Unione dei Comuni, federalismo e governance (Luigi Greco) La revisione costituzionale del 2001 ha determinato una svolta fondamentale nel funzionamento dell’universo municipalistico. Con l’art. 119 Cost. è stata ridisegnata la metodologia del funzionamento del sistema autonomistico territoriale, secondo il quale i Comuni, le Province, le Città Metropolitane e le Regioni godono di autonomia finanziaria e di spesa, da esercitarsi attraverso tributi, compartecipazioni e quote di fondo perequativo. Quanto ai Comuni sono state determinate dallo Stato, nell’esercizio della potestà esclusiva di cui all’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost., le funzioni fondamentali. Nello specifico, con il d.lgs 216/2010 (art. 3), attuativo della legge delega 42/2009, sono state riconosciute ai Comuni sei funzioni fondamentali, passate - poi - a nove con la legge di conversione del D.L. 78/2010 (legge 122/2010) e – successivamente - rideterminate in dieci con la legge 135/2012, di conversione del D.L. 95/2012. In relazione al loro finanziamento, il richiamato d.lgs 216/2010 ha disciplinato il percorso di determinazione dei fabbisogni standard al fine di garantire le risorse per lo svolgimento delle funzioni assegnate. A seguito della legge 42/2009, con la quale si è delegato il Governo ad approvare i decreti attuativi dei principi e criteri fissati nel novellato art. 119 Cost., è stato adottato il d.lgs. 23/2011 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), che ha scandito, concretamente, la tipologia dei prelievi di titolarità comunale garanti della loro autonomia fiscale e tributaria. Autonomia fiscale che si sostanzia attraverso: a) tributi propri autonomi, da istituirsi con l’adozione di un atto amministrativo dell’ente locale impositore; b) tributi diretti derivati il cui gettito è riferibile ai rispettivi territori e in quanto tali, pur essendo istituiti dallo Stato, possono essere manovrati dall’ente locale medesimo; c) compartecipazioni ai tributi erariali, attraverso i quali si sono, sostanzialmente, fiscalizzati i trasferimenti dello Stato. In difetto di copertura del complessivo fabbisogno standard, riferito al “prezzo giusto” dell’esercizio delle funzioni fondamentali interverrà la quota compensativa derivante dalla perequazione fiscale. Un provvedimento delegato, questo, che non ha avuto tuttavia sino ad oggi una esistenza tranquilla, atteso che sono stati più volte modificati i principali presupposti impositivi rintracciati dal legislatore delegato, primo tra tutti quello posto a base dell’IMU. In un regime di autonomia fiscale e tributaria, considerata la crescente difficoltà economicofinanziaria dei Comuni, specie di quelli di piccola dimensione, indispensabile per assicurare l’erogazione dei servizi e soddisfare i bisogni della comunità amministrate, è stata individuata una loro neodimensione aggregativa. La soluzione prescelta è rappresentata dall’Unione dei Comuni. Una soluzione, questa, meglio rispondente ai criteri di efficienza, efficacia ed economicità, irrinunciabili per favorire il processo di razionalizzazione dei servizi e di riduzione dei costi relativi. Le Unioni dei Comuni sono state introdotte nell’ordinamento dalla legge 142/90 (art. 26), successivamente sostituito dalla legge n. 265/99, e insediato definitivamente nel TUEL all’art. 32, sostituito e implementato (comma 5 bis), rispettivamente, dalla legge 135/2012 (che ha convertito il D.L. 95/2012) e dal D.L. 179/2012, convertito nella legge 221 dello stesso anno. L’Unione dei Comuni è, dunque, un ente locale avente una propria personalità giuridica. Tuttavia, il quadro normativo delineato nel vigente Tuel non appare esaustivamente compatibile con le norme attuative del «federalismo fiscale», più precisamente con i problemi afferenti alle risorse da destinare all’esercizio delle funzioni affidate alle Unioni dei Comuni (comma 7 dell’art. 32). Un disciplina, quella tracciata dal più recente legislatore, dalla lettera non felice che utilizza un lessico improprio (“Alle unioni competono gli introiti derivante dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati”) e non affatto conciliabile con quello in uso nella disciplina complessiva del c.d. federalismo fiscale, in particolare con le disposizioni riguardanti l’intervento perequativo in favore degli enti locali, atteso che l’art. 119 Cost. non fa ad essi neppure uno specifico riferimento. Il problema riguardante il loro finanziamento diretto - stante l’assegnazione delle funzioni fondamentali in loro favore, sia in forma obbligatoria che volontaria dei Comuni partecipanti - non è stato invero previsto dal legislatore attuativo (d.lsg 23/2011); né tantomeno si è fatta menzione ai criteri e alle modalità di redistribuzione delle risorse e alla determinazione dei fabbisogni standard caratteristici, da destinare alle funzioni assolte dall’Unione. Si manifesta, di conseguenza, un problema legato all’ammontare e alla gestione delle risorse che dovranno essere devolute alle Unioni dei Comuni al fine di garantire un efficace esercizio delle funzioni loro attribuite. Problema acuito dalla disomogeneità dei gettiti fiscali delle diverse aree municipali che compongono l’Unione dei Comuni che si riflette, in assenza di una normativa adeguata, su una incapacità di porre in essere le basi per un sistema efficace di finanziamento diretto e assistito da un riparto perequativo delle risorse da destinare alle funzioni obbligatorie esercitate dalle Unioni di Comuni. Un accaduto legislativo che necessiterà di un’adeguata previsione utile a determinare il necessario livello di governance riferito alla distribuzione e al controllo delle risorse ad esse destinate. Una considerazione, quella appena accennata, che ne suggerisce un’altra, in riferimento al non riconducibile protagonismo istituzionale delle medesime. Infatti, le Unioni di Comuni, pur essendo riconosciuti come istituzioni dotate di una propria personalità giuridica, non godono del riconoscimento costituzionale sancito dall’art. 114 Cost. – così come modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001 - che definisce i Comuni, le Province, le Regioni, le Città metropolitane e lo Stato quali enti costituenti la Repubblica. Una disciplina costituzionale dalla quale necessariamente deriva, quanto ai primi quattro enti territoriali, la capacità di darsi i rispettivi statuti (alle Unioni dei Comuni tale potestas è però riconosciuta dal legislatore ordinario dal comma 7, secondo periodo, dell’art. 32 del vigente Tuel) nonché quella di esercitare la loro autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Una eccezione che farebbe presupporre la sopravvenuta esistenza, per le Unioni di Comuni, di un’autonomia finanziaria derivata.
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