Casa de fieras* Antonio Santamaría Solís (traduzione di Diletta Fazzari) L’odore si percepiva più nitido durante le notti d’estate. I suoni, che in principio sembravano sconnessi, presto si rivelavano essere parte inseparabile di una stessa cosa. Erano di due tipi: acuti e gravi. Generalmente, i suoni acuti andavano di pari passo con l’odore acre, come quello dei lupi e delle scimmie, mentre i suoni gravi andavano con quello dolce, come quello dei leoni e degli orsi. Si poteva dire che esistevano sia i suoni gravi e acuti che gli odori acri e dolci. Ciò nonostante, gli uccelli volavano sopra il proprio odore e a noi arrivavano solo i loro suoni, la maggior parte delle volte canti struggenti che tuttavia potevano essere di entrambe le categorie: gravi, acuti o un’inquietante ibrido di entrambi. Spesso, quando nel letto recitavo le mie preghiere, annusavo e ascoltavo quel coro animale. Ma era sempre all’alba che vi si univano altri tipi di voci, altri aromi dalla stazione ferroviaria dove i treni, arrivati da nord durante la notte, facevano una breve sosta nel loro lungo viaggio verso sud. Il diesel delle locomotive verdi, che lavoravano sonnambule sui binari deserti, coincideva con la cupa dolcezza emanata dai grandi orsi sotto le fronde, mentre l’odore di fosforo esalato dai vagoni stracolmi di corpi addormentati coincideva con quello piccante e aspro della fossa delle scimmie. Il fischietto notturno era la iena, il lupo, lo scimpanzé o l’ara. Nelle mattine di domenica, salivo il pendio aggrappato alla giacca chiara di mio nonno e, mentre egli affidava i suoi passi al bastone, io arricciavo il naso fiutando l’aria, sorpreso che qui, davanti all’inferriata stessa adorna di edera, non mi giungesse suono alcuno, né un grido, né la fetida presenza delle belve. Pensavo con amarezza che, durante la notte, fossero morte tutte e che mio nonno mi avesse condotto fino a questo gigantesco cimitero solo per constatare la portata della tragedia. Chiudevo gli occhi per cercare di percepire il più lieve cambiamento: un soffio d’aria, una goccia di pioggia, il canto di un uccello. Niente. Per qualche istante, tranne il respiro affaticato dell’ottantenne, alle mie spalle si udiva, a mala pena, il pigro traffico della domenica. Ma, improvvisamente, i pori della mia pelle si dilatavano, la luce del sole diventava di colpo bianca e accecante, e il miracolo si manifestava impetuoso, inondando tutto di acri, gravi, acuti e dolci la menti. Una brezza improvvisa, nata dalle profondità del parco, proclamava così la consumazione del sogno. (Testo inedito dal progetto “Ruere, suelo primitivo. Variaciones sobre la caída del espacio humano”, in collaborazione con l’artista Ramiro Palacios) *N.d.T.: ‘Casa di belve’ è il nome dell’antico zoo di Madrid, situato nel Parque del Retiro fino all’anno 1972. IN PIMPIRIMPANA N. 9 DEL SETTEMBRE 2014 PAG. 1 DI 1
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