GAZZETTINO – venerdì 21 febbraio 2014 (Gli articoli della presente rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli REGIONE (pag. 2) «Un referendum in Fvg per andare con l’Austria» Ma intanto Roma chiede altri 15 milioni alla Regione Belci (Cgil) torna all’attacco sulla riforma: «Anci e Upi giochino a carte scoperte» Appello alla Giunta: servono più risorse al manifatturiero UDINE (pag. 4) Accattoni in città, ecco la prima mappa Amga, esposto alla Procura Legnoluce verso il concordato preventivo Imprenditore schiacciato dal macchinario Latterie, verso l’accordo per la "cassa" PORDENONE (pag. 7) Tensioni per il lavoro. Minacce e finto ordigno (2 articoli) «Solo gli sgravi sui contratti potranno salvare Porcia» (2 articoli) Zml, il progetto sicurezza va avanti: ventilatori per diradare la polvere Colpito al volto da un pistone REGIONE «Un referendum in Fvg per andare con l’Austria» Maurizio Bait TRIESTE - In principio era Zico. Ossia: Zico o Austria. E si parlava del grande cuore bianconero palpitante per il fuoriclasse brasiliano. In circostanze meno sportive e più politiche e in anni più recenti (2003) sventolarono striscioni e cartelli con analoga minaccia: Tondo o Austria. Qui si protestava contro la berlusconiana decisione di far correre alle elezioni regionali Alessandra Guerra contro Riccardo Illy, che vinse in carrozza. Stavolta restiamo nel perimetro della politica, ma con un recinto di filo spinato imposto dalla crisi: o ripresa o Austria. Firmato Lega Nord. E curiosamente, di fronte a contesti i più eterogenei, il denominatore comune resta sempre la prospettiva di farsi annettere a Vienna ripudiando l’Italia. Proprio mentre sta per scoccare il centenario dal colpo di tuono di Sarajevo che infuocò le polveri della Grande guerra, il Gruppo regionale del Carroccio esce allo scoperto con quella che giuridicamente, occorre precisarlo, non può che essere una provocazione: un referendum per secedere dall’Italia e aggregarsi all’Austria, ammesso e non concesso che l’Austria europeista di oggi desideri ancora il Friuli Venezia Giulia perduto in due fasi fra il 1866 e il 1918. A soffiare sul fuoco sono la crisi, da una parte, con disoccupazione e imprese in ginocchio se non già belle e distese; l’inaffrontabile concorrenza fiscale carinziana e slovena; e poi soprattutto «il neocentralismo romano» che a colpi di manovre successive - e questo è un fatto contabile - ha alleggerito almeno del 40% la forza del gettito stabilito per statuto a vantaggio della Regione speciale e delle sue molteplici competenze, ulteriori rispetto alle realtà "ordinarie". Dunque adesso «o Roma ci riconosce meriti e competenze attribuiti dallo statuto, o noi proporremo un referendum per l’indipendenza di questa terra». I tre consiglieri del Carroccio (Zilli, Violino e la "sospesa" Piccin) intendono dimostrare «numeri alla mano» quanto il Fvg abbia già perduto in termini finanziari e vogliono spiegare «come e perché Roma ci voglia retrocedere al rango di piccola Regione ordinaria». Siano dunque i cittadini - proclama la Lega - a decidere il proprio destino «tra una morte lenta e l’indipendenza». Però tranquilli: «Non stiamo dicendo che siamo pronti alla rivoluzione, ma chiederemo all’opinione pubblica se sia meglio affondare con l’Italia o tentare di salvarsi, inviando un chiaro segnale di insofferenza. Forse l’Austria sarebbe disposta a darci quello che l’Italia ci vuole togliere». I leghisti hanno letto attentamente le dichiarazioni di Riccardo Illy sul Gazzettino in merito all’obiettivo di potenziare la specialità friulgiuliana. E assicurano di aver «apprezzato i concetti espressi dall’ex governatore» sugli obiettivi della Commissione paritetica che oggi presiede. Perciò «se darà seguito alle parole, saremo lieti di collaborare con lui». Per intanto - conclude la pattuglia del Carroccio in piazza Oberdan - «aspettiamo che la Regione faccia la sua parte con un’azione politica incisiva a Roma, propedeutica al riconoscimento che il Friuli merita per posizione geografica, risultati amministrativi e ruolo geopolitico». Ma intanto Roma chiede altri 15 milioni alla Regione UDINE - La presidente della Regione, Debora Serracchiani, si dice «pronta al confronto»; l'assessore regionale alle Finanze manifesta seria preoccupazione: «Fare di più oggi è pressoché impossibile, pena la capacità di assicurare i servizi fondamentali, dalla sanità al trasporto pubblico». Così ieri dopo che il commissario straordinario alla Spending review Carlo Cottarelli ha terminato i suoi conti e «ha confermato», come ha riferito Serracchiani dopo aver partecipato alla riunione della Conferenza delle Regioni, che «i tagli dovrebbero ammontare a 100 milioni per le Regioni ordinarie e a 100 per le speciali». Il che per il Friuli Venezia Giulia significherebbe una sforbiciata di circa 15 milioni. «Per le Regioni a statuto speciale - ha proseguito Serracchiani - già da questa settimana sarà avviato un tavolo tecnico sui tagli. Non facciamo opposizione - ha aggiunto -, ma vogliamo discutere in maniera proficua, consapevoli che tutti devono fare la propria parte ma le Regioni hanno già subito tagli pensanti». E a sentire i loro assessori alle Finanze non sono più in grado di reggerne altri. Tanto che, come ha ricordato Peroni, le Regioni hanno approvato un documento congiunto che «espone capitolo per capitolo il loro contributo alla revisione della spesa». Obiettivo, ha precisato l'assessore, è «spostare il baricentro della spending review sulla spesa dello Stato, il quale, dati alla mano, ha contribuito in percentuale inferiore al contenimento della propria spesa». A.L. Belci (Cgil) torna all’attacco sulla riforma: «Anci e Upi giochino a carte scoperte» TRIESTE - Firmare subito l’accordo sul Comparto unico, senza tergiversare in attesa della riforma delle autonomie. Ad accelerare è ancora la Cgil, con il segretario Franco Belci, che accusa l’Anci di dilazionare il confronto a causa delle «elezioni incombenti» e non fa mancare critiche anche alla presidente dell’Upi Bassa Poropat: «Se il suo intento è quello di tutelare i dipendenti – ironizza – può affidarsi tranquillamente a Cgil-Cisl-Uil». Per la Cgil l’incontro di lunedì 24 può già essere quello «buono per chiudere l’accordo». Da qui l’invito a «giocare a carte scoperte». Quanto al rapporto tra comparto e riforma degli enti locali, Belci ribalta la prospettiva: «È inaccettabile – sostiene – che chi finora ha sostenuto che il comparto unico è stato solo un costo, perché realizzato in mancanza della riforma, oggi affermi di attendere la riforma solo per giustificare la sua inerzia». E se i sindaci temono un accordo che faccia lievitare i costi del personale, Belci ribatte che la riorganizzazione è urgente per snellire la burocrazia e «fare della pubblica amministrazione un elemento di attrattività del territorio, responsabilizzando lavoratori e dirigenti». Tra gli altri punti salienti della proposta sindacale una disciplina della mobilità senza maggiori oneri per i comuni, un freno alle consulenze, scatti salariali entro le percentuali dei contratti nazionali. «Lunedì – conclude Belci – ci aspettiamo di sentire le proposte concrete di Anci e Upi e quelle della Regione, che avrà l’onere della sintesi». Appello alla Giunta: servono più risorse al manifatturiero UDINE - La produzione cresce del 4%, ma Confindustria non si fa illusioni. Se i numeri dell’indagine congiunturale confermano la risalita cominciata nella primavera del 2013, la cautela è d’obbligo. Tanto che il presidente regionale Giuseppe Bono parla di segnale preoccupante: «Nel 4. trimestre 2013 – dichiara – la risalita ha fatto segnare una significativa flessione». Se il saldo sul 2012 migliora, con un +4,3% nella produzione e un +1,9% negli ordini, l’incremento congiunturale rispetto al trimestre estivo è troppo timido, e nel fatturato è modesto anche quello tendenziale rispetto al 2012: solo il +0,4%. Il tutto, ovviamente, senza alcun effetto positivo sull’occupazione, che anzi arretra dello 0,5%. Da qui l’appello alle riforme che Bono, oltre che al Governo nazionale, estende anche alla Giunta regionale, invitata a «proseguire con determinatezza il sostegno dei settori produttivi attraverso il piano di rilancio del manifatturiero e la destinazione a questo fine anche di risorse aggiuntive che possano essere reperite dalla razionalizzazione della spesa pubblica e delle spese per investimenti senza ricadute sul tessuto economico». Rdt UDINE Accattoni in città, ecco la prima mappa Camilla De Mori Davanti ai supermercati, sotto i portici, di fronte alle chiese, fra le macchine in coda al semaforo. Li hanno incontrati, ci hanno parlato, hanno chiesto loro se qualcuno li sfrutta, obbligandoli a stare in strada con la mano tesa per chiedere la carità. E ora, con i primi dati, per quanto ancora parziali, del monitoraggio partito a dicembre fra Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige, gli operatori coinvolti nel progetto "Stop for beg" possono tracciare la mappa degli "invisibili" a Nordest. REGIONE. Il dato messo in luce da quasi tutte le associazioni è quello della forte «mobilità». Persone quasi sempre diverse e super-organizzate, che si danno il "cambio" e migrano da un luogo all’altro. La fotografia più fedele del fenomeno l’hanno offerta le uscite congiunte, fatte in contemporanea a dicembre e gennaio in tutti i capoluoghi censiti del Triveneto, proprio per avere il ritratto fedele di "un giorno da accattone" nei tre territori. Esaminando solo le prime due uscite congiunte, in Friuli Venezia Giulia, il "record" spetta a Trieste con 121 mendicanti contattati (che diventano 140 con il terzo monitoraggio), seguita da Udine (dove, come a Gorizia, causa maltempo le uscite fatte sono state solo due: la terza sarà a fine febbraio) con 39, quindi Pordenone con 15 (in una terza uscita fatta in un giorno di mercato a dicembre, «per comparare le differenze», sono state rilevate altre 25 persone) e Gorizia con soltanto 6 contatti (nel giorno di uno dei due monitoraggi era così freddo che non è stato avvistato nessun questuante). IDENTIKIT. Analizzando i dati di tutte le uscite nei capoluoghi per avere un campione il più ampio possibile, i mendicanti visti all’opera in regione durante i monitoraggi sono soprattutto maschi (84,6% a Udine, addirittura 100% a Gorizia, 67,5% a Pordenone e un dato analogo a Trieste). Sulle provenienze, l’Africa subsahariana la fa da padrone sia a Udine (43,5%) sia a Gorizia (con un nettissimo 83,3%), mentre a Pordenone prevale l’Est (70%). A Trieste è melting pot: la piazza se la "spartiscono" quasi equamente mendicanti dell’Est e dell’Africa nera. Gli italiani sono una minoranza: 17,9% nel capoluogo friulano, 10% in quello della Destra Tagliamento. I luoghi più appetibili per la questua? Sicuramente lo spazio davanti ai supermercati a Udine (53,8%) e Gorizia (4 casi su 6), mentre a Pordenone (dove il 27,5% degli accattoni mappati faceva il musicista) un quinto dei mendicanti avvistati era itinerante e un altro quinto sceglieva i market. Nel capoluogo friulano molto gettonate anche le chiese (15,3%), che piacciono anche a Trieste: un’uscita, nella città giuliana, a febbraio è stata interamente dedicata ai luoghi di culto e ha consentito di contattare 19 persone (di cui 15 uomini), nella maggior parte dei casi dell’Est (11). UDINE. Nel dettaglio, nella prima uscita congiunta di dicembre, sono state monitorate 15 persone (in 14 casi davanti ai supermercati, 3 davanti alle chiese, 1 davanti all’ospedale): 12 uomini e 3 donne, di cui 5 dall’Est Europa, 4 dall’Africa subsahariana, 5 italiani e una persona di nazionalità non identificata. Nella seconda mappatura di gennaio l’unità di strada ha contattato 24 persone (di cui 21 uomini): in sei casi venivano dall’Est, altri 12 dall’Africa subsahariana, 2 italiani, un olandese, un musicista sudamericano e due di nazionalità non identificata. Anche nel secondo monitoraggio, il supermercato era lo spazio più gettonato (14), seguito da chiese (3), portici (2) e mendicanti itineranti (2). Amga, esposto alla Procura Alessia Pilotto In attesa di sapere gli esiti degli esposti alla Corte dei Conti, il caso Amga-Hera si "guadagna" un altro esposto, questa volta alla Procura della Repubblica. A presentarlo i capigruppo in consiglio comunale del centrodestra assieme ad Adriano Ioan e Maurizio Vuerli, che hanno depositato ieri un documento con 14 allegati (tra cui la manifestazione di interesse di Ascopiave) che riassume tutta la storia dell'operazione. «Ci accusano di fare opposizione con le carte bollate - ha detto Ioan -, ma le abbiamo usate solo su temi fondamentali come questo e il parcheggio in piazza Primo Maggio. Se gli organi di controllo sono svaniti, cos'altro può fare un consigliere comunale che ha delle perplessità?». Tre sono i nodi del contendere: la mancata manifestazione pubblica di interesse, la presunta mancanza di requisiti del nuovo presidente di Amga, Marco Craighero, nonché la poca trasparenza del Comune che non ha ancora dato ai consiglieri le carte richieste in merito all'operazione. «Riguardo al primo punto - ha commentato Ioan -, se un iter simile, senza gara, fosse stato messo in atto da un sindaco di centrodestra con una società il cui capitale fosse detenuto da Berlusconi, vi immaginate cosa sarebbe scoppiato?». C'è poi la questione del nuovo presidente del cda Amga, per cui il centrodestra sta valutando di presentare ricorso al Tar: «Non ha i requisiti definiti dal consiglio comunale, che stando al parere della Regione, sono vincolanti. Per quanto Craighero sia un ottimo professionista - ha spiegato Ioan -, non ha mai visto una multiutility, eppure in 15 giorni è riuscito a capire che il progetto con Hera è il migliore». In ballo, sottolineano i consiglieri, «c'è la vendita della più grande partecipata comunale, che nel 2004 aveva un fatturato di 88 milioni e nel 2012 era arrivata a 366 milioni di euro: com'è possibile, con questa crescita, che Amga non riuscisse a partecipare alle gare da sola? Perché adesso si vuol far credere che è in difficoltà? Fosse così, Hera non l'avrebbe comprata ad un prezzo tanto alto». Il centrodestra lamenta infine di non avere accesso agli atti: «Prima per il patto di riservatezza, poi per i verbali da approvare, poi perché alcune parti del progetto sono ancora da definire. Intanto - ha continuato Ioan -, sentiamo dal sindaco numeri sempre diversi». «Non è assolutamente certo che ci sarà un ritorno per Amga e il Comune - ha detto invece Enrico Berti (Pdl) -. Di certo conviene a Hera». Legnoluce verso il concordato preventivo FORGARIA - Si attende il voto dei creditori per il concordato preventivo della Legnoluce Spa di Cornino. Ieri, in Tribunale a Pordenone, si è tenuta l’udienza per l’esame dello stato passivo, che ammonta a circa 14 milioni di euro, di cui circa quattro milioni in privilegio, a fronte del quale la società è stata in grado di esprimere una proposta utile a valorizzare l’attivo per circa 5,5 milioni con la previsione della cessione dei due rami di azienda (affittati), la vendita del magazzino, delle partecipazioni in altre società e dell’immobile aziendale. Dopo l’esposizione del commissario giudiziale Mauro Moras, si è passati alla raccolta dei voti dei creditori presenti, che hanno dato il consenso alla procedura. Ora ci sono 20 giorni di tempo per completare le operazioni di voto e poi arrivare all’omologa del Tribunale. Ai creditori chirografari è stato prospettato il pagamento nella misura di circa il 10 per cento. I legali della società – Luca Ponti, Francesco Santini e Francesco Spadetto – manifestano una «sia pur cauta soddisfazione per il decorso della procedura che, ad oggi, ha consentito di limitare l’impatto negativo nel contesto sociale di riferimento e di far proseguire i rami di azienda ancora produttivi anche con il reimpiego di parte delle manovalanze». Imprenditore schiacciato dal macchinario Paola Treppo Tragedia a Lusevera, nella tarda mattinata di ieri, nella frazione montana di Micottis, dove, in un cantiere aperto circa due mesi fa per la sistemazione della strada comunale che conduce a Monteaperta di Taipana, ha perso la vita Ermenegildo Pascolo, un uomo originario del posto e che avrebbe compiuto 48 anni il prossimo 29 luglio. La vittima stava lavorando sulla viabilità municipale e aveva fissato la macchina perforatrice in prossimità di una curva, al limitare della carreggiata, assicurandola al terreno. Certo di trovarsi in condizioni ottimali per cominciare le opere, si è messo ai comandi e ha avviato il mezzo per eseguire delle trivellazioni quasi sotto il manto stradale: un'operazione delicata, pericolosa e che richiedeva notevole esperienza. Dopo poco la trivella ha perso il suo ancoraggio al suolo e si è ribaltata nel pendio. L'uomo, colto di sorpresa, non è riuscito a fare un balzo repentino dal sellino dalla perforatrice che, poi, lo ha travolto, uccidendolo. A dare l'allarme un giovane operaio che stava lavorando con lui nel cantiere. Mancava poco a mezzogiorno quando sul posto è giunta l'ambulanza e, subito dopo, due squadre di vigili del fuoco, una munita di autogru, proveniente dal distaccamento di Gemona, e una proveniente da Udine. I pompieri sono riusciti ad alzare la macchina operatrice, di circa 7 tonnellate di peso, in tempi brevi, liberando il 47enne dalla morsa. Ma i sanitari del 118 non hanno potuto far nulla per salvarlo: le gravi ferite riportate per lo schiacciamento sono state fatali. La salma è stata rimossa dopo circa tre ore, ottenuto il nulla osta da parte del magistrato, il pm Andrea Gondolo, che ha disposto l'esame autoptico e il sequestro della trivellatrice. Sul luogo della disgrazia anche il sindaco del paese, Guido Marchiol, i tecnici del Comune, quelli dell'Ispettorato del lavoro/Nil di Udine e uno dei due fratelli della vittima, Aldo Pascolo, poi raggiunto dalla moglie e dal figlio della vittima. Per i rilievi i carabinieri della stazione di Pradielis. La salma del 47enne è stata composta all'ospedale di Udine. Latterie, verso l’accordo per la "cassa" Paola Treppo Tre lunghe ore di confronto, ieri, nella sede di Udine della Regione, tra le organizzazioni sindacali di categoria di Cgil, Cisl e Uil, il vicepresidente Sergio Bolzonello, i vertici del Consorzio con sede a Campoformido e i referenti della Granarolo che, nell'arco dei prossimi 6-8 mesi, andranno ad "assorbire" Latterie Friulane. Dall'incontro, nato per chiedere alla Regione di farsi in qualche modo da garante sul fronte tutela dell'occupazione e sulla continuità produttiva dello stabilimento friulano, è emersa ancora una volta l'urgenza di raggiungere al più presto un accordo sulla cassa integrazione straordinaria per gestire gli 89 esuberi previsti dal piano di ristrutturazione del Consorzio. L'intesa potrebbe venir raggiunta già la prossima settimana, in maniera unitaria, così da scongiurare l'ipotesi della messa in liquidazione volontaria di Latterie. Lo stato di fatto è stato illustrato, ieri, anche alle maestranze, riunite in assemblea, nel pomeriggio, presso il sito produttivo di Campoformido. Per loro, 182 in tutto, tra Udine e Pordenone, resta attivo fino a metà marzo prossimo il contratto di solidarietà; l'ammortizzatore sociale cesserà per tutta la forza lavoro nel momento in cui sarà firmato l'accordo per la Cigs. Intanto, la Uil Fvg guarda già al futuro, nell'ottica di un'integrazione tra il progetto di Granarolo in Friuli e la valorizzazione regionale della filiera lattiero-casearia: «L’azienda emiliana che rileverà Latterie Friulane - dice il segretario regionale, Pierpaolo Guerra - deve diventare un'opportunità con la messa in rete, e la creazione di un sistema, delle altre realtà attive in Fvg nello specifico comparto. Solo valorizzando tutti i soggetti, piccoli e grandi, di questa filiera, a partire dallo stesso Consorzio agrario, riusciremo a tracciare una linea, a ripartire da zero, e a recuperare il terreno perduto». Lo stesso vicepresidente della Regione Bolzonello ha ipotizzato la possibilità di un riassorbimento di parte degli esuberi di Latterie nel Consorzio con sede a Basiliano; ipotesi che resta però ancora tutta da verificare. PORDENONE Tensioni per il lavoro. Minacce e finto ordigno Maria Santoro Sale la tensione alla Domino Srl di Spilimbergo. Una scritta minacciosa, rivolta all’amministratore delegato Giovanni Santamaria, 49 anni, residente a Monaco di Baviera, è stata trovata all’ingresso principale dell’azienda di via Valcellina, nella zona industriale Nord. L’autore - o gli autori - con uno spray di coloro rosso ha disegnato anche tre svastiche e, per rafforzare la minaccia, ha lasciato nella cassetta delle lettere due pile avvolte con del nastro adesivo nero, da cui spuntavano dei fili. A un occhio poco allenato poteva sembrare un ordigno rudimentale, in realtà era un oggetto innocuo, che è stato realizzato soltanto con l’intenzione di per dar forza a quella che voleva essere un’intimidazione. Il gesto dimostrativo, dettato dall’esasperazione, è stato scoperto dai responsabili della Domino verso le 7 di ieri mattina. La scritta - in lingua tedesca e sovrastata da una svastica - diceva così: "Santarossa ihr seid gestor". Con ogni probabilità voleva scrivere "gestorben", ma non c’era abbastanza spazio: tradotta significa «siete morti». I toni sono chiaramente di avvertimento al gruppo Certina, sul quale pende la condanna morale delle maestranze, che si sentono abbandonate a sè stesse e costrette a convivere con l’incubo del licenziamento (in scadenza lunedì il contratto di solidarietà, forse sarà rimpiazzato dalla cassa integrazione ordinaria). Di fronte all'assenza di certezze, qualcuno potrebbe aver sfogato la propria tensione con un gesto dimostrativo rivolto ai top manager aziendali. Le scritte sarebbero state realizzate durante la notte. Non appena scoperte sono state nascoste da cartoni, poi il muro è stato ritinteggiato. Obiettivo prioritario della società è quello di garantire una situazione di tranquillità. Sono stati chiamati sul posto anche i carabinieri della Compagnia di Spilimbergo, intervenuti intorno alle 9 per eseguire i rilievi e raccogliere alcune testimonianze. La Domino non ha voluto sporgere denuncia contro ignoti nella speranza di riportare la difficile situazione alla normalità e spegnere eventuali proteste con il silenzio. L'azione è stata compiuta dopo la riunione sindacale dell’altra sera, durante la quale i dipendenti hanno appreso delle scarsissime speranze riposte sulla cordata di imprese salva-Domino. L'area non è videosorvegliata e sarà monitorata dalle forze dell'ordine al fine di scongiurare ogni altra provocazione dettata dalla disperazione di molti operai a rischio. Il giudice sulla cordata: «Garanzie insufficienti» PORDENONE - Non ci sono sufficienti garanzie per trasformare il concordato preventivo della Domino Srl di Spilimbergo e dare il via libera alla cessione dell’azienda. Così ha deciso il giudice Francesco Petrucco Toffolo, che ieri ha rigettato la richiesta presentata dalla stessa società del gruppo Certina di abbandonare il concordato in continuazione aziendale e di convertirlo nella modalità liquidatoria. Tempi, mancanza di piano industriale e di previsioni sul pagamento dei creditori hanno spinto il giudice che segue il caso della Domino a bloccare l’operazione. L’offerta presentata dalla cordata composta da una società immobiliare di Roma, da un’impresa di Tricesimo e da un’azienda della provincia di Brindisi è stata giudicata «irricevibile» dal Tribunale. La cordata era pronta ad acquisire il compendio industriale di via Valcellina per 4 milioni di euro. La Domino doveva dare la disponibilità entro il 28 febbraio. In ogni caso l’offerta sarebbe decaduta senza una manifestazione entro il 25 febbraio. Tempi che secondo il giudice non sono compatibili con la procedura prevista dal concordato e «l’esperimento di un’adeguata procedura competitiva». Dubbi sono stati manifestati anche sulla situazione patrimoniale e finanziaria: l’ipotesi di cessione di beni, infatti, non si accompagna a un aggiornamento della situazione patrimoniale e finanziaria, oltre che a indicazioni sul pagamento dei creditori. La Domino rivedrà l’offerta, c’è ancora margine per presentare dei miglioramenti. Tra l’altro ci sarebbero altre due realtà che hanno manifestato interesse per l’azienda di Spilimbergo, nessuna offerta è stata però avanzata. Il timore che si possa ripetere un altro caso Seleco, cioè che le cordate siano interessate solo ai marchi Albatros e Domino, trascurando il rilancio dell’azienda, serpeggia tra sindacati e maestranze. Operai, realtà aziendale e creditori restano però l’obiettivo primario del commissario giudiziale Paolo Fabris e del liquidatore Andrea Bressan. La situazione è difficile e, in seguito alla mancata ricapitalizzazione della società, il concordato stenta a decollare. Le commesse ci sono. Tra i clienti ve n’è uno molto importante, ma senza sufficienti disponibilità finanziarie la Domino non riesce ad acquistare le materie prime per far fronte agli ordini. Finora ha dovuto accontentarsi. Cristina Antonutti «Solo gli sgravi sui contratti potranno salvare Porcia» Davide Lisetto «Non esistono piani A o piani B. C’è un unico piano per Porcia ed è quello che abbiamo presentato. Abbiamo posto le condizioni, con gli investimenti previsti, per dare un futuro alla fabbrica puntando su prodotti a maggiore valore aggiunto in grado di renderli sostenibili. Resta però aperta la questione fondamentale del costo del lavoro che è in aumento: abbiamo bisogno di capire quale sarà l’andamento del costo del lavoro in Italia nei prossimi anni rispetto ad altri Paesi prima di decidere definitivamente dove fare gli investimenti». Ernesto Ferrario, amministratore delegato di Electrolux Italia, illustra il piano che salverà Porcia, ma sottolinea la necessità degli interventi del governo e della Regione (con la quale è già partito un tavolo tecnico) per abbassare il costo del lavoro. L’assenza del piano in un primo tempo aveva portato a immaginare la chiusura. Poi, in due settimane, è spuntato il piano anche per Porcia. «Non ci sono due tempi. Per Porcia avevamo atteso per capire come sarebbero andati alcuni colloqui ministeriali e alcuni provvedimenti governativi. L’urgenza di conoscere i progetti ci ha spinto poi ad anticipare alcuni contenuti dell’investigazione che però proseguirà fino ad aprile poiché resta aperto il tema del costo del lavoro». Sul progetto industriale per Porcia, però, i dubbi sono molti: troppi 450 esuberi, volumi bassi e pochi investimenti. Quali le garanzie? «A chi dice che 32 milioni sono pochi in quattro anni mi permetto dissentire. Senza contare che solo tre anni fa sono stati investiti 50 milioni per rifare le linee. Piani simili sono applicati a Susegana, Solaro e Forlì. Stabilimenti in cui i volumi erano stati ridotti a 700, 750 mila pezzi annui aumentando le gamme e il valore aggiunto. Nel tempo, nonostante fossero state mosse le stesse critiche che oggi vengono avanzate su Porcia, i volumi sono cresciuti». Su quali prodotti su punterà? «Ad aprile partirà la produzione della nuova lavasciuga con pompa di calore molto efficiente sul risparmio energetico: prevediamo 30/40 mila macchine all’anno. Inoltre, senza grandi investimenti, sarà possibile realizzare prodotti semi-professionali, per piccole comunità o grandi famiglie, utilizzando le conoscenza e anche la vicinanza territoriale con il Professional di Vallenoncello. Siamo gli unici tra i grandi produttori mondiali a poter fare questa sintesi di prodotto. Ci saranno poi modelli un po’ più grande di quelli europei e innovativi per il mercato americano». Il futuro del piano è però legato agli sgravi del governo sui contratti di solidarietà? «La decontribuzione sarebbe sufficiente a recuperare i tre euro l’ora di cui avremmo bisogno. La nostra proposta è chiara e i tecnici dei ministeri la conoscono. In assenza di questo provvedimento ci sarebbero altre strade per ridurre il costo del lavoro, come la riduzione del cuneo fiscale ma i tempi sarebbero più indefiniti rispetto al rifinanziamento di una legge, quella sulla decontribuzione, che già c’è. Non chiediamo aiuti di stato o a fondo perduto. Attendiamo la risposta sperando nella convocazione del governo in due settimane». Si è detto che produrre una lavatrice a Porcia costa 30 euro in più rispetto alla Polonia: questa cifra è però stata messa in discussione. «In una lavatrice c’è circa un’ora di lavoro. A Porcia costa 24 euro, in Polonia 6: c’è una differenza di 18. C’è poi una differenza nel costo delle forniture che in Polonia è inferiore. Rispetto alle redditività degli stabilimenti è un dato che non esiste: non ci sono fabbriche che guadagno altre che perdono. Quelli sono concetti superati che valevano venti anni fa. Esistono solo le differenze di costo, le fabbriche oggi sono viste come centri di costo». Sui blocchi parziali delle merci che continuano ci saranno forzature? «I blocchi totali della merce sono stati rimossi. Oggi noi abbiamo produzione e spedizione giornaliera. Abbiamo chiesto al sindacato che si possa liberare lo stock di magazzino per le commesse che abbiamo in scadenza. A Susegana sta in parte avvenendo a Porcia no. Noi lo richiediamo responsabilmente, ma non ci sarà alcuna forzatura». «Documento Unindustria, noi siamo esclusi» PORCIA - «Il piano di Unindustria Pordenone ha alcune cose in comune con il nostro. Ma è fondamentalmente diverso per due motivi: perché è stato pensato e voluto per il territorio provinciale e perché prevede una serie di strumenti di compensazione, in termini di welfare, da finanziarie con risorse regionali proprio per compensare i previsti tagli salariali. Questo è un aspetto unico in Italia per il momento». L’amministrazione delegato del Gruppo Electrolux in Italia, Ernesto Ferrario, esclude però l’utilizzo del Patto Pordenone nella vertenza Electrolux. «A oggi - sostiene il manager del colosso svedese - mi pare sia inapplicabile per due ragioni. Non vi è alcuna apertura sindacale, in particolare sulla questione del taglio dei salari. Ed è tutta da determinare la compensazione da parte della Regione». Inoltre, il Piano degli industriali è stato pensato e concepito per essere applicato nella sola provincia di Pordenone: come farebbe a essere funzionale per un gruppo industriale che ha quattro stabilimenti in quattro province - e Regioni - diverse? «Questo è il vero problema. Anche perché delle quattro regioni, solo il Friuli Venezia Giulia ha l’autonomia e la disponibilità finanziaria per poter intervenire. Potrebbe servire eventualmente per lo stabilimento di Porcia, non certo per gli altri tre di Susegana, Solaro, Forlì. Ma - ripete Ferrario - a oggi mancano le condizioni per un’applicazione anche sul territorio di Pordenone perciò noi siamo esclusi da questo possibile strumento». Zml, il progetto sicurezza va avanti: ventilatori per diradare la polvere MANIAGO - (lp) A due settimane di distanza da un paio di episodi in cui i lavoratori erano stati "immersi" in altrettante nubi di polvere, alla Zml di Maniago si è corsi ai ripari. E non è nemmeno servita la riunione programmata con le Rsu per ieri. A rendere inutile il summit è stata la decisione del management di procedere unilateralmente alla revisione di alcuni passaggi della lavorazione che prevedevano momenti di grande presenza di concentrazione di polveri, al punto che numerosi addetti sono ormai inseparabili dalla loro mascherina, costretti a cambiarla più volte nel corso della giornata. Preso atto della situazione di disagio (ci fu anche un'evacuazione temporanea degli operai), i dirigenti hanno verificato le situazioni più gravi, apportando alcune modifiche e aggiungendo (l'installazione si completerà nelle prossime settimane) dei ventilatori e altri strumenti, tanto per diradare la polvere quanto per tenerla monitorata. Operazioni che dovrebbero poter scongiurare futuri rischi per la salute dei dipendenti del colosso della metalmeccanica maniaghese. Il problema è comunque localizzato unicamente nel reparto ghisa. La verifica rispetto alla bontà delle contromisure adottate dall'azienda - prevista per ieri - è cosi slittata di alcune settimane, periodo considerato congruo per dare corso a un'attenta osservazione dei fenomeni che possono dare corso a picchi di inquinamento. Dalle organizzazioni sindacali è arrivato il pieno sostegno al progetto dell'azienda, ma anche la volontà di controllare sistematicamente l’efficacia dei correttivi apportati. Colpito al volto da un pistone Marco Michelin Ricoverato nel reparto di Rianimazione dell'Ospedale di Pordenone al termine di un’operazione durata otto ore, Antonio Di Donato è in condizioni gravissime dopo un incidente sul lavoro, avvenuto ieri mattina alla Tecnopress di San Quirino. Operaio di 47 anni, residente a Porcia, padre di tre figli, era impegnato in una manutenzione, quando da un macchinario che stava aggiustando si è staccato improvvisamente un pistone. L'uomo, da diversi anni impiegato nella ditta sanquirinese, è stato colpito in pieno volto dal pezzo di ferro, pesante circa 4 chilogrammi, che gli ha causato un importante trauma maxilofacciale. L'impatto è stato fortissimo: il pistone non ha infatti arrestato la sua corsa, ma si è impennato, arrivando a toccare addirittura il soffitto del capannone, alto sette metri. Il fatto è accaduto verso le 9 in piena zona industriale, in via Masieres 5 (tra la Costam e la Klarco). La Tecnopress, i cui titolari sono Nerio Moras e Angelo D'Olivo, è specializzata nello stampaggio a freddo delle lamiere. Sul posto è giunta dopo pochi minuti l'ambulanza del 118, seguita dall'elisoccorso. È stato quest'ultimo a trasportarlo poi all'ospedale di Pordenone: si è deciso non fosse opportuno recarsi fino a Udine. Le condizioni sono parse subito molto gravi e stabilizzare l'uomo è stata un'operazione lunga e complicata. L’uomo è stato sottoposto a un intervento chirurgico, terminato in serata, e poi ricoverato nel reparto di Rianimazione in coma farmacologico; la prognosi è riservata. Ad accertare le cause dell'incidente saranno i carabinieri della stazione di Aviano, con la collaborazione dei tecnici dello Spisal, il servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro dell'Ass 6. In apprensione per Di Donato, che abita in una palazzina di via Gorgazzo a Porcia (laterale di via Colombera), ci sono i famigliari, la moglie Dionisia Battistella (operatrice socio-assistenziale della cooperativa sociale Il Giglio), le due figlie e il figlio, e i tanti conoscenti dell'operaio, specializzato in manutenzione delle presse. In attesa di notizie positive ci sono in particolare gli amici del calcetto: sino allo scorso anno Di Donato allenava la squadra purliliese del Fantas, militante nella serie D del campionato Csi. Squadra di cui era stato in precedenza giocatore. «Antonio è uno di noi, speriamo con tutte le nostre forze che si riprenda - è l'augurio che mandano i ragazzi del Fantas -. Ci stringiamo attorno alla famiglia in questo difficile momento».
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