quaderni di medicina del lavoro ergonomia e

QUADERNI DI MEDICINA DEL LAVORO
ERGONOMIA E TERAPIA OCCUPAZIONALE

Direttore
Marcello I
Università degli Studi di Pavia
Comitato scientifico
Pietro A
Università degli Studi di Brescia
Giacomo B
Istituto Scientifico di Riabilitazione Fondazione “Salvatore Maugeri”
Fabio B
Università degli Studi di Pavia
Carlo Francesco C
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Enrico P
Istituto Scientifico di Riabilitazione Fondazione “Salvatore Maugeri”
Gabriele P
Università degli Studi di Pavia
Alfredo R
Università degli Studi di Pavia
Marcello Imbriani, Umberto Maugeri
Elementi di Medicina del lavoro
II edizione
con la collaborazione di
Giuseppe Taino, Enrico Oddone
Hanno collaborato alla realizzazione del volume:
Luca Chiovato, Francesca Collino, Massimo Ferrari, Gianna Moscato.
Copyright © MMXIV
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
II edizione: febbraio 
QUADERNI DI MEDICINA DEL LAVORO
ERGONOMIA E TERAPIA OCCUPAZIONALE
I “Quaderni di Medicina del Lavoro, Ergonomia e Terapia occupazionale” vogliono portare un contributo, non solo per gli specialisti del
settore o di altre discipline, ma anche per il medico di base, affinché si
possa prestare costantemente attenzione alle possibili inferenze del
lavoro sulla salute dell’individuo. In questo modo si potrà agire su un
livello di prevenzione primaria attraverso mezzi tecnici sui fattori di
rischio e sull’organizzazione sociale–produttiva attraverso apposite
norme che devono rendere compatibili tra loro produzione e tutela
della salute. La complessità dei rapporti tra salute e lavoro ha reso
necessario lo sviluppo di competenze che hanno acquistato dignità di
specializzazioni afferenti all’area della Medicina del Lavoro (Igiene
Industriale, Psicologia del Lavoro, Epidemiologia).
All’interno della collana particolare rilievo sarà dato ad argomenti
di “Ergonomia”, disciplina intesa come metodologia di analisi e progettazione, che consente di costruire, gestire e migliorare situazioni
ed esperienze che influiscono sulla percezione delle persone riguardo la soddisfazione complessiva dei loro bisogni e desideri. Saranno
trattati inoltre, argomenti di “Terapia occupazionale”, una disciplina
riabilitativa che si occupa dell’apprendimento e del riapprendimento,
in condizioni patologiche, delle attività della vita quotidiana e che si
prefigge come obiettivo principale il massimo recupero dell’autonomia e dell’indipendenza, finalizzato al massimo grado di integrazione
familiare, sociale e lavorativa del soggetto disabile. Ulteriori interessi
della collana saranno i temi legati agli aspetti medico–legali, all’igiene
ambientale e all’economia sanitaria; l’importanza di quest’ultima nel
campo della Medicina del Lavoro è sempre più evidente.
Indice

Capitolo I
Rischi fisici
.. Rumore e patologia relativa,  – .. Ultrasuoni,  – .. Vibrazioni, 
– .. Illuminazione negli ambienti di lavoro,  – .. Videoterminali,  –
.. Radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti,  – .. Il lavoro fisico:
aspetti energetici, meccanici e termodinamici.,  – .. Modificazioni
della normale composizione e delle pressioni parziali dell’aria inspirata,
e loro effetti, .

Capitolo II
Rischi chimici
.. Inquinamento corpuscolato e rischio professionale,  – .. Comportamento dei corpuscoli nell’apparato respiratorio,  – .. Il rischio chimico aeriforme (Gas e Vapori),  – .. Cenni normativi e programmi
di sorveglianza, .

Capitolo III
Patologia sistemica professionale da agenti chimici
.. Patologia respiratoria professionali,  – .. Sistema Nervoso e
tossici industriali,  – .. Emopatie professionali,  – .. Dermatosi
professionali,  – .. Rene e tossici industriali,  – .. Neoplasie
occupazionali,  – .. Distruttori endocrini, .

Appendice

Bibliografia

Capitolo I
Rischi fisici
.. Rumore e patologia relativa
Tra i fattori di rischio professionale di tipo fisico il rumore è uno dei
più studiati. Esso è costituito da una oscillazione di compressione e
rarefazione dell’aria, che viene generata da un corpo in vibrazione
(sorgente) e che si trasmette in un mezzo elastico secondo un fronte
d’urto sferico.
Il rumore viene anche definito comunemente come un suono
fastidioso o molesto. Se valutiamo l’alto numero di persone che
lavorano in ambiente rumoroso, le esposizioni extra–professionali,
che talora appaiono francamente elevate, e i possibili effetti avversi
(uditivi ed extra–uditivi) correlati con tali esposizioni, possiamo
considerare il rumore nell’ambiente di vita e ancor più nell’ambiente
di lavoro un vero e proprio problema sociale.
Alcune grandezze fisiche permettono la caratterizzazione del
rumore e tra queste le più importanti sono l’intensità e la frequenza.
L’ intensità è in rapporto con la ampiezza dell’onda sonora, ovvero
la sua massima escursione, e può essere definita come la quantità
di energia vibratoria che si trasmette nel mezzo circostante alla
sorgente.
La frequenza è il numero di oscillazioni dell’onda sonora nell’unità
di tempo, essendo indicato come “periodo” il tempo necessario perché sia compiuta una oscillazione completa (la frequenza è l’inverso
del periodo) e come “lunghezza d’onda” l’intervallo compreso tra le
punte massime di due onde successive. Più alta è la frequenza, più la
tonalità risulterà acuta, mentre sarà più grave quanto minore diverrà
la frequenza. In casi eccezionali un rumore può essere a frequenza
unica e in tal caso si ha ciò che più precisamente viene definito come
suono puro. L’unità di misura della frequenza, considerata come


Elementi di Medicina del lavoro
numero di vibrazioni (variazioni pressorie) in un secondo, è l’Hertz
(Hz).
Le frequenze utilizzate nel parlare comune vanno dai  ai .
Hz e si indicano come limiti massimi per i quali vi è sensibilità
dell’orecchio umano i  e i . Hz. Livelli inferiori ai  Hz
caratterizzano gli infrasuoni mentre livelli superiori ai . Hz
gli ultrasuoni. Per la misura della ampiezza di un’onda sonora si
può ricorrere alla espressione della variazione pressoria massima
che impatta la membrana del timpano, tuttavia appare più agevole
impiegare una unità di misura relativa quale è il deciBel (dB).
In effetti l’orecchio umano ha una diversa sensibilità per le diverse frequenze, in altre parole, l’energia sonora necessaria alle basse
frequenze per fornire una iso–sensazione (sensazione standardizzabile come riferimento) è maggiore rispetto che alle alte frequenze,
così pure è variabile a seconda della frequenza la soglia minima di
udibilità. Ora, considerando la frequenza di riferimento di  Hz,
possiamo osservare che tra la soglia di udibilità e la soglia del dolore,
l’intensità sonora percepibile varia di circa mille miliardi di volte; da
qui deriva la difficoltà pratica nell’utilizzare una scala di misura sulla
base della intensità o della pressione sonora e la conseguente scelta
convenzionale di impiegare una scala logaritmica.
LPS (livello di pressione sonora) è pari al seguente prodotto:
 ∗ log P /P  , dove P è la pressione misurata (unità di misura: µPa),
P è la pressione di riferimento ( µPa), ovvero la minima pressione percepibile alla frequenza di  Hz da un gruppo di persone
giovani e sane. LIS (livello di intensità sonora) è pari al seguente
prodotto:  ∗ log I/I , dove I è l’intensità misurata (unità di misura:
W/m ), I è la intensità sonora di riferimento (la minima percepibile a . Hz da un gruppo di persone giovani e sane) e tale
prodotto rispetto al precedente, pur differendo in significato teorico,
risulta uguale come valore numerico. Questo prodotto è il deciBel
(dB) (=  ∗ log I/I =  ∗ log P/P ). Proprio in quanto nel prodotto
considerato si trova il logaritmo di un rapporto, a variazioni anche
modeste di tale unità di misura corrisponderanno variazioni notevoli
della grandezza misurata, cioè l’intensità sonora (in particolare un
aumento di  dB significa un raddoppio di intensità).
Un’altra nota rimarchevole interessa la scelta di considerare, per
la definizione della unità di misura dell’intensità, un livello standard,
. Rischi fisici

per cui a  dB si ha una pressione sonora di , dine/cm , che
rappresenta una intensità appena udibile dall’orecchio umano normale. In definitiva, la percezione dell’organo dell’udito non è legata
solo alle frequenze, ma anche alle intensità sonore: è necessario che
le onde sonore esercitino una pressione sufficiente sulle membrane timpaniche perché possa esservi percezione. Una conversazione
normale comporta intensità di livello di circa – dB, il rumore di
traffico intenso si pone su livelli di circa  dB, il rumore dei motori di
aeroplano a getto supera i  dB, oltrepassando ampiamente la soglia
di fastidio e dolore (Figura .).
Figura .. Scala in decibel dei suoni comuni. Il suono di riferimento è quello
adottato dalla società acustica degli U.S.A. e corrisponde a – watt/cm . Da:
W.F.Ganong. Fisiologia Medica. Piccin Editore, Padova, .
I rumori industriali si misurano mediante strumenti appositi (fonometri), che permettono di ottenere l’analisi dello spettro del rumore
(i fonometri usati correntemente negli ambienti di lavoro registrano
una gamma di oscillazioni acustiche di frequenza compresa tra i 
e i . Hz). Più precisamente, nell’ambiente di vita e di lavoro
troviamo non toni puri, come potrebbero originarsi per vibrazione di
un diapason, ma rumori caratterizzati da una mescolanza di frequenze,

Elementi di Medicina del lavoro
che compongono uno spettro più o meno ampio. Per questa ragione
nella determinazione fonometrica del rumore si utilizzano circuiti di
pesatura (A, B, C, D), selezionati a priori, che, peraltro, consentono
di sottostimare la frequenza più bassa e sovrastimare quelle più alte,
considerata la diversa sensibilità dell’orecchio umano al variare delle
frequenze: viene dunque misurata l’intensità del rumore considerandolo non tanto come una entità fisica in senso stretto, quanto piuttosto
come una sensazione sonora.
Gli effetti patogeni esercitati dal rumore a carico dell’organo dell’udito sono in rapporto ad alcuni fattori, tra i quali la durata, l’intensità
(la soglia dell’effetto nocivo del rumore è situata tra  e  dB globali),
la frequenza (a uguale intensità e durata un rumore è tanto più traumatizzante quanto più stretta è la banda di frequenza a cui corrisponde,
inoltre rumori di frequenza superiore ai  Hz sono più dannosi di
rumori più gravi), la ripetizione (stimolazioni acustiche intermittenti accumulano i propri effetti nocivi) e l’eventuale associazione con
ultrasuoni e vibrazioni meccaniche.
Anche il ritmo può condizionare la probabilità e la gravità del danno
uditivo da rumore: un rumore continuo è meglio tollerato rispetto a
rumori discontinui e risultano particolarmente dannosi rumori ritmici
di elevata intensità e breve durata. Alla luce di quest’ultima considerazione, sono stati distinti rumori la cui intensità muta nel tempo con
variazioni inferiori ai  dB (rumori “stabili”) da quelli con variazioni
superiori ai  dB (rumori “fluttuanti”); qualora il livello di intensità
si mantenga costante per più di un secondo e venga poi a cadere al
livello del rumore di fondo, si è in presenza di rumori “intermittenti”,
mentre si indicano come “rumori impulsivi” (i più pericolosi) quelli la
cui variazione rispetto al livello di fondo si realizza con tempi inferiori
al secondo.
In relazione alla possibile (e consueta) variazione delle intensità
di rumore negli ambienti di vita e di lavoro, la misurazione della
intensità di rumore viene effettuata riponendo interesse oltre che nei
valori istantanei (riferiti cioè a un istante, a un tempo molto breve),
anche nei valori integrati (riferiti a un intervallo di tempo più lungo,
comprensivo di diverse variazioni).
In altre parole, si realizza la misurazione del rumore, inteso come
energia acustica, determinando il livello energetico medio (livello
equivalente, Leq). Il livello equivalente (integrale nel tempo di mi-
. Rischi fisici

sure di livelli sonori) può essere definito come valore in dBA di un
rumore continuo che ha la stessa energia acustica di tutti gli eventi
acustici misurati nel periodo di osservazione. I fonometri dunque
funzionano come integratori, capaci di fornire anche il livello Lmax
(livello di punta massima raggiunto nel periodo di misura) e il livello
Ln (valore in dB misurato percentualmente nel periodo di interesse: per esempio L , ossia il valore risultato nel % delle misure
effettuate, valore approssimabile al valore di fondo, oppure L , da
ritenersi valore medio, ecc.). Il livello equivalente esprime l’entità
del rischio da rumore a cui può essere esposto un certo individuo.
Per conoscere l’esposizione, accanto ai valori di livello equivalente
nei luoghi di lavoro, è necessario conoscere i tempi di permanenza in
tali luoghi e successivamente calcolare il reale livello di esposizione
a rumore. Di fatto, tale determinazione può essere direttamente
effettuata mediante l’impiego di strumenti appositi (dosimetri) che
vengono indossati dai lavoratori, e che permettono di conoscere per
ciascuno di essi qual è la dose di rumore assorbita. La valutazione
dell’esposizione quindi deve considerare il tempo di permanenza del
singolo lavoratore nell’ambiente rumoroso, grandezza che condiziona ampiamente il livello di esposizione personale (LEP) quotidiana
o settimanale (LEPd o LEPw ).
In campo occupazionale le lavorazioni che possono comportare
elevati livelli di esposizione a rumore sono estremamente numerose, accanto a quelle tradizionali dell’industria e dell’artigianato si
sono via via aggiunte quelle dell’agricoltura e, in qualche caso, del
terziario. Classiche lavorazioni a rischio di danno uditivo da rumore
sono quelle industriali metalmeccaniche (lavori dei calderai, ribaditura dei bulloni, battitura e foratura delle lamiere con punzoni,
tranciatura, produzione di tubi metallici, fabbricazione di chiodi,
produzione di polveri metalliche con macchine a pestelli, prove di
motori a scoppio), navali (lavori svolti all’interno delle navi in allestimento e riparazione) e aeronautiche (conduzione di aeromobili),
tessili (lavoro dei telai), edilizie e minerarie (perforazione, scavo,
trivellatura, taglio di lastre e blocchi di marmo con dischi di acciaio a
corona diamantata, lavorazioni con utensili ad aria compressa), siderurgiche e metallurgiche (produzione degli acciai in forni ad arco e
ad induzione, fucinatura nelle fonderie), del legno (lavorazioni con
impiego di seghe circolari, piallatrici, fresatrici) e, ancora, lavori di

Elementi di Medicina del lavoro
prova dei dispositivi di segnalazione acustica, lavori di prova delle
armi da fuoco, lavori di prova dei motori a reazione.
In queste, come in molte altre attività lavorative, il rumore è in
grado di causare un danno alla salute dei lavoratori che si verifica
a carico dell’organo dell’udito (ipoacusia professionale), ma anche
a carico di distretti anatomici differenti (effetti extrauditivi) ovvero organi sottoposti a regolazione funzionale da parte del sistema
neurovegetativo.
Effetti uditivi
L’organo dell’udito è il principale bersaglio della azione patogena del
rumore. Per quel che riguarda gli effetti uditivi del rumore si distinguono un’azione acuta ed un’azione cronica. Un rumore unico, molto
intenso, come può essere quello di un’esplosione, può determinare
un trauma acustico acuto con conseguente ipoacusia (danno professionale che in tal caso è da intendersi quale infortunio sul lavoro, data la
concentrazione cronologica dell’azione del fattore lesivo come causa
violenta). Di solito questa evenienza si accompagna a dolore auricolare
intenso, per lo più monolaterale, cefalea, vertigini e, se vi è stata la
rottura della membrana del timpano, otorragia. Nei casi più gravi
possono esservi dislocazioni della catena degli ossicini dell’orecchio
medio o lesioni cocleari dell’orecchio interno. Audiometricamente
si rileva deficit percettivo o misto, prevalente alle alte frequenze, in
parte reversibile, quasi sempre accompagnato da recruitment. Dopo la
guarigione, il soggetto può continuare a soffrire di sordità prolungata
per i suoni acuti, di più di . Hz. L’esplorazione funzionale dell’organo dell’udito, alla quale si è qui fatto riferimento, viene eseguita
per mezzo dell’audiometro, speciale apparecchiatura elettronica atta a
produrre onde sinusoidali di frequenza determinata e la cui intensità
può essere variata da – dB fino a + dB. L’esposizione a rumore
meno intenso, ma protratto nel tempo, può causare invece una perdita temporanea dell’udito e, di seguito, protraendosi l’esposizione,
una sordità permanente (ipoacusia da rumore, ancora oggi una delle
malattie professionali più indennizzate, se non la più indennizzata, nei
Paesi ad economia avanzata).
L’esposizione protratta a rumore continuo fino a  dB per otto
ore al giorno, per cinque giorni alla settimana e per molti anni non
. Rischi fisici

provoca nella maggior parte degli esposti alcun effetto dannoso a
carico dell’organo dell’udito. Livelli di intensità superiori possono
causare effetti dannosi, anche irreversibili. Effettivamente, in una
prima fase temporale dopo l’esposizione si assiste al fenomeno di
spostamento temporaneo della soglia uditiva (STS), una forma di fatica
uditiva fisiologica, che prevede un progressivo recupero che inizia alla
fine della esposizione e che si completa in un tempo massimo di
 ore. Tale fenomeno si ritiene che possa assumere il significato di
meccanismo difensivo, forse conseguente alla riduzione di rigidità
delle ciglia delle cellule acustiche nell’Organo del Corti (apparato di
trasduzione dell’energia meccanica, propria delle onde sonore, in
segnali elettrici, propri dei potenziali d’azione del nervo acustico).
L’esposizione reiterata a livelli di rumore ad alta intensità determina nel tempo fenomeni di degenerazione cellulare nell’Organo del
Corti. Dal punto di vista anatomo–patologico, l’osservazione delle
cellule ciliate permette di evidenziare rigonfiamento, picnosi nucleare,
vacuolizzazione citoplasmatica e fusione ciliare. Proseguendo l’azione
lesiva del rumore si ha la sostituzione di tali cellule con altre, cubiche, in monostrato. La possibilità di instaurazione di tali fenomeni
degenerativi e la conseguente possibilità di contrarre una ipoacusia da
rumore (e la sua gravità) sono fortemente influenzate oltre che dalle
caratteristiche della esposizione (livello di intensità, durata, tipologia,
ecc.) anche dalla suscettibilità individuale a questo tipo di danno. In
aggiunta alla elevazione temporanea della soglia di sensibilità uditiva, per quanto riguarda l’azione del rumore sull’orecchio possiamo
distinguere le seguenti eventualità: ipoacusia (o sordità) temporanea e
ipoacusia (o sordità) permanente.
Nel primo caso si verifica una perdita di udito provocata da una
esposizione a rumore per una giornata e per un turno di lavoro, che
scompare al mattino seguente. Nella maggior parte dei casi il recupero
avviene entro le prime due ore che seguono la fine della esposizione.
In accordo con la disposizione tonotopica delle frequenze sulla
membrana basilare nell’orecchio interno, rumori caratterizzati da
bassa frequenza inducono lesioni cellulari a livello del giro apicale,
mentre rumori di frequenza elevata determinano alterazioni a livello
del giro basale. Indipendentemente dalla composizione spettrale, il
danno uditivo da prolungata esposizione a rumore interessa all’inizio
sempre le cellule acustiche che ricevono le frequenze attorno ai .

Elementi di Medicina del lavoro
Hz (anatomicamente situate a – mm dalla finestra ovale). Il reale
motivo di tale fenomeno non è del tutto noto e, secondo una delle
ipotesi più accreditate, potrebbe ricondursi a una minore irrorazione
ematica da parte della arteria coclearia.
Nel caso del danno permanente da rumore dunque la perdita di
acuità uditiva inizia a frequenze comprese tra . e . Hz, più
sovente verso . Hz.
Nel periodo iniziale il deficit non è avvertito dal soggetto, ma
svelato solo dall’esame audiometrico. In seguito la sordità può aggravarsi ed estendersi a frequenze più basse, e ne risulta disturbata la
percezione della parola nelle comuni conversazioni (Figura .).
Figura .. Per una breve esposizione al rumore nel soggetto normale si ha
una caduta alla frequenza di  Hz. Per una esposizione più lunga, si ha un
interessamento delle altre frequenze, in particolare  Hz,  Hz, . Hz.
Clinicamente si è soliti considerare quattro stadi della malattia: nel
primo il lavoratore riferisce la presenza di acufeni a tonalità acuta alla
fine del turno di lavoro, con sensazione di orecchio pieno, cefalea,
senso di ottundimento. Tali manifestazioni perdurano per – settimane. All’audiometria non si riscontrano alterazioni se non un lieve e
. Rischi fisici

temporaneo innalzamento della soglia uditiva alla fine del turno di lavoro, superiore ai  dB, in corrispondenza della frequenza di . Hz
(con tipica configurazione “a cucchiaio” della curva audiometrica, sul
grafico intensità – frequenza). Nel secondo stadio non sono presenti
sintomi ad eccezione di acufeni. All’audiometria si rileva un innalzamento permanente della soglia uditiva, di – dB, sui . Hz,
con possibile interessamento anche delle frequenze vicine, di .
Hz e . Hz. Proseguendo l’esposizione a livelli nocivi di rumore,
nell’arco di due o tre anni, si passa al terzo stadio, caratterizzato dalla
percezione soggettiva del deficit (il lavoratore non sente più il ticchettio dell’orologio, necessita di alzare il volume di radio e televisione,
sente male la voce bisbigliata, ecc.); l’innalzamento di soglia all’esame
audiometrico è di – dB. Nel quarto stadio, protraendosi ulteriormente, per anni, l’esposizione, si verifica una grave compromissione
degli scambi verbali (il soggetto parla inoltre in un modo caratteristico,
a voce alta e non modulata, intendendo meno chiaramente anche la
propria voce) e l’innalzamento di soglia interessa le frequenze più
basse e più alte (. Hz, . Hz, . Hz).
Si pone diagnosi di ipoacusia da rumore quando essa è (bilaterale)
simmetrica; inizia come deficit a . Hz e progredisce verso le alte
e poi verso le medie e basse frequenze; progredisce lentamente e irreversibilmente; è una ipoacusia di tipo percettivo (o neuro–sensoriale)
per cui risulta da una compromissione delle terminazioni nervose
(recettore Organo del Corti), con conseguente deficit evidenziabile sia
nella trasmissione di impulsi sonori per via aerea (usualmente, durante l’esame audiometrico, in cuffia) sia per quella ossea (usualmente,
durante l’esame audiometrico, con applicazione di uno strumento
vibrante sul processo mastoideo dell’osso temporale). L’audiometria
dunque permette di distinguere tali ipoacusie, percettive, da quelle trasmissive, per le quali l’alterazione (innalzamento di soglia) riguarderà
soltanto la via aerea di trasmissione degli stimoli sensoriali acustici
(e che pertanto non possono essere diagnosticate come malattia professionale ipoacusia da rumore). Ancora, l’ipoacusia da rumore risulta
stabilizzata anche se cessa l’esposizione; si aggrava durante il lavoro e
si attenua con il riposo; frequentemente, ma non obbligatoriamente
concomita con il reperto di ispessimento della membrana del timpano.
In genere, il deficit uditivo tende a raggiungere il massimo dopo
circa dieci anni di esposizione al rumore, e la relazione con effetti

Elementi di Medicina del lavoro
reversibili, quale l’innalzamento temporaneo della soglia uditiva non è
ancora stata del tutto chiarita. Nella maggior parte dei casi gli stadi
precoci del danno uditivo da rumore sono inavvertiti e si manifestano
accidentalmente in occasione di controlli sanitari.
L’attenuazione della funzione uditiva può arrivare al % in entrambe le orecchie senza che il soggetto lo abbia notato. Un aspetto
rimarchevole circa la possibilità di porre diagnosi di ipoacusia da rumore riguarda l’identificazione di possibili altre cause, diverse da quella
professionale, di ipoacusia.
È quindi molto importante verificare che vi sia stata una congrua
esposizione a rumore, a livelli plausibilmente abbastanza elevati e
duraturi per causare il danno uditivo professionale (criterio espositivo), ma anche escludere cause generali di ipoacusia cocleare quale
l’esposizione a sostanze oto– e neuro–tossiche (alcol etilico, toluene, mercurio, piombo, monossido di carbonio, ecc.), l’assunzione
di farmaci oto– e neuro–tossici (antimalarici, gentamicina, streptomicina, diuretici, aspirina, chemioterapici, ecc.), malattie sistemiche
come diabete mellito, uremia, vasculopatie, oppure cause locali, come per esempio traumi cranici o malattie dell’orecchio, per esempio
otiti, otosclerosi, labirintiti (criterio diagnostico differenziale). Dovrà
essere effettuata anche la raccolta di informazioni circa abitudini di
vita che potrebbero influire negativamente sulla funzione uditiva (immersioni subacquee, frequentazioni di poligoni con uso di armi da
fuoco, caccia, guida di trattori o mezzi agricoli rumorosi, guida di
moto, frequentazione di discoteche, ecc.). Potrà essere opportuna
la visita specialistica otorinolaringoiatrica e sarà sempre necessaria
l’effettuazione dell’esame audiometrico (criterio audiologico).
Effetti extrauditivi
Per quanto concerne gli effetti extrauditivi da rumore, essi sono da intendersi come risposta aspecifica alla abnorme stimolazione degli
organi di senso, in accordo con le basi fisiopatologiche della sindrome generale di adattamento, descritta da Selye, che prevede tre fasi:
allarme, resistenza, ed esaurimento. Gli effetti da iperstimolazione
sensoriale sono quindi interpretati come risposta essenzialmente vegetativa e motoria con significato difensivo. In particolare, gli effetti
extrauditivi della esposizione a rumore si determinano con patogenesi