Sottosegretario agli Affari Esteri Mario Giro Caro Maestro, cari amici, veramente facciamo corona degna al maestro perché c’è tantissima gente. Saluto innanzitutto i due Giorgi, che sono un po’ i padroni di casa in questo momento: Giorgio De Lorenzi, che già conoscete e l’Ambasciatore Giorgio Malfatti, Segretario Generale; il nostro Presidente Cabañas, Ambasciatore del Messico, in questa bella sala dell’Istituto Italo Latino Americano, a cui noi italiani e latinoamericani teniamo molto. Poi a far corona vedo molti amici. Vedo naturalmente Nino Benvenuti che è già stato citato, l’Ambasciatore Caracciolo, l’Ambasciatore Ortona, Moni Ovadia, il Direttore Generale del Mibac Nastasi, il Dottor Bernabé, che ci ha raggiunto. Siamo molto contenti di essere in tanti a onorare una grandissima figura italiana e mondiale, il maestro Muti. L’altro giorno, insieme a Moni Ovadia, facevamo alcune riflessioni sul nostro Paese. Viviamo in tempi confusi e mediocri, dove il sentimento più diffuso non è quello del futuro ma quello di una grigia tristezza. Oggi questo clima diffuso, che è europeo, che è italiano, che non è latinoamericano, evoca un domani oscuro; lo vediamo anche dalle notizie internazionali, in cui l’ottimismo è un po’ sconfitto, e si sente nell’aria, nella nostra Italia, che evitare l’infelicità èsia un compito troppo arduo. Qualcuno l’ha chiamata l’epoca delle passioni tristi, passando dal mito dell’onnipotenza a quello dell’impotenza; lo posso testimoniare per la politica, ma lo vediamo tutti nella società, nelle relazioni fra i popoli, nella vita quotidiana. Jung diceva che non si può scherzare con lo spirito del tempo, che è molto aggressivo e che si fa religione a sé. Lei, maestro Muti, non si è mai arreso a questo spirito del tempo. Credo che Lei l’abbia beffato, userei proprio questa parola, beffare lo spirito del tempo in nome della musica che porta con sé il soffio dell’eternità. Se si guarda il mondo come minaccia si finisce per temere tutto. Se non si crede in qualcosa si finisce per credere a tutto. Nella sua carriera Lei ha guardato allo spirito, la parte più profonda dell’umano, la parte più profonda della cultura. Non è cosa che riguardi solo i credenti, cari amici, anche i non credenti. Per esempio, il Presidente Mitterand nel suo ultimo messaggio prima di morire, disse: “io credo nella forza dello spirito”, cioè quella forza che trasforma ma che soprattutto trasfigura gli uomini, e noi abbiamo bisogno di uomini e di donne “trasfigurati”, per reggere le sfide di questo tempo così complesso in cui tutto si tocca e tutto si allontana contemporaneamente. Lei, maestro, ha detto che noi italiani abbiamo dimenticato che la musica non è solo intrattenimento ma che è una necessità dello spirito ed ha aggiunto che questo è grave, perché significa spezzare delle radici importanti nella nostra storia. E io penso che questo Le venga come un grido del cuore, di un italiano appassionato al suo Paese. Qui c’è tutta la nostra responsabilità, non solo nel preservare la cultura, ma nell’ergerla in alto, dove tutti la possano vedere, tutti la possano toccare e tutti possano trasfigurarsi mediante essa. Direi di Lei una sola frase – non farei biografie, ne avrà già sentite tante – l’unità di un uomo che in sé ha unito lo spirito perenne della musica e della cultura perché il mondo viva. Non posso che concludere con un augurio a Lei ma anche a tutti noi, usando le parole di Victor Hugo: l’on voit de la flamme aux yeux des jeunes gens, mais dans l’oeil du vieillard on voit de la lumière. Grazie, maestro.
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