Ristorazione e Catering

N° 23 Settembre-Ottobre 2014 - Ristorazione & Catering - Poste Italiane Spa - Sped. AP. DL 353/03 Conv. in L. 27/02/2004 N° 46 Art. 1 comma 1 - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50
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&
Ristorazione
Catering
Davide
Rampello
IL FINE
DEVE ESSERE LA
QUALITà DI VITA
DELL’UOMO
MAESTRI
A proposito di...
ETICHETTA
Iginio Massari
il re dei pasticceri
Il cibo non
è una scarpa
Andrea Pirlo
calciatore e vignaiolo
MENÙ
Componi
il tuo menù
sommario
Pag. 7 • Protagonisti
IL FINE DEVE ESSERE LA QUALITà
DI VITA DELL’UOMO
Conversazione con Davide Rampello,
ideatore del Padiglione Zero di Expo 2015
di Luigi Franchi
Pag. 15 • Cibo giusto
LE SPEZIE, QUEL TOCCO IN PIù
CHE FA LA DIFFERENZA
di Mariangela Molinari
Pag. 20 • SALA E CUCINA
ROBA FINE IN CUCINA
di Marina Caccialanza
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LE PERFORMANCE DI CECCHI
di Roger Sesto
HOTEL A BOLZANO
di Guido Parri
Pag. 28 • A PROPOSITO DI...
IL CIBO NON è UNA SCARPA
di Luigi Franchi
•
•
•
Pag. 68 • Case history
MEDITERRANEAN WINES
di Luca Bonacini
Pag. 26 • Peccati di gola
IL BOSCO IN TAVOLA
di Marina Caccialanza
Perchè utilizzare Componi il tuo menù?
Pag. 66 • Buon bere
IL VINO AL RISTORANTE
di Alessandra Locatelli
chef’s irish beef club
di Roberto Martinelli
Pag. 22 • Maestri
IGINIO MASSARI
IL RE DEI PASTICCERI
di Luca Bonacini
Uno strumento
gratuito per
comporre e
tradurre
facilmente il
tuo menù
Pag. 63 • etichetta
ANDREA PIRLO,
CALCIATORE E VIGNAIOLO
di Mario Zuffada
Pag. 31 • Opinioni a confronto
Luigi Veronelli, scrittore e giornalista
Luisa Del Sorbo, communication manager By Tourist
Gianluigi Negri, giornalista e direttore artistico
Pag. 32 • Rist’ho
OFFRIRE L’ARTE
di Lucilla Meneghelli
Pag. 36 • Meglio Prenotare
Ristorante Pizzeria Fiore
Ristorante La Greppia
Trattoria del Giardinetto
Enoteca Bar a Vino
La Bettola del Massaro
Pag. 48 • Distribuzione
FAIC: RISPONDERE AI BISOGNI
DEI CLIENTI
di Luigi Franchi
Pag. 73 • COSA SUCCEDE
EUROVO
BERNARDINI GASTONE
COOPERLAT
ALIVAL
ONESTI GROUP
FRATELLI RIVA
ROLLI ALIMENTARI
EUROFOOD
RUBRICHE
il tuo
Pag. 5 • Editoriale
di Roberto Martinelli
Pag. 13 • opinione
di Mauro Entradi
Pag. 18 • Professione cuoco
di Roberto Carcangiu
Pag. 39 • NOI DI SALA
di Giuseppe Palmieri
Pag. 41 • Matita Rossa
di Giuseppe Schipano
Pag. 43 • Analisi
di Mauro Lamparelli
Pag. 51 • Private Label
‘IL PANIERE DELLO CHEF’
COME RISPOSTA ALLA CRISI
di Guido Parri
Pag. 45 • MANGIARE SICURO
di Valentina Gradone
Pag. 54 • Logistica
IL BUSINESS COMINCIA
DALLE SCAFFALature
di Mariangela Molinari
Pag. 61 • Perbacco
di Giuseppe Vaccarini
Pag. 59 • Consulenza
di Alberto Fugagnoli
Pag. 80 • Libri per voi
di Luca Galavotti
ristorazione&catering 3 settembre/ottobre duemila14
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EDITORIALE
di Roberto Martinelli
direttore responsabile
Piove sul “Bel Paese”
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’estate appena trascorsa è stata per certi versi terribile, le ultime esondazioni nel Gargano
hanno provocato danni ingenti.
Non conosciamo ancora quali perdite hanno
subito dopo i temporali del luglio scorso i settori della
frutta e della vite nel Nord Italia, probabilmente i danni
saranno comunicati nei prossimi mesi.
Altro settore duramente colpito è quello turistico alberghiero, dove il fattore climatico ha inciso notevolmente,
anche se per noi è troppo semplicistico addossare tutte
le colpe al meteo.
Tanto è vero che secondo gli ultimi dati diffusi da Confindustria Alberghi l’andamento stagionale, se pur non
positivo, non è stato nemmeno così disastroso come invece si riteneva a fine agosto.
Registrare che l’economia alberghiera, assieme all’aggregato ristorativo connesso, siano dipendenti dal clima
e delle stesse previsioni meteorologiche, tanto da minacciare chi le fa da chiederne i danni per i mancati
guadagni se non azzeccano le previsioni, ci sa tanto di
schizofrenico e anche un po’assurdo.
Sarebbe come prendersela con l’orologio se si arriva in
ritardo, o se vogliamo fare esempi più concreti, non ce la
possiamo prendere col meteo se due alberghi su cinque
di Rimini sono in vendita o se il saldo dei pubblici esercizi che hanno chiuso in tutta Italia supera per il secondo
anno consecutivo quelli aperti.
La crisi ha origini ben più lontane e profonde e il clima
rischia di diventare soltanto una parte del problema e di
certo non la principale.
C’è invece qualcosa di strutturale nel settore ricettivo
che indebolisce l’industria alberghiera di cui il clima
c’entra assai poco.
Certo il brutto tempo non ha aiutato, ma se il prossimo
anno avessimo una stagione analoga daremmo ancora
colpa al clima?
La Francia rimane ancora il primo paese preferito dal
turismo internazionale e non ci sembra che a Parigi
splenda sempre il sole o che le coste francesi siano tutte
più belle delle nostre. No, purtroppo c’è dell’altro che
esitiamo a voler affrontare.
Siamo cresciuti con l’immagine del “Bel Paese” fin
quando la competizione con gli altri stati non era tanto
agguerrita su qualità, costi e servizi infrastrutturali.
Non ci basta più avere sole e belle spiagge (però non
sempre pulite), ma serve avere aeroporti per arrivarci da
lontano, strade comode e percorribili e località dotate di
nuove strutture per ospitare un turista che si sta sempre
più omologando, ma verso l’alto.
Gli stessi turisti italiani, che quest’anno non sono affatto
diminuiti rispetto al 2013, contrariamente a quanto si
era detto e scritto, alla faccia della crisi hanno speso di
più rispetto all’anno prima (17 miliardi contro i 16,2 del
2103).
Purtroppo hanno preferito andare all’estero piuttosto che
rimanere in Italia, scegliendo paesi molto vicini al nostro
e con caratteristiche assai simili.
Se sulla competitività siamo perdenti dovremo essere
capaci di concentrare le risorse sulla promozione in altri
elementi dove la concorrenza straniera non può competere nel dare maggiore ascolto alle richieste di un turista
globale.
ristorazione&catering 5 settembre/ottobre duemila14
Il fine deve essere
la qualità di vita dell’uomo
protagonisti
Conversazione con Davide Rampello,
ideatore del Padiglione Zero di Expo 2015
di Luigi Franchi
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avide Rampello è, prima di ogni altra qualifica della sua sterminata carriera, un innovatore.
Lo è stato agli inizi delle cosiddette televisioni libere, negli anni ’70; ha lasciato un segno
importante come presidente della Triennale di Milano e come curatore del Padiglione Italia
all’Expo di Shanghai nel2010. Lo è come ideatore del Padiglione Zero di Expo Milano 2015
e come libero pensatore nei temi attinenti al cibo che affrontiamo in questa intervista, realizzata presso
il ristorante Larte di Milano, di cui è presidente (e di cui parliamo in altra parte della rivista).
ristorazione&catering 7 settembre/ottobre duemila14
Partiamo dal Padiglione Zero; come è nata l’idea e cosa sarà?
“È il padiglione di apertura, posto all’ingresso di Expo, dove
transiterà il 70% dei visitatori, con una superficie di circa un
ettaro. Uno spazio che mette in scena il tema dell’Expo: Nutrire il pianeta, energia per la vita. Affrontarlo significa affermare
che il cibo è la prima cosa di cui si occupa l’homo sapiens e
questo determina un’avventura formidabile in cui l’uomo crea
tutto quello che noi oggi conosciamo. Attraverso questo nasce il
linguaggio, a differenza degli animali; entrambi vanno a caccia
ma, mentre l’animale mangia la preda e poi dorme, l’uomo la
mette al sicuro e poi disegna, descrive ciò che ha fatto. Avverte
la necessità di dare un nome alle cose. Nascono così i sensi, la
sacralità dei gesti, il prendersi cura di capire le cose, attraverso questa avventura in cui l’uomo, per centinaia di migliaia di
anni, esercita fondamentalmente due arti: la caccia e la pesca,
oltre a quella minoritaria della raccolta, e inizia a creare strumenti. Dopo il lunghissimo periodo migratorio l’uomo decide di
fermarsi e aggiungere altre due discipline, frutto del concetto
di addomesticazione, portare ad domus, nasce il concetto di
luogo tramite l’addomesticazione e l’allevamento. La conoscenza approfondita del luogo l’uomo seleziona sementi e animali,
costruendo cultura e civiltà. Nullus enim locus sine genius est,
diceva Servio: non esiste il concetto di luogo se non esiste il
genio, ovvero la conoscenza del luogo. Questa è la partenza di
tutto perciò possiamo dire che la necessità di procurarsi cibo
è la molla su cui l’uomo costruisce la sua storia; da qui nasce
l’economia, il risparmio che lo porta a preservare le eccedenze,
nasce il commercio e, per traslato, l’alimentazione non rimane solo fisica ma diventa spirituale e intellettuale. Il padiglione
Zero racconta tutto questo”.
Un viaggio straordinario, che raccontiamo in maniera dettagliata sul nostro sito, e che arriva ai giorni nostri, attraverso il coinvolgimento di molte figure professionali…
“Quando mi è stato affidato l’incarico ho scritto il progetto che
si articola in dodici grandi tappe. Successivamente ho chiesto un disegnatore perché sentivo la necessità di fermare ciò che avevo ideato,
una visione che andava concretizzata, disegnata e progettata. Perciò, dialogando con Michele
Tranquillini, disegnatore del Corriere, nasceva
un ulteriore riflessione. Con le tavole sono andato da Michele De Lucchi, architetto, e Giancarlo
Basili, scenografo, a cui ho chiesto di iniziare a
pensare ad un grande archivio della memoria,
idealmente un archivio che contiene tutte le storie del mondo, dando a loro un imprinting preciso
al fine di rendere ancor più efficiente l’enorme
lavoro che ci aspettava. Non ho usato nessuna interattività ma ho giocato invece sull’emozione nel
senso profondo della parola: emovere, mettere in
movimento i sensi delle persone, in modo che siano più ricettivi e possano memorizzare di più,
facendo diventare il tutto memorabile, impresso
nella memoria. Tutto questo implicherà il lavoro
di scultori, scenografi, ebanisti, fabbri, per cui
sarà un percorso dentro la meravigliosa abilità
dei nostri artigiani”.
Come viene intrepretata la contemporaneità del
cibo?
“Partendo dalla grande frattura: l’industrialismo.
Che viene raccontato realizzando un plastico di
400 metri quadrati dove ci saranno rappresentate, tra le diverse realtà: il villaggio industriale
di Crespi d’Adda, le miniere tedesche, i macelli
di Chicago, i campi inglesi, le pampas argentine,
fino agli anni ’40. Tutto funzionante. L’oggi del
cibo è invece sintetizzato in una grande borsa alta
13 metri per 20, su cui scorreranno la quantità
ristorazione&catering 8 settembre/ottobre duemila14
di cibo che si produce, i prezzi ecc… Alle spalle una superficie in cui
verrà proiettato un film, a cui sta lavorando lo storico del cinema Giampiero Brunetta, che ripropone tutte le scene dei film in cui è presente
il cibo, dai fratelli Lumiere ad oggi. Un lavoro colossale che testimonia
i mille modi in cui è stato raccontato il cibo. Di fronte una sala in cui
ho fatto intagliare una fessura dove si vedranno le catastrofi del mondo –guerre, mutamenti climatici – e, nella superficie, una scenografica
montagna di rifiuti a rappresentare lo spreco, la peggiore rappresentazione della vita contemporanea. Per non dimenticare. Alla fine volevo
lasciare un segno positivo. In una
stanza, in maniera circolare, saranno proiettati dodici ambienti dove il
lavoro dell’uomo ha saputo creare un
paesaggio armonico. Questo è realizzato insieme ad una straordinaria
realtà produttiva italiana, la Ferrero.
L’ultima stanza raccoglie cinque filmati di pochi minuti che raccontano
la storia di cinque buone pratiche,
fatte da altrettante persone che idealmente sono i nuovi eroi”.
Expo 2015, come è percepita, quanto
lo è in maniera corretta?
“L’Expo comincia ad essere percepita: due anni fa nessuno sapeva, un
anno fa tutti erano scettici, oggi è
una certezza. Mediamente si sa che
si parlerà di cibo, adesso il tutto va
declinato. Bisogna pensare che il
60% delle attività lavorative italiane
ruotano attorno al cibo. Un esempio? Tutto il mondo dell’agricoltura,
dell’allevamento, tutti i succedanei:
pasticceria, pasta, industria alimentare, ristorazione e il turismo.
Ma anche la pelletteria. L’Italia ha
il vanto di avere la più grande varietà di vacche da latte del mondo,
con quattro grandi proprietà: forza
lavoro, produzione di latte per il formaggio, carne eccellente e pellame.
Se abbiamo la grande industria delle
scarpe è grazie anche a questo.
Il format Paesi e paesaggi è una
delle pagine più dinamiche della tv
gastronomica. Come ti è venuta l’idea e quale riscontro oggettivo ha sul
produttore?
“Quando va in onda, su Striscia la
notizia, si alza l’indice di ascolto.
È stata un’idea di Antonio Ricci, a
cui bisogna riconoscere la capacità
di denuncia fatta sì con leggerezza, ma con altrettanta perseveranza.
Questa è la parte construens dell’Italia, ossia le qualità di questo Paese,
pensata con l’autore Luca Masia: l’idea è fare l’Italia a piedi per vivere
e godere davvero le cose. Cammino con una sedia che, dove decido,
apro e dico “qui mi sento come a casa” e parto con il racconto: il paese
è il luogo e il paesaggio è l’uomo. Vogliamo essere molto precisi nel
racconto e ora ne faremo un libro che diventa una guida diversa, edita
da Skira, con una cosa in più: una serie di suggerimenti rivolti ai gioristorazione&catering 9 settembre/ottobre duemila14
vani che devono sapere che in quei luoghi si possono fare
nuovi lavori, trovare nuove opportunità”.
Ogni giorno siamo sollecitati da concetti come qualità,
salubrità, biologico, km zero. Nonostante questo, i tagli
più evidenti dei consumatori sono nel paniere alimentare
e, nelle metropoli, dilaga l’appuntamento hour come sostitutivo alla cena. Come invertire la tendenza?
“Tutte quelle parole che tu hai detto sono spesso buttate
lì, non sono raccontate e la gente non ci riflette sopra.
Ma se cominciamo a dire che la qualità è il racconto delle differenze, già implica un pensiero diverso. Dare una
spiegazione, nel senso etimologico (spiegare vuol dire
togliere le pieghe, le ombre), è fondamentale. Dobbiamo
cominciare una vera strategia di formazione educativa.
Sono molto contento che nelle scuole venga introdotta
l’arte e la musica. Ma lo sarei ancora di più se venissero
inserite discipline che attengono alla cultura materiale,
per riempire di senso e significato le cose. Non sopporto
più quando sento certi soloni blaterare riguardo la tutela
del paesaggio, senza capire che quella tutela deriva da
chi: coltiva la vite, alleva le pecore… Bisogna tutelare
prima di tutto il lavoro di questi straordinari artigiani, che
diventano artisti quando raggiungono l’eccellenza. Que-
sto produce economia e noi dobbiamo spiegare questa
filiera, senza fermarci solo ad una considerazione estetica. Spesso non c’è il senso del vissuto in chi parla con
un’astrazione totale, nessuno di questi probabilmente non
ha mai toccato una vacca e, ancora, non esiste il paesaggio per il paesaggio, il tutto deve essere corroborato dalla
conoscenza e dal valore che esso produce. È l’uomo che
determina il rapporto con la natura”.
Quale può essere il ruolo della ristorazione, partendo dal
potere che può avere nell’influenzare lo sviluppo socioeconomico, nel favorire una nuova educazione al cibo?
“Quando il mondo della ristorazione prenderà completa
coscienza di sé avrà lo stesso ruolo formativo che ha la
scuola. Un ristorante che esercita perfettamente la sua
funzione è una vera e propria agenzia culturale perché il
ristoratore conosce il suo luogo: il genius loci. E se conosce dà valore: a quel modo di cucinare, a quelle verdure,
a quel modo di pescare. E in tal modo aiuta il pescatore,
l’ortolano, il coltivatore a vivere e a continuare la sua arte
e mestiere. Per questo, quando presentano il piatto, ti devono raccontare storie, di vita vera, di conoscenza delle
arti e dei mestieri”.
Memoria e narrazione, quanto contano nella rappresenta-
ristorazione&catering 10 settembre/ottobre duemila14
zione del cibo?
“La memoria, lo diceva Sant’Agostino, è la reinterpretazione del passato. Condizione fondamentale per creare
scienza e arte. Come del resto la tradizione è reinterpretazione: il passaggio da una forma ad un’altra cambia la
tradizione, rendendola viva. La replica esatta sarebbe
mortifera in tutto, anche nel cibo”.
Perché piace il cibo italiano, in aree del mondo sempre più
grandi?
“Perché è la sua straordinaria qualità, intesa come narrazione di differenze. Basti pensare alle migliaia di chilometri delle coste italiane e alla straordinaria varietà di
pesci, che vuol dire diversità di pastura, temperatura e
salinità. Questo significa che a Trieste si cucinerà in un
modo diverso da Monfalcone, Venezia, Chioggia e giù
ancora: Marche, Puglia, Campania, Toscana, Liguria, le
isole. Chi può vantare una cosa del genere? Prova a declinarla nell’ambito, ad esempio, dell’olio: tutta l’Italia è
oleicola, con oltre 200 tipi diversi di olive. Oppure il vino,
che vanta alcuni capolavori e grazie, diciamolo, soprattutto a Gino Veronelli e a molti bravissimi produttori, è
andato verso la grande qualità. Attraverso questo l’italiano ha scoperto la cultura del vino e della vite che signifi-
ca la cultura delle diverse specie autoctone, che vantano
una storia secolare. Questa straordinaria varietà si è solo
iniziato a interpretarla, ma molta strada deve essere fatta
nella ricerca dell’anima dei prodotti. È questa la nuova
frontiera”.
Si mangerà locale, lo dicono ormai in tanti. Come si devono attrezzare i produttori italiani, sempre troppo piccoli e
sempre più orientati all’export?
“Quello che conta è dar valore, far conoscere e raccontare la filiera storica e l’esercizio del mestiere. Scusami,
quante bottiglie si producono di Chateau d’Iquem? Poche, pochissime. Noi abbiamo un patrimonio enorme a
cui dare valore e solo allora scopriremo che il piccolo diventa prezioso. Ecco l’importanza delle agenzie culturali
dei ristoratori, ma anche dei vignaiuoli, di chi produce
il Culatello, ecc... Tutto questo deve diventare un unico
sistema, insieme alla scuola. Mi fa impressione chi dice
che la cucina è anche “cultura”. E assolutamente normale che il cibo sia cultura. La capacità di realizzare un ottimo formaggio è la stessa di un artigiano di realizzare un
eccellente decoro. Un piatto di Marchesi, (o) di Ducasse
o di Bottura è pari ad un’opera d’arte. Non c’è differenza,
semplicemente bisogna praticare il senso vero delle cose
e non l’esercizio dell’intellettualismo. Non c’è dubbio di
questo se si ha una vera considerazione democratica, altrimenti diventa un esercizio di arroganza culturale che
genera incultura. E sono purtroppo in tanti a praticarla”.
E l’industria alimentare, in questo scenario evolutivo, che
ruolo deve avere?
“Importantissimo! L’industria alimentare, in particolare quella italiana, è un pilastro fondamentale. Se penso
a certi marchi sono veramente ammirato. Come d’altro
canto abbiamo moltissime cose da perfezionare. Non va
trascurato niente, va valorizzato tutto. Basti pensare alla
straordinario fenomeno delle birre artigianali. Bisogna lavorare insieme e altrettanto deve fare il pubblico: insieme
devono agire il ministero della cultura che deve lavorare
in strettissimo rapporto con quello dell’agricoltura”.
L’Italia, si sa, è un concentrato di paradossi; siamo il paese
della dieta mediterranea e siamo il secondo paese per obesità infantile. Come vedi il futuro del cibo?
“Il futuro del cibo è legato ad una presa di coscienza, alla
valorizzazione delle arti e mestieri, al ruolo delle agenzie culturali di cui abbiamo parlato. È legato alla preservazione delle attività. E questo lavoro va fatto luogo per
luogo. Non si può far morire una razza in nome di un’economia astratta. Va conosciuto passo passo il nostro cibo,
bisogna camminare dentro al paesaggio e la tecnologia
deve essere strumento per aiutare questo processo. Il fine
deve essere la qualità di vita dell’uomo”.
*
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ristorazione&catering 11 settembre/ottobre duemila14
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n un precedente mio intervento, pubblicato sulla rivista on-line, feci alcune considerazioni riguardanti
l’atteggiamento negli acquisti degli operatori del
settore della ristorazione; avevo sostenuto che gli
operatori intermedi della filiera, i grossisti del food service, dovevano individuare le precise necessità di servizio
e organizzarsi per poter fornire risposte adeguate.
Avevo infine lanciato un monito: “Attenzione quindi,
operatori della ristorazione e del canale food service: altrove questi equilibri sono già stati ottenuti!
Non ci si dovrà stupire se in futuro potrebbero entrare su
questo mercato operatori di altri paesi!”
Puntualmente, dopo pochi giorni, si è diffusa la notizia
dell’acquisizione, da parte di una multinazionale sudafricana, della maggioranza del secondo gruppo privato
nazionale operante nel food service!
Quando si fa riferimento ai mutamenti di mercato avvenuti negli altri paesi, gli operatori finiscono sempre per
trincerarsi dietro gli stessi stereotipi: ma in Italia è tutto
diverso, l’Italia è lunga e stretta, negli altri paesi non si
mangia come in Italia… autoconvincendosi che si parli
di cose che non li riguarderanno mai!
Mentre i cambiamenti di mercato e delle abitudini di
consumo sono conseguenze incontrollabili di mutamenti
economico sociali più ampi.
Se non si vogliono accettare passivamente le conseguenze è necessario quindi non sottovalutare quanto avviene
altrove e agire di conseguenza e in anticipo.
In una situazione di mercato a consumi piatti, con una
domanda in lento e costante calo, bisogna che ci si abitui
a ripensarsi e ad accettare come “la nuova normalità” la
situazione che sì è creata.
Non possiamo stare a guardare e dirci continuamente:
“quando la crisi passerà…”.
Occorre che gli operatori si adoperino per differenziare
la propria offerta con unicità, in modo da essere ricercati
perché quanto si offre non sia ciò che normalmente offrono tutti i concorrenti!
Solo così sarà possibile riprendere a fare utili e a finalizzare correttamente la propria opera imprenditoriale.
Detto questo, siamo al termine di una estate da record!
Purtroppo per tutti gli operatori e principalmente quelli
stagionali che contavano sul turismo vacanziero, è stata
una estate in gran parte del territorio nazionale da ricordare per l’eccezionale negatività delle condizioni meteorologiche.
Sì è salvato il Sud della penisola!
Pur in una situazione di crisi, pur in presenza di pessime
contingenze meteorologiche, non tutti però risentono negativamente di questi eventi.
Si può, infatti, osservare che ci sono operatori di tutta la
filiera, ristoratori, grossisti del food service e produttori,
che nonostante tutto stanno crescendo e guadagnando…
non può essere che succeda per caso!
È proprio l’attenzione complessiva che riservano al mercato, ai suoi mutamenti e alle scelte conseguentemente
effettuate, che porta questi operatori ad avere successo.
Alcune volte mi soffermo ad analizzarli e anche in questi,
nonostante i risultati positivi, emergono inadeguatezze.
Perciò, oltre all’attenzione ai bisogni che si stanno creando in questa situazione di “nuova normalità”, ad essere proiettati verso l’efficienza nella gestione, dovranno
far sì che i propri clienti ricevano da loro sempre qualcosa di più e di differente, nei confronti di quanto gli stessi
si attendono.
E questo è un esercizio che non dovrà mai aver termine!
ristorazione&catering 13 settembre/ottobre duemila14
le novità 2014
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arà che, complice l’onnipresenza sugli schermi televisivi di chef o dilettanti entusiasticamente indaffarati ai
fornelli, ormai tutti sono tentati di provare nuove ricette e ingredienti insoliti. O sarà forse perché, viaggiando,
crescono le occasioni di contatto con altre cucine, di cui, anche una volta a casa, si desiderano ritrovare certi sapori. Oppure, ancora, sarà per l’inarrestabile espansione del numero di ristoranti etnici. Sta di fatto che l’utilizzo
delle spezie, anche di quelle fino a ieri meno note e più esotiche, è in crescita, seppur timida, anche nel nostro Paese.
“Il mercato complessivo – spiega Paolo Barbagli, direttore commerciale Italia di Drogheria & Alimentari, la maggiore
importatrice italiana di spezie (3.200 tonnellate annue, di cui 1.400 solo di pepe) – resta comunque esiguo, per un valore
complessivo di 120 milioni di euro: ancora distante, dunque, dalle cifre raggiunte da quello tedesco o francese, che valgono quattro volte tanto. A essere interessanti, però, sono sia la lieve crescita sia la diffusione di molte referenze fino a
ieri sconosciute o quasi, che oggi abbiamo implementato: zenzero, curcuma, cardamomo, coriandolo e cumino”.
ristorazione&catering 15 settembre/ottobre duemila14
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HOTEL
OLTRE
20.000 Visitatori
SPECIALIZZATI NEL 2013
20 - 23 ottobre 2014 | Bolzano
OLTRE
Fiera internazionale per hotellerie
e ristorazione
500 Espositori
NEL 2013
lun-gio: 9.30-18.00
22 OTTOBRE
Vinea Tirolensis
ORGANIZZATO DAI VIGNAIOLI
DELL’ALTO ADIGE
CONVEGNO INTERNAZIONALE
Social Media Forum
CONVEGNO INTERNAZIONALE
RIcostruire?!
ALBERGATORI E ARCHITETTI
ALLA RICERCA DI NUOVE STRADE
INSIEME A
AUTOCHTONA
2014
Regola numero uno: conoscere bene la spezia che
si sta usando
Curcuma & C. stanno prendendo piede anche nella gastronomia di casa nostra, arricchendola di nuove possibilità. Roberto e Andrea Rossi, per esempio, della Locanda
del Feudo di Castelvetro (MO), ne fanno un uso equilibrato e sapiente in diverse preparazioni. “L’importante
– sottolinea Roberto – è conoscere bene il gusto che la
spezia può apportare, in modo da aggiungerla nella quantità capace di conferire solo quella nota in più, che non
copre ma, anzi, esalta gli altri ingredienti. Prendiamo, per
esempio, un semplice tagliolino cacio e pepe: utilizzare
un pepe di Sichuan dona al piatto una nota più delicata,
rendendo il gusto complessivo più armonico, mentre la
scelta di un pepe nero, più aggressivo, finirebbe col coprire il gusto sia della pasta che del formaggio. Con i diversi
tipi di pepe si può poi giocare anche all’interno di una
stessa preparazione, come nel caso di un nostro tortino
con formaggio di capra e pepe bianco, accompagnato con
salsiccia di Mora Romagnola, aromatizzata al pepe nero”.
Le spezie entrano a buon diritto (e con riscontri più che
soddisfacenti) anche nella panificazione. Il cestino dei
pani della Locanda del Feudo, infatti, propone diverse
preparazioni in base alla stagione. Una, però, non manca
mai: il panino alla curcuma, espressamente pensato per e
particolarmente gradito alla clientela femminile per il suo
gusto e la sua leggerezza, il bel giallo intenso dell’impasto
e l’azione digestiva.
I piatti in cui lo chef sperimenta l’uso di spezie sono presenti in ogni sezione del menu. Compresi i dolci, tra cui
spicca un millefoglie di cioccolato bianco con un mix di
liquirizia, cannella e anice stellato, che regala al piatto
un gusto regolare, dal primo boccone all’ultimo, senza che
mai una spezia sovrasti l’altra.
La cucina di Roberto conta, inoltre, su una particolare
selezione di sali, ognuno con caratteristiche che lo rendono adatto a certi piatti e non ad altri. E poi ci sono
le erbe aromatiche, acquistate fresche (fiori commestibili
compresi) da un’azienda agricola del bolognese. “Insieme
– spiega Roberto – stiamo mettendo a punto e sperimentando anche delle essenze in olio (salvia, rosmarino, lavanda, maggiorana, ecc.) da spruzzare sul piatto ultimato:
rispetto alle spezie hanno un gusto più fugace”.
38ª Edizione
FORUM DEI VINI AUTOCTONI
lars.it
Il fascino di aromi che vengono da lontano
Che le spezie possano trasmettere, oltre ad aroma e gusto, il fascino di mondi lontani lo sa bene Elena Shang,
che, nata in Cina e trapiantata in Italia a 16 anni, dopo
una lunga esperienza quale responsabile marketing di
una multinazionale del settore alberghiero, nel 2008 ha
aperto Blue Ginger, uno dei primi ristoranti fusion di Milano. “Oggi il cliente è sempre alla ricerca di qualcosa di
diverso. – afferma – Se n’è accorta anche l’industria che,
come dimostra, per esempio, il settore delle bevande, ha
provato a innestare gusti tra loro distanti, creando prodotti originali e inconsueti. Questa, dunque, è la tendenza
anche nel mondo delle spezie, dove, per esempio, ginger
e rafano si stanno ritagliando uno spazio crescente”.
E proprio lo zenzero, ma anche il sesamo, il tamarindo,
il peperoncino e il coriandolo, utilizzati sempre rigorosamente freschi, sono tra le spezie principe di Blue Ginger,
che fa largo uso anche di erbe aromatiche, sempre in versione fresca, come l’erba cipollina, il basilico thailandese e il lemongrass. “Nella zuppa Tum Yan, per esempio
– spiega Elena Shang –, una delle più speziate, oltre al
pepe utilizziamo tamarindo, coriandolo, peperoncino e
lemongrass. Nei gamberi al curry, invece (che è già di
per sé una miscela di spezie), aggiungiamo il coriandolo”.
Il menu del locale, un compendio di diverse cucine asiatiche, è improntato al massimo rispetto delle ricette originali, soprattutto per quanto riguarda scelta e quantità
delle spezie. “La cucina cinese, per esempio – osserva
Shang –, le impiega in misura moderata, mentre quella
thailandese, di cui in genere proponiamo non più di trequattro piatti, le prevede in quantità maggiori. Sushi a
parte, comunque, quella di Blue Ginger è soprattutto una
cucina cinese contemporanea, rivista creativamente e
rinnovata grazie all’introduzione di ingredienti sia locali
che esotici. Facciamo, per esempio, un largo impiego di
frutta, come mango, pitaya, rambutan: i loro profumi e i
loro gusti freschi si sposano bene con quelli più decisi
delle spezie, dando vita a connubi che i clienti apprezzano molto”.
2014
All’interno di un assortimento di grande completezza e
profondità, pronto a raggiungere target differenziati, come
mostrano le sue tre diverse divisioni retail, cash & carry
e industria alimentare, le linee pensate da Drogheria &
Alimentari per la ristorazione e il catering sono proposte
in vari formati. Si va, infatti, dalle confezioni in pacco
da chilo e mezzo chilo, per le referenze più performanti (come pepe, origano, peperoncino, semi di finocchio,
aglio, chiodi di garofano, noce moscata), al barattolo in
pet da 350 cc, particolarmente comodo per la visibilità
che dà al contenuto, anche per spezie di uso più limitato.
“C’è poi una piccola linea di sali speciali – aggiunge Barbagli –, molto apprezzati dai professionisti: sale in fiocchi
di Cipro, di Maldon, sale rosa dell’Himalaya, grigio della
Bretagna, ecc.; e di recente abbiamo lanciato una gamma
di semi: di girasole, zucca e lino, in aggiunta a quelli di
sesamo e papavero, utilizzati soprattutto dai ristoranti che
propongono un proprio cestino di pani”.
Se nella nostra gastronomia, dunque, le erbe aromatiche
hanno tradizionalmente avuto la meglio sulle spezie, oggi
le cose (e i gusti) stanno cambiando. Così come cambia, di
pari passo, la classifica delle spezie più utilizzate. “Pepe
nero, origano e peperoncino sono le referenze più altorotanti – elenca Barbagli –, seguite da aglio, rosmarino e
curry, fino a poco tempo fa quasi sconosciuto e oggi immancabile nelle cucine”.
www.hotel.fierabolzano.it
STANCO DEI SOLITI CUBETTI?
DA OGGI LA TUA FANTASIA NON HA PIÙ LIMITI
professione cuoco
di Roberto Carcangiu
presidente Associazione
Professionale Cuochi Italiani
Cosa determina
il valore di un cuoco
S
iamo in un momento storico di estremismi che
tutto tranne il valore della cucina italiana che
in realtà della medietà (e non mediocrità), da
sempre, fa il suo valore, anche se in maniera inconsapevole. Passiamo dalle aziende dove il cuoco deve
essere un individuo non pensante, basta che segua le
linee guida (il solo dirlo mi indispone), a cuochi che,
da star nella comunicazione, in cucina ci stanno poco,
o meglio il loro lavoro è essere comunicati. Il ragionamento che voglio fare è legato al significato/valore delle
parole e ai comportamenti che dovrebbero avere le parti
in causa, ovvero titolari e chef medesimi. Premesso che
niente o quasi è completamente giusto o sbagliato se non
l’uso che si fa delle cose, possiamo dire soprattutto per
lo chef, se televisivo o formatore, che ha una responsabilità sociale importante e questo non solo nei confronti
del mercato ma anche delle persone più giovani che, per
emulazione, altro non fanno che inseguire dei modelli
che poi nel tempo si rivelano finti. La domanda principale che ci dobbiamo fare è: quanto di quello che facciamo
serve a noi e quanto alla categoria professionale a cui
apparteniamo? Proprio in questi giorni in un convegno
della nostra associazione ricordavo che il meglio per tutti
è anche meglio per me, mentre non è detto che il meglio
per me sia il meglio per tutti. La domanda non è chef
stellato o chef televisivo, ma piuttosto lo chef operativo:
cosa fa, chi è professionalmente e umanamente parlando? Dobbiamo tornare ad una modalità dove la parte più
importante del valore lavoro è dato da ciò che facciamo
nel concreto e non da quello che diciamo per essere interessanti agli uditori del momento. Sono le nostre caratteristiche nell’insieme che ci rendono interessanti e non
i valori in assoluto.
Si può scrivere un decalogo su come un altro collega dovrebbe “essere” o comportarsi? Credo assolutamente di
si. Mentre per ciò che riguarda il solo individuo la libera
scelta è soprattutto una questione personale, per ciò che
riguarda una professione il dovere è anche verso gli altri,
siano essi colleghi piuttosto che clienti.
Queste dunque, a mio parere, sono le caratteristiche positive che uno chef deve avere:
- minimo 12-15 anni di esperienza di cui almeno 2 come
secondo chef
- conoscenza ed esperienza di gestione economico finanziaria della cucina
- buona base teorica e pratica di tecniche di cottura e
cucina classica
- capacità di operare al meglio in funzione dei budget
previsionali
- capacità di interagire e creare squadra nel gruppo non
per mera imposizione
- volontà e propensione al lavoro di squadra ed alla condivisione dei risultati con gli altri capiservizio
- ordinato e metodico anche nella gestione della parte
cartacea della cucina
- capacità di pianificazione e progettazione del lavoro
anche a “tavolino”
- almeno due corsi all’anno di aggiornamento
- capacità di analisi oggettiva e relativa pianificazione
di layout strumentali con relativi break event su metodi
consolidati
- studio della cultura gastronomica profonda del territorio gastronomico ove si trova ad operare
- capacità di sedare nervosismi in servizio
- cura della propria persona, sia sotto l’aspetto della salute sia sotto quello dell’immagine esteriore
Modalità
di preparazione:
LE 4 REGOLE
DA SEGUIRE
PER UN
RISULTATO
ECCEZIONALE!
Grandi Panieri presenta la linea di verdure surgelate “Foglia a Foglia”.
Agrifood Abruzzo-Covalpa è stata la prima azienda italiana a produrre
con questo innovativo metodo, che permette di mantenere intatte
le foglie delle verdure e preservare le qualità del prodotto fresco.
Foglia a Foglia garantisce alta qualità delle materie prime e provenienza
era chiusa e controllata.
100% italiana, certificata da una filiera
La gamma comprende un assortimento
t completo:
l t
SPINACI
BIETE ERBETTE
BIETE A COSTE
CICORIA
CIME DI RAPA/FRIARIELLI
1
FAI RINVENIRE
VERZA
I risultati migliori per conservare tutta la qualità di Foglia a Foglia si ottengono con
la cottura a vapore (6 minuti). Quando prepari piccole quantità puoi utilizzare il microonde
(bastano solo 2 minuti a 750W) oppure la padella, utilizzando 1 cm di acqua da
eliminare a fine cottura (4 minuti per lato).
2
CONDISCI
Perfora leggeremente la porzione in modo che il condimento penetri all’interno;;
spennella con un’emulsione di olio, limone e sale o con un condimento a piacere.
e.
3
GUARNISCI
risci.
Crea un contorno fantasioso guarnendo la porzione con gli ingredienti che preferisci.
4
SERVI
Ecco un suggerimento di come puoi servire un contorno di sicuro successo:
Spinaci Foglia a Foglia e pomodori glassati al forno (15 minuti a 120°C) con
crema di formaggio aromatizzata al timo e salsa al formaggio sul piatto.
ristorazione&catering 18 settembre/ottobre duemila14
AGRIFOOD ABRUZZO S.r.l. Sede: Via San Bernardino, 196 - 25018 Montichiari (BS) - Tel. 030 99 815 30 Fax 030 99 815 20 – email: [email protected] - www.agrifood.it - Stabilimento: Borgo Strada 14 - 67043 Celano (AQ)
ROBA FINE
SALA E CUCINA
IN CUCINA
di Marina Caccialanza
Scegliere la farina adatta
è il primo passo verso un
buon risultato
P
ellegrino Artusi, nel suo La scienza in cucina e
l’arte di mangiar bene, scriveva: “Basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi: poi
scegliete sempre per materia prima roba della
più fine, ché questa vi farà figurare”.
Forse uno dei segreti della buona tavola sta proprio lì,
nella scelta delle materie prime e non a caso uno dei maestri della cucina moderna, Aimo Moroni, ripete ai suoi
allievi come in un mantra “imparate a fare la spesa”.
La farina è una delle materie prime fondamentali e scegliere la farina adatta può essere la strada giusta per la riuscita di una ricetta. Lo sanno bene gli esperti di tecniche
molitorie che con estrema professionalità contribuiscono
allo sviluppo di prodotti sempre più selezionati, perfezionati e innovativi. A questa continua opera di ricerca per
ristorazione&catering 20 settembre/ottobre duemila14
trovare la formulazione più adatta alle esigenze di pasticceri, pizzaioli, cuochi e panettieri, una risposta valida viene da
Le 5 Stagioni, linea del Gruppo Agugiaro & Figna: “Le farine
sono sempre di più, per rispondere a una richiesta di mercato
esperta e informata. Ogni professionista ricerca la farina che
rispecchi al meglio il proprio modo di lavorare, che supporti la
propria creatività con un’elevata qualità, ma che la stimoli anche con prodotti nuovi, innovativi. La tendenza è dunque ricercare miscele specializzate ma con, al tempo stesso, un ritorno
agli antichi sapori, alla genuinità. Per questo le nuove miscele
e farine tendono nettamente verso la macinatura a pietra, le
farine integrali e i prodotti bio. E se è vero che i consumi stanno subendo le conseguenze della congiuntura economica e che
non si può parlare di crescita dei consumi, il brand Le 5 Stagioni sta registrando un aumento delle vendite, non legato all’andamento del mercato ma all’acquisizione di maggiori quote di
mercato; dato che denota una maggiore attenzione al prodotto
di qualità e al desiderio di legarsi ad aziende affidabili”.
Dalla culla della tradizione partenopea…
Professionisti esperti e consumatori smaliziati e
alla ricerca di esperienze gustative nuove e appaganti, dunque, ma anche voglia di genuinità.
Come non pensare subito al piatto principe della
gastronomia italiana, la pizza: farina, acqua, lievito e le mani del pizzaiolo a darle vita.
Massimo di Porzio significa Pizzeria Umberto,
Napoli, culla della pizza napoletana. “Seguiamo
le regole della pizza napoletana tradizionale, così
come ci sono state tramandate e come ci impone il
disciplinare IGP. Per ottenere una buona pizza serve farina raffinata, cioè priva dello strato esterno
del chicco. Oggi i nutrizionisti consigliano farine
poco raffinate, con valori nutrizionali più alti ma
non sono adatte alla pizza tradizionale. La farina
ideale deve avere un basso contenuto di proteine,
un livello di W compreso tra 240 e 280, per adattarsi al nostro metodo di impasto. Questo tipo di
farina ci permette di ottenere una pasta sufficientemente elastica ma soprattutto plastica dopo la
maturazione, ossia che mantiene la sua struttura e
non si ritira al momento della stesura; sono queste
caratteristiche che contribuiscono alla leggerezza
e digeribilità della pizza napoletana. Oggi per ovvi
motivi proponiamo anche pizze senza glutine: si
impiega il semilavorato ma noi lo mescoliamo a
diversi tipi di farine senza glutine, come il fioretto di mais o la
farina di riso, per ottenere una miscela personalizzata adatta al
nostro metodo di lavoro”.
…al rassicurante piacere della pasta fresca
Non è un dettaglio il metodo di lavoro, perché l’esperienza del
professionista è comunque fondamentale, come ci conferma
Daniela Traversi, chef della Trattoria Ravaldi di Castelfranco Emilia dove il piatto forte è, secondo la migliore tradizione
emiliana, la pasta fresca. “Siamo un locale familiare e proponiamo cucina casalinga e tradizionale. La pasta fresca è nel
nostro DNA: personalmente ho imparato a prepararla da mia
suocera e ancora oggi seguo i suoi consigli esperti. Capita di
sperimentare nuove ricette ma la pasta è uno dei fondamenti
sui quali non si transige e deve essere rigorosamente preparata fresca, cotta al momento e servita come Dio comanda. È la mano di chi fa la
sfoglia, la sua passione ed esperienza che fanno
la differenza così come il condimento giusto. Un
tempo acquistavamo la farina direttamente da
un mugnaio della zona, oggi ci serviamo presso
i distributori che offrono un prodotto di buona
qualità; non occorre un tipo particolare di farina
se non una tipologia 00 oppure la 0 se si vuole
ottenere una maggiore ruvidezza. Tutto il resto è
passione”.
Per finire in dolcezza
E di passione si tratta quando da un sacco di farina si parte per creare le meraviglie della pasticceria artigianale. “Scegliere la farina adatta è il
primo passo verso un buon risultato – spiega Carlo Pozza, Pasticceria da Venicio, Arzignano (VI)
- e le farine tecnologicamente avanzate oggi sul
mercato sono un valido aiuto. L’innovazione ha
fatto passi da gigante e le nuove formulazioni agevolano il processo e il risultato finale. Le selezioni
effettuate sulle tipologie di grano ci permettono
di contare su una materia prima il più possibile
stabile tutto l’anno e su farine specifiche per ogni
tipo di lavorazione: farine di forza per i grandi
lievitati, con più glutine e proteine per sopportare meglio il lungo impastamento senza strappare e perdere elasticità; farine più deboli con W
120/180 per le paste frolle. Una materia prima
adeguata, inoltre, permette di affrontare meglio
le variabili connesse alle condizioni climatiche”.
ristorazione&catering 21 settembre/ottobre duemila14
MAESTRI
IL RE
DEI PASTICCERI
Iginio
Massari
Al contrario di
altri mondi la
pasticceria e la cucina
sono agli albori
di Luca Bonacini
I
più importanti riconoscimenti internazionali lo
pongono da anni al vertice della categoria, la sua
indiscussa abilità nel raggiungere i più ambiziosi
obiettivi ne fanno l’uomo che ha vinto tutto, dando
lustro all’Italia nel mondo. È Iginio Massari, il re della
pasticceria. A Brescia presso la pasticceria Veneto da
lui aperta nel 1971, migliore d’Italia per tre anni di seguito sulla Guida Gambero Rosso, si cela solo parte di
un’ intensa attività professionale che lo porta sempre in
prima linea nella sperimentazione, perseguendo le origini delle ricette classiche, ampliando continuamente la
propria estesa cultura sulla storia della pasticceria, confrontandosi e viaggiando dovunque venga richiesto il suo
sapere, che si tratti del campionato del mondo, al quale
accompagnare un allievo allenato da lui, o sia invitato
a partecipare alla giuria di un prestigioso concorso internazionale. Una carriera costellata di successi, quella
del campione del Mondo Iginio Massari, iniziata in un
semplice panificio a sedici anni, che lo porta in Svizzera
nei Cantoni francesi dove avviene la prima esperienza di
pasticceria e cioccolateria, che lo introduce all’incontro
con il maestro Claude Gerber, un privilegio che gli consente di apprendere i fondamentali. Al ritorno in Italia è
conteso da alcuni marchi nazionali molto noti, per la sua
ristorazione&catering 22 settembre/ottobre duemila14
conoscenza delle tecniche più raffinate, per i complessi processi
di lavorazione dei lievitati e per una dedizione non comune verso la sua professione, una competenza riconosciuta a tal punto,
che quando incorse in un incidente, che gli impediva di guidare
per un lungo periodo, il suo datore di lavoro dell’epoca, ritenne
cosi importante la sua collaborazione, da farlo venire a prendere da un’auto ogni giorno. Un talento raro, coniugato a una
cultura vasta e a un carattere risoluto, gli consentono di vincere
dal 1964, oltre 300 concorsi, premi e riconoscimenti nazionali e
internazionali. Nel 1985 è ideatore a Brescia del primo campionato italiano di pasticceria; nell’87 diviene, il primo e unico italiano membro della prestigiosa associazione internazionale “Relais Dessert”, che raggruppa i migliori pasticceri del mondo con
l’obiettivo “Qualità” (91 aderenti di 16 nazioni); nel 1993 fonda
a Brescia, l’ Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani; nel 1997
è allenatore della squadra italiana vincitrice a Lione della “Coppa Del Mondo di Pasticceria”; nel 1999 è “Pasticcere Italiano
dell’Anno“; nel 2003 vince la Medaglia d’oro, con
la miglior torta italiana al cioccolato da forno; nel
2004 è allenatore della squadra italiana vincitrice
del campionato del mondo; nel 2009 a Nashville
USA, è allenatore della squadra italiana “World
Pastry Masters” medaglia di bronzo; nel 2011 a
Phoenix USA Arizona, è allenatore World Pastry
Masters” medaglia d’argento; nel 2013 a Rimini,
è allenatore per il Campionato del mondo nella lavorazione artistica dello zucchero “medaglia d’oro”, e nel 2013 a Parigi, è allenatore individuale
italiano per il Campionato mondiale del cioccolato
“World Chocolate Masters” medaglia d’oro. Nello
stesso anno riceve il titolo di Commendatore della
Repubblica italiana.
Una carriera sempre in ascesa, con i più importanti
riconoscimenti, ma come sono stati gli inizi?
“Mia madre aveva un ristorante e una gelateria,
mio papà era funzionario delle Ferrovie, due poli
opposti; probabilmente sono stati i profumi della
cucina di casa, a farmi innamorare di questo lavoro. Ho iniziato da un fornaio, dove andavo nel
dopo scuola, i miei mi volevano medico, ma io mi
avvicinai sempre di più alla cucina, andai anche
a bottega dai nonni che avevano una macelleria,
per conoscere i tagli delle carni e le frollature, poi
scelsi di fare il pasticcere. Entrai nel mondo del
dolce, andando in Svizzera, girai vari paesi all’estero, per conoscere i grandi professionisti della pasticceria, tornato in Italia
diventai responsabile di una pasticceria con 60 dipendenti, e
poi in una piccola pasticceria dove riuscii a decuplicare il fatturato, poi da Barzetti, e da Bauli come direttore di produzione,
esperienze che hanno consolidato la mia reputazione, e che mi
hanno portato ad aprire insieme a mia moglie la pasticceria Veneto, a Brescia, la mia città, dove sono ancora oggi”.
Cosa ne pensa delle guide?
“Sono utili e aiutano il comparto a crescere, ma occorre professionalità. Ho collaborato alla guida del Gambero Rosso delle pasticcerie, ho dato il mio contributo realizzando un pratico
glossario a tergo del volume, che possa servire per fare chiarezza
sui vocaboli e i termini usati in pasticceria, ma ho anche consigliato l’organizzazione di un corso per gli ispettori. Un percorso
formativo, per disporre di basi comuni e valutare con competen-
za le pasticcerie e poi assegnare un voto, occorre
conoscere i cinque sapori, come degustare, quali
sono gli elementi importanti cui fare attenzione,
a cosa serve l’acido, il basico, il dolce, il salato,
quale è la forza del salato a livello osmotico, ad
esempio come assaggiare un cannellino, prima la
sfoglia e poi la crema. Anche in questo ambito la
formazione è importantissima”.
Cosa vuol dire partecipare, e vincere un campionato mondiale?
“Un’emozione grande. Mi è sempre piaciuto primeggiare, anche nello sport, e quando alleno i ragazzi per il mondiale, li alleno in tutto e per tutto,
qualcuno è più bravo di altri e riesce a imporsi.
Qualche volta la giuria non è all’altezza, non sempre il loro valore tecnico è elevato, e qualche volta li ho messi in difficoltà, occorre essere coerenti
e avere una linea professionale trasparente, una
volta mi tolsi dalla giuria, perché un mio dipendente era in concorso, e rischiavo un conflitto di
interessi. L’allievo vinse lo stesso”.
Anche nel mondo della pasticceria si investe sulla
formazione, e ogni anno vengono organizzati concorsi, ma la figura del pasticcere è adeguatamente
valorizzata?
“Prima di formare gli allievi, occorre formare i
docenti, c’è un gran bisogno di professionisti autorevoli che trasmettano le proprie competenze
alle nuove generazioni. C’è molta confusione, a
partire dai concorsi e dalle giurie, servirebbe un
dizionario comune sui vocaboli, si sentono termini che non corrispondono al reale significato del
tal preparato o della tal ricetta. Prenda la crema
ristorazione&catering 23 settembre/ottobre duemila14
chantilly ad esempio, che per gli italiani è panna montata
con un po’ di crema, mentre invece è panna montata, zuccherata con un po’ di vaniglia, e il nome deriva dal castello dove è stata inventata. In molte città italiane del nord
chiamano gattò, la crema al burro, quando invece è una
preparazione salata a base di patate. Occorre un vocabolario condiviso. In Italia non esiste la figura del maestro
pasticcere come ad esempio in Francia, ma con l’Accademia ci stiamo muovendo, è una figura professionale cui
deve essere riconosciuta una maggior dignità, ancora non
adeguatamente definita”.
Ogni anno seleziona centinaia di allievi, quali consigli
da scoprire, occorre aprire gli occhi, e diffidare di chi fa
solo complimenti, si è più simpatici, ma non c’è evoluzione”.
Quali sono stati i maestri del ‘900 ?
“Brillat Savarin e Artusi, hanno fatto scuola, stavano bene
di portafoglio, quindi avevano tempo e disponibilità per
dedicarsi a questo argomento con passione e tecnica, e
ci hanno lasciato un grande patrimonio di saperi, a loro
va la mia riconoscenza. Motta, e anche Alemagna al di
la dell’immagine che arriva oggi, hanno fatto la storia
dell’artigiano e dell’industriale, una competizione che è
stata il sale di una categoria. Salza di Pisa, era un formi-
PIZZA
SENZA GLUTINE…
ECCO LE SOLUZIONI!
Molino Spadoni ha creato una nuova linea di mix e impasti surgelati
pronti da stendere o già stesi, destinati all’utilizzo professionale
per ottenere pizze gustose e croccanti, anche senza glutine!
La linea “Senza Glutine” è stata realizzata dagli specialisti della nuova
Divisione Alimenti Dietetici di Molino Spadoni e tutte le fasi di
produzione avvengono all’interno dei nostri stabilimenti, autorizzati
dal Ministero della Salute, che sono dedicati alle produzioni gluten
free per evitare ogni possibile rischio di contaminazione.
L’esperienza di Molino Spadoni nel settore dei prodotti per pizzeria
ha fatto sì che oggi sia possibile disporre di prodotti sicuri e garantiti
ma anche facili da lavorare e con eccezionale resa sul prodotto finito!
darebbe a un giovane che partecipa a un concorso, e sta
intraprendendo questa professione ?
“È importante che la giuria sia sincera nei confronti
dell’allievo, ha una funzione ben precisa, deve aiutarlo a
capire se è il mestiere della sua vita, deve correggerlo, e
farlo maturare a costo di fargli male. E l’allievo non deve
accontentarsi mai di ciò che ha imparato, deve perseguire un’innovazione positiva, i prodotti che realizza devono
essere buoni, devono piacere, dopo il primo boccone deve
venire voglia di mangiarne un altro, e un altro ancora. Il
mondo del dolce è immenso, al contrario di altri mondi la
ristorazione&catering
pasticceria e la cucina sono agli albori,
c’è tanto ancora 24
dabile artigiano”.
Incontri da non dimenticare della sua carriera, e qualche
grande cliente?
“Non c’è più ma lo ricordo con piacere, l’ex presidente
della Repubblica Cossiga, che tutte le settimane faceva
colazione con la nostra ciambella, un altro cliente con cui
c’era un rapporto particolare, un’ affabulatore straordinario, ma alla mano, Luigi Lucchini, presidente di Confindustria, poi l’avvocato Frigo, membro della consulta,
amante dei nostri panettoni. Dal mondo della gastronomia
vengono Carlo Cracco, Alain Ducasse, Gualtiero Marchesettembre/ottobre
duemila14
si,
Davide Oldani…”
senza glutine
lo specialista delle farine dal 1921
Molino Spadoni SpA - via Ravegnana, 746 - Coccolia (RA) - Telefono +39 0544 569056 - Fax +39 0544 569008 - www.molinospadoni.it - [email protected]
ricette sono tante e lasciano spazio alla fantasia. Per l’edizione di quest’anno di Cocofungo, per esempio, abbiamo puntato su piatti salutistici e vegetariani e abbiamo
abbinato il fungo a pastinache, tuberi e patate”.
peccati di gola
Il bosco
in tavola
di Marina Caccialanza
C
ercare e raccogliere i funghi è un’arte e l’unico
modo per distinguere i funghi mangerecci da
quelli non commestibili è conoscere le varie
specie, i luoghi dove crescono e rispettarne le
peculiarità. Anche il loro utilizzo in cucina richiede quel
bagaglio di conoscenze indispensabile a metterne in risalto le virtù ed evitare gli sprechi esaltandone l’aroma e
il sapore. “Il fungo è una materia prima preziosa e molto
delicata. – spiega Marco Bortolini, chef del Ristorante
da Gigetto a Miane (TV), che affianca in cucina il padre
Luigi - È un prodotto influenzato innanzitutto dalla stagionalità e dalle condizioni climatiche, per questo bisogna conoscerlo bene per poterne fare uso nel momento e
nel modo giusto. Il porcino è reperibile da metà giugno
fino ad autunno inoltrato ma altri tipi di funghi godono
di un periodo più breve, come le prugnole o i pioppini
in primavera, come i finferli o gli ovoli. È indispensabile
puntare sulla qualità e sulla sicurezza e per questo noi ci
affidiamo solo a fornitori di fiducia: raccoglitori storici,
poi le cooperative e le associazioni che nei vari punti di
raccolta, nel rispetto della legislazione locale, distribuiscono i funghi in totale garanzia. Altro fattore importante è il prezzo, mai stabile ma soggetto alle oscillazioni
dovute alla disponibilità: può variare da 7 a 30 euro il
chilo. Per evitare sorprese alla clientela decidiamo per
i piatti un prezzo medio, accettandone i rischi. Il nostro
metodo è acquistare i funghi e utilizzarli freschi in stagione stoccando il surplus per un impiego futuro: il porcino
ben sodo viene trifolato, quando è morbido viene tagliato
sottile e cucinato per la preparazione di salse. Usiamo
raramente il porcino secco e solo per i ragù perché è troppo costoso, a meno che non lo abbiamo essiccato noi. Le
ristorazione&catering 26 settembre/ottobre duemila14
Tutto l’anno con gusto
Il mercato offre numerose alternative al fungo fresco,
come ci spiega Maurizio Prandella, titolare di Cidia,
che distribuisce marchi eccellenti in diverse tipologie,
come porcini e come misto bosco, surgelati o trifolati e
disponibili in scatola o in busta. “Sono prodotti molto
richiesti dalla ristorazione, anche di alto livello, che ne
riconosce il valore in cucina grazie alla semplicità e rapidità di utilizzo e all’assenza di spreco che determina
un rapporto qualità/prezzo eccellente. Ovviamente nella stagione della raccolta l’alta ristorazione preferisce il
prodotto fresco, ma negli altri periodi il surgelato è una
valida alternativa tanto che molti lo scelgono tutto l’anno. I funghi surgelati hanno il vantaggio di essere qualitativamente affidabili e danno un’ottima resa in cottura.
Il porcino è sempre la varietà più richiesta, almeno il
90%, specialmente nell’area lombarda, ma anche il misto bosco formato da varietà minori come i finferli ha un
buon riscontro, per esempio in Trentino o in Veneto. Del
resto, il prodotto conservato non è soggetto alle condizioni ambientali – il raccolto primaverile è generalmente
meno saporito di quello autunnale – e da parte nostra
garantiamo l’origine europea attentamente selezionata”.
La provenienza dei funghi immessi sul mercato è certamente uno dei problemi principali, spiega Graziano
Tocci di Rolli: “È molto difficile reperire prodotti italiani
da filiera certificata adatti alla trasformazione e conservazione; troppo spesso i funghi sul mercato risultano di
dubbia provenienza, da paesi dell’est che non ne garantiscono la qualità e la sicurezza. Il prodotto italiano fresco
quando è reperibile ha un prezzo elevato che incide notevolmente e la maggior parte degli operatori della ristorazione spinge sul prezzo al punto tale che diventa molto difficile equilibrare il rapporto tra la produzione e la
vendita. Altri fattori intervengono, come la stagionalità,
le condizioni ambientali e meteorologiche, la mancanza
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di manodopera qualificata; fattori che impediscono una
programmazione adeguata. Per questo motivo Rolli ha
preferito dedicarsi a prodotti derivati da coltivazione, i
cosiddetti champignons, adatti a un consumo più disinvolto”. Non mancano esempi particolarmente interessanti di alternative al fungo fresco raccolto in stagione.
Bruschi propone una linea di funghi liofilizzati, prodotti
di alta qualità puliti, selezionati e trattati secondo un
procedimento raffinato: porcini, ovoli e finferli. I funghi
vengono surgelati per poi subire un procedimento di
liofilizzazione che attraversa diverse fasi: dal raffreddamento a – 70°C a un ulteriore passaggio termico con aria
calda e la sublimazione per estrarre l’acqua.
“Il processo è completamente naturale – spiega Roberto
Diano – ed è studiato per esaltare e mantenere in pieno le
caratteristiche del prodotto. I vantaggi sono importanti;
può essere utilizzato senza aggiunta di acqua in quanto a
contatto con un elemento umido si rigenera naturalmente
e riacquista le stesse caratteristiche del prodotto fresco,
del quale mantiene intatti qualità e gusto. Possiamo proporre sia i tre tipi di funghi lavorati singolarmente sia un
misto generico più povero ma versatile per le diverse lavorazioni di cucina. Inoltre, sarà presto disponibile una
linea completa, chiamata Aiutini, che consiste in un mix
liofilizzato di funghi con verdure ed erbe, molto utile in
cucina. Servire tutto l’anno un ottimo piatto di funghi,
ottenuto da un prodotto di elevata qualità, dalle proprietà organolettiche eccellenti, è un’opportunità che molti
chef stanno imparando ad apprezzare”.
ristorazione&catering 27 settembre/ottobre duemila14
A proposito di...
Il cibo
non è una scarpa
Le storie e i percorsi del cibo
vanno raccontati e vissuti
di Luigi Franchi
U
no spirito nuovo si aggira per l’Italia gastronomica: è lo spirito della solidarietà tra i ristoratori, gli chef, i vignaiuoli e i produttori. Recentemente abbiamo partecipato a due eventi
– Chef…al Massimo e 100 Chef per una sera – dove questo aspetto si è evidenziato in tutta la sua pienezza.
Grandi feste di civiltà ci piace definire queste manifestazioni dove i ristoratori, categoria storicamente individualista, si è unita per mettere il proprio sapere a disposizione di un pubblico felice di esserci.
Una grande festa civile
Chef…al Massimo è una manifestazione che si svolge
ogni prima domenica di settembre a Monzuno, sui colli bolognesi, per ricordare Massimo Zivieri, un fautore
dell’alimentazione buona, pulita e giusta che ha troppo
presto lasciato questa terra. La sua famiglia, per ricordarlo, ha ideato questa festa che cresce anno dopo anno,
in cui i cuochi italiani (quest’anno erano in 25) preparano ricette con le carni messe a disposizione proprio dalla
Macelleria Zivieri: 500 porzioni a testa, suddivise in 5
menu consumati dalle 2.500 persone che si sono preno-
ristorazione&catering 28 settembre/ottobre duemila14
tate, con anticipo, attraverso il sito dell’evento.
“Chef…al Massimo è comunque, pur sembrando strano,
una festa. Nata in maniera spontanea, e non ha potuto realizzare. – racconta Aldo Zivieri, il fratello che, insieme
ai familiari, gestisce la macelleria - Noi abbiamo deciso
di celebrarlo così, continuando nel suo progetto. Il successo ci ha spinto a trovare nuove soluzioni, per organizzare sempre meglio l’appuntamento. E sentire intorno
questa enorme e sincera quantità di affetto è il motivo
per andare avanti nei progetti e nella qualità”.
Camminando tra le migliaia di persone si ha la sensazione che tutti, ma proprio tutti conoscessero Massimo
Zivieri, anche chi, come il sottoscritto non ne ha avuto la
possibilità. La convivialità, il toccarsi, il guardarsi negli
occhi, l’alzare un calice o il commentare uno dei 25 piatti
realizzati secondo il criterio della semplicità fa apparire
in tutta la sua irrealtà il mondo dei social. Anche questo
è un utile esercizio di civiltà che il cibo sa esercitare,
come spiega Igles Corelli, presidente di CheftoChef e di
UIR, presente dalla prima edizione: “Lo sforzo è sempre
più grande ma Chef…al Massimo è sempre più organizzata, la gente non è pretenziosa ma educata, le modali-
tà con cui partecipa dimostrano che il messaggio è ben
definito e recepito: qui si fa cultura dello stare insieme,
grazie alla qualità. E la qualità del cibo è determinata,
prima di ogni altra cosa, dall’assaggio. Ecco, potrei dire
che questa è una grande festa dell’assaggio di una materia prima, le carni degli Zivieri, ineccepibile sotto ogni
punto di vista”.
I 50 anni del Buon Ricordo
Luciano Spigaroli, patron del Cavallino Bianco, socio
storico del Buon Ricordo, li ha chiamati uno ad uno per
fare in modo che la partecipazione a 100 Chef per una
sera, la cena evento per festeggiare i 50 anni dell’Unione
del Buon Ricordo, svoltasi a Parma il 9 settembre, e i
111 soci ristoratori hanno risposto di si. Tutti insieme
hanno dato vita ad una tavolata da Guinness che si è
snodata da Piazza Garibaldi lungo Via Repubblica, per
ospitare il migliaio di persone arrivate da tutta Italia.
“Abbiamo festeggiato il nostro compleanno facendo
quello che sappiamo fare e ricordando anche, praticamente, che la qualità dei prodotti e dei modi di cucinarli
e porgerli è uno dei punti di forza del nostro Paese. Noi
ristorazione&catering 29 settembre/ottobre duemila14
ci proviamo da cinquant’anni, precursori di quello che
oggi si chiama turismo enogastronomico, uno dei principali motivi di scelta di un viaggio in Italia” afferma
Ovidio Mugnai, presidente dell’Unione dei Ristoranti
del Buon Ricordo.
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Fare cultura del cibo
L’evento è stato memorabile, per molteplici aspetti tra
cui ha primeggiato il fare cultura, come sostiene Giovanna Guidetti, patron dell’Osteria della Fefa di Finale Emilia: “Orgogliosa di esserci stata, orgogliosa di far parte
del Buon Ricordo, un’associazione dove si respira voglia
di collaborazione. Ma soprattutto felice di poter ascoltare
storie di altri chef, di altri territori, di altri prodotti. Sono
occasioni importanti per crescere”.
“Ho cambiato vita e aperto il mio ristorante esattamente
per questo. – racconta Giovanna Guidetti – Per convivere con il mio territorio e capire come gli eventi storici hanno cambiato la cucina. Qui siamo in una terra
di confine dove le influenze culturali degli Estensi, dei
Pico e dei Gonzaga si sono integrate, comprendendo anche quelle della grande comunità ebraica arrivata qui
nel finire del Cinquecento. Tutto ciò ha avuto influenza
sul cibo fino ai nostri giorni. Per fare un esempio: in una
terra come l’Emilia dove il maiale è predominante, qui il
piatto principe è l’oca e l’anatra; nel ragù noi mettiamo i
chiodi di garofano. E io cerco di far capire queste differenze”. E siamo convinti che ci riesca benissimo, vista la
fedeltà dei clienti (merce rara di questi tempi), insieme
al figlio Edoardo, bravissimo in sala.
Quella sala tanto bistrattata ma che sta diventando sempre più importante per raccontare le storie e i percorsi
del cibo. Perché il cibo, si sa, non è una scarpa: non è
esteriorità né apparenza. Il cibo è sostanza e cultura.
E come tale va vissuto!
opinioni a confronto
Luigi Veronelli
scrittore
e giornalista
Q
ualità è voce dotta dal latino qualitats-atis, coniata
da Cicerone da qualis…
e diffusa dalla scolastica
già alla fine del secolo XII.
Qualità è ciò che concorre in qualche modo a caratterizzare una cosa
(una sostanza, un corpo, un luogo
ecc…) con connotazione positiva,
per me.
Ma vado oltre, così da approfondire il concetto di qualità come:
complesso delle caratteristiche che
definiscono la natura di una determinata cosa (un elemento naturale,
un oggetto, una merce) e ne indicano
il genere di appartenenza; carattere
specifico; modo di essere tipico, particolare, costitutivo; natura, essenza;
e può essere contrapposto a quantità, soprattutto in opposizione al concetto di quantità.
Il maestro Martino, nel suo libro De
Arte Coquinaria, quattrocentesco,
ce ne dà un esempio: “Fa allessare
il ghiozzo, perché la sua natura e
qualitate è meglio allesso che altramente”.
Quasi quasi spingerei le parole molto
più in là, sino ad affermare: la qualità della vita è il rifiuto della morte.
Ecco allora che gli elementi sono sì
avere la bella casa, la collezione di
disegni leonardeschi, i migliori cibi,
i migliori vini, eccetera eccetera, ma
prima ancora – elemento fondamentale, imperativo, irrinunciabile – il
sapere ascoltarli e riconoscerli, certi
che la “musica” è scritta nei cieli
così come in ogni luogo della terra.
Dal libro Luigi Veronelli di Gian Arturo Rota e Nichi Stefi
Luisa Del Sorbo
Communication Manager
Società By Tourist
I
l cibo e i sapori dei prodotti
sono in primo luogo espressione
di un territorio, perchè lo definiscono in termini geografici, climatici e dal punto di vista economico. Caratteristiche da tutelare in fase
di produzione attraverso i controlli di
filiera, ma soprattutto in fase di ricettazione, dunque quando si passa ai
fornelli per la preparazione da parte
del cuoco.
In tal senso il cuoco va inteso come
un vero e proprio ambasciatore dei
sapori di un territorio, perché ogni
prodotto si accompagna ad una tradizione culinaria, molto spesso antica,
che ne ha scoperto le caratteristiche
ed esaltato appunto i sapori in fase
di cottura. Sono in breve i contenuti
del I Mediterranean Cooking Congress, organizzato dalla società By
Tourist, in programma dal 13 al 15
ottobre a bordo delle navi Tirrenia,
nel porto di Napoli. Sarà un’occasione di confronto tra chef italiani e
stranieri, produttori ed importatori
italiani e stranieri, per definire un
percorso di interscambi commerciali
tra le Nazioni del Mediterraneo, che
rafforzi le strategie di marketing del
settore gastronomico a livello internazionale, ma allo stesso tempo tutelando l’identità di questi territori,
attraverso il bagaglio culturale degli
chef più rinomati e navigati, produttori e importatori/distributori per accompagnare la commercializzazione
con un sapere culinario reale espressione dell’identità territoriale delle
Nazioni rappresentate.
Per registrarsi:
www.cookingcongress.com
ristorazione&catering 31 settembre/ottobre duemila14
Gianluigi Negri
giornalista
e direttore artistico
Quando si parla di cultura del cibo,
ci si pone anche il problema di come
divulgarla. Non tutto quello che finisce in tavola è cultura. E non sempre, a tavola, si riesce a parlare di
cultura, dosando le parole nella maniera giusta per appagare il gusto.
Nel 2006 è nata Mangia come scrivi, la rassegna letteraria e artistica
(più volte imitata) che, in otto anni,
ha “invitato a cena” 250 scrittori e
100 artisti italiani. Lo scopo, fin da
subito, era offrire piccoli assaggi di
libri (e di arte), senza annoiare e con
qualche concessione allo spettacolo,
perché l’intrattenimento (quando
spontaneo) non può mai essere sinonimo di svilimento. Ecco: a Mangia
come scrivi ci si diverte con la cultura. Lo sanno gli scrittori, lo sa il
pubblico che partecipa alle cene e
che assiste con attenzione (incredibile ma vero) a reading e a piccole
presentazioni di libri tra una portata
e l’altra, tra un bicchiere e l’altro.
A Mangia come scrivi si va alla ricerca e alla scoperta di nuovi sapori.
Da questa “ricetta” è nato il Festival
Mangiacinema, a Salsomaggiore, la
cui prima edizione, in programma ai
primi di ottobre, è stata dedicata a
Ugo Tognazzi. Questa festa del cibo
d’autore e del cinema goloso si svolgerà ogni anno.
Scrivere e filmare sono due azioni
che ricordano il cucinare: bisogna
conoscere molto bene la materia
(prima) e saper dosare con maestria
ed eleganza gli ingredienti. Non tutti
lo sapevano: la scrittura e il cinema
si possono mangiare.
In alcuni casi sono anche buoni.
rist’ho
Offrire l’arte
di Lucilla Meneghelli
architetto e designer
Hotel e ristoranti diventano
luoghi di cultura e di arte
C
he l’arte possa rappresentare un importante
motore di sviluppo della nostra economia è
noto, viviamo in un Paese impregnato di arte,
da quella antica, che fa del nostro territorio una
eccellenza in tutto il mondo, a quella contemporanea,
altrettanto seguita e apprezzata. Un locale, ristorante o
albergo che sia, può svolgere un ruolo importante, nella
diffusione e valorizzazione dell’arte, attività che può, a
sua volta restituire gradimento, immagine e fidelizzazione del cliente. È indubbio che l’arte fa crescere e nobilita l’essere umano, e che più è diffusa e a disposizione dei
clienti, maggiore è la qualità della vita che si percepisce
all’interno degli spazi che la ospita. Esporre tele, sculture, installazioni, in un locale dimostra una attenzione al
bello, una cura del locale che va oltre i canoni standard
del buon gusto e che eleva il livello di percezione di gradevolezza di uno spazio. Quando si entra in un locale
sconosciuto, la prima cosa che si fa è guardarsi intorno
e valutarlo a seconda dei propri standard. Se il primo di
questi è quello legato alla pulizia, subito dopo si cercano punti di riferimento più emozionali, legati all’accoglienza, al “sentirsi bene” in quel posto. L’esposizione
di opere d’arte, carica di particolarità un ambiente, lo
connota, affidandogli un carattere distintivo che lo rende
unico. Se sul versante della ristorazione si sono diffuse
ristorazione&catering 32 settembre/ottobre duemila14
numerose iniziative volte a creare una sinergia tra arte
e cucina, al di là della semplice esposizione delle opere
d’arte, anche nelle cantine vinicole d’eccellenza si sta
assistendo a eventi interessanti che vedono l’espressione artistica come strumento di diffusione di una “nuova
cultura”, quella del buon vivere.
“Desideriamo creare – osserva il presidente e direttore
creativo Davide Rampello – un ambiente affascinante in
cui tutto ciò che viene presentato e acquistato diviene esso
stesso “opera d’arte” da guardare, vivere, condividere e
ricordare: dal caffè al cioccolato, dal quadro al piatto dello
chef, dalle bottiglie al modello di scarpe e all’arredo”.
Larte a Milano
Ispirato dalla Fondazione Altagamma, che associa le imprese italiane di reputazione internazionale e di fascia
alta del mercato, Larte è nata per l’iniziativa imprenditorale di un gruppo di soci e partner d’eccellenza in svariati settori: Alessi, Artemide, Baratti & Milano, Bellavista,
Ca’ Del Bosco, Caffarel, Cantine Ferrari, Capri Palace
Hotel, illycaffè, MK Consulting, Federico Regalia, Sanpellegrino, Santo Versace. Rappresentando così un caso
inedito di aziende italiane che si alleano e fanno sistema
per competere a livello internazionale. Il progetto infatti
parte da Milano, nell’edificio che fu la casa dello scrittore e poeta Carlo Emilio Gadda, ma si propone di svilupparsi anche fuori dall’Italia con partner internazionali,
portando nel mondo un modello di ristorazione italiana
autentica e di ospitalità in cui l’Italia è maestra. Larte è,
al medesimo tempo, caffè, cioccolateria, hosteria, ristorante e galleria.
I musei-hotels
Anche se la connotazione artistica offerta da un locale rappresenta un’esigua minoranza nel panorama delle strutture italiane, esistono delle piccole reti di hotel
legate al turismo artistico (ad esempio Vacanzarte), che
promuovono, oltre ai soggiorni negli hotel aderenti, anche vari percorsi d’arte. Ma al di là di queste piccole reti,
il resto degli hotel che ospitano l’arte rappresentano casi
isolati, per lo più nati dalla passione personale dei proprietari, ma che, nei casi più importanti, sono diventati
dei veri e propri Musei-Hotels. Uno dei primi esempi
è l’Art hotel Atelier sul Mare a Fiumara, nei pressi di
Cefalù. Nella struttura sono presenti 40 camere di cui
20 progettate da artisti conosciuti in tutto il mondo come
Mario Ceroli, Paolo Icaro, Michele Canzoneri, che hanno creato delle opere d’arte uniche nel loro genere. Il
concetto dell’Atelier sul Mare è quello di vivere l’opera,
e non solo osservarla, per entrare nell’arte e diventar-
ristorazione&catering 33 settembre/ottobre duemila14
ne parte integrante. “Qui alberga l’utopia, quella dell’arte”, è
il motto dell’hotel, creato da Antonio Presti, già ideatore della
Fiumara d’Arte, il parco di sculture all’aperto più grande d’Europa, e che desidera far vivere ai visitatori un’emozione indimenticabile, perché “l’arte deve essere vissuta come un sogno”.
Entrare e soggiornare in questi spazi emozionali significa vivere
una nuova dimensione dello spirito, apprezzando il piacere della vita, che solo la creatività dell’arte può dare. Antonio Presti,
con la sua visione illuminata, ha così stravolto la funzione di camera d’albergo per consegnarla alla sua utopia: “È solo entrando e abitando la camera che l’opera sarà pienamente realizzata;
la presenza, l’uso della stanza, saranno parte integrante e fondamentale di essa”. Per riuscire a creare un luogo così evocativo,
occorre essere totalmente devoti alla bellezza, bellezza intesa
come dono, come condivisione, come etica. E a dimostrazione
che il dono della bellezza esclude il concetto di proprietà, Antonio Presti ha preferito far costruire tutte le opere della Fiumara
d’Arte, parco di sculture monumentali, su terreni demaniali per
donarle ai comuni dell’area e di conseguenza a tutti noi. Inoltre Antonio Presti ha molto a cuore il ruolo educativo della sua
struttura, che lui stesso considera “un luogo della contemporaneità che educa il pubblico a vivere un’esperienza emozionale,
nelle nostre camere non guardi l’arte, ma la vivi” ed è per questo
che sta cercando di realizzare il suo sogno in cui il personale
che lavora da lui possa essere formato per educare il pubblico,
e non solo per servire, ad apprezzare il valore dell’arte. Un latro
esempio interessante di sinergia tra arte e hotel è l’Alexander
Museum Palace, definito dalla proprietà Hotel-istallazione, a
pochi passi dal mare di Pesaro.
La creazione di questa struttura ha coinvolto architetti e artisti
emergenti e di fama internazionale, nomi come Gio Pomodoro,
Mimmo Paladino, Enzo Cucchi e molti altri. Nei 9 piani dell’albergo si possono trovare opere d’arte di ogni genere e in ogni angolo, iniziando dall’ingresso dove ad accogliere gli ospiti c’è una
stele alta 15 metri. Le camere sono 63 e sono state realizzate da
75 artisti che hanno utilizzato diversi tipi di materiali e tecniche come il ferro, la resina o il plexiglass. Dunque un’esperienza dei sensi. Infatti
ogni stanza, ogni angolo, ogni parete è un pezzo
unico e irripetibile. Le porte delle camere sono
opere d’arte, tutte diverse l’una dall’altra, ogni
porta diviene quindi un quadro e ogni corridoio
una vera e propria galleria. Entrando nelle camere si vive l’esperienza di entrare nell’opera d’arte
rappresentata al suo ingresso. Una particolarità di
questo albergo è che gli artisti hanno lavorato su
commissione, nulla è stato acquistato di già pronto. Con questa forte connotazione artistica l’hotel
è un punto di riferimento sul territorio per eventi
culturali, divenuto anche caffè letterario, meta
privilegiata di critici e scrittori di passaggio a Pesaro, nonché location d’eccezione di mostre, dibattiti, conferenze, aste ed eventi culturali. L’idea
di creare un hotel-museo è venuta al proprietario, Alessandro-Ferruccio Marcucci
Pinoli, e rappresenta il frutto di un lungo percorso personale, fatto di un grande
amore per l’arte, soprattutto contemporanea. Egli stesso considera la sua struttura
come un’installazione, un qualcosa di non
finito, una performance di 24 ore su 24,
per 365 giorni all’anno. Anche a Bolzano
troviamo un hotel che ha fatto dell’arte un
suo punto di attrazione, è l’Hotel Greif,
in cui tutte le 33 camere sono state commissionate ad artisti contemporanei, con
il compito di progettare e realizzare delle opere d’arte. Questi capolavori, sono
perfettamente integrati nell’ambiente e
creati ad hoc come espressioni artistiche
uniche. Inoltre, in questo caso, oltre alle
rappresentazioni contemporanee si possono ammirare anche lavori del XVIII e
del XIX. L’idea di affidare a degli artisti il
compito di progettare e ricontestualizzare
l’intera camera utilizzando anche le proprie opere d’arte, nella massima libertà
e verve creativa, è stata dello stesso proprietario dell’Hotel Greif, Franz Staffler, insieme
ad alcuni collaboratori. “Piacere per gli occhi” è
il leit motiv che accomuna tutte le camere: la bellezza, la sensualità, l‘amore, l‘erotismo in senso
lato, sono i temi che hanno affrontato gli artisti
nel realizzare i loro lavori. In quasi tutte le camere, le opere degli artisti contemporanei fanno
da contrappunto a dei lavori su carta di affermati maestri del passato. Nella realizzazione delle
opere sono state impiegate le tecniche più diverse: dalla pittura ad olio ai disegni, dalla scultura
alla fotografia ed all‘installazione.
Tutto, compresa la tappezzeria, è stato creato e
concepito dagli artisti che hanno curato anche
l’intervento edilizio-architettonico.
Soggiornare in una di queste strutture è una vera
esperienza emozionale.
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Le Specialità
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meglio prenotare
Testi di:
Massimo Di Cintio, Luigi Franchi,
Alessandra Locatelli, Roberto Martinelli
motivazioni a chi lavora con te, perché il personale conta
quanto la qualità del cibo e va formato valorizzandone le
potenzialità, la passione e la serietà.”
Nel locale lavorano quattordici persone e si sta costruendo la cucina a vista sulla sala, per trasmettere ancor di
più il senso delle parole di Marco Fiore: non solo, a breve anche un blog di cucina e un ciclo di incontri sulla
corretta alimentazione. “Dal preistorico al ristorico, si
può sempre fare di più.”
Ristorante
la
Greppia
Verona
Vicolo Samaritana, 3 - Tel. 045 8004577
www.ristorantegreppia.it
Ristorante
Pizzeria
Fiore
Albisola (SV)
Corso Ferrari 7 - Tel. 019 485948
www.fiorealbisola.it
Chi entra pensando di trovarsi in una “semplice” pizzeria, sarà presto costretto a ricredersi. Marco Fiore apre
questo locale, situato sulla strada che costeggia la spiaggia, nel 1994 e nel giro di pochi anni ne fa un luogo
di ricerca maniacale, in cui il prodotto è in primissimo
piano, sia quando è fatto in casa sia quando è acquistato. “Ho unito due passioni, l’imprenditoria e la cucina,
cercando di differenziarmi in quella che viene chiamata
fascia media, inserendo elementi nuovi e guardando a
tante nicchie di mercato, tenendo presente il prezzo ma
anche un dato ben preciso, ovvero che la cucina è in continuo movimento verso l’alto” spiega Fiore, mostrandoci
con i fatti cosa sta facendo qui ad Albisola.
La birra, tanto per cominciare: ha un microbirrificio artigianale a due passi che produce nove etichette utilizzando solo orzo e luppolo superiori. La mozzarella, fatta
nel piccolo caseificio qui accanto con il migliore latte
piemontese. La pasta fresca e i dolci, giornalmente sfornati dalla pasticceria interna. Il pesce proviene dalla pescheria di cui è socio, tranne il calamaro, francese, e le
ostriche di Mont Saint Michel. I migliori pomodori sono
assicurati perché da due anni la Viender stocca una raccolta di dodici bancali apposta per il Ristorante Fiore.
La carne è una selezione di chianina e di fassone certificate, la salsiccia proviene dalla Bottega di Adò di Colonnata, il Parmigiano Reggiano è biologico, la verdura è
di quattro produttori locali, e potremmo continuare. “Ho
bisogno di credere nei prodotti e di non accontentarmi.
Solo così posso trasmettere ai clienti il valore di quello
che stiamo facendo. La forza sta nell’avere e nel dare
“La signora Ada ha cucinato la torta di mele per trentasette anni, seguendo una ricetta personale e segretissima,
sempre nello stesso modo. Ora sono trentasette anni che
la cucino io, quando tutti se ne sono andati, ripetendo
ogni volta quella ricetta che lei mi confidò un giorno lontano, facendomi giurare di non dirla a nessuno”.
La storia della torta di mele è solo uno dei bei ricordi che
Giovanna Malini traduce sulla tavola ogni giorno in uno
dei ristoranti più classici di Verona, in un vicolo romantico a due passi da Piazza delle Erbe. Era il 1975 quando
Guizzardi hanno aggiunto una nuova sala e rinnovato la
cucina e la zona bar, mentre è rimasto tale e quale il tranquillo cortile interno, da dove partivano cavalli e carrozze
per andare alla stazione ferroviaria a prendere i clienti.
“A parte questi piccoli cambiamenti, tutto è rimasto intatto. Siamo quello che siamo da trentasette anni.” E i
clienti apprezzano, arrivando qui da tutto il mondo. In
cucina, affiancano Giovanna il genero Mirko e il cuoco
Andrea, mentre con Dialma in sala ci sono i due figli
Luca e Sara.
Trattoria
del
Giardinetto
Modena
Piazzale Boschetti, 1 - Tel. 059 234448
Il Giardinetto ha saputo mantenere i sapori originali della
cucina modenese, per questo ha il merito di essere il locale tra i preferiti in città dagli intenditori della tradizione. Primi piatti fatti in casa dalle sfogline, il battuto dei
tortellini come si usa dire nei dintorni della Ghirlandina,
deve essere di carne e mortadella di qualità altrimenti
è un’altra cosa; il brodo, fatto con solo manzo, gallina
e quelle due verdure per insaporire il bollito va fatto a
®
il neo sposo, Dialma Guizzardi, professione elettricista,
cercava una licenza disponibile per aprire un negozio:
ma il destino si mise di mezzo e il mediatore fece invece
incontrare ai Guizzardi i proprietari della Greppia, che ne
volevano vendere la licenza perché era morto il loro figlio;
“Decisero di darla a Dialma perché assomigliava a quel
figlio” racconta Giovanna, che con il marito non sapeva
nulla del mestiere di ristoratori. “Il personale ci insegnava il mestiere e la vecchia cuoca, la signora Ada, nei ritagli di tempo mi faceva imparare un piatto al giorno”.
Lezione imparata alla perfezione: i bolliti, le cervella impanate, gli sfilacci di cavallo, la pasta e fagioli, i tortelli
di zucca, sono i piatti che qui alle Greppia si cucinano da
settant’anni, e che da settant’tanni i clienti vogliono mangiare, “anche se oggi la carne alla griglia sta scalzando
di poco il bollito, forse perché più leggera e consona alle
abitudini di questi tempi”. Al locale originale i coniugi
ristorazione&catering 36 settembre/ottobre duemila14
Q&S
fuoco lento. Questo è il biglietto da visita raccontato da
Buffagni che di nome fa Pellegrino: tutta storia, grinta e
passione. “Sono quarant’anni che faccio il ristoratore, e la
mia vita non l’ho mai passata lontano dal mio locale. Una
cosa ho capito dopo tanti anni: al cliente bisogna sapere
offrire quelle cose di cui non ha più memoria, o che non
sa più farsi in casa”.
Ubicata in pieno centro storico di Modena, questa trattoria rimane fra le prescelte dai cittadini e dai tanti turisti
che animano il centro. Quest’anno i locali si presentano
totalmente rinnovati e vedranno un ampliamento che porterà la capienza a circa 80 posti dai 60 di prima. Gli spazi
fra i tavoli saranno apprezzati dai clienti che prima effettivamente erano un po’ stretti. “Il rinnovo del Giardinetto
- ci dice Buffagni - porterà anche qualche cambiamento
negli orari di apertura e qualche desiderato aggiornamen-
to in cucina”. Il personale è attento e il servizio è veloce,
la cucina da quando si è arricchita di crescentine e gnocco fritto è abbordabile e alla portata di tutti, con piatti
poveri per tradizione ma non certamente meno buoni o
di scarsa qualità. Anzi, al contrario, al Giardinetto non si
prescinde dalla qualità, lo sostiene Pellegrino Buffagni
e lo scriveva il primo vero gastronomo che abbia avuto
l’Italia e che anche lui di nome faceva Pellegrino, ma di
cognome Artusi. Piatti a km 0 più per rigore che per moda
e materie prime di stagione.
Enoteca
Bar a Vino
Fermo
al forno alle erbe o al tegame in spezzatino, il coniglio in
porchetta. Dolce conclusione con le crostate di confettura di mela rosa, con il fondente al cioccolato o la zuppa
inglese.
La
bettola del massaro
Eboli (SA)
SS 18, Km 77.900, Parco il Pino, Corno d’Oro
Tel. 0828 614378
Non fermarsi mai. Cercare sempre di migliorare. È questa la filosofia di vita del giovane chef Vincenzo Menichino che nel 1999 ha avviato un ambizioso progetto
gastronomico nel salernitano. Di recente è stata inaugurata la nuova sede della sua creatura dove, in inverno,
i clienti possono gustare le prelibate pietanze preparate
da Vincenzo in un ambiente in cui spicca l’arredamento
in chiave moderna, mentre durante l’estate sarà possibile
usufruire della frescura del pergolato di uva fragolina con
al centro un suggestivo ulivo secolare. “I nostri clienti
vengono accolti all’ingresso del locale da una vetrina che
contiene il pesce freschissimo, - sottolinea Vincenzo –
ogni giorno gli avventori possono scegliere tra gamberoni
rossi, scampi, aragoste, ostriche, ma anche orate, spigole,
Piazza del Popolo - Tel. 0734 228067
Peppe Rossi è un oste “navigato”. Figlio di ristoratori è
diventato sommelier e come tale è stato co-protagonista
di alcune storie di osterie marchigiane e non. Prima
all’Osteria dell’Arancio di Grottammare, poi da Damiani
e Rossi a Porto S. Giorgio, intramezzate da cinque anni
trascorsi a Parigi dove ha gestito un’enoteca per la promozione dei vini italiani. Poi ha affrontato l’ostacolo più
“difficile”… quella di aprire un locale a Fermo, sfidando
lui, sangiorgese di nascita, la storica rivalità con i fermani, rivalità raddoppiata perché accompagnato in questa
ultima avventura dalla moglie Roberta, ascolana. Beffa
delle beffe, il tutto in una location centralissima qual è
la splendida piazza del Popolo, per giunta nei locali di
una chiesa sconsacrata. Scherzi a parte, l’Enoteca dal
1998 a oggi è cresciuta nella considerazione di molti appassionati che hanno intuito e conosciuto la passione e
la competenza di Peppe e di Roberta, partiti inizialmente
con proposte esclusivamente enologiche (in carta oltre
200 etichette, quasi tutte servite anche al bicchiere) accompagnate da taglieri di salumi e formaggi selezionati
tra le migliori produzioni locali. Il tutto in un ambiente
informale e accogliente, comunque perfetto per un aperitivo, per un pasto o per un dopo cena. Accanto ai taglieri, ci sono preparazioni a base di verdure e ortaggi,
tra le quali valgono un assaggio l’insalata di coniglio (o
di cappone, in inverno), la polenta con le rape, le zuppe di legumi, prevalentemente ceci e cicerchie di Serra
de’ Conti. Quindi le linguine con broccoli e salsiccia, gli
immancabili vincisgrassi fino ai maccheroncini di Campofilone con funghi porcini. Come secondo c’è l’agnello
NOI DI sala
pezzogne e tanto altro ancora”.
Qualità ma anche estetica: Vincenzo presta particolare
cura alla scelta delle materie prime ma, allo stesso tempo, si diverte a presentare i piatti in maniera mai scontata
dal punto di vista cromatico. “Per noi cucinare è un’arte,
una passione che tramandiamo da generazioni attraverso
la continua ricerca di nuove preparazioni e sperimentazioni” questa la loro chiara dichiarazione d’intenti. Nel
rispetto della tradizione culinaria campana non poteva
certo mancare la pizza. “Nella nuova location abbiamo
avviato anche il segmento dedicato alla pizza, preparata
nel forno a legna e utilizzando esclusivamente mozzarella
di Bufala Campana Dop prodotta dal Caseifico Tre Stelle” ci spiega Vincenzo. Per divenire un luogo di incontro
tra generazioni, il locale è dotato anche di un’attrezzata
ludoteca in grado di offrire servizi di elevato standard ai
più piccoli. “Il nostro intende essere un centro di cultura
ludica che studia, valorizza e propone i giochi e i giocattoli di una volta, di oggi e di domani, - conclude Vincenzo
- divenendo davvero un punto di riferimento ricreativo,
educativo, sociale e culturale”.
ristorazione&catering 38 settembre/ottobre duemila14
di Giuseppe Palmieri
Associazione Noi di Sala
Emergenza Sala
Camerieri non si nasce, Camerieri si diventa.
Dobbiamo continuare a investire tempo e risorse per restituire dignità e appeal alla Sala e alla Cantina.
In un momento di profonda crisi in troppi commettono l’errore di disinvestire
in questa direzione, con la speranza di risparmiare e salvarsi: a mio parere è
in questo caso che l’azienda precipita e un ristorante è condannato a fallire.
Al contrario è necessario dare enfasi ed importanza, spazio e attenzione alla
Sala che può di fatto far ripartire un locale in difficoltà.
Una Sala positiva e propositiva, rispettosa e professionale, leggera e dedicata
ai propri ospiti, quasi sempre decreta il successo di una Cucina e del suo
Chef.
Infatti, è un errore continuare a promuovere congressi, fiere, raduni, simposii
che raccolgono, in Italia e in giro per il mondo, i migliori cuochi che dibattono
e cucinano.
È sbagliato ignorare l’altra parte del ristorante che con gli Uomini di Sala tutti
i giorni ha il dovere e la responsabilità di comunicare al meglio i grandi sforzi
dei colleghi di Cucina.
Le scuole di formazione pubbliche e private continuano ad affollare per l’80%
le classi di Cucina e vedono diminuire costantemente gli iscritti ai corsi di
Sala e Cantina.
Abbiamo tutti la responsabilità e il dovere di impegnarci, perchè un domani
Cuochi e Camerieri siano sullo stesso livello.
La Sala “esiste”, perchè c’è una Cucina da amare e celebrare a cui dedicare
passione e grande impegno.
Una Cucina che non brilla durante un servizio può essere riabilitata e incentivata da una Sala e Cantina straordinarie.
Una Cucina piena di talento, al contrario sarà pesantemente penalizzata da
una Sala e Cantina mediocri.
È facile intuire il pericolo e il rischio che corre il Ristorante e il Cuoco di oggi
e di domani, se non investe seriamente sulla Sala.
Per noi Camerieri vale sempre e solo la regola numero uno: basso profilo e
altissime prestazioni.
ristorazione&catering 39 settembre/ottobre duemila14
www.mottolini.it
MATITA ROSSA
di Giuseppe Schipano
direttore scuola alberghiera e
di ristorazione di Serramazzoni
Originale. Gustosa. Generosa.
Ai blocchi di partenza…
promossi o bocciati?
O
Partendo dal muscolo della coscia bovina e grazie
ad una lavorazione artigianale secondo la tradizione
valtellinese, si ricava un prodotto caratterizzato da
un gusto intenso ma armonico e da una consistenza
soda ed elastica che ne esalta la tipicità.
La bresaola Gran Gusto è particolarmente
indicata per il settore Ho.Re.Ca.
gni anno c’è un periodo in cui la scuola, dopo
le vacanze estive, riprende la sua attività prima dell’avvio dell’anno scolastico. I corridoi
risuonano nuovamente di passi e voci, e i primi a rientrare sono gli allievi che devono sostenere gli
esami di riparazione. Si tratta di allievi il cui giudizio
è sospeso e che dovranno raggiungere tutti gli obiettivi
previsti dal corso, dopo di che … promossi o bocciati,
la scuola inizierà per tutti. “Tutti” significa davvero tutti, allievi ma soprattutto docenti, formatori e personale
della scuola, in primis io stesso. Possiamo ritenerci, al
termine di un anno, promossi a pieni voti?
Strano ma vero, il primo requisito richiesto per diventare
docente è il titolo di studio. Un certificazione riconosciuta del proprio percorso formativo, attestata tramite uno o
più esami condotti da commissioni esperte e tendenzialmente super partes.
Chi possiede un titolo ed ha superato un concorso è “abilitato” e autorizzato ad insegnare, tuttavia in questa sorta
di “livellamento” istituzionale chi ci da la garanzia che
i nostri allievi saranno seguiti in modo adeguato nel loro
percorso formativo? In verità nessuno. Il primo anno di
insegnamento spesso è un banco di prova, dove fallire è
terribilmente rischioso e le responsabilità sono enormi,
perché riguardano le future generazioni di professionisti del settore. Si può essere bocciati senza avere una
seconda possibilità, ma per i docenti “rimandati” l’obbligo di riparare diviene morale. L’aggiornamento continuo rappresenta uno dei vincoli più importanti di un
insegnante, quello che più ne caratterizza la professionalità. Un formatore che non si “forma” è una contraddizione in termini, un formatore che si “forma” un’unica
volta, all’inizio del proprio percorso professionale, lo è
altrettanto se non di più. Pensare la propria formazione come un dato concluso e chiuso una volta per tutte
è assurdo. É indispensabile, invece, continuare a coltivare i propri “saperi”, verificandoli e ampliandoli per
tutto l’arco della vita. Il percorso di studi intrapreso per
diventare insegnante è necessario ma non sufficiente, e
non deve essere scambiato con la formazione continua,
cosiddetta lifelong learning. L’autoaggiornamento in itinere è un’esigenza di primaria importanza all’interno di
una realtà complessa come la nostra, trasformata, in appena trent’anni, da cambiamenti di portata epocale. Il
distacco generazionale, prima tollerabile, ora è divenuto
incolmabile se parametrato al rapporto tra insegnanti
di “vecchia” generazione e adolescenti in obbligo scolastico. All’interno della formazione professionale la
situazione è ancora più rischiosa, poichè trasmettere il
proprio “sapere” non basta, ma si deve essere in grado
di veicolare le proprie competenze e abilità pratiche. La
base da cui partire, per l’insegnamento professionale, è
l’esperienza biografica; gli allievi si accostano al docente
quale modello di vita e “oggetto di studio” da tenere sotto continua osservazione.
Ogni passo falso si moltiplica quindi a livello esponenziale, così come ogni insuccesso formativo.
È possibile essere rimandati, ripeto spesso, ma questo è
un campanello d’allarme che ci vieta di fallire. Dobbiamo impegnarci sempre di più, in una società che considera come vera ricchezza dell’individuo le conoscenze
e le competenze, a fornire gli strumenti che permettono
di affrontare l’incertezza di una realtà che cambia continuamente e che, molto probabilmente, chiederà ai nostri
allievi di oggi di modificarsi più volte nel corso della loro
vita professionale e lavorativa.
ristorazione&catering 41 settembre/ottobre duemila14
analisi
di Mauro Lamparelli
direttore di TradeLab
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Non limitiamoci ad aspettare
i tempi migliori…
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I
l mercato, è vero, non cresce, questa estate il tempo
non ha aiutato turismo e consumi, i media ci martellano sulla situazione difficile in cui versiamo, i prezzi
al consumo si riducono e arriva la deflazione ma il
punto vero è che ogni azienda , produttore, distributore o
gestore di punto di consumo che sia, deve andare avanti,
deve continuare a sviluppare la propria attività. Non si
può solo aspettare che arrivino tempi migliori perché non
sappiamo con esattezza quando arriveranno e soprattutto
se arriveranno. La mia personale convinzione è che nulla
sarà più come prima perché i problemi di questi due anni
hanno accelerato un cambiamento strutturale nei comportamenti di acquisto del consumatore e tali cambiamenti
impatteranno in maniera significativa sugli attori a monte
della filiera. Se il mercato non cresce le scelte da fare per
migliorare le proprie performance o almeno per mantenerle sono sostanzialmente legate a due aspetti: essere più
efficienti (fare meglio quello che già si fa) e/o aumentare
la propria quota di mercato (essere più attrattivi dei concorrenti per il proprio target di clientela) nel mercato di
riferimento sia esso un quartiere, una provincia o l’intero
territorio nazionale. Essere più efficienti significa analizzare i propri processi (acquisti, vendite, logistica,…) e
verificare se è possibile introdurre cambiamenti che impattino in maniera significativa su costi e ricavi.
La precondizione per aumentare la propria quota sul mercato di competenza consiste nell’ alimentare un processo
organizzato di conoscenza, essere in grado di rispondere
a domande semplici ma importantissime come:
• Quanto vale il mercato delle mie categorie di prodotto
nel territorio/nei territori di riferimento?
• Quanti sono i clienti che potrebbero acquistarle? Quanti e quali sono i clienti potenzialmente più interessanti? E
questi clienti quanto acquistano da me e dai competitor?
• Per migliorare le mie performance sui clienti più attrattivi devo intervenire sull’assortimento? Devo migliorare il
mio livello di servizio? Devo introdurre nuovi servizi che
generino valore distintivo?
• La mia forza vendita (o la mia “front line” nel caso di
punti di consumo) è adeguatamente formata per trasferire
l’offerta e cogliere i bisogni degli interlocutori? Visita i
clienti “giusti”? È in grado di avere una visione complessiva del cliente?
• Chi sono e come operano i competitor con cui devo confrontarmi?
Non stiamo parlando di domande nuove naturalmente ,
qualsiasi imprenditore o direttore commerciale se le pone
più o meno frequentemente. Il nuovo deve essere la modalità di risposta a queste domande basata non solo su
know how di singole persone o intuizioni anche geniali
ma magari non condivise e potenzialmente poco replicabili nei casi di turn over di manager o venditori.
La conoscenza è un patrimonio aziendale che deve essere
razionalizzato, condiviso e aggiornato altrimenti è come
se non esistesse. Esistono strumenti di analisi molto semplici che possono supportare i processi di miglioramento
competitivo delle aziende sul territorio anche in un mercato articolato e complesso come quello dei consumi fuori
casa. Basta conoscerli e utilizzarli al meglio in funzione
del ruolo che la propria impresa all’interno della filiera e
del tipo di interlocutori che ha a monte e a valle.
In questa fase economica aumentare la propria quota di
mercato è strategico per crescere o, in alcuni casi, addirittura per sopravvivere. La conoscenza adeguata dei perimetri di business in cui ci si può muovere è condizione
indispensabile per raggiungere tale obiettivo.
ristorazione&catering 43 settembre/ottobre duemila14
MANGIARE SICURO
di Valentina Gradone
nustrizionista di Unilever Food Solutions
A tavola informati
Q
uante volte vi è capitato di sentire la frase “io
sono allergico, io sono intollerante, o io credo
di essere allergico/intollerante?” Sicuramente
la maggior parte di voi ha udito queste frasi
innumerevoli volte, provenienti da amici, parenti, commensali. Ormai sembra difficile trovare una
persona che non abbia eliminato almeno un cibo dalla
propria alimentazione, perché potrebbe causargli problemi. Senza entrare troppo nei dettagli, è però importante
definire un po’ meglio che cosa siano le allergie e le intolleranze alimentari.
Con allergia, un disturbo molto più grave della semplice
intolleranza, si intende una reazione del sistema immunitario (i cui sintomi, anche violenti, compaiono generalmente in tempi brevi) nei confronti di un alimento o di un
suo componente.
L’intolleranza, invece, è una reazione negativa (i cui sintomi possono comparire anche a distanza dall’assunzione del cibo responsabile) che dipende da una difficoltà
dell’organismo a digerire o metabolizzare un alimento o
un suo componente.
A causa del forte incremento delle allergie e delle intolleranze alimentari, è necessario che anche coloro che operano nel settore della ristorazione soddisfino le esigenze
dei consumatori, garantendo tutte le informazioni che
vengono richieste per poter effettuare una scelta accurata
al momento del consumo di un pasto (indipendentemente
dal fatto che, a quella persona, sia stata fatta o no una diagnosi clinica accurata per comprovare la reale presenza
di questi disturbi).
Non si tratta semplicemente di buona prassi da parte
dell’operatore nei confronti della propria clientela, ma, a
partire dal 13 dicembre 2014, di un obbligo legislativo: in
quella data entrerà in vigore il nuovo Regolamento Europeo relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai
consumatori, FIC (Food Information for Consumers) che,
tra i numerosi cambiamenti, comprenderà anche l’obbligo di dover dichiarare la presenza degli allergeni presenti
nei cibi confezionati, sfusi o consumati fuori casa.
Per ottemperare a tale obbligo sarà necessario, per esempio, nel caso di prodotti confezionati, evidenziare (in grassetto o stampatello maiuscolo) nella lista degli ingredienti
in etichetta, l’eventuale presenza di 14 allergeni: latte,
uova, cereali contenenti glutine, sedano, pesce, crostacei,
arachidi, sesamo, frutta secca a guscio, soia, lupini, molluschi, senape, anidride solforosa e solfiti.
Nel caso di alimenti venduti sfusi, o di piatti serviti all’interno di mense, ristoranti o alberghi, non è stata ancora
definita la modalità per evidenziare gli allergeni presenti:
fatto sta che tutti gli operatori e gli chef dovranno provvedere a fornire le corrette informazioni sui piatti serviti.
Sarà pertanto necessario che conoscano in quali cibi si
trovano questi 14 allergeni, quali accortezze impiegare
durante la preparazione dei pasti, come gestire eventuali
situazioni di rischio e infine come formare correttamente
il proprio personale.
L’introduzione di questo Regolamento porterà grandi
vantaggi alle persone affette da allergie e intolleranze
alimentari durante il consumo dei pasti fuori casa: consentirà loro di individuare quali cibi contengono determinati allergeni, e di vivere, quindi, con maggiore serenità
il momento del pasto.
ristorazione&catering 45 settembre/ottobre duemila14
ALIMENTARI
NORD OVEST
CENTER CATERING
PREGIS SPA
distribuzione
FAIC:
Faic
Via Portuense, 1555
Ponte Galeria - 00050 Roma
Tel. 06 658661
www.faic.it
RISPONDERE AI BISOGNI
DEI CLIENTI
di Luigi Franchi
R
oma è una città dalle infinite sfaccettature
grazie alle quali rimane da millenni il luogo
caput mundi in grado di attrarre milioni di
persone da ogni parte del mondo. Lavorare nel
turismo in questa città significa acquisire un bagaglio
di esperienza e conoscenza straordinario, una visione
d’insieme del concetto di ospitalità e la consapevolezza
che il turismo può davvero essere, se ben valorizzato,
il punto di forza dell’Italia. Bisogna partire da qui per
capire fino in fondo la scelta della famiglia Villani di
evolversi professionalmente, passando da un’esperienza
nel settore alberghiero a quella di distributori nel canale
ho.re.ca., come ci confida Federico Villani ricordando
gli inizi della Faic, l’azienda che ha fondato nel 1990,
insieme a suo padre Piero. “In quegli anni decidemmo
di rilevare l’attività di un grossista che operava su Roma.
L’azienda si chiamava Soral e svolgeva il normale lavoro
di distribuzione multicanale. La decisione fu presa dalla mia famiglia, insieme ad altri soci che rimasero con
noi fino al 1993. Il motivo che ci spinse a intraprendere quest’attività era il desiderio di diversificare e usare
l’esperienza acquisita nel settore alberghiero per servi-
re il settore stesso”. Le prime forniture avvennero per
gli alberghi romani della catena Sheraton e la richiesta
avanzata dai responsabili acquisto del food&beverage fu
quella di applicare “il sistema americano di consegna,
come lo chiamavano loro. – ricorda Federico Villani –
Consegne nell’arco delle 24 ore del necessario per fronteggiare i bisogni della clientela, riducendo al minimo il
magazzino”. Oggi, principalmente a causa della crisi, ormai tutti i distributori praticano questo tipo di consegna
ma vent’anni fa non era la regola. Fu da quell’esperienza che i Villani ricavarono un insegnamento e un motto
che distingue la loro azienda: rispondere di si ai clienti.
Tradotto in termini operativi significa consegnare sempre e comunque: anche un semplice cartone di farina, se
il ristorante ha bisogno di quello. “Le fasi significative
della nostra storia sono state sostanzialmente tre: l’ampliamento di gamma, alla fine degli anni ’90 con l’introduzione dell’ortofrutta e, nel 2005, di carne e pesce
fresco; la trasformazione graduale della clientela che ci
ha portati verso la ristorazione commerciale come canale
esclusivo del nostro servizio; lo spostamento nella nuova
sede avvenuto nel 2000” racconta Federico Villani.
ristorazione&catering 48 settembre/ottobre duemila14
Il nuovo magazzino, di 5.800 mq,
con una grande cella per i surgelati
e un assortimento di 12.000 referenze, ha permesso alla Faic di allargare il suo parco clienti – in totale sono
1.300 – ma soprattutto di rivedere le
modalità organizzative del servizio.
“Siamo passati dalla consegna in 24
ore a quella in 3 ore – spiega Federico Villani - eliminando completamente gli
agenti, riconvertendo la loro
professionalità in altri ruoli
di servizio all’interno dell’azienda. Gli ordini ci arrivano direttamente dal cliente,
solitamente al termine della
sua giornata lavorativa tramite fax, mail o telefono”.
Considerando che la fine
della giornata lavorativa di
un cuoco spesso è in tarda
serata, alla Faic non chiudono mai. Durante la notte ci
sono due dipendenti che accolgono gli ordini e altri due
che li processano in modo
tale che all’alba sono già in
consegna. Ogni giorno vengono fatte mediamente 800
consegne attraverso un parco
mezzi di 42 furgoncini di medie dimensioni, 35 quintali
di portata, che si muovono
per Roma dall’alba alla sera.
Praticamente il cliente viene servito quasi ogni giorno.
Anche in questo caso la Faic
può vantare un primato, anche se non certificato: possedere il
maggior numero di chiavi di pubblici esercizi di Roma. Gli autisti infatti cercano di consegnare in funzione
dei bisogni del cliente, senza fargli
perdere tempo, e per ottenere quel
risultato si deve inevitabilmente cre-
are un reciproco rapporto di fiducia.
“Siamo aperti sette giorni su sette, e
questa è una scelta molto precisa se
si vuole stare al servizio di una città che, a sua volta, non chiude mai
– precisa Villani – Del resto ogni
nostra scelta è sempre stata fatta in
base a precise richieste della clien-
tela. Spesso invito i clienti ad usarci
anche solo per le emergenze. Se, ad
esempio, gli serve un mazzo di ruchetta e il suo fornitore di verdura è
chiuso, noi lo consegniamo”.
Questo è un innegabile e potentissimo elemento di fidelizzazione e,
ristorazione&catering 49 settembre/ottobre duemila14
da episodi del genere, si capisce
bene perché non ci sia una tradizionale rete di vendita. “Puntiamo
molto sulla consulenza che spesso
si traduce anche nel semplice consiglio sulla qualità di un prodotto o
su un’offerta che facciamo in quel
momento. In azienda possiamo contare su un personale molto
motivato che cerca di aiutare
il cliente nella soluzione dei
problemi, prestando molta
attenzione al contatto telefonico”. Tra le migliaia di
referenze che Faic mette in
campo c’è anche un ampio
reparto di non food che va
dalla detergenza alle attrezzature professionali per la
ristorazione. Inoltre Federico
Villani dedica una particolare attenzione al prodotto
a marchio di Cateringross,
di cui è consigliere d’amministrazione, perché “ci permette di poter contare su una
serie di referenze distintive
su cui possiamo intervenire
per migliorarne ulteriormente la qualità intrinseca, già di
ottimo livello”.
Alla domanda su come vede
il futuro di questa professione Federico Villani risponde
senza tentennamenti: “Nel
servizio. Ma attenzione,
servizio vuol dire anche assortimento completo. La ristorazione è profondamente
cambiata, a cominciare dall’organizzazione del lavoro, e chiede sempre
più spesso di avere un fornitore unico per tutto e questo può avvenire
solo disponendo di referenze e velocità di consegna”. Elementi che alla
Faic non mancano.
‘Il Paniere dello chef’
private label
come risposta alla crisi
Cateringross lancia una nuova linea di prodotti
di Guido Parri
L
’estate non ha certo aiutato i consumi, ma le difficoltà più grandi non stanno solo nella pessima stagione metereologica che ha funestato buona parte dell’Italia e arrecato danni notevoli all’agricoltura. Il problema vero è quello di
una crisi perdurante, che in Italia fa perdere circa 1.000 posti di lavoro al giorno, e di uno scenario internazionale
dove la parola guerra è sempre più diffusa. Basti pensare al danno che sta causando alle aziende il blocco delle
importazioni agroalimentari della Russia che, nell’arco di un solo mese, ha bruciato 200 milioni di euro.
Questa premessa per dire la rapidità con cui stanno cambiando i consumi in Italia, sia fuori casa sia nella spesa quotidiana.
“Uno scenario che, pur essendo a macchia di leopardo (al sud, ad esempio, la stagione estiva turistica è andata comunque
bene), ci impone di prestare la massima attenzione al fabbisogno degli operatori e alla fluttuazione della domanda che si
sta orientando verso una ricerca di prodotti di qualità ma ad un costo inferiore” riflette Umberto De Marinis, presidente di
Cateringross, il gruppo distributivo leader nel canale ho.re.ca.
ristorazione&catering 51 settembre/ottobre duemila14
Coppa
Stagionata
Mortadella
puro suino
Cotto
Toast
Prosciutto
Cotto
Gran Pizza
Ventricina
Piccante
Prosciutto
Cotto
Gran cotto Blu
La nuova Linea convenienza
Per rispondere al mercato occorre gestire, con il giusto
equilibrio, una gamma assortimentale che sia la più ampia
possibile. Il titolare di un esercizio pubblico deve avere la
possibilità di scegliere, in funzione della clientela e del
momento socio-economico, i prodotti funzionali all’offerta
del suo locale.
“Per questo abbiamo deciso di completare la gamma dei
nostri prodotti a marchio, introducendo una nuova linea:
il Paniere dello chef. – spiega Davide Reciputi, buyer di
Cateringross – Si tratta di una nuova private label che si
affianca ai nostri marchi storici come Salumi Reali, Big
Chef, Delizie di Latte ecc… La differenza è che in questa linea entrano i prodotti da primo prezzo, integrando in
tal modo l’assortimento finora costituito da medium e top
level”
I primi prodotti a far parte de ‘Il Paniere dello Chef’ sono
i salumi, selezionati dai partner specializzati nelle grandi
forniture di catering come Trinità, Comal, Bombieri, con le
prime undici referenze: Coppa stagionata, Salame tipo Milano, Salame tipo Ungherese, Mortadella puro suino, Cotto toast, Spianata calabra, Bresaola, Salame tipo Napoli,
Prosciutto cotto gran pizza, Ventricina piccante, Prosciutto
cotto gran cotto blu.
“Si tratta di una selezione dei salumi che vanno per la
maggiore nei locali pubblici, in particolare bar, pizzerie
e mense. Una scelta orientata ad un completamento di
gamma, ma soprattutto a fornire un’ampia fetta di mercato
rimasta scoperta” spiega Davide Reciputi, impegnato nella selezione delle referenze e dei fornitori secondo criteri
che, unitamente al prezzo, tengono conto della qualità.
È bene infatti sapere che in Cateringross, per la selezione
dei prodotti a marchio privato, opera una commissione costituita da alcuni grossisti soci che vantano un’esperienza
molto forte nel settore, che consente loro di delineare stan-
dard di acquisto che tengono conto, sempre e comunque, di parametri qualitativi. Come del resto
ci si aspetta dalle aziende leader del food italiano.
Il posizionamento sul mercato
Il lancio della linea ‘Il Paniere dello Chef’ è previsto in queste settimane, con la convinzione che
possa essere una risposta al contenimento di quel
prezzo che sempre più spesso determina le scelte
dei consumatori. Al fine di contenere al massimo
i costi si è deciso di intervenire sul packaging,
identificando le referenze solo con la semplice
etichetta.
“Contiene tutti i valori e le indicazioni previste
dalla legge e, del resto, nel canale ho.re.ca. si
punta a scegliere il contenuto di prodotto piuttosto
che il packaging o il marchio. – precisa il buyer
di Cateringross – Questo ci permette un risparmio
ulteriore che si tramuta in marginalità per l’operatore. Ci siamo chiesti anche se una nuova linea
avrebbe inficiato gli altri prodotti a marchio, come
in questo caso Salumi Reali. Ma abbiamo capito,
tramite una rapida indagine, che i segmenti sono
e rimangono diversi e che il primo prezzo può
essere davvero una risposta alla crisi attuale dei
consumi”.
A confermare l’orientamento c’è un dato recentissimo di Altroconsumo che ha ultimato la sua
inchiesta annuale sulla grande distribuzione organizzata, prendendo in esame 68 città, 909 punti
vendita, 108 referenze e scandagliando 1.031.562
prezzi: la famiglia italiana, acquistando prodotti
primo prezzo risparmia il 33% in un anno. Percentuale che sale al 55%, pari a 3.500 euro circa,
acquistando al discount.
ristorazione&catering 52 settembre/ottobre duemila14
C
M
Y
CM
MY
CY
CMY
K
logistica
Il business
comincia
dalle scaffalature
Un’appropriata organizzazione degli spazi
nei magazzini migliora la gestione
di Mariangela Molinari
O
ttimizzare gli spazi e aumentare la produttività,
contribuendo, in tal modo, all’efficienza della
propria azienda, anche in un’ottica di risparmio. Secondo Danilo Piacenza, Head of Key
Account Management Italia di Jungheinrich, leader mondiale in soluzioni di intralogistica, sono queste le linee
guida seguite oggi dalla distribuzione, grossisti food &
beverage in testa, nella scelta dei sistemi di stoccaggio e
movimentazione delle merci.
“Questi orientamenti, infatti, – sottolinea Piacenza – contribuiscono a creare il valore aggiunto di ogni singola società di distribuzione in un momento di crisi economica
prolungata come questo che ci troviamo a vivere”. Non
per niente, sia i mezzi di movimentazione lanciati di recente da Jungheinrich, sia i nuovi modelli di scaffalature
e le stesse soluzioni informatiche per la gestione di magazzino, integrate con innovative applicazioni tecnologiche, si inseriscono in questo trend.
“I modelli al momento più richiesti e maggiormente utilizzati dai grossisti alimentari – spiega il manager – sono i
carrelli elevatori retrattili di tipo ETV e i commissionatori
orizzontali EKS 110, oltre a tutta la gamma di scaffalature
capaci di soddisfare qualsiasi esigenza di stoccaggio”.
I vantaggi offerti dai nuovi sistemi rispetto ai precedenti
sono diversi e apprezzabili. I carrelli di tipo ETV 110 ed
ETV 112, per esempio, consumano fino al 10% di energia in meno e, grazie alla loro larghezza esterna ridotta e
a razze particolarmente strette e compatte, possono essere utilizzati anche nelle corsie con larghezze a partire
da 2.455 millimetri: un plus che li rende ideali per lo
stoccaggio a blocco e nelle scaffalature drive-in, permettendo di stringere le corsie e aumentare così i posti pallet,
grazie a un’elevata portata residua alla massima altezza.
Inoltre, una telecamera sulle forche (opzionale) e un monitor permettono all’operatore di seguire con precisione
lo stoccaggio e il prelievo dei carichi fino a un’altezza
di sollevamento di sette metri, mentre la nuova funzione ‘Snap’ integrata permette la riduzione della velocità
di sollevamento sulla leva di comando e il riconoscimento automatico del movimento al successivo ripiano della
scaffalatura, rendendo così superflua la selezione manuale dell’altezza. “I commissionatori orizzontali EKS 110,
invece – prosegue Piacenza –, permettono di gestire la
fase di picking con la massima produttività, grazie alla
ristorazione&catering 54 settembre/ottobre duemila14
velocità, sicurezza e autonomia di lavoro dati dalla combinazione delle caratteristiche del carrello, della batteria
e del raddrizzatore”. Con l’intento di agevolare i flussi
di merce, Jungheinrich ha inoltre presentato di recente
il Wharehouse Management System. “Si tratta di un software dipartimentale sviluppato per i grossisti alimentari, – illustra Piacenza – realizzato in partnership con una
società specializzata, che consente di gestire al meglio
le diverse tipologie di magazzino: aree a catasta o con
scaffalature porta-pallet, magazzini a gravità passante o
push back, strutture a ripiani modulari o sistemi completamente automatici con convogliatori o trasloelevatori”.
Dal momento, poi, che ogni realtà distributiva ha proprie
specifiche esigenze, la società dispone di un reparto interno di consulenza e progettazione, in grado di suggerire
le soluzioni personalizzate e le tipologie di scaffalature
più idonee.
Grossista e cash & carry insieme, grazie a scaffalature industriali
Di quanto l’organizzazione del magazzino (e del punto
vendita) sia funzionale all’ottimizzazione degli spazi e
all’incremento della produttività sono ben consapevoli in
Barbieri&Fardella, l’ingrosso alimentare e cash&carry
di Voghera, per il quale la radicale ristrutturazione condotta lo scorso anno ha significato anche un ripensamento del format di vendita.
La nuova struttura, infatti, distribuita su 5mila metri
quadri coperti (2.500 di magazzino refrigerato e altrettanti di punto vendita), all’interno di un’area di 11mila
metri quadri complessivi, integra la tradizionale attività
di ingrosso e delivery con un cash & carry aperto anche al privato. È stato dunque tenendo a mente questo
doppio target di riferimento (operatori professionali e
famiglie, con l’intento di portare anche a queste ultime
la cultura del catering), che sono state pensate le stesse
scaffalature.
“Abbiamo scelto scaffali di tipo industriale, disposti su
cinque piani, per un’altezza complessiva di una decina
di metri. – spiega Gianluca Di Vona, socio e direttore
commerciale della struttura – I primi ripiani, adattati al
libero servizio, in modo che le confezioni singole possano essere prelevate proprio come in un normale supermercato, sono alti 30 cm; a quelli superiori, invece
ristorazione&catering 55 settembre/ottobre duemila14
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(alti 1,5-2 m), viene posizionata la prima scorta,
nei cartoni, a disposizione dei magazzinieri per
preparare il delivery; seguono altri due-tre piani,
dove sono stoccati bancali interi o mezzi bancali
di merce dalla rotazione più ridotta”.
L’organizzazione tiene conto sia del tipo di merceologia che dell’avvicendamento delle circa 8mila
referenze trattate. “I pomodori pelati, l’olio in confezioni da 5 litri, la farina in sacchi da 25 kg e
tutti i prodotti catering sono posizionati a bancale;
– sottolinea Di Vona – altri, invece, di consumo
più limitato, come può essere una glassa di aceto
balsamico, a singola unità”. In pratica, dunque,
grazie a questa disposizione sugli scaffali, per ogni
prodotto (in particolare quelli in confezioni singole), la scorta è presente nel punto vendita, sulle
scaffalature superiori.
Nel caso del fresco, invece, le confezioni sono
esposte in banchi simili a quelli dei tradizionali
supermercati, ma con ripiani più spaziosi, mentre
tutte le scorte sono stoccate nelle celle frigorifere
del magazzino. Il ristoratore stesso, quindi, può
servirsi autonomamente dei prodotti che gli servono in quantità contenuta, e rivolgersi, invece, ai
repartisti per volumi più consistenti.
“A questa struttura logistica, già di per sé peculiare, abbiamo voluto dare uno spiccato taglio di
servizio, – aggiunge Di Vona – prevedendo per
ogni reparto una o due persone a disposizione
sia del privato che degli operatori professionali.
Il che ha comportato una particolare attenzione
anche alla sicurezza tra le corsie, progettate larghe 3,50 metri, in modo che i carrelli retrattili vi
si possano muovere agevolmente, e dotate di un
corridoio largo 70 cm, tracciato proprio di fianco
agli scaffali, dove il cliente si può tranquillamente
muovere senza essere intralciato dagli operatori o
intralciarli a sua volta”. In occasione della ristrutturazione, poi, la Barbieri&Fardella si è aperta
anche al beverage. In questo caso, acqua e soft
drink sono a bancale, così come i vini e le birre
di largo consumo; tutto il resto, invece, è esposto
a scaffale in bottiglie singole. “Nonostante la radicale riorganizzazione e l’inserimento del cash
& carry nella struttura – precisa Di Vona – abbiamo mantenuto anche il servizio di delivery: le
due facce dell’attività a oggi si spartiscono equamente il fatturato, più che raddoppiato rispetto
allo scorso anno”. Un bel risultato, soprattutto di
questi tempi, raggiunto evidentemente anche grazie alla revisione del lay out e delle scaffalature,
con il loro sistema di stoccaggio parziale anche nel
punto vendita. Ma anche grazie a un magazzino
gestito attraverso una precisa mappatura, che per
ogni merceologia prevede reparti e celle dedicate, ognuna con propri scaffali e un laboratorio di confezionamento con
autorizzazione CEE, ad hoc per ogni referenza. “Coniugare logica e
comodità è la nostra linea guida. – conclude Di Vona – Sicuramente
la possibilità di compartimentare con precisione prodotti e scorte è di
grande aiuto nella gestione quotidiana dell’attività”.
ristorazione&catering 57 settembre/ottobre duemila14
consulenza
di Alberto Fugagnoli
avvocato dello studio legale
Avv. Gaetano Forte
Il diritto di ritenzione
sulle cose trasportate
I
l codice civile disciplina uno strumento di autotutela privata del credito del trasportatore prevedendo
che “i crediti dipendenti dal contratto di trasporto e
quelli per le spese d’imposta anticipate dal vettore
hanno privilegio sulle cose trasportate finchè queste rimangono presso di lui.” (art. 2761).
Detto privilegio può essere esercitato dal vettore/creditore mediante la ritenzione presso i propri locali dei beni
del mittente/debitore a lui affidati, l’intimazione al pagamento del debito e, in difetto di pagamento o di opposizione nei successivi cinque giorni, la loro vendita forzata
per il ricavo dell’importo necessario al soddisfacimento
integrale del credito per il quale agisce.
Preme rilevare che il più recente orientamento giurisprudenziale ha stabilito che il diritto di ritenzione possa
essere esercitato anche per soddisfare crediti derivanti da un trasporto che non ha nulla a che vedere con i
beni trattenuti, rilevando solamente che tali beni siano
comunque inerenti a trasporti che costituiscono l’esecuzione di un rapporto con il debitore, atto a regolare un
numero indefinito di spedizioni (accordo quadro; condizioni generali di trasporto).
Con ciò risulta significativamente allargata la tutela giudiziaria affidata allo strumento in esame.
Per espressa previsione normativa (art. 2761, co. 2 c.c.),
il privilegio in questione ha efficacia anche in pregiudizio dei terzi (diversi dal debitore) che hanno diritti sulla
cosa e quindi anche sui proprietari dei beni aggrediti, i
quali, fermo restando la possibilità di proporre opposizione alla vendita nelle forme previste dal codice di rito,
non possono reclamarne la restituzione.
Ciò che rileva infatti è che i beni trattenuti siano stati
utilizzati per l’esecuzione di servizi di trasporto resi in
favore del debitore, a nulla rilevando che questo non ne
sia proprietario.
Il diritto di ritenzione potrà quindi legittimamente esercitarsi, ad esempio, anche sulle merci affidate ad un
subvettore (creditore) da parte di un vettore (debitore),
per il trasporto e la consegna a destinazione di merci
commisionatogli dal mittente (proprietario).
Per quanto riguarda le forme della vendita, in caso di
mancata opposizione nel termine sopra indicato, o di suo
rigetto, il creditore potrà far vendere i beni al pubblico
incanto, o, qualora abbiano un prezzo di mercato, anche
a prezzo corrente, a mezzo di persona all’uopo autorizzata. In ogni caso, il creditore dovrà osservare la comune
diligenza nell’interesse del debitore, al quale dovrà anche il rendiconto e, ovviamente, la rimessa dell’eventuale residuo del prezzo ricavato.
C’è da dire infine che spesse volte la procedura esecutiva
termina con l’assegnazione in proprietà dei beni oggetto
dell’azione di ritenzione in capo allo stesso trasportatore/
creditore procedente, dietro restituzione dell’importo da
lui offerto nell’asta giudiziaria.
ristorazione&catering 59 settembre/ottobre duemila14
PERBACCO
di Giuseppe Vaccarini
presidente Associazione della
Sommellerie Professionale Italiana
RILANCIARE le vendite dI vino,
VI DICO COME
C
osa fare per rilanciare i consumi al ristorante e
in generale nel fuori casa nella fase di crisi che
stiamo attraversando?
La risposta è ardua, considerato che la crisi ha
dimensioni notevoli - secondo dati Istat l’Italia è ormai
in recessione, con un secondo semestre consecutivo di
flessione congiunturale, il peggior dato da 14 anni - ma
alcuni semplici accorgimenti potrebbero essere utili per
dare un minimo di respiro al settore. Intanto occorre partire dal fatto che è evidente una riduzione consistente
del consumo dei vini esteri, compreso anche l’amatissimo Champagne che viene consumato per il 10% dei
consumi totali. I vini stranieri costano tendenzialmente
di più e questo è un deterrente e inoltre penso che si
sia diffusa anche l’idea di sostenere un’economia in crisi
concentrandosi sui consumi di prodotti nostrani.
Aumenta al contrario il consumo dei vini frizzanti, perché costano tendenzialmente di meno e c’è poi il dato
positivo del consumo dei vini spumanti che piacciono
anche perché sono molto di moda e sono anche vini facili
da bere.
Ma cosa fare in un panorama di questo tipo? Non vorremo limitarci ad offrire e a bere solo vini di un certo tipo,
lasciando che tutti gli altri sprofondino in una crisi più
nera? Intanto penso che sia ormai arrivato il momento
di ridurre drasticamente il prezzo dei vini al ristorante,
prezzi che negli anni passati hanno goduto di ricarichi
notevoli, che ora però diventano un boomerang per il settore, quindi eventualmente occorre orientarsi a vini con
un ottimo rapporto qualità/prezzo, vini che possono essere offerti con un loro adeguato ricarico, ma senza sfigurare, che quindi non spaventino o sopratutto non deludano
il consumatore.
E su questo punto occorre essere conseguenti, considerato che il prezzo medio di una bottiglia di vino in un
ristorante di categoria medio - alta è di 15, se non di 20
euro, quando in enoteca e, dico, in una rivendita di vini,
non direttamente dal produttore il consumatore trova
vini ottimi anche a 6 euro e parlo non di enoteche di paese, ma di fior fior di enoteche nel pieno centro di Milano
per esempio. Si può inoltre cominciare a fare girare i vini
anche proponendone un’ampia degustazione al calice,
allargando quindi l’offerta che per lo più è assai ridotta.
Se si pensa che un calice viene venduto intorno ai 5-6
euro ecco che il ritorno è assicurato e la soddisfazione
del cliente pure, visto che non dovrà per forza orientarsi
al consumo di una costosa intera bottiglia.
Con le opportune cautele in fatto di tappatura si potranno
anche proporre al calice anche i grandi vini, normalmente assai poco venduti al ristorante e che invece in questo
modo potranno essere conosciuti da un più ampio pubblico, che poi chissà mai che non desideri cercare quella
bottiglia anche fuori dal ristorante?
Eventualmente ancora si potrà creare una piccola carta delle birre, orientandosi a prodotti buoni dai prezzi
abbordabili, in quanto ormai anche la birra di qualità
viaggia su prezzi che fanno sfigurare una buona bottiglia
di vino, quindi anche su questo attenzione e cautela.
Il consumo di birra è aumentato, è una bevanda che riceve un sempre maggiore apprezzamento di pubblico e
quindi perché non proporne una buona selezione anche
al ristorante? Per ultimo ma non ultimo: solo nei ristoranti dove opera un sommelier che tiene il polso della
situazione non si registra un significativo calo delle vendite, forse occorrerebbe che i ristoratori cominciassero a
ragionare su questo punto.
ristorazione&catering 61 settembre/ottobre duemila14
ETICHETTA
ANDREA PIRLO
Calciatore e vignaiolo
di Mario Zuffada
esperto sensoriale
A
due passi dalla città di Brescia nel comune di Flero, e più precisamente nella sua minuscola frazione chiamata
Coler, si può scorgere una bellissima casa colonica in ristrutturazione e di fronte ad essa un grandissimo prato
verde, circondato da alberi ed essenze autoctone, sede della Società Agricola Pratum Coller. Il significato del
nome latino è quindi “il prato di Coler”, ed è proprio attraverso questo simbolo che l’azienda vuole trasmettere
il suo messaggio di rispetto dell’ambiente e dei suoi equilibri. L’antica cascina del ‘600 è in ristrutturazione e diventerà
un polo multiculturale, in cui verranno sovente organizzati degli spettacoli teatrali, delle mostre d’arte. Diventerà anche
un agriturismo, con spazio degustazione. L’area circostante rappresenta una delle più piccole realtà vitivinicole italiane,
con un totale circa di 100 Ha. vitati. Le denominazioni d’origine di questo territorio sono la DOC Capriano del Colle e la
IGP Montenetto. Qui Andrea Pirlo ha acquistato la tenuta nel 2007 cominciando a produrre vino con un unico obiettivo:
fare vini di personalità, riconoscibili rispettando l’ambiente e il territorio; per fare ciò non si poteva che condurre i 7Ha. di
vigneto con i principi della viticoltura biologica. L’azienda oggi produce circa 20.000 bottiglie l’anno, spalmate su quattro
tipologie di vino, tutti con una forte personalità e improntati verso la longevità. Quando tutti i vigneti saranno a regime
si presume di arrivare a produrre 30/35.000 bottiglie, sotto l’attenta visione del giovane enologo Lorenzo Piva, che mi ha
accompagnato in questo bellissimo percorso.
www.pratumcoller.it
ristorazione&catering 63 settembre/ottobre duemila14
EOS
E
os è un vino rosato prodotto con le uve Sangiovese 60%, Marzemino 30% e Merlot 10%.
La cosa che colpisce di questo vino al primo
impatto è sicuramente il colore, un rosa con
sfumature arancioni molto carico e luminoso, evidenziato anche dal vetro della bottiglia che, essendo trasparente, non impedisce in alcun modo al consumatore di
apprezzare il bel colore del vino.
Al naso i sentori di fragola e di ciliegia sono molto netti,
piacevoli e persistenti, in bocca ritornano i piccoli frutti,
il tutto sorretto da una giusta acidità che da sensazioni
di freschezza e leggerezza con una buona resistenza sul
finale, richiamando al palato la voglia di berne un altro
bicchiere.
Lo consiglierei anche come aperitivo, oppure semplicemente mangiando una pizza, trova però la sua massima
espressione se bevuto accompagnato a crudità di pesce.
Anche per questo vino Luigi tiene a ribadire che è stato il primo vino prodotto dalla cantina, aveva il colore
dell’alba e dava inizio alla nuova avventura.
Hanno preso il nome (EòS) dal greco, anche per ripristinare un contatto che richiamasse le origini della famiglia
Pirlo.
NITOR IGP
Montenetto
REDEO IGP
Montenetto
ARDUO IGP
Montenetto
2011
2010
2009
P
robabilmente questo è il prodotto più particolare e unico dell’azienda, in quanto il Trebbiano
di Lugana è un vitigno abbastanza tardivo dal
punto di vista aromatico e al tempo stesso molto ricco di sostanze polifenoliche che lo rendono un’uva
perfetta per la produzione di vini bianchi da invecchiamento. Nitor è un vino bianco prodotto al 100% con la
Turbiana ( da cloni di verdicchio), vendemmiata però
alla metà di ottobre.
Stiamo bevendo la bottiglia numero 678. Ha un colore
giallo molto carico che già fa pensare ad un vino strutturato e di carattere, infatti mentre si versa nel bicchiere
appare di una buona densità, al naso si ferma su sentori
di agrumi esotici, servito naturalmente intorno ai 10°C,
pertanto è un vino da non bere troppo freddo.
Lasciato nel bicchiere dopo qualche istante trova il suo
equilibrio, aprendosi e sprigionando note calde di zafferano e camomilla.
In bocca l’acidità e la sua spiccata mineralità lo rendono
estremamente lungo e persistente, vino bianco di grande
struttura che va ad amalgamarsi perfettamente sotto il
suo più che naturale profilo alcolico.
La famiglia Pirlo ha voluto per questo vino un nome che
richiamasse il nitore, la delicatezza, il profumo di un legame rotondo con la terra, capace di dare latte e miele, per giungere al risultato più ambito: lo splendore, la
chiarezza e la pulizia.
ristorazione&catering 64 settembre/ottobre duemila14
R
edeo è il rosso della casa di questa azienda,
prodotto con il taglio dei vini di Sangiovese
60%, Marzemino 20% e Merlot 20%.
Come per gli altri vini anche per il Redeo la
retro etichetta mostra la numerazione delle bottiglie e
questa è la 345 di 2.565. Il colore è un rosso rubino intenso nel bicchiere si intuisce subito anche per questo
vino la sua consistenza e densità.
Al naso i sentori balsamici e fruttati di mora sono molto
netti, è un vino molto pulito dal punto di vista aromatico,
in bocca è pieno, grasso, con una astringenza vellutata,
minerale al punto giusto chiude la degustazione donando
al palato la perfetta acidità che stimola la beva.
Mi dice Lorenzo che è il vino preferito dal papà di Andrea, il signor Luigi Pirlo, il quale in più occasioni gli ha
spiegato il significato di Redeo, cioè: ritornare la sera,
ritrovare i propri affetti, recuperare la giusta velocità,
apprezzare la serenità e soprattutto ascoltare anche sé
stessi. Il significato di questo nome e il senso del vino
è ritornare appunto in sé stessi, ritornare alla luce, ad
uno sguardo corretto, tranquillo e conscio dei ritmi che
ogni giorno il tempo dà, ma consapevoli che questi non ti
devono cambiare nelle radici e negli ideali.
È
il vino di punta dell’azienda, che non tutti gli
anni viene prodotto in quanto non sempre le
uve riescono a raggiungere questo livello di
maturazione. Insieme all’enologo Lorenzo Piva
ci apprestiamo a degustare l’Arduo 2009.
Questa riserva di rosso è composta per il 50% da Sangiovese, 30% Merlot e 20% Marzemino. Dalla retro etichetta vedo che stiamo bevendo la bottiglia numero 567
di 1.865.
Il colore è rosso molto scuro, inchiostroso, denso, si intuisce mentre lo verso nel bicchiere che è decisamente importante. Al naso esplodono i sentori balsamici del legno
che sorreggono ma non sovrastano il frutto accompagnato
da sfumature di cuoio e cacao, in bocca ciò che stupisce
è la pienezza e l’opulenza, è un sorso molto soddisfacente con un’astringenza morbida ma che si fa sentire
(sintomo di un vino vivo) con un finale minerale di lunga
persistenza. Arduo = motto di Famiglia: “No-nisi per ardua”. Questa è la costruzione di una sfida che parte dai
nostri antenati (dice Andrea Pirlo) e passa per una coppa
del mondo di calcio ed ora continua nel lavoro della vigna, della campagna e nel mestiere della vita quotidiana
alla ricerca sempre del meglio di noi stessi.
Arduo significa difficile, complesso, ed è proprio il concetto che il degustatore ha in mente quando si accinge ad
assaggiare questo rosso Riserva di grande personalità.
ristorazione&catering 65 settembre/ottobre duemila14
BUON BERE
Il vino
al ristoRante
di Alessandra Locatelli
Non solo crisi,
ma rivitalizzazione su nuovi
orientamenti di consumo
L
a parola gusto rappresenta il senso che consente di riconoscere i sapori, codifica una soddisfazione soggettiva e riassume la facoltà di formulare giudizi estetici che
orientano scelte personali. Nel mondo del vino, forse
più ancora che in quello del cibo, il gusto è una variabile che di
costante ha solo il movimento dei contenuti: se i gusti dei clienti
cambiano, i consumi, le modalità di offerta, le relazioni tra gli
attori commerciali cambiano, e la parola cultura si serve a tavola
con maggior frequenza e ragion d’essere.
Cambiare in meglio
Abbiamo chiesto al presidente dell’ASPI, Giuseppe Vaccari-
ristorazione&catering 66 settembre/ottobre duemila14
ni, di provare a tracciare il perimetro entro cui si muovono tali
cambiamenti: “I consumatori oggi sono informati e consapevoli
nella ricerca di un prodotto, vogliono spendere meno e meglio,
e sanno come fare. Sanno capire se il consiglio del sommelier
è valido, preferiscono il calice – sia per le leggi sul tasso alcolico che per una maggior selezione - e si avvicinano sempre di
più al prodotto biodinamico e a cantine meno note e dai prezzi
ragionevoli. In parallelo, le aziende effettuano più promozioni
e i ristoratori se prima proponevano carte dei vini da 500-1000
etichette, oggi le hanno ridimensionate a 200 per evitare stock
e capitale fermo”.
Adua Villa, sommelier Master Class e docente AIS, ci ha ricordato che “l’Italia è il Paese con la più grande produzione di vino
in termini di qualità correlata al giusto prezzo, ma il cliente che
non conosce sceglie per assonanza. Il curioso invece vuole capire e per farlo chiede a Google: grazie al 2.0 il mondo del vino si
è avvicinato a nuovi fruitori con linguaggi più semplici, pop, a
cui il ristoratore ha il dovere di prestare attenzione”.
Intrattenimenti sul vino nel locale, incontri con i produttori, ma
anche carte dei vini di immediata comprensione: “Pochi giorni
fa mi è stata data una carta dei vini con icone che identificavano
il vino biologico o biodinamico, l’occhio al prezzo, il piatto con
cui degustarlo; immagini semplici che aiutano a far convivere
l’etichetta top con la referenza meno nota e invogliano a crearsi
una mappa del gusto personale e non omologata”.
Tra cultura e sorpresa
Alessandro Pipero, patron del ristorante romano Pipero al Rex,
una stella Michelin, sintetizza così il passaggio eno-storiografico
che si è verificato in questi anni: “La cultura per il vino è nata
in Francia. L’operaio della Fiat sulla carta guardava il lato de-
stro, l’operaio della Renault il lato sinistro, uno
il prezzo e l’altro la qualità, uno veniva una volta
all’anno e l’altro una volta al mese. Oggi la cultura è aumentata insieme al miglioramento stesso
dei vini, per cui le variabili di scelta non sono
più tra i 3-4 grandi vini noti e il portafoglio. Se il
cliente straniero vuole ancora il nome blasonato,
l’italiano per il 90% vuole la sorpresa, l’emozione, perché reputa il vino come prodotto culturale
e non come liquido che allieta la tavola”.
Se il cliente è cambiato è anche merito di una brigata di sala più erudita, con sommelier empatici
oltre che preparati, attenti ascoltatori oltre che
narratori, e di un approccio meno referenziale
dove più che di abbinamento cibo-vino si preferisce parlare di accompagnamento perché “un
sistema codificato non si deve sostituire al gusto
e alla sensibilità personale”.
Cambiano i consumi, non i
costi
Ad affermarlo è Franco Cimini,
titolare dell’Antica Osteria del
Mirasole di San Giovanni in Persiceto (Bo): “È sempre più normale da noi che una coppia non
ordini la bottiglia ma assaggi tre
calici, due con le portate principali e uno sul dolce, spendendo
praticamente come se avesse acquistato una bottiglia.
Allora il motivo è un altro: farsi
coinvolgere in un percorso nuovo, dove il grado alcolico si abbassa, la bollicina apre spesso le
danze, la naturalità è ricercata”.
Uno stile di vita sano, attento a
ciò che si mette nel piatto, allo
sport, al benessere, non può non
guardare anche alla salubrità nel
bicchiere: “Merito del gastrofighettismo, passatemi il termine,
che ha fatto diventare una moda
ciò che noi promuoviamo da 25
anni (leggasi biodinamica, ndr).”
“Un mercato diverso richiede
soluzioni nuove. – ci ha spiegato
Alberto Arlotti, product manager di Blubai, azienda leader nella distribuzione
F&B – Una scelta vincente è ampliare l’offerta
delle referenze locali, ricercando buoni prodotti
a prezzi inferiori a 5 euro. Funzionano le private
label e le promozioni. Cosa cambierà domani? Il
vino-poesia: se si va a cena in due o in quattro
si tende di più a scegliere un vino che diventi
argomento di conversazione, mentre in gruppo si
parla d’altro, per cui occorre un vino più beverino
e immediato”.
A ognuno il suo dunque, ma sempre con gusto.
ristorazione&catering 67 settembre/ottobre duemila14
Le performance di
case history
CECCHI
F
ondata nel 1893, oggi alla quarta generazione,
Cecchi è una realtà storica del Chianti Classico.
È Luigi Cecchi ‘da Poggibonsi’, bisnonno degli
attuali titolari Cesare e Andrea, che grazie alle
sue doti di mediatore ed assaggiatore di vini dà il via alla
dinastia. La cantina nasce come Casa Vinicola; mutati
i tempi, anche Cecchi dà nuovo impulso alla sua attività, decidendo il proprio coinvolgimento diretto nella
viticoltura.
È un altro Luigi, nipote del fondatore e padre di Cesare
e Andrea, che nel 1953 – afferrate le redini dell’azienda
– diventa il protagonista della svolta.
Nel 1962, il primo passo: l’acquisizione di Villa Cerna
a Castellina in Chianti, nel cuore dell’area classica, ac-
di Roger Sesto
Consolidati gli aspetti
produttivi ora si punta a
comunicazione e horeca
canto alla quale presto si trasferirà la nuova sede della
Casa Vinicola. Considerata un piccolo gioiello, sia per la
sua storia sia per lo stupendo pedoclima dei suoi vigneti, l’Azienda Agraria Villa Cerna ha oggi un’estensione
territoriale di circa 200 ettari, una novantina dei quali
vitati. Dalle sue vigne hanno origine alcuni tra i vini più
rappresentativi del gruppo, come il Chianti Classico Villa Cerna e il Chianti Classico Riserva.
Il processo di espansione territoriale riprende a fine anni
‘80 con l’acquisizione di Castello Montaùto, posto sulle
colline prospicienti San Gimignano.
ristorazione&catering 68 settembre/ottobre duemila14
Cecchi
Località Casina dei Ponti, 56,
53011 Castellina in Chianti (SI)
Tel. 0577 54311
www.cecchi.net
A meta degli anni ‘90, quando ancora la Maremma non
era la nuova frontiera della viticoltura toscana, per poter produrre nuovi vini dal competitivo rapporto qualità/
prezzo si decide di approdare nella zona del Morellino di
Scansano, acquisendo l’Azienda Agraria Valle delle Rose
di Poggio la Mozza. Ultimo passo di questo processo evolutivo, l’acquisizione (1998-2000) di Tenuta Alzatura a
Montefalco: unica realtà Cecchi non toscana.
Perché un legame così forte con il territorio?
Ce lo spiega Andrea Cecchi, l’agronomo della famiglia:
“Già con la tenuta umbra siamo diventati ‘italiani’: non
siamo interessanti a ulteriori espansioni. Siamo toscani e
vogliamo rafforzarci rimanendo legati alle nostre origini.
Ogni nostra acquisizione non ha mai avuto fini speculativi. Cultura, senso di impresa, visione strategica ci hanno
indotto a compiere le nostre scelte. Originari di Poggibonsi – continua Andrea - l’aver acquisito una tenuta a San
Gimignano e una nel Chianti Classico è stata una logica
conseguenza all’idea di intraprendere la strada della viticoltura. E la scelta di Castellina, operata da nostro padre
Luigi, non è stata casuale: ideale da un punto di vista logistico, ottimale secondo un’ottica enologica, da qui vengono i Chianti Classico più piacevoli, equilibrati e fruttati. Anche lo ‘sbarco’ in Maremma è stato strategico, in
un periodo in cui nessuno voleva saperne di Morellino”.
Quali le strategie in atto, in casa Cecchi?
“Assodato il concetto di qualità, superate le problematiche legate alla produzione con gli ultimi investimenti
maremmani e umbri, scelto di centralizzare presso la rin-
novata sede di Castellina la fase di imbottigliamento, anche per poter disporre di un unico laboratorio di analisi,
negli ultimi anni ci stiamo dedicando a rafforzare l’esistente attraverso la logistica, distribuzione, marketing e
comunicazione”.
Così Cesare Cecchi, responsabile commerciale del gruppo. “Già da qualche tempo si è deciso di spingere la produzione destinata all’horeca (soprattutto Italia) e di puntare di più sulla trasmissione dei punti di forza Cecchi:
un’azienda moderna legata alla tradizione, che produce
vini di territorio dall’interessante rapporto qualità-prezzo.
Attenta all’enoturismo e all’interazione fra arte e territorio”.
Quali sono i mercati interni sui quali vi state maggiormente affermando?
“Seguiamo in modo capillare tutto il territorio italiano,
con volumi prevalenti in Toscana, Lazio, Lombardia e
Veneto. In particolare stiamo puntando allo sviluppo del
canale horeca Italia, principalmente a livello di ristorazione medio-alta, wine bar, enoteche, duty-free, catene
distributive di qualità come Eataly ed Eat’s. Per noi il
canale tradizionale, soprattutto a livello domestico, resta
un indicatore fondamentale del successo di un’azienda.
Ed è sulla base delle nostre scelte strategiche di fondo
- storicità dell’azienda, classicità dei vini, identità delle
singole etichette, sinergie distributive con partner qualificati, innovazione continua – che puntiamo a rafforzarci
commercialmente”.
È confermato che il vostro baricentro produttivo è e resterà
l’aerale toscano-umbro?
“Crediamo – annuisce Cesare – si debba continuare ad
essere protagonisti nelle denominazioni in cui noi abbiamo le nostre aziende di proprietà. Le nostre strategie di
sviluppo trovano fondamento sulla volontà di valorizzare e
dare sempre maggiore identità al nostro assortimento: tra
le etichette più conosciute ricordiamo la nostra bandiera
Coevo, il nostro Vermentino Litorale, il Chianti Classico
Riserva Riserva di Famiglia e il Morellino di Scansano
La Mora. Inoltre per noi sono fondamentali i progetti di
sinergia distributiva, che ci hanno visto stringere relazioni commerciali significative con Castiglion del Bosco a
Montalcino e Collard Picard nello Champagne; progetti
che non si esauriscono con queste due partnership, ma
che vedranno interessanti sviluppi futuri”.
I 298 ettari vitati di proprietà hanno generato nel 2013
un fatturato complessivo di 35,2 milioni di Euro - 7,8 milioni le bottiglie vendute -, pari a +5,40% rispetto ai 33,4
milioni del 2012. Con un incremento del mercato italiano
del 6,60% e dell’estero del 4,20%. Il 50,50% del fatturato
2013 è stato conseguito grazie al mercato domestico.
A volume, il gruppo Cecchi ha visto nel biennio 20122013 una crescita del 12%, e quel +24% al giugno 2014
conferma un trend di crescita che dà valore ai programmi
di sviluppo pianificati, che dunque lasciano ben sperare
in un consolidamento di tale positivo andamento.
ristorazione&catering 69 settembre/ottobre duemila14
case history
Chef’s Irish Beef Club
Bord Bia predilige
il rapporto con i
cuochi italiani
di Roberto Martinelli
D
opo l’annuncio nella primavera scorsa da
parte di Bord Bia (l’ente nazionale irlandese
per la promozione dei prodotti agroalimentari
all’estero) della nascita del gruppo italiano di
“Chef’s Irish Beef Club”, con i primi membri fondatori del calibro di Sara Conforti dell’Osteria del Vicario,
Andrea Fusco del Giuda Ballerino, Francesco Cassarino
del Caravanserraglio e di Giuliana Germiniasi del Capriccio, nel luglio scorso sono entrati due nuove qualificate figure della nostra cucina come: Daniele Repetti del
Nido del Picchio (Pc) stella Michelin e Filippo Saporito
de La leggenda dei Frati (Si), già stimato chef tra i Jeunes Restaurateur d’Europe.
L’ingresso al club è stato presentato durante un viaggio
in Irlanda in cui gli chef hanno potuto approfondire e
prendere direttamente visione degli aspetti produttivi
della carne bovina irlandese, dagli allevamenti nelle
verdi campagne irlandesi fino alla preparazione delle
carni prima della spedizione ai supermercati o ai ristoranti italiani.
Una visita organizzata presso uno degli stabilimenti di
ABP, la più importante società irlandese di macellazione
di bovini con circa il 20% della produzione nazionale e
una incidenza di export che supera il 75%, di cui l’Italia
è il secondo paese per importanza. I due chef, freschi di
nomina nel CIBC, erano accompagnati dal collega Francesco Cassarino, oltre che dal responsabile di Bord Bia
per l’Italia, Lean McHane.
Il posizionamento della carne irlandese
Oggi la vendita di carne irlandese si posiziona nel segmento più elevato del consumo. Per le sue elevate caratteristiche qualitative, il prodotto importato dall’Irlanda
è in grado di soddisfare le esigenze dell’alta ristorazione
e i piatti la cui carne deve essere tenera ma allo stesso
ristorazione&catering 70 settembre/ottobre duemila14
Bord Bia - Irish Food Board
Via E. De Amicis, 53
20123 Milano
Tel. + 39 02 7200 2065
www.bordbia.ie
tempo magra e saporita. Con l’introduzione dell’etichettatura individuale dei vitelli, già negli Anni ’50 l’Irlanda
era ai vertici per innovazione, controllo e garanzia nella
filiera gettando le basi a quello che poi è diventato il sistema di tracciabilità dell’industria di macellazione dei
bovini su scala mondiale.
L’allevamento dei bovini in Irlanda raggiunge i sei milioni
di capi (quasi un capo e mezzo per abitante) e rappresenta
per l’agricoltura del paese la prima voce di reddito dando lavoro a circa 80.000 aziende agricole e occupando
100.000 persone nella filiera della macellazione.
Lo sfruttamento dei campi a pascolo di alta qualità per
quasi nove mesi all’anno garantiscono alle pregiate razze
autoctone quali la Hereford, la Shorthorn e la Angus, un
primato assoluto su tutti i mercati internazionali.
Il brand di origine irlandese è ormai un marchio riconosciuto non solo in Europa ma anche in quei paesi dove i
bovini non mancano.
Ogni vitello in Irlanda viene trattato come fosse un individuo munito di un codice identificativo, etichetta e registro. Del bovino si sa tutto: dalla nascita fino alla macellazione. Sono tracciati i vari passaggi da un allevamento
all’altro, storia sanitaria, sistema di alimentazione, periodi di pascolo all’aperto e in stalla.
All’origine del successo del sistema irlandese, sembra
essere l’esistenza della sua mandria di circa un milione
di vacche da riproduzione. In quasi tre quarti degli allevamenti nazionali le vacche partoriscono in primavera e i
vitelli generalmente sono allattati nei pascoli dalle madri
per un periodo che va da sei a dieci mesi.
Di certo l’altro grande vantaggio che ha l’Irlanda oltre ad
avere l’80% del territorio destinato a pascolo, è il clima
mite e piovoso che consente la crescita dell’erba con pe-
riodi tra i più lunghi in Europa. Gli animali pertanto si
nutrono praticamente ininterrottamente di erba fresca per
gran parte dell’anno, e al momento della macellazione oltre i quattro quinti della loro alimentazione è stata di erba
e trifoglio fresco.
Questo sembra essere il motivo non tanto segreto della
qualità e della buona “marmorizzazione” (la distribuzione
equilibrata tra grasso e magro) della carne irlandese.
Altissima qualità per chef e consumatori
Consumatori e chef alla ricerca di esperienze gastronomiche sempre più elevate hanno indotto l’industria dell’allevamento e della macellazione a soddisfare queste nuove e
crescenti esigenze proponendo prodotti di altissima qualità, ottenuti grazie alla genetica degli animali, dal sistema
di allevamento ma anche dai criteri di lavorazione delle
carni. Visitando questo stabilimento nel sud dell’Irlanda
di ABP ci si rende conto del grado di studio e preparazione che oggi ha raggiunto l’industria di macellazione. Dalla fase più delicata della macellazione dell’animale in cui
i percorsi sono studiati per non stressare l’animale, alla
lenta frollatura a determinate temperature delle carcasse indispensabile per avere la carne tenera e omogenea.
Sarà anche vero che la frollatura cambia l’aspetto visivo della carne perché la rende opaca e scura, motivo per
cui la maggioranza delle massaie italiane per ignoranza
la rifiuta, preferendo acquistare con gli occhi carni rosse
e brillanti dai frigoriferi dei supermercati, senza sapere
che accontentando solo gli occhi cucineranno carni che
saranno sempre dure e “snervate”.
Per questo Bord Bia ha voluto costituire il club degli chef
estimatori di carne irlandese per proporsi con i più qualificati esperti e testimonial di carne.
ristorazione&catering 71 settembre/ottobre duemila14
CASE HISTORY
CASE HISTORY
Mediterranean
Wines
Hotel A Bolzano
di Luca Bonacini
di Guido Parri
I
Il consumo
consapevole tra Italia,
Bulgaria e Grecia
talia, Bulgaria e Grecia, insieme per il consumo
consapevole, in un progetto condiviso, con l’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna. Tre paesi europei che hanno in comune l’antichissima tradizione
del vino, una coltivazione che in Italia risale ai Romani, i
quali producevano nella sola capitale 80 qualità di vino,
ma che in Bulgaria, e in particolare nella regione della
Tracia, veniva prodotto già 3000 anni fa, e di cui parla
Omero nell’Iliade e nell’Odissea, mentre è alla Grecia
che va il merito di aver diffuso la cultura del vino, già in
voga in età Micenea, come conferma il ritrovamento di
alcuni boccali di terracotta. Una campagna, finanziata
dall’Unione Europea, Grecia, Italia e la Repubblica di
Bulgaria, che ha l’obiettivo di far conoscere meglio i vini
a Denominazione di Origine Protetta e Indicazione Geografica Protetta prodotti in regioni vinicole specifiche,
Macedonia, Peloponneso, Creta, Emilia Romagna e la
pianura di Tracia, proponendo un’esperienza che parte
dove la cultura del vino nacque e si diffuse in tutto il
mondo. “Wines from the south of Europe – Mediterranean Wines”, un progetto che prende vita grazie all’Eno-
teca Regionale dell’Emilia Romagna in collaborazione
con la Camera di Commercio del vino della Trakia (Bulgaria) e il Consorzio dei produttori della Grecia. Un’azione informativa dipanata in un arco di tre anni, che
si rivolge a giornalisti opinion leader, professionisti del
settore vinicolo, sommelier, chef, ma anche ai consumatori, promuovendo i prodotti tipici dei tre Paesi, e uno
stile di consumo più attento e consapevole. Il progetto
iniziato nel febbraio del 2013, si è sviluppato attraverso
i più importanti eventi fieristici come Vinitaly, Prowein,
London Wine Fair, Anuga, oltre a degustazioni, seminari
e approfondimenti presso la sede di Enoteca Regionale
a Dozza, e in Germania a Francoforte e Colonia; mentre workshop con giornalisti e operatori sono stati organizzati a Verona, Colonia e Londra. Un’azione forte per
promuovere lo stile di consumo dei paesi mediterranei
insieme ai loro prodotti, realizzata con la collaborazione
di quotidiani, riviste, magazine e con un’energica campagna sui social media.
Per saperne di più:
www.southeurope-mediterraneanwines.eu
ristorazione&catering 72 settembre/ottobre duemila14
D
La fiera internazionale
dedicata al settore
dell’ospitalità e della
ristorazione
al 20 al 23 ottobre torna a Fiera Bolzano Hotel,
fiera internazionale dedicata al settore dell’ospitalità e della ristorazione giunta quest’anno
alla 38a edizione.
La quattro giorni - che nel 2013 ha registrato il record
di oltre 20mila presenze, con più di 600 espositori – è
organizzata come di consueto con il patrocinio di Federalberghi e la collaborazione dell’Unione Albergatori e
Pubblici Esercenti dell’Alto Adige (HGV).
Suddivisa in sei aree tematiche (cucina e tavola, interni
e decorazioni, costruire e rinnovare, wellness, management e comunicazione, gastronomia), Hotel sarà affiancata da un ricco calendario di appuntamenti, workshop,
eventi informativi e formativi con relatori di alto profilo
internazionale.
Iniziative di spessore che mettono sotto la lente di ingrandimento i principali trend del settore alberghiero e
gastronomico, offrendo ai visitatori una panoramica completa e professionale del comparto ho.re.ca.
Tra gli eventi più significativi della prossima edizione,
il “Social Media Forum 2014: Gli albergatori e i nuovi
media”, in programma lunedì 20 ottobre a partire dalle 9.15; in materia di ristrutturazione e valorizzazione
del territorio, esperti di architettura si confronteranno
il pomeriggio dello stesso giorno nel corso dell’incontro
“RIcostruire?! - Albergatori e architetti alla ricerca di
nuove strade”. Martedì 21 alle 10.00 sarà la volta del
convegno “La sostenibilità ambientale e le scelte manageriali negli alberghi” e mercoledì 22 del tradizionale
“Convegno sulla gastronomia dell’Unione Albergatori
e Pubblici Esercenti (HGV)”. Durante tutti e quattro i
giorni, in collaborazione con Pizza e Pasta Italiana e la
Scuola Italiana Pizzaioli, si svolgeranno poi iniziative e
incontri formativi dedicati interamente al mondo della
pizza e lunedì 20 ottobre Hotel diventerà una delle tappe
di “Giropizza d’Europa”, in cui 30 pizzaioli si sfideranno
a colpi d’impasto nella preparazione della migliore pizza
della casa. I primi 10 classificati avranno la possibilità
di accedere alla finalissima, in programma a marzo 2015
in Germania.
Come di consueto, Hotel ospiterà anche eventi collaterali
dedicati al vino: ad “Autochtona”, 11° Forum nazionale
dei vini autoctoni (20 e 21 ottobre), “Vinea Tirolensis”,
Degustazione dei Vignaioli dell’Alto Adige FWS (22 ottobre) e “Tasting Lagrein” 4° degustazione comparativa
di Lagrein e Lagrein Riserva (23 ottobre).
Per saperne di più:
www.hotel.fierabolzano.it
ristorazione&catering 73 settembre/ottobre duemila14
COSA SUCCEDE
COSA SUCCEDE
EUROVO, LONG EGG
BERNARDINI
Eurovo, azienda leader in Europa nella produzione e commercializzazione di uova e ovoprodotti, grazie a un accordo
con l’azienda danese DANAEG, distribuisce in esclusiva,
sul territorio italiano, LONG EGG, l’uovo sodo in tubo.
LONG EGG è pensato per ridurre i tempi del servizio nella
ristorazione, mantenendo comunque altissima la qualità degli ingredienti utilizzati nelle ricette: è ideale per preparazioni gastronomiche che richiedano l’utilizzo di uovo sodo a
fette (insalate, tramezzini, panini). LONG EGG si presenta in forma cilindrica, surgelato e pronto per l’uso; è disponibile
nel formato da 300 g, intero ma anche preaffettato in 40 fette, per un utilizzo ancora più pratico e veloce. LONG EGG
è distribuito da Eurovo al canale Horeca in scatole da 10 pezzi confezionati singolarmente, ha una shelf-life di un anno
e va conservato a -18/-20°C. Eurovo si rivolge con particolare
attenzione al mondo dell’hotellerie e della ristorazione, proponendo un prodotto semplice e pratico affinché gli addetti del
settore fuori casa possano garantire ai propri clienti un servizio
qualitativamente elevato e allo stesso tempo veloce.
L’azienda si impegna costantemente nella ricerca e sviluppo di
prodotti innovativi, che conservino il sapore e le proprietà delle
uova fresche e che permettano ai professionisti di ottenere risultati di alta qualità con notevole risparmio di tempo.
170 anni di esperienza
La nuova linea di pesce,
qualità dai mari più alti
I
l nome Bernardini si lega alla più alta norcineria,
tramite la cura nella lavorazione di carni pregiate
e selvaggina da oltre 170 anni, proiettando il patrimonio di esperienze nelle esigenze di qualità, di
sicurezza, di cortesia e servizio richieste oggi dal mercato alimentare.
Utilizzando questo immenso patrimonio fatto di conoscenza, capacità nel saper trattare una ampissima varietà di carni, con una eccezionale flessibilità, Mauro
e Marco Bernardini hanno raccolto una sfida che molti
ritenevano impossibile, quella di realizzare una linea di
prodotti di pesce, trasferendo tutte le conoscenze, le maestranze, utilizzando i più rigidi criteri di lavorazione e
un pizzico della loro creatività per offrire al consumatore
i prodotti migliori.
Dietro tutto questo c’è un’azienda strutturata modernamente che opera in laboratori all’avanguardia sia sotto
il profilo tecnologico sia della sua organizzazione. Tutti
gli impianti per la lavorazione e l’affumicatura del pesce
sono stati concepiti e realizzati allo scopo di riuscire a
trattare il prodotto secondo la filosofia aziendale di alta
qualità.
Il prodotto lavorato dalla Bernardini proviene da tonno,
spada e marlin pescati nei mari più alti che ne garantiscono la migliore qualità, opportunamente congelato a
bordo dei pescherecci, una volta a terra viene privato
della pelle, disossato selezionato e reso a filoni. All’interno del laboratorio Bernardini i filoni vengono salati
manualmente pezzo per pezzo .
I pezzi così ottenuti vengono lavorati scrupolosamente
fino a renderli adeguati ad accogliere la delicata fase di
affumicatura che viene realizzata in locali appositamente creati per consentire un lento e graduale trattamento
durante il quale, mantenendo controllato il clima si introduce la giusta quantità di fumo ricavata dalla combustione di una particolare selezione di legno nobile. Il
prodotto così ottenuto risulta equilibrato di asciugatura,
ristorazione&catering 74 settembre/ottobre duemila14
AD Padovani L.
Per saperne di più: www.eurovo.com
ben affettabile, dolce e delicatamente affumicato.
Adatti principalmente per la ristorazione gli affumicati
di pesce della Bernardini danno il meglio di sé conditi
semplicemente con olio extra vergine di oliva, nei crostini tostati al burro oppure per una degustazione più’
sfiziosa in carpacci abbinati a insalatine fresche o sformatini di verdure.
Per saperne di più: www.bernardinigastone.it
ristorazione&catering 75 settembre/ottobre duemila14
COSA SUCCEDE
COSA SUCCEDE
Hoplà non dolce
È un vero jolly, utile sia in cucina che in pasticceria e gelateria,
garantendo sempre un ottimo risultato. Ha tutte le caratteristiche e gli usi di Hoplà Già Zuccherata nell’ambito della pasticceria e gelateria, con in più la possibilità di poter bilanciare e
graduare lo zucchero secondo le proprie esigenze.
Ottima da sola o miscelata con le panne Tre Valli. Può essere
usata anche in cucina per primi piatti, secondi, contorni e salse
poiché tiene bene la cottura. Modalità d’uso: Hoplà può essere
utilizzata in cucina come condimento leggero e in sostituzione
della panna animale; in pasticceria e gelateria per farciture e
decorazioni in sostituzione della panna per dolci.
Per una migliore resa è consigliabile montare il prodotto ad una
temperatura compresa tra i 5° e gli 8° C. Modalità di conservazione: il prodotto si conserva a temperatura ambiente.
Al fine di preservare le caratteristiche qualitative ottimali si
consiglia di tenere il prodotto in luogo fresco (temperatura inferiore ai 22°C). Una volta aperto il contenitore conservare in
frigorifero e consumare entro 3-4 giorni.
Disponibile nei formati: 200 ml, 500 ml slim e 1000 ml.
Per saperne di più: www.trevalli.cooperlat.it
Un brand per ogni tua esigenza.
Mozzarella di
Bufala Campana DOP,
non ha eguali
Il Gruppo Alival, grazie alla sua continua innovazione, all’eccellenza dei servizi, alla sua politica dei marchi e all’ottimo rapporto
qualità/prezzo, è leader nella produzione e nella distribuzione di
“grandi formaggi tipici” della tradizione italiana. Infatti propone
i migliori formaggi della tradizione italiana fondando il proprio
successo sulla qualità dei prodotti, garantiti attraverso rigorosi
controlli su tutta la filiera eseguiti dal sistema di Assicurazione e
Controllo Qualità del Gruppo.
Tra i prodotti di maggior successo del gruppo la Mozzarella di
Bufala Campana DOP a marchio Mandara.
La I.L.C. MANDARA SPA ha assunto oggi una dimensione che
la pone al primo posto in assoluto nella produzione di Mozzarella
di Bufala Campana, formaggio a Denominazione di Origine Protetta. L’azienda ha sede nel comune di Mondragone, in
provincia di Caserta, da sempre luogo ideale per l’allevamento delle bufale.
La I.L.C. MANDARA SPA produce mozzarella di bufala da oltre tre generazioni selezionando e consolidando un patrimonio, una cultura professionale ed una dimensione tale da far sì che le sia riconosciuto il ruolo di leader del mercato.
Per saperne di più: www.alival.it
Three Sixty Black 42,
il diamante nero
Un diamante nero. Così si può definire Vodka Three Sixty Black 42, nuova referenza
della gamma Three Sixty - la Premium Vodka filtrata nel diamante.
Estremamente limpida, dal gusto morbido e sofisticato, Three Sixty gioca tutta la sua
identità proprio sul diamante, simbolo assoluto di purezza e di lusso.
Una bottiglia in vetro nero lucido, con sfaccettature che richiamano i tagli del diamante e a completare il design esclusivo l’etichetta in velluto con una lamina d’argento
mettono in evidenza il carattere e la qualità di questo straordinario prodotto.
Il contenuto è una vodka incredibilmente pura a 42° di volume alcolico, realizzata al
100% dalla quadrupla distillazione di grano. Three Sixty è la prima vodka filtrata nel
diamante, realizzata partendo da una base alcolica di grano, distillata quattro volte
e poi filtrata nella polvere di diamante grazie ad una tecnica di filtraggio unica, sviluppata in partnership dal produttore Schwarze und Schlichte con l’azienda Begerow
Filtration Company. Infatti, il filtraggio di Three Sixty avviene fino a 1.0 Micron, un
livello anche 30 volte maggiore rispetto alla norma: abitualmente, utilizzando filtri
standard, il filtraggio avviene tra 30.0 e 15.0 Micron. La polvere di diamante, grazie
alla sua finezza, rimuove anche le più piccole micro particelle dal distillato. A un anno
dal lancio sul mercato italiano di Three Sixty, OnestiGroup S.p.A. porta in Italia Three
Sixty Black 42, ampliamento di gamma della quarta vodka più venduta in Germania.
Con questa nuova referenza si conferma il posizionamento di vodka Three Sixty, particolarmente adatta a locali serali trendy e alla moda, desiderosi di distinguersi e di
offrire ai propri clienti prodotti premium dalla forte connotazione fashion.
CATERING - RISTORAZIONE - HOME
HOTELLERIE - BAR
ristorazione&catering 76 settembre/ottobre duemila14
Per saperne di più: www.onestigroup.com
ristorazione&catering 77 settembre/ottobre duemila14
COSA SUCCEDE
I Loacker Point
Una nuova
storia, dalla
tradizione
A tutti è noto che il core business del Salumificio
Fratelli Riva Spa è il prosciutto cotto, il principe
dei salumi per eccellenza, saporito, nutriente, morbido e dolce: alta qualità ottenuta con processi produttivi innovativi, ma sempre rivolti ad ottenere un
prodotto tradizionale. Top di gamma è il prosciutto
cotto Maialino d’oro, prosciutto cotto di alta qualità,
pensato e fatto con passione, senza glutine, senza
glutammato aggiunto, senza
polifosfati, senza derivati del
latte. “La nostra azienda ha
sempre prodotto il tipico salame brianzolo, dolce e buono, proponendolo solo a pochi
ristretti clienti dei canali ingrosso e dettaglio. – racconta Chiara Riva, responsabile
marketing - Confortati dal
successo ottenuto, e supportati dall’idea di sviluppare
una linea di alta qualità che
coprisse l’intera gamma dei
salumi, stiamo perciò ampliando la linea Maialino d’oro con salami di primissima scelta ottenuti
con carni selezionate e da pochi altri ingredienti,
secondo la nostra tradizionale ricetta, lavorato con
cura e stagionato al punto giusto”. La linea copre
diverse fasce qualitative e gustose con i diversi salami prodotti: salametto da 300gr, bocconcini mini,
cresponi per il taglio al banco e la classica filzetta.
Tutti da provare!
Per saperne di più: www.fratelliriva.it
Era il 1925 quando Alfons Loacker creò la sua
piccola azienda dolciaria artigianale nel cuore di
Bolzano, capoluogo dell’Alto Adige.
Il profondo impegno del fondatore e la sua instancabile ricerca della qualità hanno fatto sì che la
piccola bottega si sviluppasse velocemente, dando vita a nuovi negozi.
Nel corso degli anni, pur rimanendo familiare,
l‘impresa ha visto uno sviluppo mondiale di successo. Attualmente milioni di consumatori in oltre 100 Paesi apprezzano e sono fedeli al gusto
e qualità delle specialità Loacker, quali wafer,
pasticceria e cioccolata.
Oggi Loacker sceglie di recuperare le sue radici, ripristinando l‘idea originale della combinazione fra punto di vendita
(Loacker BrandStore) e degustazione (Loacker Moccaria) dei suoi prodotti dolciari, con il suo Loacker Point.
Il primo Loacker Point è stato aperto nel 2007 sul Brennero, ad oggi le Moccaria sono 5 con la nuova apertura di Trento
In Piazza Fiera in pieno centro.
Piazza Fiera è sede di eventi come il mercato di Natale, il mercato settimanale di Trento e numerose manifestazioni
culturali. Il Loacker BrandStore è il cuore del Loacker Point, dove è possibile trovare la più ampia scelta dei prodotti
Loacker. È l’unico luogo dove è possibile trovare tutta la gamma Loacker, inclusi i prodotti destinati al mercato estero, e
le confezioni speciali.
Per saperne di più: www.loacker.it
Kv Nordic, salmone certificato
Brand di proprietà di Eurofood s.p.a, società leader nell’importazione e distribuzione in Italia di importanti specialità
alimentari internazionali, Kv Nordic seleziona le migliori qualità e provenienze del salmone per garantire un salmone affumicato di alta qualità, dal gusto unico, dalle mille sfumature
ed estremamente delicato. Il salmone KV Nordic viene lavorato con
grande passione seguendo lunghe e rigorose procedure garantite da
una Certificata Tracciabilità di Filiera (Certiquality).
Kv Nordic infatti, controlla e certifica tutte le fasi di lavorazione del
salmone affumicato, partendo dall’allevamento (acque e alimentazione), dalla pesca della materia prima, alla pulitura, attraverso la
salatura, per terminare nella delicata fase di affumicatura che rappresenta il vero know how del brand.
Kv Nordic, per questo Natale, ha pensato di fare un regalo ai consumatori, portando sulla tavola il nuovissimo salmone Coho, conosciuto
come Silver Salmon o Salmone Argentato. Noto per il basso contenuto di grassi e per la compattezza delle carni, viene pescato nelle
acque dell’Oceano Pacifico dove l’habitat rimane inalterato.
Il soprannome Silver gli viene dal colore argenteo che assume nel
periodo di vita che trascorre nell’Oceano per poi diventare tendente
al rosso quando entra nelle acque dolci dei fiumi.
Il salmone Kv Nordic Silver, già preaffettato, è venduto nel doppio
formato da 80 g e da 150 g. La fetta lunga che lo caratterizza permette di utilizzarlo in molteplici modi: a carpaccio con aneto e limone,
lavorato creando tanti differenti e gustosi involtini o come involucro
esterno di timballi e terrine.
Per saperne di più: www.eurofood.it
ristorazione&catering 79 settembre/ottobre duemila14
abbiamo scritto di:
libri per voi
di Luca Galavotti
Che dire di Ernest Knam! Bravo, simpatico, esigente e
rigoroso, con spiccato senso di umanità che fanno di lui
un eccellente professionista. Con questo nuovo lavoro
editoriale suddiviso in tre parti ci regala nuove emozioni
da realizzare, non solo per i professionisti ma anche per
i semplici appassionati.Viva le torte: le 28 torte preferite
del maestro spaziano dal dolce al salato, dal rustico all’elegante, dal semplice all’esotico.
Tatin dolci e salate: con una chiara sequenza fotografica
illustra la tecnica di base infallibile e mostra l’attrezzatura che permette di caramellare e sformare senza intoppi.
Le 28 ‘variazioni’ sul tema offerte da Knam spaziano da
ingredienti classici ai procedimenti e componenti inusuali. Soufflé mignon: Knam offre soufflé monodose, di
sicura riuscita nel forno domestico e facili da moltiplicare secondo il numero degli invitati. Caldi e freddi, dolci
e salati, con sette proposte per ogni stagione dell’anno, i
suoi soufflé diventano piatti passepartout, da proporre in
ogni parte del menu.
L’autore, dopo un percorso professionale che lo ha portato dalla Germania alla Scozia, da Londra a Ginevra,
approda in Italia dove lavora come chef patissier nel ri-
storante milanese di Gualtiero Marchesi. Nel 1992 apre
la sua pasticceria: l’Antica Arte del Dolce a Milano.
Dal 2012 collabora con Discovery Italia come volto di
Real Time con “Il Re del Cioccolato” e con “Bake Off
Italia”. Pluripremiato e autore di diversi libri, propone le
sue eclettiche creazioni con il tocco dell’artista.
Wow!
Bibliotheca Culinaria
Pag. 192
2014 - euro 33,92
www.bibliothecaculinaria.it
Artigiani dei Sapori
Agugiaro & Figna www.le5stagioni.it
Alival www.alival.it
Alberto Arlotti, Blubai www.blubai.it
Riccardo Astolfi www.guidotommasi.it
Paolo Barbagli, Drogheria & Alimentari www.drogheria.com
Bernardini Gastone www.bernardinigastone.it
Marco Bortolini, Ristorante Da Gigetto www.ristorantedagigetto.it
Pellegrino Buffagni, Trattoria del Giardinetto
Andrea e Cesare Cecchi, Cecchi www.cecchi.net
Franco Cimini, Antica Osteria del Mirasole www.anticaosteriadelmirasole.it
Cooperlat www.trevalli.cooperlat.it
Igles Corelli, Chef to Chef www.cheftochef.eu
Umberto De Marinis, Cateringross www.cateringross.net
Roberto Diano, Bruschi www.bruschiborgotaro.com
Massimo Di Porzio, Pizzeria Umberto www.umberto.it
Gianluca Di Vona, Barbieri&Fardella www.barbieriefardella.it
Eurofood www.eurofood.it
Eurovo www.eurovo.com
Marco Fiore, Ristorante Pizzeria Fiore www.fiorealbisola.it
Fratelli Riva www.fratelliriva.it
Giovanna Guidetti, Osteria La Fefa www.osterialafefa.it
Hotel, Fiera Bolzano www.hotel.fierabolzano.it
Ernst Knam www.bibliothecaculinaria.it
Larte, Fondazione Altagamma www.lartemilano.com
Giovanna Malini, Ristorante Greppia www.ristorantegreppia.it
Alessandro-Ferruccio Marcucci Pinoli www.alexandermuseum.it
Iginio Massari, Pasticceria Veneto www.iginiomassari.it
Mediterranean Wines www.southeurope-mediterraneanwines.eu
Vincenzo Menichino, La Bettola del Massaro
Ovidio Mugnai, Unione Ristorante del Buon Ricordo www.buonricordo.com
Lean McHane, Bord Bia www.bordbia.ie
Onesti Group www.onestigroup.com
Carlo Pozza, Pasticceria da Venicio www.davenicio.it
Danilo Piacenza, Jungheinrich www.jungheinrich.it
Alessandro Pipero, Pipero al Rex www.alessandropipero.com
Andrea Pirlo www.pratumcoller.it
Maurizio Pradella, Cidia www.cidia.it
Antonio Presti, Art hotel Atelier sul Mare www.ateliersulmare.it
Davide Rampello, Expo 2015 www.expo2015.org
Davide Reciputi, Cateringross www.cateringross.net
Andrea e Roberto Rossi, Locanda del Feudo www.locandadelfeudo.it
Peppe Rossi, Enoteca Bar a Vino
Elena Shang, Blu Ginger www.blueginger.it
Luciano Spigaroli, Cavallino Bianco www.ristorantealcavallinobianco.it
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N° 23 SETTEMBRE - OTTOBRE 2014
Ristorazione & Catering - Poste Italiane Spa - Sped. AP.
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