte le dieci terre si pratica con
gli elementi.
L'uso degli elementi nella pratica spirituale varia a seconda che
l'approccio sia quello dello Sciamanesimo, del Tantra o dello Dzogchen:
vale a dire, a seconda che il livello sia esterno, interno o segreto.
Il livello esterno.
A livello esterno gli elementi non sono soltanto quelli grossolani della
nostra esperienza sensoriale (la terra su cui viviamo l'acqua che
beviamo il fuoco che ci scalda, l'aria che respiriamo, lo spazio nel quale
ci muoviamo) ma sono anche gli spiriti delle otto classi collegati con gli
elementi.
Il livello interno
Gli elementi interni sono le energie elementari, più che le loro forme.
Nel corpo sono le energie fisiche che pompano il sangue, che
digeriscono il cibo, che attivano i neuroni, e anche le energie più sottili
su cui si basano e da cui dipendono la nostra salute e le nostre
capacità. Esistono anche energie molto più sottili che non possono
essere individuate con i metodi di misurazione fisica, ma che sono
accessibili all'esperienza diretta attraverso le discipline yoga e
33
TASHI DELEK
contemplative. Questo livello più sottile di energia elementare non solo
è presente nel corpo ma rappresenta anche la dimensione dell'energia
che i praticanti esperti avvertono nell'ambiente. Sono inoltre le energie
che creano fenomeni di gruppo come il comportamento delle masse, il
patriottismo, e così via. II tantra lavora con queste energie
orientandole nel corpo per fini specifici, usando mezzi diretti come lo
yoga che implicano la postura fisica, il respiro, la visualizzazione e il
mantra. Il tantra riconosce le energie come forze divine.
Il livello segreto
La dimensione segreta degli elementi si trova oltre il dualismo e
dunque è difficile descriverla a parole, che necessariamente
frammentano l'esperienza in oggetti distinti. Questa dimensione
estremamente sottile degli elementi è la luminosità dell'essere, le
cinque pure luci, aspetti della luminosità che, inseparabilmente unita
alla vacuità, è la base di tutto. Le pratiche e gli insegnamenti relativi a
questo livello degli elementi appartengono allo Dzogchen, la Grande
Perfezione.
34
TASHI DELEK
IX
I mesi scorrevano ricchi di impegni e di scoperte. Nessun periodo della
mia esistenza è stato così completo. I miei ricordi si fanno spesso
malinconici quando rivedo i volti nel ricordo della mente. Quattro fra i
miei compagni di viaggio ci hanno già lasciati, ma vivono più che mai
nelle loro opere, nelle loro fotografie, nei loro libri. Io mi sentivo una
nullità, una studentessa che si era ritrovata, quasi per fortuna, in un
gruppo altamente specializzato, a cui era stata offerta una possibilità
unica che non sono mai riuscita a capire completamente.
Fosco arrivò sorridente, sembrava più felice del solito, raramente
rideva. Il passo lungo e rumoroso sulle assi di legno del pavimento: "Ho
ottenuto i permessi, si va e si torna. Preparate le attrezzature e mi
raccomando, non dimenticatevi nulla". Così dicendo mi fissò ed io, la
disordinata, la perennemente distratta, abbassai gli occhi, consapevole
delle mie colpe.
Ad agosto le temperature medie, a circa 3600 metri di altitudine, sono
di circa 15°, alle volte raggiungono i 25 ma di notte si va anche sotto lo
zero, quindi gli indumenti devono essere sia leggeri che pesanti. Noi, si
sarebbe partiti per il lago di Gosaikunda a nord del Nepal collocato ad
una altitudine di di circa 4.400 metri, dove ogni anno gli sciamani
Jhakri di estrazione Tamang, antica etnia tibetana, si riuniscono per tre
giorni e tre notti cantando e ballando al ritmo dei tamburi.
Gli uomini cavallo, i Tamang, si rifugiarono nel nord del Nepal dopo
l'invasione del Tibet da parte dei Gurka nel 1400. Costoro, conservano
35
TASHI DELEK
gli antichi rituali sciamanici tibetani ed il lago Gosaikunda, ogni anno è
il luogo di ritrovo degli Jhakri, luogo magico, mistico, affascinante dove
i colori, i suoni e gli odori ti proiettano in un'altra "dimensione" dove,
forse, con un poco di fortuna avrei potuto assistere ad una "trance di
gruppo".
Raccolsi velocemente le mie cose, ovviamente, almeno per me, mi
dimenticai gli stivali di gomma ed il k-way, così di nascosto ed in tutta
fretta, non appena arrivammo a Kathmandu, mi defilai per andarli a
comprare. Quell'acquisto si rivelò dei più sbagliati ed imbarazzanti. Ad
Agosto è tempo di monsoni e dai monsoni non ci si ripara con un k-way
di poco prezzo che perde colore lasciando passare acqua vento e
freddo. Gli stivali di gomma è meglio non averli, ti si incastrano nel
fango, ti fanno scivolare e rallentano la camminata sicura di chi è ben
attrezzato per il trekking. Sudavo e annaspavo, avevo freddo e avrei
pianto. Quattro ore di cammino a piedi non sarei riuscita a farle. Fosco
mi ignorava e ogni tanto fermava la marcia facendo finta di raccontarci
qualcosa o per far scattare qualche fotografia. Giorgio col suo bel
faccione rubizzo mi sorrideva sornione e io mi vergognavo. Poi
magicamente, trasse fuori dallo zaino un paio di scarpe adatte e mi
impose di mettermele, mentre Giovanna ridendo mi disse: "Sei
diventata tutta blu, rischieranno di scambiarti per Shiva. Ho giusto qui
una mantellina di gomma che mi avanza." Mi strizzò l'occhio e sospirò,
porgendomi anche un asciugamano. Così fra vergogna, pianto in gola e
gratitudine arrivai al lago ultima, guardata a vista ma ultima. Il
paesaggio era ed è qualcosa di inesplicabile, l'odore, i suoni, la folla
infinita e colorata mi stordivano, mi sedetti su una roccia e restai muta
ad osservare.
Un'antica leggenda narra che il lago di Gosaikunda sia nato dal
tentativo di produrre il nettare per l'immortalità. Gli dei e i demoni non
potevano produrre il nettare da soli, ognuno per conto suo, così gli dei
avevano bisogno dei demoni e viceversa. Pare quindi che il nettare
venisse prodotto in collaborazione per poi essere diviso fra di loro. La
produzione dl nettare non era comunque semplice, per ottenerlo
dovevano far girare il grande oceano fino a produrre un vortice tutto
attorno al monte Sumeru utilizzando un grandissimo serpente ,il Sesh,
come corda. Per fare questo gli dei sarebbero stati alla testa e i demoni
alla coda del serpente, ma il problema reale era come portare Sumeru,
il monte Sumeru, nel mezzo dell'oceano. nessuno avrebbe potuto farlo
se non il Dio Uccello Garuda e così fu, ma ci fu ancora un
inconveniente, l'enorme monte Sumeru, non fu collocato proprio al
centro dell'oceano ed iniziò a sprofondare. Tutti pregarono Vishnu che
si manifestò come una enorme tartaruga marina caricandosi il monte
36
TASHI DELEK
Sumeru sulla schiena e rendendolo stabile portandolo al centro
dell'oceano.
Iniziò, quindi, il vortice che diede vita ad una bellissima fanciulla. I
demoni e gli dei continuarono a produrre il vortice, ma
improvvisamente sgorgò un veleno maleodorante che avrebbe potuto
distruggere tutte le creature viventi e le cose dell'Universo. Le genti e
gli animali iniziarono a morire e se non si fosse posto un rimedio,
sarebbe stato tutto distrutto. Allora i sopravvissuti si recarono da
Brahama per essere liberati dalla calamità, ma nemmeno Brahama
potè fare nulla. Rimaneva Shiva che risiedeva sul monte Kailash, tutti
lo pregarono e lui che aveva a cuore l'intera vita, andò nel vortice e
bevve il potente veleno. Shiva non lo ingoiò, ma lo trattenne in gola, il
collo ed il viso di Shiva divennero blu, ma il vortice continuò questa
volta senza più uccidere nessuno con le sue esalazioni. Shiva, nel fare
ritorno alla sua residenza sul monte Kailash, iniziò a stare male, si
sentiva ubriaco tanto da non riuscire a camminare, per rinfrescarsi,
conficcò il suo tridente nel terreno e ne scaturì dell'acqua che formò un
laghetto. Shiva si sdraiò sulla riva, si rinfrescò e si riposò, gli ci vollero
alcuni giorni per riprendersi. Lo raggiunse il serpente Shesh, lo strinse
al collo fino a farlo lacrimare cenere, la "ganja" che Schiva fumò. Il
fumo ebbe un effetto benefico e così potè tornare a Kailash. Fu così
che quel lago divenne famoso. La notte che Shiva fu sulla riva di
Goisaikunda, c'era la luna piena di agosto. Gli sciamani vi giungono da
ogni parte per venerare Shiva e praticare i loro riti, che divengono più
potenti durante la notte di luna piena.
37
TASHI DELEK
X
Osservavo il lago ed improvvisamente mi sembrò di assistere ad un
gioco di prestigio. Da ogni parte giungevano con i loro tamburi e le loro
campanelle che facevano suonare incessantemente. Più osservavo e
più mi sembrava che tutto intorno cambiasse continuamente. Un
turbine di danze, odori, colori, suoni e genti. Cercavo di guardare ogni
persona che col suo strumento partecipava a quel gioco che stava
trasformando la mia visione, come se mi trovassi al centro del cuore
della vita stessa. Il battito dei tamburi mi stava creando uno stato di
alterazione di coscienza ed io lo sapevo e lo sentivo, abituata come ero
a riconoscerne i sintomi da ormai troppo tempo.
Ognuno di loro perdeva lentamente la sua individualità per fondersi
con l'altro divenendo un mondo a parte che non si riusciva più ad
identificare. Lo sciamano, in ogni parte del mondo, è l' intermediario
fra il mondo visibile e quello invisibile, grazie alle sue capacità di
visione e di "oracolare", ancora oggi, nel contesto dei villaggi, è
ritenuto il mago e il curatore. La trance è indotta tramite l'assunzione
di bevande o il fumo di erbe, ma è la danza incessante ritmata dal
tamburo che ad un certo punto fa trascendere dallo spazio e tempo, lo
fa accedere a dimensioni invisibili dove si identifica con gli "spiriti" che
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TASHI DELEK
si manifesteranno tramite lo sciamano per poter curare e predire ogni
cosa sia nel bene che nel male. Lo sciamano non ha paura della morte
in quanto durante il suo viaggio, la raggiunge costantemente per poi
ritornare, come in un ciclo continuo, così come continuo è per loro il
manifestarsi della vita. L'uso di oggetti ricavati da ossa sia animale che
umane per i loro strumenti e decori personali, sta a significare
l'impermanenza della vita, trasferendone, per contro, il suo alto senso
di continuità, poiché quella ciclica che stiamo vivendo è solo
l'apparenza di quella vera e inmanifesta. Lo sciamano conosce le
dimensioni "occulte" e le può controllare al solo fine di armonizzare
l'equilibrio dell'individuo e della comunità stessa, scaccia gli spiriti
maligni, le impurità e aiuta il morente a raggiungere l'aldilà. La figura
dell'Oracolo è una figura privilegiata poiché è in grado di comunicare
col mondo altro mutando la sua coscienza per poi ritornare in uno stato
di normalità senza rimanerne corrotto. Non esiste un canone per il
rituale che non è mai uguale, ma si rinnova e si adatta a seconda della
trance e della visione in essa contenuta.
La folla che stavo guardando era la folla di Sciamani radunati nel
giorno di "Jonai Purnima" e suonavano e danzavano e bevevano e
fumavano le loro erbe. L'odore mi inebriava e il suono diventava
sempre più potente. Quel battito divenne un cuore, un cuore immenso
e caldo. I contorni dei volti presero a sfumare, non avevo più freddo e
non mi sentivo nemmeno stanca. Avevo nelle orecchie quel suono che
si arricchiva di una eco che ad un certo punto divenne infinita. Mi
sembrò di cadere in un vortice, allungai le braccia e urlai. Mi sembrava
che nessuno volesse aiutarmi, vedevo tutto intorno a me dei volti
sorridenti che continuavano a guardarmi. Quel suono... Quel suono mi
stava portando via e tendevo le mani sperando che mi trattenessero.
Mi ritrovai in una stanza bianca ovale con quattro banconi posti in
vicinanza di quelli che apparentemente sembravano ingressi, ma da
cui non entrava nessuno. Dietro ogni bancone una presenza di bianco
vestita e tutto intorno una vetrata che correva lungo il perimetro della
stanza. Guardai fuori, era buio, un buio ancora più buio in
contrapposizione al candore della stanza e vidi il vento. Si il vento
aveva una forma, danzava oltre la vetrata formando dei cirri. Mi mossi
dal centro della stanza, ma subito venni bloccata da una voce: " Non ti
avvicinare alle uscite o verrai risucchiata fuori". Guardai verso i
banconi cercando di capire chi mi avesse parlato, ma gli addetti
sembravano tutti intenti a fare qualcosa. Non c'era nessun altro.
"Dovrai prima scegliere quale porta vuoi usare per tornare, le porte
sono quattro: est, ovest, nord e sud. Guardale bene e scegli".
Confusa dal fatto che fossero perfettamente tutte uguali, cercai i
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TASHI DELEK
particolari che potevano distinguere l'uscita migliore per me, ma non
ne vidi. Sembrava che il tempo non passasse mai, ma vidi che le mie
mani stavano invecchiando rapidamente ed ebbi paura. La fretta di
trovare l'uscita divenne impellente così mi affidai al caso. Stavo per
avvicinarmi a quella scelta, quando una delle figure dietro al bancone
sollevò gli occhi da ciò che stava facendo, guardandomi. Lo presi come
un segnale, da quella porta sarei uscita. Mi avvicinai, si spalancò e il
vento mi travolse portandomi via.
Mi ritrovai stesa nel fango, il suono ora sembrava lontano e gli
sciamani coi loro tamburi e campanelle mi guardavano sorridenti
facendomi, alcuni, un cenno col capo. Poi si allontanarono non
smettendo mai di suonare. Sedetti stringendomi nelle ginocchia e
scoppiai a ridere pensando che ero andata li per vedere una trance,
non per subirla, ma ero felice in quanto per la prima ed unica volta
ebbi memoria di ciò che mi accadeva durante i miei viaggi
"Immaginari".
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TASHI DELEK
XI
La folla continuava ad aumentare, gruppi di uomini, donne ed anche
bambini, arrivavano da ogni parte dell'Himalaya. Inebriante quella
mistura di suoni e colori, i piedi nudi nel fango e il corpo ricoperto da
campanelle che tintinnavano ad ogni passo. Vidi giungere un gruppo di
sciamani che non suonavano il tamburo, ma si esibivano in un
equilibrismo particolare: tenevano un uovo al centro del tamburo,
camminando, anzi, saltando fra i massi. L'uovo non doveva cadere,
altrimenti avrebbero dovuto risucchiarlo dal terreno, ma questo non
avvenne per nessuno di loro.
Sotiris, il nostro medico, mi si sedette affianco, offrendomi un bicchiere
di birra fatta col riso e dal sapore disgustoso che bevvi trangugiandolo
come una medicina. Ora, mi avrebbe fatto le sue solite micidiali
domande a cui non avrei saputo come rispondere, ma non tirò fuori
penna e taccuino, limitandosi a mettermi un braccio intorno alle spalle
e chiedendomi, guardando il lago: "Come ti senti?". Stupita risposi che
stavo bene, mai stata meglio, quando la mia attenzione fu attratta da
un piccolo bambino, forse aveva poco più di sei anni, tamburo alla
mano, avvolto dalle campanelle, veste bianca, giacchetta e berretto di
lana, naturalmente i piedini erano nudi. Lo sguardo triste, serio, troppo
composto per la sua età.
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TASHI DELEK
Gli sciamani vengono "chiamati" fin dall'infanzia. I prescelti portano
con loro dei segni particolari che li identificano fra coloro che hanno il
"dono" di possedere dei poteri di intermediazione fra gli umani e il
mondo dello Spirito. Spesso vivono in solitudine, emarginati dai loro
stessi compagni di gioco e di studio, i capelli lunghi, incolti, mai
tagliati. I piccoli sciamani vengono spesso presi da crisi terribili, occhi
che emettono guizzi indefiniti e la loro presenza crea soggezione
incutendo quasi timore. Lo sciamano bambino non ride, non si diverte
e si chiude in silenzi improvvisi ed incontrollabili, non gradisce il
contatto fisico, sicché, alle volte, non resta possibile fargli una carezza.
Le madri, i famigliari, l'ambiente, sono abituati a questi comportamenti
e non ci fanno caso, l'accettano per come è. Non esiste una età precisa
per la "chiamata", avviene all'improvviso e se ne parla come se fosse
una possessione. Vengono raccontate diverse modalità in cui i bambini
ricevono i "poteri paranormali". Di quel bimbo triste, che stavo
guardando, riuscii a raccogliere la storia.
Scappò tutto nudo e solo a quattro anni nella foresta. Rimase per tre
giorni e tre notti nel fitto degli alberi, mangiando quello che lo "spirito"
di un suo antenato ed altre creature strane, poco più alte di lui, gli
dicevano di mangiare. Da loro ebbe i poteri paranormali che non
rifiutò, pena la morte. I suoi ricordi si confondevano con voli fatti in
paesi lontani, tenuto per le mani da quegli stani piccoli esseri,
ricordava di aver sorvolato le rocce e di aver visto luoghi che non
riusciva a spiegare. Venne poi ricondotto, sempre in volo, a casa sua e
cominciò così a curare i malati e a predire il futuro. Cercai di farmi
spiegare quanta della sua volontà c'era in tutto questo e lui, il piccolo
sciamano mi rispose candidamente che mai avrebbe voluto tutto
questo di cui nemmeno si rendeva conto. Il mio istinto mi diceva di
abbracciarlo, ma non lo feci per paura di scatenargli una crisi, ci
limitammo a guardarci per lungo tempo facendo il gioco di chi
abbassava per primo gli occhi, gli strappai un sorriso, mi inchinai con le
mani giunte sopra il capo e me ne andai, lasciandolo al suo tamburo e
alle sue campanelle.
La giornata giunse al termine, era ora di dormire. Ci stava aspettando
una baracca di lamiere poco più grande di due armadi, da cui
certamente non ne saremmo usciti il giorno dopo puliti e riposati. Con
orrore guardavo quel pagliericcio poggiato a tre centimetri da terra,
raccolsi i capelli e li chiusi il più possibile strettamente in un foulard, mi
rannicchiai e mi avvolsi con le mie stesse braccia lasciandomi vincere
dalla stanchezza.
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TASHI DELEK
XII
All’alba del quarto giorno eravamo pronti per far ritorno a Kathmandu,
lì avremmo sostato per altri due giorni prima di ripartire per il nostro
villaggio himalayano a 3600 metri di altitudine. Tutti ne approfittammo
per acquistare cose di cui avevamo bisogno. Comprai degli scampoli di
tessuto da regalare a Garima e Dolma e poi mi misi a fare la razzia da
me preferita: i dolciumi. Caramelle avvolte in carte colorate, cioccolata, biscotti (ne trovai persino di una nota fabbrica italiana), gomme
da masticare, il tripudio della gola, alla fine il mio zaino
traboccava.Avevo sentito parlare della Freak Street, ritrovo degli hippy
anni 60/70, decisi così di andare a vedere se, in quel posto, avessi
trovato qualche italiano a cui chiedere come andavano le cose in
patria, ma non ne trovai. Mi avvicinò invece un nepalese dall’aria
assente, jeans, maglietta stampata, qualche borchia, catena pendente,
spettinato e sicuramente maleodorante che dopo avermi detto di
chiamarsi Elvis mi chiese una sigaretta, anzi no, non bastava, voleva
l’intero pacchetto. “Patetico e divertente” pensai, “i nostri vengono qui
attratti dal gusto dell’esotico, dell’orientale, ed invece qui sono attratti
dall’occidentale”. Trassi fuori dal pacchetto tre sigarette e gliele passai
quasi con stizza, facendogli segno di allontanarsi ed anche
immediatamente. Girovagai ancora per un poco, ma il traffico
sostenuto delle auto e delle moto mi innervosiva, quell’assurdo
suonare di clacson continuo, le scimmie che rubavano le offerte
lasciate ai bordi dei templi, quelle mucche che vagavano libere
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TASHI DELEK
sdraiandosi in mezzo alla strada, i “santoni” col volto dipinto di bianco,
avvolti in un telo giallo che si facevano fotografare dai turisti a
pagamento, aumentarono a dismisura la mia stizza facendomi
desiderare il ritorno a quello che per me era diventata la mia casa:
quel piccolo, sperduto, villaggio arroccato sui monti, sprofondato nel
silenzio allietato solo dal vociare dei miei bimbi.
Quando giungemmo al piccolo ponte sul torrente a bordo del nostro
sgangheratissimo furgone, già ci stavano aspettando, sapevano che
portavamo con noi dei doni e delle notizie nuove da far passare di
bocca in bocca. I miei bimbi, si misero a correre dietro al furgone,
ridevano, e urlavano, picchiando le mani sulla lamiera. Giorgio bloccò il
furgone e mi disse di scendere, raccolsi lo zaino, quello pieno di
dolciumi, e mi lasciai travolgere dall’abbraccio dei bambini. Una festa,
una gioia incontenibile fino alle lacrime, presi per mano la più piccola
che sgambettava appena e ci avviammo verso la casa in una nuvola di
chiacchierio allegro.
Garima stava immobile, con le mani sui fianchi, sull’uscio: “Io signola
happy pel tuo return, ma tu non passa con tuo flok de small yak”. Fu il
silenzio, mi scappava da ridere, ma tirai fuori la lingua accompagnata
dal classico suono della pernacchia. Non fu un gesto molto istruttivo, i
bimbi lo ripeterono in coro ridendo in quel modo argentino e Garima
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TASHI DELEK
sconvolta, si girò sui tacchi sbattendo la porta e urlando “Italian”.
Non mi restava che aprire lo zaino seduta sulle scale, poi lo passai alla
più grande del gruppo che iniziò la distribuzione dei dolciumi. Le
manine piene, qualche bocca sporca di cioccolata, gli occhi brillanti e
sorridenti erano il miglior grazie che mi
fossi mai sentita dire. Mondey Vajra
chiamato per comodità “Mon” si
avvicinò e mi passò una caramella
delle sue. Di corporatura robusta,
aveva sempre magliette troppo corte,
da cui spuntava il pancino, lo afferrai
per le braccia e me lo stesi sulle
ginocchia dicendogli in italiano: “Puzzi
come una capretta, ma questo non te
lo toglie nessuno”. Gli alzai la
maglietta e affogai nella sua pancia
soffiando con forza. Dio se rideva!
Ridevano tutti, saltando e ripetendo:
“capletta, capletta!”
La porta si spalancò, Garima usci con
una scopa in mano e borbottando
qualcosa infine li disperse. Sbuffò e mi
tese la mano, tirandomi su dai gradini
ed invitandomi a fare un bel bagno
caldo, ero a casa!
Sul tavolo della mia camera c’era un poco di tutto, spesso alcune cose
rimanevano impacchettate per più tempo. Non era pigrizia, era solo
che mi piaceva aspettare il momento giusto, una sorta di rituale che mi
consentiva di gustare maggiormente il dono fuori dall’emozione del
momento.
Avevo un rotolo, ovviamente una tangka, tenuto insieme da un filo di
lana, lo presi in mano e decisi di vedere a quali simboli facesse
riferimento. Lo srotolai lentamente, Yama teneva la “ruota della vita”.
Ne avevo visti tanti e riconoscevo la solita simbologia, ma non avevo
mai fatto caso al significato della ruota, della sua circolarità ripetitiva,
infinita: vita, morte; morte, vita, all’infinito. Mi apparve per la prima
volta una idea chiara: la vita non è evoluzione “ascensionale”, ma un
qualcosa che ripete se stessa ciclicamente. Rappresentarla in un
disegno, per quanto complesso sia, non rende l’idea tridimensionale e
quindi quella ruota era una sfera, non un cerchio. L’idea Teosofica di
ascensione, portava, quindi in sé, un errore enorme: Madame
Blavatsky, forse aveva frainteso, forse aveva mischiato ad una dottrina
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TASHI DELEK
più antica qualcosa di troppo moderno e, in qualche modo, influenzato
dalla teoria dell’evoluzione darwiniana? Non ci si evolve in linea
verticale, ma, in questa manifestazione fatta di spazio e tempo, la
traiettoria non può che essere all’interno della “sfera“ e, quindi,
circolare. Accidenti che cantonata sarebbe! Tutto da rivedere, tutto da
ritrattare!”
“Si, è così, Madame Blavastsky, ha preso una bella cantonata, ha
creduto di aver avuto accesso ai Lhoan, ma in realtà è stata ingannata,
come ingannevoli sono i mantra che circolano in occidente”
Sobbalzai, voltandomi di colpo: “Tenzin, sei qua? Da quanto tempo?
Non me ne sono accorta! Come stai?”
“Sono qui dal tempo necessario e ti stavo osservando”
Avevo l’impulso di stringerlo, di abbracciarlo, ma mi trattenni sapendo
che non avrebbe gradito; mi inchinai e gli chiesi di parlarmi della
teosofia, di che cosa era per lui e quali errori fossero in essa contenuti.
Si sedette, socchiuse gli occhi e iniziò a respirare lento…
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TASHI DELEK
XIII
Gli occhi socchiusi, il respiro lento, le mani abbandonate sul grembo,
immobile, sembrava non dovesse mai iniziare a parlare. Mi venne
spontaneo concentrarmi sul suo respiro e altrettanto spontaneamente,
allineai il mio al suo fino a non udire altro suono che il nostro respirare
insieme. "Cosa sai tu della Blavatsky?"
Rimasi spiazzata, speravo in un racconto dei suoi, non mi ero preparata
ad una interrogazione!
Certo, qualcosa sapevo, ma poiché non rientrava nei piani di studio,
non avevo approfondito la conoscenza di colei che mi sembrava
sicuramente una donna emancipata per i suoi tempi, ma oscura. Avevo
l'impressione che quello che ci veniva riferito fosse solo un parziale del
suo vissuto. Snocciolai come una scolaretta quello che sapevo: "Russa,
fondatrice della Società Teosofica, viaggiatrice, strana, interessata a
formare un nucleo della Fratellanza Universale dell'umanità senza
distinzione di sesso, razza, credo, casta e colore, sicuramente da
considerarsi tra gli ispiratori del Movimento New Age. Scrittrice,
occultista. Ha fatto conoscere il Buddhismo, rinnovandolo, così come
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TASHI DELEK
l'Induismo, al mondo occidentale tramite le sue opere che ho letto
parzialmente..."
Tenzin rise fragorosamente: "Hai finito di fornire nozioni? Vorrei sapere
cosa ne pensi tu! "
Ma che diamine di domanda stava facendo? Io non pensavo nulla di lei,
sapevo quello che mi avevano detto, quello che avevo letto, anche con
un certo immotivato fastidio che forse risiedeva in una particolare
forma "arcaica" di scrittura. L'avevo incontrata sui testi, non di
persona, come potevo dare un giudizio? In un primo tempo la
consideravo quasi un'eroina, una ribelle, una che aveva avuto la
fortuna di viaggiare e anche tanto, praticamente non facendo nulla per
mantenersi e spendendo e spandendo, proprio come avrei voluto fare
io nella mia vita. Si certo, avevo appena scoperto che, rifacendosi alle
dottrine orientali, non avrebbe mai dovuto parlare di evoluzione in
senso ascensionale, poiché non era corretto: l'uomo non si eleva ma
ritorna, ritorna fino a quando non si dissolve nell'Assoluto, poiché ha
perso la sua individualità, il suo desiderio di esistere, di riproporsi in
una vita che per le due dottrine è solo dolore. In due dottrine dove
l'Anima non esiste, in quanto ogni individualità si dissolve, l'esatto
contrario delle religioni che hanno a base l'anima, come il
cristianesimo. Ma ero altrettanto sicura che la Blavatsky, ne avesse
riadattato il concetto per proporlo con una veste nuova, appunto quella
teosofica che non mi piaceva e che era un'altra Chiesa e ciò per me
era assolutamente indiscutibile.
"Ferma le tue parole, ferma il tuo pensiero, riposati e analizziamo,
vuoi?"
Me lo disse alzando la mano destra, l'indice e il medio uniti come nella
"mudra" della comunicazione e mi arrestai ascoltando il mio respiro
che si era fatto affannoso. Mi sarei alzata e me ne sarei andata.
Iniziavo a guardarmi intorno cercando qualcosa che non c'era.
"Lo sai, fai sempre così quando vuoi fuggire, è un tuo limite. Il disagio
va controllato, è un ostacolo, un impedimento, lo comprendi vero?
Madame è sicuramente un personaggio interessante che merita
attenzione. Venne anche qui da noi soggiornando nel monastero di
Tashilunpo per diverso tempo, studiando e avendo accesso alla
biblioteca. Affascinata dall'occultismo cercava formule e riti con
impegno commovente e arguto. Nel monastero parlare del suo
"Maestro" era cosa normale, nessuno avrebbe messo in dubbio la sua
stabilità mentale. Ha conosciuto Lhasa, capitale del Tibet, lo Shigatse,
principale centro religioso tibetano... e le montagne del Karakorum in
Kunlun Shan. Ma mai e poi mai ebbe accesso ai Lhoan, non avrebbe
potuto, ne sarebbe morta. Si accontentò dei "sentito dire" e ne fece
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TASHI DELEK
una sua "dottrina", appunto quella della Fratellanza Universale
dell'Umanità. Stupidità delle più assurde, deviazione dell'umanità, che
fra qualche anno, non appena finirà di maturare in rivoli sempre più
ridotti e confusi, avrà certamente compiuto un'opera, ma quella della
dissoluzione della ragione. Un rimescolamento dove non esisteranno
più religioni, etica, morale e tradizioni, un popolo di buoi convinti di
avere ogni possibilità, di raggiungere ogni cosa, in merito soltanto ad
una "meditazione" ed anche alla convinzione di essere divinità in terra,
ma che di divinità nulla hanno in quanto sono ancora qui, preda del
desiderio e della voglia di esistere, l'esatto contrario della dissoluzione.
Pensaci sorella! Tutto questo movimento che nasce tutto assieme
contemporaneamente nel mondo, questa fase che farà dell' occultismo
occidentale una sorta di "parco giochi" per borghesi annoiati, che
senso ha se non distruggere una cultura. E lei, la madre della teosofia,
pur essendo di nobili origini e quindi sufficientemente agiata, ma non
tanto da potersi permettere una vita da nullafacente, da chi era
finanziata? I movimenti, nascono così spontaneamente? Ne sei sicura?
Io vedo il frantumarsi delle tradizioni, lo sgretolarsi della cultura,
l'appiattimento della ragione. Io vedo un branco informe di creature
che cercheranno se stesse, affidandosi al primo venuto che ha carisma.
Vedo un mondo in cui il passato non conterà più, dove la rabbia e
l'insoddisfazione aumenteranno e dove il "male" si insinuerà anche
nelle piccole cose banali. Ma voi, noi, quelli che resteranno di noi,
saremo troppo impegnati a trovare un sostituto delle nostre origini, un
Dio che sarà alieno, evoluto ed anche tecnologico. Unire la "spiritualità
alla scienza e alla filosofia è la cosa più sbagliata che si possa fare. Lo
Spirito NON è manifesto in questa realtà ma la compenetra come una
Shakti, è dentro, non fuori ed è intangibile, non mediato dai sensi. Tu
potrai cogliere con la vista un paesaggio gradevole, udire dei suoni
armonici
e piacevoli, provare sensazioni col tuo tatto, gusti con la tua lingua,
odori col tuo naso, ma non medierai mai il "Pensiero", non lo toccherai,
non lo sentirai, non lo gusterai e si sa è più facile inventare su cose
inconoscibili che su ciò che puoi direttamente sperimentare. Il gioco è
questo, sorella, figlia, amica mia, il gioco dei distruttori è questo."
Senza parole, rimasi senza parole... "Complotto Tenzin? E da quando
Tenzin? Complotto? Potere? Massificazione? Lei ha fatto questo? Ha
contribuito a questo?"
"Non solo lei, è un piano antico, molto antico e si colloca ancor prima
della "Coscienza".
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TASHI DELEK
XIV
"La coscienza, un piano molto antico che si colloca prima della
coscienza". Non era una frase buttata così tanto per chiudere il
discorso, quella frase avrebbe lavorato su di me, costituendo il nucleo
di tutte le mie ricerche successive.
Cosa era la "coscienza"? Un piano? Quindi qualcosa di contenuto in uno
spazio che si collocava "prima", quindi in un tempo definito da chi e da
che cosa?
"Riconosco quello sguardo" disse Tenzin "Sono troppe e tutte assieme
le domande che ti stai ponendo, parlare di tempo e di spazio, non è
proprio la cosa più semplice che si possa fare. Probabilmente non
troverai tutte le risposte, ma sono domande utili se non necessarie a
chi ricerca se stesso ed anche il senso della sua vita. E' questo che stai
cercando?"
No, non lo sapevo cosa stavo cercando, la vita per me era un mistero.
Nel collegio in cui ero cresciuta, avevo avuto una solida educazione
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TASHI DELEK
cattolica fatta di Sante Messe, la mattina alle sei, di "inferni" e di
"paradisi" a seconda se eri stata buona o cattiva, di coscienza gestita
da suggeritori o con le ali o con gli zoccoli, corna e coda. Tutti figli di
Dio, tutti fratelli e sorelle, ma il senso della vita non lo avevo trovato.
Di fronte al malessere giornaliero mio e degli altri, dubitavo della
"bontà" del Dio Creatore, ma non osavo mettere in dubbio la sua
capacità creativa o quello che mi aveva "donato" tramite la vita che
doveva assolutamente essere creduta un "mistero", pena il passare
una intera giornata chiusa in stireria,senza pranzo e senza cena.
Tuttavia, pur detestando le spose di Gesù, mi affascinava il loro
comportamento. Quell'accettare tutto in nome di quello che già molto
giovane definivo il perenne assente, mai manifesto. Ancora di più, mi
impressionavano i comportamenti dettati da una fede cieca che, più
che solida, era necessaria. Di punizione in punizione imparai infine a
tacere, ma il tarlo del "bisogno di Dio" scavò nella mia mente
facendomi apprezzare prima la filosofia e poi la storia, con particolare
riguardo alle religioni. Il mio è stato un percorso più intimo che
esteriore, non riuscivo a trovare alcuna convinzione a cui aggrapparmi
ed infine pacificarmi.
Il tempo e lo spazio, la coscienza, li avevo incontrati durante gli studi
ma come formulette assunte per scontate, comode, non semplici, ma
ci avevano pensato gli altri a spiegare e a me sinceramente, andava
bene anche così, almeno fino a quel discorso fatto da Tenzin.
Srotolai nuovamente la "tangka".
Yama teneva fra i denti la vita e tutto il ciclo delle manifestazioni. Un
cerchio al centro contenete un gallo, un cinghiale ed un serpente a
rappresentare i tre mali che affliggono l'umanità: la rabbia, l'ignoranza
e l'accidia, poi un altro cerchio che è una sorta di "terra di mezzo", ed
ancora un altro più grande col ciclo della vita umana: l'accoppiamento,
la fecondazione, la nascita, la crescita, la morte, diviso in tante fette
che rappresentano le possibilità e un altro cerchio e un altro ancora.
Fuori, ai lati di Yama due "esseri gloriosi" ancora manifesti e oltre il
rettangolo della tela il nulla. "La tela è lo spazio, lo spazio è la tela, la
manifestazione della vita è una tela, non c'è vita senza tela, lo spazio è
una tela".
"Stai ripetendo un mantra, lo sai?" disse Tenzin "Dovrò mostrarti
qualcosa, domani sei libera? Passo a prenderti alle 15 in punto, portati
una giacca pesante."
Camminavamo da un'ora quando giungemmo su una collinetta
affacciata su una piccola radura. Tenzin picchiò il bastone che teneva
in mano sul terreno facendo un cerchio ed indicandomi, infine, di
sedermi in un punto esatto. "Stai qui e non ti muovere, qualsiasi cosa
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TASHI DELEK
tu veda" e se ne andò lasciandomi sola.
Non tardarono molto ad arrivare sul posto una ventina di monaci, ma
erano strani, si sedettero formando un cerchio, i rosari nelle mani, la
testa bassa. Dopo un poco di tempo giunse un donna che portava con
se un ragazzo, forse il figlio o il fratello. Camminavano a stento, la
donna reggeva il giovane che accompagnò fino nel centro del cerchio
fatto dai monaci, facendolo sedere e allontanandosi immediatamente.
Come un solo corpo, i monaci fecero cadere per terra i loro mantelli
rossi, scoprendo la veste bianca. Una vibrazione bassa, profonda, colpì
il mio udito. Mi sembrò di udire delle parole, ma erano troppo basse
perché le comprendessi. La vibrazione divenne via via più forte,
ritmata fino a produrre un insieme di suoni che non avevano nulla della
voce umana ma che davano l'idea di un vortice sonoro, ipnotico,
armonico, un gioco di voci eccezionale di cui non si comprendeva più
l'inizio e la fine.
Il giovane iniziò a contorcersi, scosso da fremiti e sussulti, fino a
quando si fermò seduto in posizione perfettamente eretta come se
avesse acquistato le forze perdute. Il suono divenne ancora più
intenso, martellante. Non avevo l'orologio, ma a spanne era passata
una mezz'ora e, seppur distante, quel suono mi stava coinvolgendo.
L'immagine che vedevo divenne sfuocata come se una nebbiolina
avvolgesse tutto il paesaggio e le persone, ma ,qualcosa di particolare
stava avvenendo perché mi accorsi che sopra la testa del ragazzo si
era formata una sfera nera che pulsava, pulsava sempre di più ed
infine ruotava in sintonia con la vibrazione sonora creata dai monaci.
Respirai profondamente ripetendomi che dovevo restare sveglia,
dovevo riuscire a vedere tutto fino in fondo, dovevo capire. Mi diedi un
pizzicotto in una gamba facendomi male, felice di avvertire il dolore
che mi confortava assicurandomi sul mio stato di veglia.
Fu un attimo, ma il cranio di quel ragazzo si aprì come un'anguria, ne
uscì del fumo che la sfera nera assorbì esplodendo nell'aria e non
facendo sentire altro che un'unica vibrazione, un unico suono fatto di
voci e materia.
Poi i ritmo rallentò, la vibrazione divenne debole, la nebbiolina svanì e
calò il silenzio, un silenzio surreale, senza tempo, fuori dallo spazio.
Il giovane si alzò in piedi inchinandosi verso ognuno dei venti monaci.
Non era più lo stesso che avevo visto accompagnato e sorretto da una
donna, lui era guarito ed era pronto a continuare la sua esistenza forse
con più convinzione e più forza di prima, ma sicuramente ancora più
miracolosa.
52
TASHI DELEK
XV
La mia permanenza stava volgendo a termine; questo, purtroppo, mi
avrebbe impedito di svolgere le mie ricerche in modo approfondito e ne
ero immensamente dispiaciuta.
Ero giunta in quei luoghi con una idea romantica di buddhismo
tibetano, credendo che fosse una dottrina unica sopravvissuta alla
devastazione cinese. Ora mi ritrovavo con una serie di informazioni
tutte da verificare e approfondire.
La storia contemporanea racconta dell'invasione cinese e della fuga
del Dalai Lama in India dove, dal 1959, è in esilio con oltre 100.000
tibetani. La rivoluzione culturale cinese, fatta anche di persecuzioni
fisiche e di distruzione della vita sociale ed economica tibetana, ha
segnato oltre 1.000.000 di morti su una popolazione, all'epoca, di circa
6.000.000. Cifre fredde che raccontano, però, una storia diversa: non
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TASHI DELEK
tutti hanno seguito il Dalai Lama, non tutti si sono rifugiati in India o in
Nepal. Molti sono rimasti e a partire dal 1979, pur in condizioni
precarie e con un numero ridotto di monaci, hanno continuato una
pratica tradizionale e complessa di educazione monastica che non
raggiunge l'occidente, anzi, molto spesso, i "turisti" assistono solo ad
un qualcosa che li attragga e li seduca, ma che è praticamente uno
"spettacolino" messo su per rispondere a delle curiosità.
Lo stesso, purtroppo accade in occidente dove la "religione buddhista"
viene presentata in forma "modernista", ma soprattutto accettabile per
chi non è a conoscenza delle millenarie tradizioni tibetane.
Ciò che fino ad allora avevo appreso era il nulla di fronte ad una storia
complessa e negata, meno del nulla se pensavo alla dottrina del Tulku
o del Lama incarnato, incarnazione assolutamente diversa per le
persone definite normali per le quali è una avventura sgradevole da cui
bisogna sfuggire. I Lama, per contro, si incarnano volontariamente
anche se non ne avrebbero più bisogno. Dal XIV secolo, non prima, in
Tibet si è diffusa questa pratica che è fondamentalmente quasi del
tutto riservata ai maschi, con l'eccezione di poche femmine. Tremila
sono i Tulku, fra cui anche il Dalai Lama e il Panchen Lama che dal
1642 rappresentano la massima autorità politica e religiosa del Tibet.
Tremila Tulku, quindi. Due, Il Dalai Lama e il Panchen Lama, su tremila,
praticamente due fra i tanti e tutti discendenti da una tradizione
antichissima, fatta di millenni di storia
ai più sconosciuta. Un vuoto che
suppongo sia voluto ed anche se
segnalato, difficile da indagare, in
fondo ci basta il gusto dell'esotico, del
mistero, di ciò che può fare la
"differenza" fra noi e l'altro e su questo
qualcuno ha giocato e soprattutto ha
corrotto.
Gli orientalisti tendono, dall'epoca
vittoriana, a considerare il bud-dhismo
tibetano inquinato dalla superstizione
pre-esistente al buddhismo. La Società
Teosofica, ha contribuito a rovesciare il
buddhismo tibetano, facendolo diventare la scuola theravada come l'unica
attendibile, rendendola il vertice dello
intero buddhismo e sconsigliando uno
studio più approfondito in occidente.
Per la Società Teosofica e per la Bla54
TASHI DELEK
vatsky, il Tibet divenne la sede dei "Maestri Ascesi". Ascensione purtroppo mitica, non compresa e per nulla adatta alla ciclicità del
ripetersi della vita, così come mitici restano i Maestri della fondatrice
della Teosofia e di altre organizzazioni esoteriche che hanno negli anni
contribuito a confondere più che a diffondere una "religiosità" diversa
dalla nostra, forse interessante e affascinante, ma che poggia su basi
sbagliate e confuse.
Non mi dilungo, le mie vogliono solo essere delle tracce, degli stimoli
ad aprire la mente, ma voglio sottolineare che la religiosità tibetana
preesiste al Buddhismo e che il fulcro è incentrato sulla nozione di
"forza vitale" che viene associata molto spesso al "respiro". Respiro
che può lasciare il corpo, distaccarsene completamente, rendendo la
questione assai pericolosa. La "forza vitale non risiede solo nel corpo
umano, ma anche in quello animale o in luoghi, ma sopratutto in
"realtà esterne" che noi non siamo MAI stati abituati a considerare
come reali. Come mai siamo stati abituati a pensare che le caste
sacerdotali tibetane addette a questi riti sono tantissime, riti
sopratutto legati alla morte fisica e che ancora sopravvivono in Tibet in
quanto nulla hanno a che fare col Dalai Lama che rappresenta solo un
potere politico/religioso conferito ad una delle tante sette dagli invasori
mongoli.
La tradizione buddhista, nel paese Himalayano, è sostanzialmente
lineare e ininterrotta fino all'invasione cinese. La storia si mescola
spesso al mito per cui secondo la leggenda le due mogli, una cinese e
l'altra nepalese, del re Songtsen Gampo (614-650) importano il
buddhismo in Tibet, mentre, storicamente, fu re Tri Songdetsen (754797) che invitando in Tibet il monaco indiano Santaraksita, darà inizio
al buddhismo. La storia è complessa e difficile da trattare, ma
sicuramente vi furono vari tentativi di soppressione della "nuova
dottrina". Documentato è quello ad opera di re Langdarma ( 836-842) a
cui è seguito un grosso periodo di crisi da cui successivamente
nasceranno tanti "sistemi" di religione buddhista di cui il Dalai Lama,
non è il capo, rappresentandone solo uno.
La mia attenzione quindi, si sarebbe spostata su quello che ritenevo il
sistema in assoluto più antico, non inquinato dalla politica e dalle
manipolazioni occidentali, un sistema difficile fatto di rituali sconosciuti
e poco comprensibili, impegnativi e alle volte persino deprimenti. Ma
ciò che avevo visto, la certezza che il buddhismo sopravviveva in Tibet
nonostante i cinesi e quello che avevano distrutto, mi spingeva ad
occuparmi delle origini della tradizione, quella Bon e a tralasciare i
tremila lignaggi, tutti interessantissimi, tutti contenenti una verità ed
una storia, ma che non rappresentavano, per me, il fulcro della mia
55
TASHI DELEK
ricerca.
Il respiro, il suono, il mantra, i Lhoan; le origini diventavano per me un
qualcosa che dovevo assolutamente indagare e di cui intravedevo
piccole tracce sicuramente troppo importanti per non essere
considerate.
ll mantra è conosciuto come una formula sacra. L'etimologia spiega
che “man” significa "mente" e “tra” "proteggere", quindi il mantra è una
formula sacra utile a proteggere la mente, in particolar modo la mente
del praticante. I mantra sono moltissimi, ma secondo i tantra antichi,
all'origine era il "suono puro della realtà assoluta", vibrazione
primordiale che dà vita alla luce e successivamente ai raggi luminosi
da cui prendono vita tutti i fenomeni dell'universo.
I mantra tramandati sono principalmente in sanscrito poiché è ritenuta
la "lingua perfetta." Non è sul mantra completo che bisogna
concentrare l'attenzione, ma sulle sue sillabe; sillabe che riproducono
suoni in stretta relazione alle nadi, canali sottili presenti nel "corpo di
diamante" dell'uomo.
Come ho scritto i mantra sono moltissimi e quelli più conosciuti sono in
lingua sanscrita, ma ne esistono molti altri in "Oddiyana", lingua
sconosciuta, non umana attribuita alle "Dakini" le danzatrici delle
nuvole che ovviamente sono divinità non umane ma con sembianze
umane. I mantra dell'origine, gli antichi, sono stati creati nella
dimensione del "sambhogakaya" dimensione altra che appartiene alle
così dette "terre" che sono classificate dall'ottava alla decima,
accessibile solo ai bodhisatva, i vidyadhara e ovviamente ai buddha
completamente "illuminati". In breve i veri mantra sono suoni puri in
lingua sconosciuta creati da esseri non umani che risiedono in altre
dimensioni considerate dall'ottava alla decima, chi li produce, chi li
crea deve essere in possesso delle "quattro conoscenze" indispensabili
che sono:
a. la conoscenza esatta di tutti i fenomeni del sansara e del nirvana;
b. la conoscenza della "causalità" dell'origine del sansara e del
nirvana (attenzione, non ho scritto casualità, ovvero fatto legato
al caso, ma casualità, ovvero della causa);
c. la conoscenza dell'azione "benefica" dei suoni;
d. la conoscenza della comunicazione tramite il linguaggio con tutte
le connessioni "esatte" di "causa ed effetto".
Ricapitolando: il mantra dell'origine è un suono puro, non appartenente
al genere umano, ma ad esseri che risiedono fra l'ottava e la decima
dimensione. Esseri perfetti che sono totalmente consapevoli di ogni
causa ed effetto che il suono pronunciato può avere su ogni fenomeno
56
TASHI DELEK
manifesto. L'uso del "mantra" è antichissimo, precedente al buddhismo
e quelli che sono conosciuti in lingua sanscrita, sono già rielaborazione
di altri ancora più antichi in lingua Oddiyana che la tradizione precisa
essere lingua non umana e appartenente alle Dakini che risiedono sulle
nuvole, ovvero in cielo, e sono divinità o meglio intermediatrici fra i
disincarnati che hanno raggiunto la perfezione e il genere umano.
Potrei già fermarmi qui per scatenare una miriade di ipotesi che
potrebbero sconfinare anche nella fantascienza, ma se avete ancora un
poco di pazienza, vorrei descrivervi le "sillabe seme" che sono il nucleo
ed il fondamento dei mantra, di tutti i mantra. Le sillabe seme in
tibetano si chiamano "yi-ge sa-bon" ovvero significa che "danno vita" e
che devono essere utilizzate per generare gli elementi di una
visualizzazione, dal momento che ogni fenomeno "puro" o "impuro"
prende origine da quella sillaba seme. Puro o Impuro, buono o cattivo,
bello o brutto ed il suono non è nostro ma è creato, è stato creato in
una terra a noi sconosciuta ed inaccessibile, in una lingua non umana e
quindi incomprensibile e si fonda sulle "sillabe" non sulla frase.
Secondo i tantra antichi, esistono sei destini e l'essenza di ognuno di
essi è conservato nella sillaba seme a cui, oltre al suono viene dato
anche un colore:
•
Bianco per i deva (A)
•
Verde per gli asura (SU)
•
Blu per gli umani ( NR)
•
Marrone per gli animali (TRI)
•
Cenere o giallastro per i preta (PRE)
•
Nero per gli inferni (DU)
Questi i sei destini ed il loro colore, con il suono annesso, che vanno
puliti purificati adottando delle sillabe che sono in grado di "invertirne
la direzione" : A/ a/HA/SA (con l'accento sulla S) /SA/MA.
Vi sono altre sillabe essenziali E = spazio, Yam = aria, Bam = acqua,
Ram = fuoco, Lam = terra ed altre ancora, ma nessuno se non i Lhoan i
liberati, è in grado di gestirne la potenza della creazione e della
distruzione.
I Lhoan sono irraggiungibili, salvo che non siano loro stessi a
manifestarsi, sono conosciuti come i "cantori" ovvero coloro che
cantano, a nessuno è permesso di avvicinarli. La loro esistenza è
separata e protetta; rispettati, temuti, con una conoscenza che mai e
poi mai trasmetterebbero a chi non appartiene al loro gruppo
specialissimo e, se mi è consentito affermarlo, giustamente.
57
TASHI DELEK
Come ho scritto l'uso delle sillabe seme può essere costruttivo e
distruttivo, può creare ed annullare, può far bene e male, ma chi le usa
consapevolmente deve avere piena consapevolezza delle quattro
conoscenze sopra citate che non appartengono al genere umano, ma a
chi vive in dimensioni differenti, che si è distaccato dal desiderio della
vita e del suo "vivere" che ha compiuto e terminato il ciclo delle
esistenze, un ciclo sferico, non ascensionale. Nessun Lhoan desidera la
vita e la sua precaria manifestazione fatta di rabbia, di desiderio, di
ignoranza, di sopraffazione, nessun Lhoan vuole essere "umano" e a
loro è stato consegnato il segreto della forza generatrice e della forza
distruttrice del suono, laddove la vita e la morte non hanno più alcun
senso d'essere poiché elementi di una manifestazione ritenuta inferiore
ma degna d'essere come ogni esperienza, poiché in ciò che è
l'universo è contenuta ogni cosa senza differenza alcuna, differenza
che è solo il frutto di una mente umana che ancora desidera essere
distaccata dal tutto, dove l'Io o l'altro hanno un senso, ma non è
assolutamente detto che quel senso rappresenti la Vita nella sua
completezza.
Cosa è il male e cosa è il bene se non il frutto di scelte in funzione di
un chi o di un cosa che spesso prende il nome di "potere"? Ma per
esercitare il potere sarebbe necessaria una consapevolezza che non ci
appartiene e il riconoscimento dell'umiltà di questa vita che è solo un
frammento di uno spazio infinito, intangibile che presumiamo di
conoscere, rivestendoci dell'unica cosa che ci impedisce realmente di
Essere, la presunzione di sapere e di essere il "Tutto".
58
TASHI DELEK
XVII
La stanza era illuminata più dal fuoco del camino che dalle lampade. La
ricerca del tepore e della quiete ci riuniva, tutte le sere, intorno a quel
fuoco, ognuno impegnato in ciò che preferiva a far trascorrere il tempo
prima della notte. Fosco sfogliava e riordinava le fotografie che aveva
fatto in quei cinque mesi, la pipa spenta al lato della bocca, il maglione
girocollo e l'immancabile berretto di lana.
Si accorse che lo stavo guardando, prese la pipa con la mano destra e
mi fece cenno di avvicinarmi: "Ti
ho scattato qualche foto, le
vuoi?". Mi venne quasi da
piangere, quella frase detta così
mi ricordava che presto sarei
tornata a casa e non volevo. Mi
prese le mani e mi tirò giù a
sedere sul tappeto. "Sei stata
brava, le tue relazioni sono
molto interessanti e ne terrò
conto. Chi lo avrebbe mai detto
che uno scricciolo del genere si
sarebbe rivelata anche utile?!".
Mi passò alcune foto, fra cui
anche una raffigurante una
59
TASHI DELEK
costruzione. Pensando che avesse sbagliato la scartai e la resi, ma
Fosco mi guardò divertito e mi disse: "E' tua anche quella, è la
moschea di Hebalin nella zona vecchia di Lhasa ed è stata costruita dai
commercianti islamici tibetani intorno agli anni 20. Magari ti viene
voglia di fare una ricerca."
Avevo sentito parlare dei musulmani tibetani, non erano molti, ma la
loro presenza in Tibet era registrata nel “Kitab Mu’jamu-l-Buldan”
(L’Enciclopedia dei Paesi) da Yaqut ibn Abd Allah al-Hamawi vissuto
intorno al 1200. Negli antichi testi tibetani si scrive di musulmani
provenienti, intorno al XII secolo dal Kashmir e dal Ladak, chiamandoli
“Khache Yul”. Sapevo delle moschee costruite e poi distrutte dai cinesi
dal 1959 e sapevo che avevano dovuto subire numerose e cruente
persecuzioni con conseguente dispersione e fuga verso l'India solo
quando, dopo un anno di tentennamenti, il governo di New Delhi
concesse a tutti i tibetani musulmani il diritto di cittadinanza. Alcuni,
dopo essersi riorganizzati, preferirono tornare alla loro terra d'origine il
Kashmir, ma risulta la loro presenza anche in Arabia Saudita, in Turchia
e in Nepal. I musulmani tibetani hanno dato molti contributi al Tibet,
ma il principale è quello musicale, infatti la musica popolare tibetana si
chiama "Nangma" e deriva dal termine urdu "Naghma" che tradotto
significa "canzone".
Ovviamente il contributo dei musulmani al Tibet non si riduce solo alla
canzone, al suono. Abili commercianti, incredibili studiosi e
rappresentanti di una forma di dottrina sincretica in cui prevale il
misticismo Sufi.
Fosco probabilmente sapeva bene che quella foto avrebbe scatenato la
mia curiosità, in un attimo mi tornò alla mente una frase che avevo
sentito: "Un Maestro Sufi, non ti dirà mai che è un Maestro, ma starà in
silenzio". Mi era chiaro un parallelismo che fino a quel momento non
avevo considerato: i Lhoan non si dichiaravano, come non si
dichiaravano i Sufi. I Lhoan usavano il canto, i mantra, i musulmani
avevano introdotto la musica popolare tibetana, la "Nangma".
Avevo visto coi miei occhi la guarigione di un giovane che oggi si
definirebbe "malato terminale", il tutto a distanza, senza strumenti, se
non quello dell'uso della voce.
Sobbalzai a questi pensieri e Fosco tranquillamente mi disse: "Hai tutta
la vita davanti, sei giovane, non ti fermare mai, cerca lo puoi fare."
Il nostro capo spedizione mi creava un certo imbarazzo, non parlavo
spesso con lui, solo la sua figura incuteva rispetto e a me sembrava
che vedesse anche le cose che non osavo nemmeno dire a me stessa,
ma complice l'atmosfera, osai: "Fosco, tu credi che il suono possa
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TASHI DELEK
realmente creare? Tu pensi che in questa terra isolata siano nascosti
segreti a noi inaccessibili. Perché molti vengono qui da sempre alla
ricerca di qualcosa? Tu cosa stai cercando?". Rise come non avevo mai
sentito, mi frullò la testa con la mano e mi accarezzò i capelli come
solo un padre avrebbe fatto: "Vuoi la risposta su cosa sto cercando?
Ebbene non lo so! Tu lo sai? Ed anche se lo sapessi che importanza
avrebbe, cercheresti comunque. Come noi ci si nasce, non si diventa.
Ascoltami perché te ne parlerò una sola volta, poi sarai tu a continuare
la tua ricerca, proprio perché è la tua.
Toccami, mi senti; guardami, mi vedi; annusami, senti il mio odore;
ascoltami, senti le mie parole e se ti chiedessi di darmi una leccata
sulla mano sentiresti anche il mio sapore. Ma ora pensami, con cosa lo
stai facendo? Usi forse uno dei cinque sensi? No cara, non puoi, nessun
senso ti aiuta a cercare il mio ricordo, nessuna mediazione, nessun
contatto e questo è "magia" o almeno così crediamo. Non abbiamo
nessuno strumento per misurare il pensiero, non lo abbiamo ancora
trovato, ma se tutto ciò che viviamo è una "manifestazione" materiale,
allora anche il pensiero lo è. La differenza sta nel fatto che non lo
possiamo controllare con la nostra tecnologia, sappiamo che esiste, ma
non sappiamo chi lo produce e non dirmi, per favore che è il cervello,
commetteresti un abuso da ignorante presuntuosa. Il cervello umano è
qualcosa di assolutamente sconosciuto è il mistero del mistero, chi
vuole sminuirlo ne parla come di un macchinario quasi perfetto, certo
ogni tanto si guasta e fa danni, ma non è un macchinario è qualcosa di
più, è un miracolo.
Tu credi che in un mondo materiale, tu credi che la materia possa
produrre qualcosa che non sia anch'esso materiale? Se tu mi
rispondessi di si, potrei dirti che mi hai risposto fondandoti su un
errore, non tutto ciò che non si vede o non si sente non esiste, è solo
che non riusciamo ancora a classificarlo, a studiarlo, a conoscerlo e a
schedarlo, ma esiste, esiste, fidati ed è ancora materia, sottilissima,
inesplorata materia. Chi usa il suono, chi lo sa fare, usa delle
vibrazioni, sottili o pesanti che siano, usa uno strumento che non
conosciamo ma che presumiamo di conoscere. Ecco perché la parola è
"sacra" o dovrebbe essere trattata come sacra, ancora di più la musica
e la sua armonia. Col suono si crea o si distrugge, ma tu questo già lo
sai, quello che non sai è come farne uso. Quando penserai ai Lhoan, ai
cantori, ai liberati, che sono la stessa identica cosa, dovrai domandarti
da dove deriva la loro consapevolezza, la loro conoscenza. Dovrai
domandarti chi, prima di loro, aveva le chiavi di un qualcosa che è
stato smarrito e dovrai domandarti se è un bene cercarle per poi
donarle a chi non saprebbe ancora farne uso".
61
TASHI DELEK
Smarrita, ammutolita, incuriosita, carica come non mai, seppi solo dire
grazie. Il rude, silenzioso Fosco, aveva parlato. Colsi solo un "Così sia,
Amen" uscire dalla bocca di Giorgio. Mi voltai, sorridevano tutti,
divertiti forse dal mio apparire confusa e assente. Augurai a tutti la
buonanotte e mi ritirai pensando che avrei dovuto cercare Tenzin, era
già troppo che non lo vedevo e avevo tante domande per lui sull'Islam,
sui Cattolici, sui Gesuiti, sui mantra, sulle preghiere, sul suono ed ora
anche sul pensiero.
62
TASHI DELEK
Inciso - L'idea di Anima
Ho bisogno di fare una doverosa premessa. E' circa una settimana che
tento di continuare il mio racconto che è steso senza alcuna pretesa di
insegnamento o di indirizzamento. Nella mia vita ho avuto modo di fare
determinate esperienze e di poter comprendere alcune cose,
naturalmente non tutte, come è ovvio. Quando iniziai a raccontare la
mia esperienza giovanile in Tibet, non sapevo dove sarei arrivata, per
me era un racconto, un gioco a cui ero certa partecipassero in pochi. I
messaggi privati che ricevo, sono tanti e così pure l'apprezzamento
che mi state dimostrando e di cui vi ringrazio.
Ora ho una difficoltà determinata dal fatto che dovrei scrivere della
NON presenza dell'Anima nel buddhismo. Esiste, qui in occidente una
confusione di base a cui ha contribuito il fatto che nella lingua indiana
"attan/atman", viene utilizzato come pronome riflessivo. Ad esempio in
Dhp 157( Attavagga: Il Sé) tradotto dal pali si legge :"Chi si considera
gradevole, si protegge con zelo". Il primo "si", in pali, è scritto con
"attan" (accusativo), ma l'autore non si riferisce all'anima, ma al
pronome riflessivo. Questa parte tecnica mal si adatta ad un
63
TASHI DELEK
romanzetto senza pretese e quindi accenno solamente. Durante i miei
studi, rimasi letteralmente sconvolta nel comprendere che il Buddha
critica aspramente la dottrina dell'anima, negandola e che i motivi
sono essenzialmente tre :
•
Un anima eterna contraddice la "transitorietà" della natura
•
La fede nell'anima è la causa del dolore
•
Se esistesse un'anima immortale, non sarebbe possibile la
soppressione della dolorosa "individualità" ed infine l'estinzione
nel Nirvana.
Questa che segue è la conversazione del Buddha nel monastero di
Jetavana:
"Monaci, potreste impossessarvi di qualcosa che fosse costante, duraturo,
eterno, esente dalla possibilità di diventare qualcos'altro e capace di
restare sempre uguale? Conoscete un simile oggetto?"
"No, signore".
"Bene, monaci, nemmeno io conosco un simile oggetto. Potreste, monaci,
appropriarvi di una dottrina dell'anima da cui non scaturiscano pena,
dolore, tristezza e disperazione?"
"No, signore"
"Bene, monaci, nemmeno io conosco una simile dottrina dell'anima... Se
vi fosse un'anima (attan), monaci, non vi sarebbe anche qualcosa che
appartiene ad essa?"
"Si, signore"
"O se vi fosse qualcosa che appartenesse all'anima, non vi sarebbe anche
un' anima? "
"Si, signore"
"Poiché non vi sono un'anima, né qualcosa che appartenga all'anima, la
teoria secondo cui dopo la morte sarò costante, duraturo eterno, esente
dalla possibilità di diventare qualcos'altro ed eternamente lo stesso è
tutta una teoria e una dottrina dei folli"
"Davvero, signore, come potrebbe NON essere tutta una dottrina dei
folli?
( M 22 §22-25)
64
TASHI DELEK
Premesso che non credo nell'esistenza storica del Buddha, ciò che ho
riportato è il succo della dottrina della NON Anima, nel buddhismo.
Credere nell'Anima per i buddhisti è indice di caos, contraddizione e
follia, la stessa che vedo prosperare nei gruppetti di meditazione
occidentale, nelle scuole che insegnano la ricerca di un Sé superiore ed
indissolubile, l'esatto opposto del pensiero buddhista, quel pensiero
che se ben compreso ci avvisa che credere in un ente superiore di se
stessi che si conserva dopo la morte è foriero di dolore, disperazione e
follia.
Dette queste belle parole, cercherò di ridimensionare il discorso al
"romanzo" iniziale che, ripeto, vuole e deve essere solo una traccia per
chi è intenzionato a fare una ricerca seria che sia però, solo sua.
65
TASHI DELEK
XVIII
Durante la festa del "Lhabab Duchen" si festeggia la discesa del
Buddha dal cielo alla terra. E' uso fra i tibetani occuparsi in attività
virtuose e nella preghiera poiché le azioni, positive o negative, si crede
vengano moltiplicate dieci milioni di volte. A novembre le temperature
sono invernali anche se l'aria è limpida e il clima è asciutto.
Quella mattina non avevo praticamente nulla da fare, così decisi di
andare a fare una passeggiata. Spontaneamente mi recai nel posto in
cui osservai la guarigione del giovane tibetano, sperando di incontrare
Tenzin che da un po di tempo non vedevo. Mi incamminai ben coperta
con lo zaino che conteneva le provviste necessarie per quella giornata.
Strada facendo, allontanandomi sempre di più dal villaggio, mi prese
l'inquietudine. Forse stavo sbagliando ad andare così sola per i sentieri
ma non volendo cedere alla paura, continuai il cammino forzandomi e
cercando uno stato di quiete. La mia mente cercava "spazi" tranquilli e
rassicuranti, così facendo iniziai ad immaginare cose belle continuando
a camminare. Dopo circa un'ora giunsi alla sommità della collinetta
dove mi ero seduta ad osservare la guarigione del giovane; posai lo
zaino per terra e guardai la radura. Distante vi era un laghetto, forse
più una pozza d'acqua, dove mi sembrò di scorgere una figura. Afferrai
il binocolo e guardai: era Tenzin assorto in meditazione. Scesi correndo
per il sentiero ma, arrivata sul posto, non vidi nessuno. Interdetta, mi
66
TASHI DELEK
fermai a respirare tenendo le mani sulle ginocchia e scuotendo la
testa, mi ero sbagliata, in quel posto non c'era nessuno solo la terra e
l'acqua. Lanciai lo zaino distante da me e delusa mi sedetti su un
masso quando mi venne in mente che forse, così facendo, avevo
distrutto la macchina fotografica. Scattai in piedi ghignando e
dicendomi: "La pagherai 10 milioni di volte".
"Forse non ti basteranno dieci milioni di vite per correggere la tua
stizza, ma tu sei una creatura fatta così. Mi cercavi?!"
Sussultai e quasi urlai il suo nome felice di sentirlo e di vederlo: "Tenzin
sei qui, menomale, speravo proprio di vederti, è tanto che non vieni da
noi, come mai?"
"Mi piace questo "come", meglio un come di un perché. Non ci sono
sempre delle risposte precise, esistono delle possibilità che alle volte
non coincidono con altre. Come stai sorella?"
"Ora che ti vedo meglio, grazie. Vorrei parlare con te, avrei bisogno di
alcune spiegazioni."
"Lo immagino! Mi hanno riferito delle tue ricerche. Hai scoperto che
non siamo stati poi tanto isolati come si racconta. Hai scoperto che il
nostro credo è un crocevia di religioni e di magia, che la nostra storia è
più complessa e andrebbe riscritta. Hai scoperto che vi sono interessi
diversi da quelli dichiarati e hai scoperto che il buddhismo è tutta
67
TASHI DELEK
un'altra cosa rispetto alle favolette che vi hanno raccontato. Bene,
sono fiero di te! Ricorda però che sei solo all'inizio e che il tuo è un
percorso solitario destinato ad un silenzio assordante. Le risposte ti
giungeranno nel tempo e col tempo, lentamente, poiché la vera
conoscenza è fatta di mille sfaccettature. Alcune le troverai nei libri,
altre dentro di te, altre ancora ti colpiranno come intuizioni e ti
sembrerà di averle sempre avute, di averle sempre comprese anche se
non erano chiare ancora alla tua coscienza."
"Tenzin, mi puoi parlare dei Lhoan, dei mantra, del "pensiero umano".
Chi siete, cosa sono, cos'è?" E poi del suono, ti prego, dimmi il segreto
del suono!"
"Non risponderò in ordine alle tue domande, ma lo farò volentieri e solo
per quello che reputo possa essere utile. Credo che comprenderai il
limite che pongo, del resto se non è utile, non potrà altro che
confonderti."
Un silenzio beato, un cielo limpido, l'odore della terra e dell'acqua. Il
suo vestito candido, il suo sorriso e quel tono di voce che invitava
all'ascolto, non avevo bisogno d'altro, avrei voluto che il tempo
diventasse eterno.
"Gli scritti teosofici, raccontano che nei nostri monasteri esistono
esseri immortali che possono dirigere tutta l'evoluzione umana. La
Blavatsky ne parla come di Maestri Ascesi, raccontando di esserne
venuta in contatto. Naturalmente non è vero, o meglio, è vero che
esistono persone con grandi poteri che si pensa siano in grado di
reincarnarsi scegliendo un corpo e un ruolo da svolgere nella vita.
Costoro non sono esseri evoluti, come si vuole far credere, ma esseri
ancora "attaccati" alla vita, al desiderio della vita. Le loro altissime
qualità, vengono quindi riconosciute e messe al servizio di particolari
interessi, sia sociali che politici, che servono di buon grado e questo si
chiama esercizio del potere su altre creature. La Grande Loggia Bianca,
di cui si favoleggia, non esiste in quanto non può esistere una
confraternita segreta di cui si può parlare. Se è segreta è segreta, non
ti pare? Così come non possono esistere discepoli di Maestri segreti che si
dichiarano allievi, al massimo costoro sono stati ingannati dalla loro
voglia di prevalere, dal loro io o ego, se preferisci. Si avvalgono dei
sentimenti creando illusioni romantiche in cui molti, anziché trovarsi, si
perdono. Se esistesse una "fratellanza segreta" che protegge
l'umanità, non sarebbe come la puoi immaginare. Il primo vincolo che
romperebbe, sarebbe il vincolo religioso che è solo condizionante,
quindi nessuna Loggia né bianca né nera. Qualcuno racconta anche di
meditazioni e di visualizzazioni che avrebbero lo scopo di liberare lo
Spirito, il Sé superiore, in realtà tramite la meditazione si libera
68
TASHI DELEK
dell'energia, il più delle volte sconosciuta e non riconoscibile nella
qualità, così come il fuoco può scaldare o bruciare. Recitare un mantra,
senza conoscere lo scopo preciso, può, tramite la ripetizione di una
invocazione, creare un suono costruttivo o distruttivo, fino a creare
delle illusioni che possono controllare e modificare le azioni di una
persona. Se più persone si uniscono ripetendo un suono emettono delle
"onde" che si inseriscono su altre frequenze, andando a modificare
persino le aspirazioni e gli ideali. Sei stupita vero? Allora ti dirò che il
mio è anche un discorso scientifico che ha un fondamento scientifico,
di cui si sta occupando attivamente la fisica. Magari oggi non ti sarà
del tutto chiaro ma in futuro, forse, ne sentirai parlare. Tu vieni da una
terra che ha avuto grandi esponenti della Fisica. Fermi e i suoi allievi,
hanno scoperto l'energia nucleare, ma ve ne è uno in particolar modo
che ha lasciato un grande contributo che ancora è di difficile lettura.
Cercherò di spiegarlo il più semplicemente possibile.
Alcune particelle della materia hanno caratteristica di onde e quindi
non sono oggetti puntiformi e non possiedono una ben definita coppia
di posizione e quantità di moto. Un'onda sonora varia nel tempo, quindi
per conoscerla dovremmo sapere le frequenze esatte che compongono
il segnale in un dato momento. Frequenza e Tempo quindi, ma la cosa
non è possibile in quanto per determinare la frequenza del suono è
necessario campionarla in uno spazio di tempo, perdendo quindi il
tempo reale in cui il suono si diffonde. Un suono, se osservato, non può
avere sia un tempo preciso, come in un breve impulso, sia una
frequenza precisa, come in un tono puro continuo. Se osservi il tempo
della frequenza perdi il moto e se osservi il moto perdi la frequenza.
Insomma vibrazione e oscillazione non sono la stessa cosa ed è qui che
è nascosto il segreto del suono ed anche dei sensi, insomma è tutto
indeterminato, così come indeterminati e imperfetti sono i sensi. Per
farti un altro esempio, se tu vedessi camminare una persona da un
punto A ad un punto B e volessi fermarne il moto, dovresti fermarne
anche l'oscillazione, altrimenti la tua visione non sarà chiara ed infatti
chiara non è. Una persona, mentre cammina, oscilla anche, ma tu vedi
solo che cammina e pensi che sia una sola cosa. Credere di gestire un
suono, cogliendone un solo aspetto è terribilmente sbagliato e porta a
gestioni sconosciute. Un suono è in grado di agitarti o di calmarti,
pensa solo alle tue preferenze musicali che, essendo tue, sono
particolari, che quando le ami ti fanno venire i brividi e ti commuovono
e quando non ti piacciono le escludi. Ma il suono che senti, che tutti noi
sentiamo, rientra in una determinata fascia di ascolto. Gli animali ne
percepiscono altre per noi inudibili, ma che esistono, che ci
raggiungono anche se non le sentiamo e ci condizionano nello stesso
identico modo di quelle che riusciamo a sentire: o ci piacciono o ci
69
TASHI DELEK
disturbano. Chi conosce il segreto del suono conosce anche il segreto
della musica e sa quale sia la sua efficacia costruttiva o distruttiva. Chi
conosce questo può creare e distruggere ed è in assoluto l'arma più
pericolosa. Recitare dei mantra senza conoscerne il significato è
presunzione pura, è voglia di prevalere sull'altro, è giocare con un
fuoco sconosciuto e pericolosissimo. Dovrai impegnarti anche nel
campo della fisica se vuoi capire di più. Esiste la "cimatica" che è la
"scienza delle onde", il mondo è suono ed in sanscrito si dice "Nada
Brahama", gli antichi lo sapevano: tutta la creazione è una sinfonia di
suoni, di vibrazioni ed il suono, quando è armonico, vive; è vivente e
crea la vita. Se il suono è disarmonico, la distrugge. Verrà un tempo
che l'umanità creerà dagli ultrasuoni, produrrà reazioni nucleari
ultrasoniche in grado di creare neutroni ed energia pulita, in grado di
creare la vita, senza devastanti reazioni nucleari radioattive e ogni
cosa potrà essere osservata senza paura e con rispetto. Sarà allora
giunto il tempo della collaborazione, il tempo della gioia e della chiara
visione. I segreti saranno rivelati e tutti scopriranno di far parte di un
Tutto che si auto organizza così come nella Materia anche nello
Spirito."
70
TASHI DELEK
XIX
Un aquila volteggiava nel cielo sopra di noi. Tenzin mi prese per mano
e mi portò vicino all'incavo di una roccia dove saremmo stati nascosti
alla sua vista.
"La vacuità non svuota le cose del loro contenuto, non è il nulla, ma è
la vera natura delle cose e il modo di apparire in maniera
interdipendente. E' il modo reale di essere in sé e per sé, dove
l'assenza di sostanzialità di un fenomeno, lo rende essenza.
Si tratta insomma di una assenza di identità propria, è l'assenza dei
raggruppamenti dei fenomeni e del raggruppamento di soggetto che
percepisce e di oggetto percepito. La vacuità dei fenomeni è l'assenza
di dualità soggetto-oggetto che si dispiegano illusoriamente all'interno
della Coscienza che è unica e reale, in cui ogni "io" di tutti i fenomeni e
di ogni auto consapevolezza si annulla. Una "vacuità" mal compresa
può diventare pericolosa, può condurre al nichilismo, può diventare
una formula "magica mal eseguita". Dovrai imparare a comprendere
che ogni fenomeno manifesto, ogni creatura, svuotata di dualità "io e
altro" sono altri te stessi che assumono solo forme diverse e degne di
rispetto. Esiste una regola d'oro che recita "Non fare all'altro ciò che
non vorresti sia fatto a te", presente non solo nelle religioni, ma
nell'etica della reciprocità, è un valore fondamentale che crea
equilibrio in un sistema interattivo. Più semplicemente potrai pensare
71
TASHI DELEK
che l'altro, vivente e non, ha avuto in sorte una manifestazione
differente dalla tua, ma che svuotata del suo apparire soggetto o
oggetto sono, come te, un'unica realtà. Ad un certo punto della sua
vita, l'essere umano, prende consapevolezza della propria esistenza in
quanto individuo. Questo lo fa sentire separato ed elabora un suo
pensiero individuale che se ben orientato può giungere alla
comprensione che anche gli altri individui sono ugualmente auto
consapevoli.
Diversa è l'autocoscienza che vede lo sviluppo di una identità, ovvero
la comprensione del nucleo della propria identità sviscerandone le
caratteristiche e le proprie qualità in funzione delle quali si distingue
dagli altri, oppure, si riconosce come cosa unica insieme all'altro.
Insisto nel dire che individuo significa "indiviso", quindi unico; a questo
il buddhismo si riferisce quando spiega la vacuità, non il nulla quindi,
ma la vera natura delle cose ed il loro apparire fino a comprendere
l'assenza di soggetto-oggetto e quindi di unica anima individuale ed
indistruttibile ed indivisibile.
Vorrei ora parlarti di sciamanesimo e della necessità di recuperare le
tracce di una spiritualità millenaria che ha preceduto il buddhismo
72
TASHI DELEK
tibetano. Una spiritualità composta di pratiche religiose antichissime
pregna di tecniche mistiche che hanno coinvolto le pratiche sociali del
nostro popolo nomade, come dei nomadi dell' Asia centrale in epoche
passate e antiche. Un fenomeno "magico-religioso" che ha una
lunghissima storia che affonda le sue radici in una tecnica arcaica
dell'estasi in cui si entrava in contatto con le "anime" degli antenati e
gli spiriti degli antichi e che si ritrova nel matriarcato che va dal 3000
a.C. fino all'apparire di altre influenze religiose e complesse del II
secolo combinando il culto di diversi esseri e fenomeni naturali come le
piante, le pietre, il vento, il fuoco, l'uomo, altri esseri e altre forze, in
un periodo che va dai 5 ai 3 mila anni prima della nostra epoca.
Volutamente faccio riferimento ad una datazione accettata dai vostri
studiosi, anche se, in realtà, le cose sono diverse.
Vorrei raccontarti un mito mongolo sulla creazione dell'universo:
“Ocirvani (= Vajrapani) e Tsagan-Sukurty scendono dal Cielo
sulla terra primordiale; Ocirvani prega il suo compagno di
immergersi e di recargli del fango e, dopo aver spalmato
questo fango su un tartaruga, si addormentano entrambi.
Sopraggiunge poi il Diavolo, Sulmus, che tenta di farli affogare
senonché man mano che li faceva rotolare, la Terra
s'ingrandiva.
Secondo un'altra variante, Ocurman, che vive in Cielo, ha
deciso di creare le Terra e cerca un compagno; trovatolo in
Tsagan-Sukurty lo manda in cerca di argilla a nome suo, ma
questi s'inorgoglisce e grida: “Senza di me non avresti
ottenuto argilla" e allora la materia gli scivola via tra le dita.
Immersosi poi una seconda volta, prende la mota, stavolta in
nome di Ocurman. Dopo la creazione ecco arrivare Sulmus,
che chiede una porzione di terra, esattamente quanta riesce a
raggiungere con la punta del suo bastone: quindi Sulmus
percuote il suolo col bastone, ed ecco comparire dei serpenti."
Argilla, soffio vitale ovvero anima e avversario. Immagino che ti ricordi
qualcosa, o sbaglio? Vedi, credo, che col concetto di "vacuità" si superi
un qualcosa di primitivo, di maggiormente separante, in cui l'individuo
non è più diviso, ma unico, sciolto in un tutto, insomma "assoluto". Ma
ora ho detto anche troppo e fra breve sarà buio ti riaccompagno un
pezzo, così non sarai sola.
73
TASHI DELEK
XX
Fai solo ciò che ti fa sentire bene. Segui la tua naturale
curiosità ed avvaliti dell'intuizione. Lei, l'intuizione, non ti
ingannerà mai perché cresce sempre con te.
Tenzin
Seguivo, lungo il sentiero, Tenzin, in silenzio, avvolta nei miei pensieri.
Le informazioni che avevo ricevuto, quel giorno, erano tante e cercavo
di mettere ordine. Non sapevo da dove avrei potuto iniziare; tutto,
delle informazioni ricevute, mi colpiva e mi appassionava.
Camminando strappai una foglia, la annusai e poi con gesto inconscio
inizia ad accartocciarla per buttarla via.
La mia mano si fermò improvvisamente e il mio pensiero andò a quella
forma di vita vegetale. Ne osservai la perfezione delle venature, il
colore, la lucentezza, tutto mi riportava a quella "energia" che aveva
dato vita alla foglia come ad ogni altra creatura. Le pietre, sotto le mie
scarpe, scricchiolavano e mi parve di sentirne la voce. Mi dissi che ero
scossa a causa della mole del discorso fattomi da Tenzin, ma non riuscì
ad evitare le parole che mi uscirono dalla bocca: "Io sono te, tu sei
me". Tenzin si fermò e col sorriso più grande che gli avessi mai visto
continuò: "E noi siamo Dio".
74
TASHI DELEK
Una emozione profondissima, una gioia immensa, la consapevolezza
del miracolo della vita ed infine il riconoscimento sacro dell'altro,
chiunque esso fosse, mi spinsero ad abbracciare Tenzin come in un
impeto incontrollato. Le mie braccia si avvolgevano intorno al suo
corpo, ma non lo sentivo, mi pareva di abbracciare me stessa, niente
era più solido, niente aveva forma, nemmeno io. L'impressione fu che i
sensi mi avessero abbandonato, ma lo schiocco di un rametto spezzato
sotto i miei piedi, mi riportò alla realtà.
Tenzin prese la foglia dalle mie mani e raccolse una pietra: "Vedi le
nostre forme sono diversissime, le nostre cellule sono simili, ma
biochimicamente siamo identici. E' la forma che cambia e che occupa
uno spazio, se tu fossi in grado di dilatare la percezione delle cose o
degli esseri viventi, ti apparirebbero come un universo in cui tutto si
replica identico a se stesso. Il nucleo della materia è identico sia per la
pietra che per la foglia come per te. Nell'infinitesimamente piccolo,
come nel macroscopicamente grande, la base è la stessa, la puoi
scomporre o comporre come ti pare, il nome sarà sempre lo stesso:
energia. In antichità era un qualcosa di magico, oggi è qualcosa di
divino, il succo non cambia.
Lo sciamanesimo è una forma di religione in cui si includono culti di
diversi fenomeni naturali come animali, piante, pietre, vento esseri e
forze. Naturalmente lo sciamanesimo nasce in un periodo in cui l'uomo
e l'ambiente naturale erano in stretto contatto fra di loro. Lo sciamano
aveva una capacità di previsione relazionata alla penetrazione da parte
di una mente più avanzata nei segreti dello spazio e del tempo. A lui
era data la capacità di guarigione tramite invo-cazioni destinate ad
interagire con le forze naturali di cui possedeva il segreto. Gli sciamani
penetrano i misteri di spazio e tempo e i loro riti erano necessari ad
aiutare gli altri nel superamento del dolore e della sof-ferenza. Loro
sono in grado di raggiungere i più elevati livelli di coscienza. Gli
sciamani, in antichità, erano i capi religiosi, coordinatori dell'ordine
pubblico e di unificazione del sociale con lo spirituale. A loro era
consegnata la protezione degli altri esseri e la possibilità di penetrare i
segreti del "cielo" con cui erano i mezzi di contatto per il servizio
all'altro, un altro che tu ora, hai compreso, non è per nulla diverso da
un "se stesso". Ma da dove giungono i loro riti? La divinizzazione del
fuoco che sai bene essere energia? Chi organizza la vita e la natura?
Non vedi che è tutto perfetto? Chi ordina quel piccolo segnale elettrico
che accompagna la manifestazione? Non delle coscienze, ma la
Coscienza che agisce come un disegno intelligente e autoorganizzante. Ogni cosa si "auto-organizza" e tende all'auto
organizzazione. Puoi credere che esista il caos o sarebbe meglio che tu
75
TASHI DELEK
pensassi ad esso come ad un qualcosa di non ancora auto organizzato
che si sta organizzando?.
Ora ti lascio, non voglio farmi vedere al villaggio. Se vorrai pensare a
quanto ci siamo detti, fallo, ma fallo con l'occhio della mosca, ovvero a
360°, riconoscendo al parziale il suo lato opposto e viceversa. Un
inchino a te sorella carissima."
Confusa, ero assolutamente confusa, il primo istinto di fronte a quella
mole di informazioni era di abbandonare tutto. Un senso di impotenza,
di incapacità di comprensione, di mancata elaborazione dei dati, mi
prese e mi gettò nella prostrazione.
Giovanna, mi venne incontro preoccupata: "Dove sei stata? Ti abbiamo
cercato tutto il giorno, ci farai morire con tutte le tue fughe!"
La superai senza rispondere, mi tolsi le scarpe sulla soglia della casa e
mi diressi in camera mia muta, senza salutare, fra gli sguardi
preoccupati ed affettuosi degli altri, ma avevo solo bisogno di dormire,
di isolarmi. Ogni cosa, ogni persona, avrebbe avuto un peso diverso,
avrebbe meritato una maggiore attenzione.
Stava crollando tutto quello che avevo costruito in venti anni di vita,
ma ero giovane e avrei avuto il tempo di crescere ancora.
76
TASHI DELEK
XXI
In Tibet esiste una religione più antica del buddhismo che ancora,
seppur in modo minore, sopravvive. I culti più antichi, rintracciabili,
raccontano di quella che è chiamata "la religione dell'uomo" che si fa
risalire a circa 18.000 anni fa. La leggenda raccontata dai Bon-po,
precursori del buddhismo tibetano; narra che il fondatore del Bon fu
Shenrab-ni-bo (sacerdote-uomo eccellente), ma è già una leggenda,
così come raccontata, del tardo Bon che si può collocare intorno al XII
secolo.
Le scarse tracce ci conducono tuttavia a determinare diversi tipi di Bon
precedenti al XII secolo e costituiti da un insieme non organizzato di
indovini, esorcisti, maghi e ritualisti. Ancora oggi sono visibili delle
costruzioni, tipo impalcature, che servono a catturare i demoni per
renderli inoffensivi e, contemporaneamente, permetterebbero allo
sciamano insieme al suo tamburo, di salire al cielo dove poter raccogliere
i consigli per proteggere i capi clan, curare le malattie, guidare i morti
nell'aldilà e compiere esorcismi.
Come ho scritto il Bon è una delle religioni che ancora sopravvivono in
Tibet ed è stata riconosciuta dal Dalai Lama come la quinta religione.
La mitologia racconta che i Bom-po provengono da una regione chiamata
Lungring Olmo che sarebbe la "terra del non ancora nato" (OL= non nato
MO= senza spazio). In questo luogo vivevano in antichità tre fratelli che
sotto la guida del sapiente Bumtri Logi avevano studiato le dottrine Bon.
77
TASHI DELEK
Il luogo in cui vivevano era un paradiso, chiamato "Sipa" da cui potevano
osservare il "mondo vivente". Impietositi dalla miseria, il dolore e la
sofferenza del "mondo vivente", i tre fratelli chiesero a Bumtri come
poter alleviare simili miserie. Bumtri fece loro la proposta di diventare, in
epoche successive, i "capi" dell'umanità. Il più vecchio dei tre fratelli si
occupò quindi dell'era passata, il secondo dell'era in corso ed il terzo si
occuperà dell'era a venire.
Shenrab, il secondo fratello, scese quindi 18.000 anni fa sotto forma di
uccello dal piumaggio variopinto, nascendo nel palazzo del Barpo Sogye
a sud del Monte Yungdrung Gutseg , in forma di principe. La storia che si
racconta in seguito è quasi del tutto simile alla storia del principe
Siddharta, ovvero il Buddha. Molto interessante è la leggenda che
descrive il monte Yungdrung Gutseg che si erge al centro della mitica
regione del Lungring Olmo, ovvero del mai nato e fuori dallo spazio (non
tempo, non spazio). Il monte sarebbe una piramide a nove svastiche alla
cui base scorrerebbero, nelle quattro direzioni, quattro fiumi. La
montagna è circondata da templi, città e parchi e a sud si troverebbe la
città in cui è nato Shenrab. A ovest e a nord sono collocati i palazzi dove
vivono le mogli e i figli e sono considerati luoghi di preghiera. Esistono
poi una regione interna, una intermedia ed una esterna, il tutto
circondato da un oceano e da altissime montagne innevate. Il tutto
ovviamente ricorda la mitica regione di Zhambala che spesso viene a sua
volta identificata col monte Kailash. Di cosa sia collocato ad est, non si fa
cenno, ma colpisce il ripetersi del numero tre: tre fratelli, tre luoghi e il
ripetersi dei suoi multipli; dodici città. Personalmente credo che il quarto
essere potrebbe venire rappresentato
da Bumtri il saggio e, il quarto luogo,
dal non luogo.
Di Shenrab si racconta che decise
successivamente di rinascere in un
paese occidentale, probabilmente
l'Iran. Un raggio di luce bianca in
forma di freccia penetrò il cranio del
suo padre umano, mentre un raggio
di luce rossa entrò nella testa di sua
madre. In queste due immagini: il
raggio a forma di freccia bianco e la
testa della madre colpita da un
raggio rosso e divenuta tutta rossa,
si
può
cogliere
una
analogia
impressionante con lo spermatozoo
e la cellula uovo, ma non esistono
78
TASHI DELEK
certezze a questo proposito. L'apparire di Shenrab, nel mondo dei
viventi, fu un'esplosione di colori come un arcobaleno rappresentato
graficamente da un uccello dai cinque colori: bianco, rosso, giallo,
verde e blu.
Shenrab, una volta raggiunta la terra, fronteggiò il principe dei demoni;
perseguitò e dominò, grazie ai suoi poteri magici, tutti i demoni che
riuscì a trovare e questi, in segno di sottomissione, gli consegnarono
gli oggetti e le formule che contenevano l’essenza dei loro poteri.
Quindi, i demoni si convertirono in guardiani della dottrina e delle
tecniche del Bon, il che equivale a dire che Shenrab rivelò ai bon-po le
preghiere che avrebbero dovuto dirigere agli dèi e i mezzi magici per
esorcizzare i demoni. Dopo aver instaurato il Bon in Tibet e Cina,
Shenrab si ritirò dal mondo, si diede alle pratiche ascetiche e, come il
Buddha, raggiunse il nirvana.
Inutile sottolineare la quantità di analogie fra la tarda dottrina Bon e il
buddhismo tibetano. Inutile dire che il buddhismo tibetano è il
sincretismo di diverse religioni che si sono incontrate, fuse e perfezionate
in centro Asia nei secoli, in particolar modo il Tibet è stato crocevia di
induismo, buddhismo, islamismo, cattolicesimo che si sono fusi e
mischiati ad una pratica più antica, quella dello sciamanesimo conosciuta
come "Religione dell'uomo". Un uomo ancora in profondo contatto con la
natura e le sue forze, un uomo stupito e catturato dalla "magia" degli
elementi e della forza, un uomo che sapeva dare un valore all'energia
Prima, presente in ogni luogo ed in ogni tempo in cui la vita si manifesta
per percorrere uno stato di "non quiete" quindi di moto che conduce ad
aspirare alla pace e al perfezionamento non dell'esistente, ma
dell'esistito.
79
TASHI DELEK
XXII
"Il fuoco è sempre vivo, in continuo movimento; è in ogni momento diverso dal
momento precedente, ma allo stesso tempo sempre uguale a sé stesso"
"Nello stesso fiume scendiamo e non scendiamo"
"Siamo e non siamo"
L'unità dei contrari del pensiero di Eraclito aveva fatto riflettere menti più
grandi della mia. Guardando il fuoco che ardeva nel camino, vidi che le
fiamme erano diverse ma sempre uguali a se stesse, così come l'acqua di
un fiume è sempre acqua, ma se ci immergiamo in esso, non sarà mai la
stessa acqua a bagnarci. Anche l'umanità è costituita da uomini, come le
fiamme sono parte del fuoco e un insieme di gocce d'acqua possono
formare un fiume che scorre ma di acqua diversa. Nel mondo del divenire
tutto scorre e muta anche se è solo l'apparenza. L'origine, invece, che
genera l'apparire, sembrerebbe sempre la stessa: le fiamme
rappresentano il fuoco, le gocce d'acqua, l'acqua e l'uomo, l'umanità. Il
termine "arché" che non avevo ben compreso, iniziava a diventarmi
famigliare come forza prima da cui tutto si genera e a cui tutto ritorna,
inizio e fine, costruzione e distruzione, origine e principio così come fine
e dissoluzione. Cosa era che stabiliva, che aveva stabilito che il principio
fosse quello e la fine fosse quell'altra? Chi aveva impresso l'ordine, il
ritmo del procedere delle cose e della vita? Perché da un certo punto in
poi, riconosciamo la nostra appartenenza ad un genere, nel nostro caso
quello umano? Una mano invisibile sembrava guidare le cose portandole
80
TASHI DELEK
ad auto organizzarsi stabilendone l'appartenenza. Mi sembrò di
individuare quella mano invisibile nella coscienza, ma non era ancora
sufficiente, poiché ogni cosa, come il fuoco e l'acqua erano organizzate,
ma probabilmente non sapevano di esserlo, mentre l'uomo, la mente
dell'uomo, raggiunge sempre un auto consapevolezza che è il
riconoscimento della propria esistenza.
Siamo individui, siamo persone diverse e distinte, abbiamo un nostro
pensiero, ma il comprendere ciò che noi siamo intimamente implica uno
sviluppo di una identità che non è solo consapevolezza in quanto nella
ricerca del "noi stessi" è necessario che la coscienza riconosca se stessa,
dando vita ad un nucleo, su cui costruiremo la nostra personalità.
Nel buddhismo la coscienza è colei che ci fornisce la possibilità di
conoscere distintamente l'identità oggettiva di tutti i fenomeni; è,
insomma, la conoscenza degli aspetti. Attraverso la coscienza abbiamo la
facoltà di conoscere le forme, i suoni, gli odori, i fenomeni tangibili e tutti
i fenomeni sensoriali inclusi quelli mentali che appartengono a degli
"aggregati". Anche la coscienza è un aggregato ed è divisa in diversi altri
aggregati o coscienze che in tutto sono sei: cinque sensoriali e una
mentale ciascuna provvista di una sua base interna che si esplica nei
sensi dandoci la possibilità di cogliere un oggetto esterno o interno che
sia. La coscienza principale (citta in sanscrito, sems in tibetano) è la
mente che è sempre accompagnata dai "fattori" mentali. La coscienza,
per il buddhismo, raccoglie i caratteri generali degli oggetti, mentre i
fattori mentali colgono i caratteri specifici dell'oggetto. E' come se la
coscienza principale disegnasse uno schizzo e i fattori della coscienza, lo
riempissero colorandolo.
La coscienza mentale, fisicamente
non esiste, ma per il buddhismo è
solo un attimo, un momento di
precedente coscienza, un punto
collocato su di una enorme sfera
fatta di miliardi e miliardi di punti
che contiene il tutto manifesto e a
cui ci colleghiamo nascendo, a cui,
potremmo giungere solo tramite la
consapevolezza del nostro intimo
nucleo di identità e di appartenenza.
Non condivido totalmente il pensiero
buddhista. Non spiega cosa sia quell'attimo di coscienza precedente che
ne forma un'altra. Sicuramente è
81
TASHI DELEK
utile per comprendere che la coscienza è un "attimo" e quindi trova la
sua collocazione in spazio e tempo, così come l'arché, ma lo spazio e il
tempo regolano un divenire che non può provenire solo dal suo contrario
e viceversa. Essere o non essere fanno parte di un'unica sostanza che si
esplica, ma , solo nella materia. La materia non è Tutto, ma solo un
qualcosa: il mondo dei viventi ed anche dei morti perché sia l'uno che
l'altro sono manifestazioni colte dai sensi e dalla mente, così come dalla
coscienza e dall'auto consapevolezza. Così come il pensiero altro non è
che un prodotto della mente che è un prodotto della materia in un
processo continuo di formazione di idee, di concetti di immaginazione, di
desideri, di giudizi, di ogni raffigurazione che appartiene al mondo
manifesto sia che il processo sia conscio o inconscio. Ma qui, in questo
mondo fatto di confronti continui noi lo manifestiamo e, a noi, è data la
possibilità di comprendere non solo ciò che ci circonda, ma quello che ci
fa sentire distinti, diversi seppur uguali e che infine potrebbe portare a
concludere che "Tu sei me, io sono te, noi siamo Dio."
82
TASHI DELEK
XXIII
Una mattina in cui il freddo
era più che pungente,
partimmo per andare ad
incontrare
lo
"sciamano
veggente".
Era
stato
difficile
ottenere
l'indicazione del luogo in cui
l'uomo viveva in solitudine,
accudito sol-tanto da un
servitore.
Non
eravamo
nemmeno
certi
che
ci
accogliesse ma Fosco era
intenzionatissimo
ad
incontrarlo ed in cuor suo
sperava di poter anche
assistere ad una sua trance.
Mi ripromisi di sospendere
ogni forma di critica, ma mi
accorsi che avevo una
paura ingiustificata.
Lo sciamano veggente era
un uomo in grado di leggere
il futuro, che non sapeva
leggere la scrittura, ma
sapeva leggere gli astri.
Viveva in una piccola casa in
cui vi era anche il suo
tempio, isolata totalmente dal resto del villaggio. L'isolamento in cui
viveva era essenziale; i lama o i sacerdoti dovevano stargli distanti così
come tutte le persone. Ammetteva solo la presenza di un servitore che lo
avrebbe accudito per tutta la vita condividendo con lui ogni cosa.
Giunti sul luogo ci venne incontro il servitore, un uomo piccolo, buffo e
sporco che ci intimò di non avvicinarci e di tornare indietro. Fosco si
fermò chiedendo a tutti noi, meno che all'interprete, di allontanarci di
qualche metro. Iniziò quindi una trattativa serrata ed insistente che non
ebbe buon esito ma Fosco era l'uomo più caparbio del mondo, si girò
verso di noi e ci ordinò di poggiare le attrezzature e di sederci per terra:
saremmo stati li fino a quando non ci avesse accolti. Sbuffai scoc83
TASHI DELEK
ciatissima e urlai verso l'indirizzo del servitore: "Brutto nano malefico".
Lui si girò e mi mostro la lingua, dopo di che si rifugiò nella catapecchia
tempio. Le ore passavano ed intanto osservavo il luogo. Quella specie di
casa era circondata da un misero pezzo di terra che definirlo giardino è
un po troppo in quanto era una sorta di pollaio con tantissimi galli, di
galline nemmeno l'ombra. Poi vi erano altri animali. Fosco mi disse
sogghignando: "Tutti maschi, le femmine non sono ammesse!". Giovanna, Vania ed io ci guardammo perplesse e quasi contemporaneamente, ci venne spontaneo dire: "Allora, che ci facciamo qui?".
Giorgio rispose con una vena ironica di maschilismo: "Osservate, ma da
distante!".
Faceva freddo e la mia pazienza si era esaurita già da un bel pezzo
quando il servitore ci raggiunse e ci disse che potevano entrare, ma solo
gli uomini; si girò verso di me e mi mostrò nuovamente la lingua, il mio
braccio si sollevò, ma Giorgio mi si parò davanti beccandosi il pugno che
mi era partito involontariamente. Vania e Giovanna mi presero
sottobraccio e mi dissero che saremmo andate a cercare un luogo per
fare pipì.
Fosco ci raccontò che il sacro veggente era un uomo all'apparenza
normale, con una spiritualità elevatissima, ma molto chiuso in se stesso.
Di lui si diceva che fosse posseduto dai demoni, ma nel vederlo non si
sarebbe proprio detto. Gran parte della giornata la trascorreva svolgendo
pratiche segrete a cui nessuno poteva assistere, poi, svolte le pratiche,
veniva preso da forze non umane.
Il nostro gruppo "maschile" ebbe la possibilità di assistere al rito finale
che consisteva in una una serie di rituali, danze e offerte. Alla fine lo
sciamano veggente si metteva in testa un elmo completamente in oro
del peso di circa 30 chili e dopo essersi inchinato di fronte a delle
immagini sacre, uscì dalla sua abitazione-tempio, correndo verso il
villaggio. Fu li che, noi donne, lo vedemmo. Sembrava non essere in sé,
correva e gridava e tutti gli altri dietro ad inseguirlo.
Arrivò in mezzo alla piazza del villaggio, a gente lasciava il vuoto intorno
a lui poiché credeva che in quel momento si manifestasse un vero spirito
maligno, ma era una trance. All'improvviso si calmò e si sedette e subito
dopo iniziò a danzare freneticamente, cominciò a tremare e a cambiare
colore in viso diventando prima giallastro e poi grigio ed infine rosso
come il sangue. A questo punto, i presenti nella piazza, si inchinarono
tutti. Nello stesso momento gli venne una crisi epilettica. I monaci ci
tenevano tutti a distanza aspettando che si risvegliasse, cosa che
avvenne dopo qualche minuto.
Quando tutto ritornò tranquillo Fosco si avvicinò a lui e parlarono come
se nulla fosse, ma il viso di Fosco mutò d'espressione, da sorridente
84
TASHI DELEK
divenne triste, rimanendo pensieroso per tutto il viaggio di ritorno. Non ci
disse cosa si erano detti, ma ci informò che gli aveva parlato di una sua
intima problematica, di fatti di cui solo lui era a conoscenza e che lo
avevano sempre tormentato. Gli lesse praticamente la vita passata e
futura. Gli parlò anche di distruzione e di qualcosa di terribile che
sarebbe accaduto dopo gli anni 80, ma non ci volle dire nulla di più.
Chiaramente mi vennero mille domande di cui la principale era come un
uomo che viveva isolato dal mondo, in totale solitudine, analfabeta e
senza alcuna conoscenza di fatti politici e sociali distanti migliaia di
chilometri da lui, potesse fare previsioni di cose e fatti che nemmeno
conosceva. Un intrigo interessante, difficile da spiegare anche da chi si
occupava di antropologia dei popoli tibetani e che ancora oggi non ha
trovato risposta, pur sapendo che i fatti predetti si sono regolarmente
svolti.
Forse le superstizioni meriterebbero uno studio a parte, forse abbiamo
perso per davvero un legame segreto con le cose, con quello spirito che
è in tutte le cose e che permette di cogliere l'essenza, qualunque ne sia
la forma manifesta.
85
TASHI DELEK
XXIV
Fosco avrebbe voluto restare per poter ancora interrogare lo Sciamano
Veggente, ma gli fu fatto chiaramente capire che il tempo a nostra
disposizione era terminato. Riaccompagnammo per un tratto di strada
lo Sciamano ed il suo servitore e poi ci salutammo. Giorgio mi si
avvicinò dicendomi di non reagire di fronte al "saluto linguaccia" ed
anzi che avrei dovuto esserne onorata. Infatti mi disse che si trattava
di una usanza ormai del tutto scomparsa dal costume tibetano, ma in
quel luogo distante da tutto, alla fine degli anni 70, mostrare la lingua
era una forma di riconoscimento verso una persona che si riteneva di
rango socialmente superiore.
Scoppiai a ridere e gli accarezzai il volto nel punto che avevo colpito col
mio pugno, sussurrandogli che mi dispiaceva tanto, ma che ero troppo
ignorante e che avevo frainteso il gesto del "brutto nano malefico".
Giorgio si prese tutta la coccola e con fare fintamente altezzoso mi disse:
" Mia signora, sei perdonata, ma per punizione dovrai darmi quel pane e
formaggio che ti è avanzato". Borbottai che la sua fame era sterminata
ed incontenibile ma gli passai volentieri il cartoccio che, nel giro di un
minuto, mi venne restituito vuoto.
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Durante il viaggio di ritorno i miei pensieri si accavallavano. Mi venne
istintivo il bisogno di fare un riassunto di ciò che avevo appreso in quei
mesi in Tibet.
I massimi leader del Tibet erano stati il Dalai Lama e il Panchen Lama che
era (è / dovrebbe) essere il Maestro del Dalai Lama. In realtà emergeva
una rivalità, seppur nascosta, determinata dal differente orientamento
politico delle due figure e che la si poteva considerare come la causa
prima delle intromissioni straniere in Tibet. Intromissioni che hanno
determinato in passato, la fuga del Dalai Lama in India e l'attuale
situazione. Infatti il XIII Dalai Lama, ormai defunto, era filo inglese,
mentre il Panchen Lama, della stessa epoca, filo cinese ed anche filo
tedesco. Per meglio comprendere la situazione sociale politica del Tibet
fino agli anni 40 bisogna partire da una situazione geografica che vede la
collocazione del Tibet nel più grande altopiano di tutta la Terra.
La Russia e L'Inghilterra, che già sono insediate a nord, ad est e a sud
(India), iniziano a temere, negli anni 30, che vi possa essere una possibile
unione fra la cultura millenaria del centro Tibet, con la civilizzazione e
l'industrializzazione di altri paesi. Nel nord del Tibet vi fu l'imperialismo
sovietico che ha tentato di sostituire l'antica cultura asiatica con il loro
modello di vita. All'est del Tibet l'imperialismo britannico irruppe senza
tante storie così come nel sud; sempre i britannici introdussero un nuovo
governo insieme a nuovi, ed allora sconosciuti, sistemi economici. Solo la
parte centrale del Tibet rimase intatta grazie alla configurazione naturale
che la rendeva una terra impraticabile e proibita. Sopravviveva, quindi,
uno stato di tipo medievale e una cultura particolare che gli abitanti del
centro Tibet cercarono di tutelare e conservare contro tutti gli influssi di
tipo esterno. Prima degli anni 40 pochissimi esploratori poterono
raggiungere il centro del Tibet; le leggi della gente, il loro modo di vivere
e persino la fauna e la flora rimasero inesplorate fino al 1937. Ai piedi
dell 'Himalaya tutto diventa selvaggio e più ti spingi in alto sulle
montagne, più tutto finisce. La vegetazione diventa rada e la vita lascia il
posto agli dei e ai demoni. La divinità dominante che siede sul trono del
Tibet è Mahakala, divinità guerriera che ha dato origine ad un popolo di
guerrieri, i tibetani per l'appunto. Mahakala è il dio più temuto, è il dio
della montagna che viene festeggiato con danze regali una volta
all'anno. Una antichissima leggenda racconta che quando il grande dio
della montagna sposò sua figlia con un vassallo, le diede come regalo di
nozze un animale sacro. Una maledizione degli dei graverà su chiunque
tenti di svelare il segreto di questo essere animale sconosciuto.
Nel VII secolo d.C. Il Buddhismo indiano invase il Tibet mischiandosi con
la fede tibetana e i demoni. Il Lamaismo fondò quindi la capitale della
nuova religione a Lhasa onorando il Dalai Lama e il Panchen Lama come
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dei in terra. Su una rocca si trova, ancora visibile la casa dei primi
tibetani che secondo la leggenda nacquero da un incrocio fra una
scimmia e una megera. Si racconta anche che solo i sacerdoti "dei"
possono avvicinare nei luoghi sacri gli dei e i demoni. La casa dei primi
tibetani è ritenuta un luogo sacro e non è quindi frequentabile dai
profani, in quanto i demoni sono assoggettabili solo dalla volontà e dalle
conoscenze di un "mago" sacro.
Un culto impressionante è il culto dei morti che va oltre ogni
immaginazione occidentale per quanto è lugubre. I cadaveri vengono
posti su un campo sacro in cui vengono accesi dei fuochi sacri da cui
salgono i fumi dell'offerta agli dei. I resti terreni del corpo del defunto
vengono distrutti in modo minuzioso perché distruggendo tutto ciò che è
stato della materia, lo spirito si libera per poi ricollocarsi nuovamente in
un altro corpo. All'opera di distruzione contribuiscono gli avvoltoi "sacri"
che si cibano delle carni appositamente smembrate e delle ossa
frantumate. A tutto questo rito presiede un sacerdote, un lama, che con
le sue forze magiche accompagna lo spirito del morto verso la rinascita,
aiutandolo a superare le molteplici visioni demoniache che il disincarnato
incontrerà nel suo percorso nell'aldilà, facendogli superare la paura.
Le immagini spaventose nei templi, le maschere orrifiche indossate dagli
sciamani, contribuiscono, in vita, ad abituare l'uomo alle visioni che
incontrerà dopo morto. Sono migliaia le forze maligne che, per questa
cultura, minacciano e accompagnano e opprimono la vita terrestre
dell'uomo in tutte le sue fasi e quindi anche nel passaggio da una vita
all'altra, fino a che non avverrà la liberazione nel Nirvana. Solo i lama,
possono aiutare le persone a compiere questi viaggi e solo grazie a
questo dominano sulle persone che temendo i demoni conferiscono di
fatto potere a chi li aiuterà nella liberazione. Così, per apprendere le
tecniche ed avere sostentamento, quasi un terzo della popolazione viene
allevata nei monasteri, anche se solo pochi si assumeranno il dovere di
restare lama per tutta la vita.
La vita nel monastero non è semplice, inizia la mattina presto con il
richiamo del "battere della trave" che invita tutti allo svolgimento dei
compiti quotidiani. La campana della cappella lamaica batte
ritmicamente per richiamare gli dei per la cerimonia del giorno ed inizia il
mormorio monotono dei monaci che pregano in continuazione. La
cerimonia viene interrotta solo dalle due pause per il the.
I giovani monaci entrano in monastero intorno agli 8-10 anni e dopo
qualche anno imparano a trarre medicine dalle erbe. Alcuni in seguito
vengono addetti alla riproduzione delle opere sacre buddhiste costituite
da 108 volumi. Appare quindi evidente che la cultura tibetana e la sua
trasmissione è legata soprattutto ai monasteri.
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Oltre Lhasa, vi è un posto altrettanto se non di pari interesse: Shigatse.
A Shigatse si tiene una festa particolare che resta come testimonianza
dell'antico spirito guerriero. A Shigatse fu anche costituito il primo
esercito tibetano che veniva però addestrato in India.
Con questo riassunto ho voluto far presente che, molto spesso si
attribuisce alla Cina la distruzione di una cultura, ma che in realtà il Tibet
è stato conteso anche da Russia e Inghilterra. Ho voluto sottolineare che
la religione tibetana è un misto di antiche religioni magiche e di
buddhismo proveniente dall'India che a sua volta origina dall'induismo.
Ho voluto segnalare la posizione strategica del Tibet che è collocato nel
più grande altopiano al mondo e ho voluto indicare che è necessario, per
comprendere questa dottrina, andare oltre le forme romantiche della
New Age che ben poco hanno compreso se non il gusto esotico di un
mistero creato dagli uomini per gli uomini.
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XXV
Venne il tempo di ritornare. Mi aspettava una casa e una famiglia
troppo gelida e distante da me, dal mio modo di essere o forse, non mi
aspettava affatto. Sapevo che avrei continuato con i miei studi e le
ricerche, in un gruppo molto particolare, a cui appartenevo da sempre.
Non avevo più visto Tenzin e così, dopo aver regalato tutto quello che
avevo usato come abbigliamento a Garima perché lo distribuisse, le
chiesi dove avessi potuto trovare Tenzin. Lei mi guardò con dolcezza e mi
indicò la casa vecchia vicino al monastero, mi disse che il vecchio lama
abitava in quel luogo da sempre e li lo avrei trovato. Pensai fra me e me
che chiamare Tenzin "vecchio lama" era un poco eccessivo, ma non ci
feci più di tanto caso. Avevo ancora un giorno a disposizione, così decisi
di andare a trovarlo da sola; chiesi il permesso a Fosco di allontanarmi
per il pomeriggio e lui, fatte le solite raccomandazioni, mi lasciò libera di
andare.
Arrivai alla vecchia casa e mi fermai ad ascoltare, sulla soglia, il
monotono ripetersi delle preghiere. La porta in legno era quasi cadente
ed essendo solo accostata la spinsi lentamente. Il luogo era buio, dalla
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porta entrava un raggio di luce del sole che colpiva un pavimento fatto di
terra battuta. La poca mobilia era grezza e scarna: un tavolaccio di legno,
un pagliericcio, una sedia e pochissime altre cose ad arredare un luogo
che ricordava una povertà che non poteva appartenere a Tenzin. In un
angolo, il più buio forse, seduto su un tappeto, con le gambe incrociate e
un aksamala fra le mani, un uomo molto anziano pregava e non smise
nemmeno un attimo quando mi vide, continuando come se non esistessi.
Mi sedetti per terra anche io, aspettando che terminasse e mi rivolgesse
la parola, cosa che fece al termine delle sue orazioni. Non comprendevo
bene la lingua del luogo ed iniziai a pensare che forse avevo sbagliato
casa, ma azzardai lo stesso chiedendo dove fosse il lama Tenzin. Il
vecchio sorrise mostrandomi una dentatura imperfetta e nera dicendomi
di essere lui Tenzin. Rimasi interdetta imputando ad una cattiva
conoscenza della lingua, l'incapacità di capire ciò che mi stava dicendo.
Pensai che Tenzin fosse uscito e così, andai all'esterno dell'abitazione per
aspettarlo e per permettere al monaco anziano di continuare le sue
orazioni. Ma le ore passavano e di lui nemmeno l'ombra, così mesta e
anche un poco innervosita, tornai dal gruppo che già mi stava
aspettando per la cena.
Tutti, quella sera, eravamo più silenziosi del solito; un misto di tristezza e
di voglia di ritornare alle proprie abitudini facevano si che i discorsi si
mischiassero. Le donne parlavano di estetista e parrucchiere, gli uomini,
più sfacciatamente, facevano capire che gli mancava la donna italica con
le sue corte gonne e il suo odore. Qualcuno iniziò a dire: "Vi ricordate di
quella volta che..." e a far battute, battute che, presto, si trasformarono
in barzellette. Poi venne la promessa del non perdersi mai più di
contatto, che ci saremmo sentiti tutti i giorni anche se abitavamo in città
diverse, che ci saremmo ritrovati periodicamente e che ognuno di noi
avrebbe pensato all'altro in caso di successiva spedizione alla scoperta di
usi e costumi di altri popoli. Prima di ritirarci per la notte, mi venne da
domandare se Tenzin fosse un vecchio o un giovane; Sotiris, il medico mi
guardò preoccupato e mi chiese che razza di domanda fosse quella.
Ancora sull'onda delle barzellette mi avvicinò e mettendomi la mano
sulla fronte e poi prendendomi il polso, con modo di fare ridanciano,
disse: "Ce la siamo giocata, deve avere la febbre altissima". Scrollai il
braccio dalla presa e nervosa dissi che era una domanda seria: "Tenzin è
vecchio o è giovane?" In coro mi risposero che era vecchio, un vecchio
lama che nemmeno parlava il dialetto del luogo, che ogni tanto ci veniva
a trovare, ma che aveva comportamenti strani. Viveva in una casupola
fuori dal monastero poiché non seguiva nemmeno i ritmi e i rituali dei
suoi colleghi monaci.
Non era possibile, non era possibile, con chi avevo parlato io? Chi era
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quel giovane che mi spiegava cose meravigliose in perfetto italiano? Chi
era colui che mi aveva detto di essere un Lhoan?
"Elena, ci siamo persi qualcosa?" Chiese Fosco.
Perplessa, confusa, amareggiata, avvolta in pensieri vorticosi, trovai in
un secondo la risposta, la solita risposta: avevo confuso due realtà, ma
questa volta era stato diverso, non me ne ero accorta.
Salutai tutti e andai a dormire, augurando la buona notte e senza
rispondere a Fosco.
Il sonno fu tormentato e mi svegliai molte volte, riuscendo a dormire solo
due o tre ore.
All'alba ci svegliammo e dopo aver fatto colazione, raccogliemmo le
nostre cose, pronti a partire. Un ultimo sguardo alla stanza che mi aveva
ospitato in quei sei mesi. La scrivania vuota, il letto disfatto e ripiegato.
Sul comodino un involucro bianco e setoso, probabilmente avevo
dimenticato qualcosa. Mi avvicinai per controllare. Era una kata piegata
su se stessa, una kata bianca al cui interno vi erano due pietre una grigia
e l'altra nera su cui era incisa una shakti e poi una busta con su scritto
"Tenzin".
La aprii e una bella scrittura tonda mi portava i saluti di Tenzin. C'era
scritto: "Portali con te, portali sempre con te, sarà come essere sempre,
per sempre, insieme. Non dimenticare mai che noi siamo la stessa cosa,
ciò che cambia è il modo in cui ci manifestiamo e prendiamo vita. Io
parlerò tramite te e tu lo farai tramite me. Non importa il nome che mi
darai; posso essere Tenzin, Arturo, Elena o la bizzarra, l'importante è la
scoperta della vita e delle sue molteplici sfaccettature quasi
impercettibili. Molti non capiranno ciò che vorrai dire, cerca di avere
pazienza, modera la tua aggressività. So che non ti sarà facile, non lo è
nemmeno per me, ma tu fanne un proposito ogni volta, l'intento e la
volontà sono sopra ad ogni altra cosa. Non c'è amore senza intenzione,
non c'è volontà senza amore."
Piangevo a dirotto, ripiegai la lettera e avvolsi le due pietre nella kata
mettendo il tutto nel mio seno, al caldo, vicino al cuore. Andai via senza
guardare più nulla, la mia vita che fosse li o altrove era la mia vita e ne
avrei avuto per sempre rispetto.
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Conclusioni e spiegazione
Fino dall'età di 4 anni, in seguito ad una vicenda non chiara a cui fece
seguito un lungo ricovero in ospedale, ho fatto parte di gruppi di
ricerca sugli "stati alterati di coscienza", prima ovviamente come
soggetto di studio e poi come ricercatrice. Oggi non rappresenta più la
mia attività principale. Sconvolta da un mondo che non ricerca in
questo campo con la serietà dovuta, ho lentamente abbandonato il
campo della ricerca pubblica, continuando a ricercare in privato e a
titolo personale. Questa attività mi ha messo in contatto con molte
persone e molte realtà delle più disparate che è inutile spiegare. Molte,
tuttavia, si sono rivelate interessanti e degne di nota, ma la maggior
parte sono offensive per l'intelligenza umana in cui io credo. La mia
posizione al riguardo dell'ambiente parapsicologico e "ufologico" non
rientra in una posizione comune, perché la ritengo una posizione
conflittuale. Non sono assolutamente avvezza a prendere tutto per oro
colato, anzi la mia critica alle volte è delle più feroci, ma non posso
negare che esistano cose che vanno oltre quel reale che noi
consideriamo. Tutto è mistero, la scienza stessa è mistero, se
esistessero già tutte le risposte, non esisterebbero le domande e non
esisterebbe nemmeno chi se le pone in ambito scientifico. Ritengo gli
scienziati, quelli veri, indagatori del mistero, se così non fosse
sarebbero, come il più delle volte succede, dei sacerdoti della religione
scienza.
Vi ringrazio per avermi seguita e giuro: non sono né pericolosa, né pazza,
anche se mi piacerebbe tantissimo :)
Elena
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