Commento misure in materia di lavoro Decreto legge disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. Il commento si riferisce a un testo non ancora pubblicato. Alla bozza di decreto, disponibile della mattina successiva alla conferenza stampa del giorno 12 marzo, si è sommato un testo di specifica pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro che non ha però la forma di un dispositivo legislativo. All’articolo 1 capo 1 della bozza di decreto Modifica di alcune disposizione del dlgs 368 / 2001: • • • S’inserisce il limite del 20% sull’organico complessivo per la costituzione di rapporti di lavoro a termine; la cosidetta “acausalità” viene estesa ai 36 mesi, quindi per la durata massima del rapporto di lavoro a termine; il contratto è prorogabile per più di una volta. Nella nota del Ministero del Lavoro: • • • il contratto può essere prorogato per otto volte; è fatto salvo quanto previsto dal 368 / 2001 sulla definizione di limiti non uniformi per la contrattazione collettiva, pertanto il limite del 20% non ha carattere tassativo; fino a 5 dipendenti in organico si può comunque attivare un contratto a termine. L’intervento previsto dal decreto in questione e dalle specifiche della nota Ministeriale è decisamente pesante, nell’ottica di un utilizzo definitivamente distorto e snaturato della tipologia contrattuale in questione. Un contratto senza causale fino ai 36 mesi, senza ulteriori limitazioni, produrrà degli oggettivi riflessi: fino ai tre anni le imprese che hanno esigenze stabili e durature assumeranno con contratti a termine producendo un incremento della instabilità delle dinamiche occupazionali ferme restando le attivazioni di breve e brevissima durata fino a un cumulo di 36 mesi-che con l’estensione della a-causalità fino al limite massimo di durata vedranno un ulteriore incremento. Una estensione di fatto oltre ogni limite di una sorta di periodo di prova, la possibilità di attivare con lo stesso soggetto un numero indefinito di rapporti con durata variabile che porterà di fatto all’instaurarsi di una “nuova” tipologia contrattuale non orientata in alcun modo a finalità e obiettivi se non quelli di rendere ancor più fragile e frammentato il mercato del lavoro. Gli effetti dell’a-causalità sono già ben visibili dalle Comunicazioni Obbligatorie, con un progressivo incremento dei rapporti a termine anche per periodi di breve e brevissima durata. Introdurre nel disegno di legge delega un ragionamento sul riordino delle tipologie e intervenire per decreto sul contratto a termine è incoerente anche dal punto di vista del metodo. La stessa “limitazione” al 20% ha carattere non tassativo per la possibilità di definire limiti non uniformi in ambito contrattuale. Capo 1 articolo 2 • • • • • l’obbligo della forma scritta vale solo per il contratto di lavoro e per il patto di prova e non più per il piano formativo individuale; soppressione del principio, nel rimando alla contrattazione, per la individuazione di forme e modalità della conferma in servizio al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato; soppressione del limite di contratti di apprendistato attivabili in rapporto al numero di maestranze specializzate e qualificate presenti in organico, soppressione del limite di contratti di apprendistato attivabili rispetto alla prosecuzione del rapporto di lavoro nei trentasei mesi precedenti degli altri apprendisti presenti in azienda; cancellazione dell’obbligo di integrazione dell’offerta formativa pubblica; fatto salvo quanto previsto dalla contrattazione si individua per la retribuzione dell’apprendista, per la qualifica e per il diploma professionale, la misura del 35% del monte ore complessivo (tra ore di lavoro effettivamente prestate e ore di formazione). L’intervento appare coerente con quanto previsto per i contratti a termine. In una tipologia contrattuale cosiddetta a causa mista si cancella l’obbligo della forma scritta per il piano formativo individuale e l’obbligo d’integrazione con l’offerta formativa pubblica per le competenze cosiddette trasversali e di base nell’apprendistato professionalizzante e di mestiere. Inoltre si “liberalizza”, con la soppressione delle attuali previsioni legislative, l’utilizzo del contratto di apprendistato senza alcun vincolo rispetto agli organici aziendali e alle percentuali di prosecuzione dei precedenti apprendisti. Sul versante della retribuzione la misura del 35 % di retribuzione complessive, effettivamente lavorate nonché delle ore di formazione, è di fatto una sotto-paga non riferibile in alcun modo alle mansioni richieste e alle attività svolte nelle aziende. Nei fatti l’apprendistato vira da un contratto a causa mista a un contratto con sola apposizione del termine, senza obblighi formativi interni ed esterni alle aziende, senza vincoli rispetto agli organici e alle precedenti prosecuzioni dei precedenti apprendisti, con un abbattimento della retribuzione fino al 35% sul monte ore complessivo. Per l’articolo 3 e 4 (Elenco anagrafico dei lavoratori e Semplificazioni in materia di documento di regolarità contributiva) si rimanda a successive valutazioni. DISEGNO DI LEGGE DELEGA Ammortizzatori sociali L’obiettivo di assicurare un sistema di garanzia universale, come affermato in premessa, sembra non trovare riscontro nelle successive formulazioni. Per assicurare tutele “uniformi” ma legate alla storia contributiva dei lavoratori occorre capire ambiti minimi e massimi delle prestazioni (quantità e durata) e i requisiti di accesso alle stesse, inoltre tale principio lo si collega alle sole prestazioni per la disoccupazione involontaria. Nel far riferimento alla esigenza di razionalizzare la normativa in materia d’integrazione non si fa alcun cenno al sistema dei fondi introdotto con la 92 / 2012. L’obiettivo della estensione del sistema della Cassa Integrazione non sembra trovare riscontro nelle formulazioni, laddove invece si introduce la esigenza di ridurre gli oneri non salariali del lavoro che con tutta evidenza è un riferimento agli obblighi di natura contributiva per il finanziamento dei sistemi di sostegno al reddito. Sulla revisione dei criteri di concessione e di utilizzo con particolare riferimento alla cessazione aziendale nei casi di procedura concorsuale già si era esercita la 92 / 2012, poi corretta con il decreto sviluppo (143 / 2012) con la previsione di riconoscimento del trattamento d’integrazione salariale nei casi di procedure concorsuali in ragione di parametri oggettivi per misurare le prospettive di ripresa occupazionale da definire con decreto ministeriale. Disposizione comunque abrogata, per effetto della 92 / 2012, dal 1° gennaio 2016. Nel caso dei “meccanismi automatici di concessione” occorre capire in che termini si vuole intervenire sulle procedure. Nel punto successivo si fa riferimento alla previsione di concessione della cassa solo a seguito di esaurimento di altre possibilità di riduzione dell’orario, è noto che i contratti di solidarietà sono anch’essi strumenti di sostegno al reddito e quindi non appare chiara la formulazione. Si ipotizza il ricorso al part-time volontario per la gestione delle crisi aziendali? Oppure a strumenti quale la banca delle ore? Il riferimento a ferie e permessi, infatti, è già compreso nella verifica delle procedure autorizzative. Legare i limiti di durata ai singoli lavoratori comporta il pericolo di disarticolare, in termini non omogenei, la gestione dello strumento in ambito aziendale. Laddove interviene una sospensione questa fa riferimento a filiere, reparti e intere aziende: è evidente la necessità di avere una anzianità aziendale minima ma la durata deve avere per tutti i lavoratori entità omogenea. Condivisibile la esigenza di una maggiore compartecipazione ai costi, oggi esclusa per tutti i settori che utilizzano la deroga. La riduzione degli oneri contributivi ordinari può avvenire, non nel breve-periodo- in ragione della estensione dello strumento a tutti i settori. E’ vero che si avrebbe un’ incremento delle aziende che ricorrerebbero alla cassa a fronte però di un allargamento della contribuzione. Quanto previsto nel disegno di legge delega appare invece una contrazione della contribuzione ordinaria, il riferimento precedente alla riduzione degli oneri salariali è coerente, a fronte di un incremento della contribuzione in funzione dell’effettivo utilizzo. Il rischio è la rottura di un punto di equilibrio e un disincentivo per le aziende nel ricorso agli strumenti difensivi. Risponde a una effettiva esigenza la rimodulazione tra ASPI e mini – ASPI, come l’incremento della durata in funzione della storia contributiva. Nella estensione alle collaborazioni, sono citate solo le Co.Co.Co. (refuso o intenzione di revisione della disciplina delle collaborazioni a progetto?) non si fa cenno alle modalità di finanziamento attraverso l’estensione della contribuzione ordinaria e oltre il concetto della sperimentalità, condivisibile in una fase di avvio, s’introduce il criterio delle risorse definite che come abbiamo visto per la deroga condiziona la possibilità di fruizione nonostante il soddisfacimento del requisito soggettivo. Nessun accenno invece alla possibilità d’introdurre strumenti di tutela per le partite IVA iscritte alla Gestione Separata. Nel prevedere la possibilità di avere accesso a una ulteriore prestazione, al termine del periodo di ASPI, a favore dei soggetti con ISEE ridotto s’introduce il concetto del reddito di ultima istanza: la valutazione possibile è in relazione, chiaramente, alla durata dei periodi di ASPI, ai limiti reddituali, alla durata della ulteriore prestazione. Da approfondire il punto relativo alla eliminazione del requisito di disoccupazione per avere accesso alle prestazioni di carattere sociale. Il percorso di attivazione per i beneficiari di ammortizzatori sociali (la disoccupazione è uno status differente dalla integrazione salariale) è da approfondire, in relazione al capitolo sulle politiche attive: il punto delicato è evitare una generalizzata riedizione degli LSU/LPU, quando invece occorre operare per le transizioni verso il lavoro attraverso gli strumenti di reinserimento lavorativo. In sintesi la universalizzazione degli strumenti a sostegno del reddito sembra poggiare su una estensione dell’ASPI a scapito di una possibile contrazione della Cassa Integrazione (criteri di concessione, durata, contribuzione). La nostra proposta si basa, invece, sul rafforzamento di entrambi i pilastri considerate le finalità differenti di utilizzo. La contrazione della Cassa Integrazione, che oggi vale in termini equivalenti oltre 500.000 addetti, rischia di avere oggettivi effetti sulla tenuta occupazionale. Servizi per il lavoro e politiche attive. La delega richiama il concetto della definizione dei livelli essenziali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, attribuendo tale compito per la definizione al Ministero del Lavoro e quindi allo Stato. Formulazione corretta e coerente con l’articolazione di competenze di cui al titolo V della Costituzione. E’ evidente però che con l’attuale livello di spesa e con l’attuale numero di addetti non può certo conseguire una omogenea fruizione su tutto il territorio nazionale: in più parti della delega è ripreso il concetto della invarianza delle risorse, non si prevede quindi un rafforzamento dei Centri per l’Impiego ne un robusto intervento di finanziamento del capitolo delle politiche attive. Più volte si è richiamata la esigenza di una maggiore finalizzazione e selettività degli strumenti d’incentivazione, alla radice della nostra valutazione sui recenti provvedimenti legislativi. Che questo possa avvenire attraverso una osservazione delle analisi statistiche ci pare improprio, considerata la esigenza di valutazioni negli ambiti di prossimità. La ripartizione di competenze tra i diversi livelli istituzionali ha prodotto disarticolazione negli interventi ed è concausa del livello di frammentazione, inoltre la integrazione gestionale tra politiche attive e passive è una evoluzione necessaria. Il punto, però, è capire dove avviene tale integrazione e come avviene. Da una lettura analitica del testo, pur ammettendo che un disegno di legge delega ha un perimetro largo, sembrerebbe emergere che la competenza dell’agenzia comprende anche la gestione dei servizi per l’impiego, oggi collocati in ambito provinciale. L’agenzia, invece, risulterebbe partecipata da Regioni e Province autonome. Inoltre occorre capire cosa s’intende per la gestione dell’ASPI, prestazione oggi erogata dall’INPS. Il disegno di possibile riarticolazione di competenze, anche in ragione dei percorsi legislativi in essere (DDL Del Rio) e di quelli annunciati (titolo V) non appare chiaro, in particolare per la distinzione tra competenze dello Stato, delle Regioni (manterrebbero la programmazione delle politiche attive) e quella degli enti di prossimità (Province? Aree Vaste? Città Metropolitane?). Se da un lato è condivisibile la razionalizzazione per una più chiara e omogenea definizione delle competenze, dall’altro appare evidente la rinuncia a un investimento sul capitolo servizi per l’impiego e politiche attive. Elemento che oggettivamente contraddice il percorso di coinvolgimento attivo del soggetto che cerca lavoro, come richiamato nel testo. Delega in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti. Sul punto si richiama l’attenzione su eliminazione, semplificazione e norme interpretative su contrasti interpretativi, giurisprudenziali, e amministrativi; istituti di tipo premiale che tengano conto della natura sostanziale della violazione e favoriscano l’immediata eliminazione della condotta illecita; revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo. Delega in materia di riordino delle forme contrattuali. Il punto in esame è oggettivamente condizionato dall’intervento sui contratti a termine e sul contratto di apprendistato. Si ribadisce quindi la esigenza di un intervento organico e coerente che presuppone che non si proceda con le modalità contenute nel decreto, che andrebbe ritirato. La premessa non fa, purtroppo, alcun riferimento alla eccessiva frammentazione delle tipologie contrattuali e, invece, sembra lasciar intravedere interventi sul versante della cosiddetta flessibilità in ingresso esplicitamente richiamata. Pertanto gli eventuali interventi di riordino (non razionalizzazione o semplificazione) sono riferiti a formulazioni troppo generiche quali il contesto produttivo nazionale e internazionale. Nel punto successivo si fa invece esplicito riferimento alla introduzione di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’ingresso nel mondo del lavoro, senza che il riordino sia orientato a una radicale semplificazione. Appare la esigenza di assicurare la certezza agli operatori (vedi contenzioso sulla genuinità) senza operare una riflessione sulle ricadute sul lavoro della frammentazione e della precarietà presente nel mercato del lavoro: in questa chiave la eliminazione di duplicazioni normative e delle difficoltà interpretative è bene che non receda da qualche passo in avanti, in particolare sulle collaborazioni a progetto, realizzato con recenti interventi anche per quanto attiene il rimando alla contrattazione per la regolazione di alcuni aspetti (compensi, mansioni ripetitive da escludere). L’intervento di semplificazione e razionalizzazione deve puntare a una riduzione drastica delle tipologie contrattuali e deve mantenere elementi di stretta coerenza tra i diversi ambiti di azione. La liberalizzazione dei contratti a termine, senza nessuna causale e con durate in nessun modo regolate eccetto il tetto massimo dei 36 mesi, e lo svuotamento dell’apprendistato dai contenuti formativi e da un equilibrato inserimento dell’apprendista in azienda non va certo in questa direzione. L’aggiunta di una nuova tipologia, il contratto a tutele crescenti, è quindi del tutto in contraddizione. Fino ai 36 mesi, raggiungibili attraverso una reiterata riattivazione di contratti di brevissima durata oppure con contratti più lunghi ma ripetibili senza vincoli (pause, causali) il “nuovo” contratto a termine – se il decreto verrà confermato – assicura alle aziende la massima libertà in assenza di una qualsiasi regolazione. Quale azienda utilizzerebbe il contratto a tutele crescenti se invece può disporre di contratti a termine privi di ogni regolazione? Il presupposto, quindi, per affrontare – partendo dagli elementi di criticità e dagli effettivi bisogni del mercato del lavoro – la materia del riordino delle tipologie è annullare gli effetti dell’ipotesi di decreto. Delega in materia di conciliazione Si affronta positivamente il punto dell’automatismo alla prestazione per la indennità di maternità per le lavoratrici che versano contributi alla gestione separata. Per le altre valutazioni si rimanda a successivi approfondimenti, d’intesa con le altre articolazioni della CGIL.
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